N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 maggio 2010

Ordinanza del 5 febbraio 2010 emessa dal Giudice di pace  di  Taranto
nel procedimento penale a carico di Yhusafzai Safras ed altri. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie  come  reato  -  Violazione  del
  principio di ragionevolezza sotto diversi profili - Contrasto con i
  principi di materialita' e di offensivita' del reato - Lesione  dei
  diritti inviolabili dell'uomo, nonche' dei principi di solidarieta'
  politica, economica e sociale - Inosservanza delle norme poste  dai
  trattati e dalle convenzioni internazionali. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 10, 27 e 117, in relazione agli artt.  5,
  6 e 16 del Protocollo addizionale della Convenzione  Nazioni  Unite
  contro il crimine organizzato transnazionale. 
(GU n.23 del 9-6-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Procedimento   penale   a   carico   dei   cittadini    stranieri
extracomunitari: 
    Thusafzai Safras, nato a Kandar (Afganistan) il 27 febbraio 1991,
sedicente  -  domicilio  eletto   in   Taranto   presso   lo   studio
dell'avvocato Roberta De Luca; 
    Baratali Gomali, nato a Kandar (Afganistan) il 1°  gennaio  1991,
sedicente  -  domicilio  eletto   in   Taranto   presso   lo   studio
dell'avvocato Roberta De Luca; 
    Karan Karan, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata,  maggiorenne
in seguito ad accertamento osseo - domicilio eletto in Taranto presso
lo studio dell'avvocato Roberta De Luca; 
    Nasan Sri, nato in Sri Lanka in epoca  imprecisata,  maggiorenne,
domicilio eletto in Taranto presso lo studio dell'avvocato Roberta De
Luca; 
    tutti imputati del reato di cui all'art.  10-bis  del  d.lgs.  25
luglio 1998, n. 286 come modificato dall'art. 1, comma 16 della legge
15  luglio  2009,  n.  94  per  aver,   quale   cittadino   straniero
extracomunitario fatto ingresso e  comunque  essersi  trattenuto  nel
territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del  predetto
decreto nonche' di quelle di cui all'art. 1  della  legge  28  maggio
2007, n. 68. 
    Accertato in agro di Castellana il 7 gennaio 2010. 
 
                             Si premette 
 
    In data 7 gennaio 2010, una pattuglia della Polizia di  Stato  in
servizio lungo l'autostrada Bari-Taranto, all'altezza del km 721,  in
direzione Nord, verso le ore 12,00  circa,  individuava  due  persone
appiedate che  percorrevano  la  corsia  di  emergenza.  Gli  agenti,
insospettiti dal comportamento dei due, peraltro in  violazione  alle
norme del C.d.S. che non consente di percorrere a piedi l'autostrada,
li fermava e li identificava quali cittadini  rumeni  rispondenti  ai
nomi di Lehmann Deivid Costantin  e  Lehmann  Pmr  Jemi,  in  base  a
documenti di identita' in loro possesso. 
    Ritenuti cittadini extracomunitari, sia perche' non comprendevano
per nulla la lingua italiana dichiarando di conoscere quella inglese,
sia per le loro caratteristiche somatiche venivano accompagnali negli
Uffici immigrazione della Questura di Taranto dove  veniva  accertata
la palese falsita' dei documenti di identita' mostrati;  gli  stessi,
quindi, riferivano spontaneamente di essere  cittadini  afgani  e  di
chiamarsi   rispettivamente   Yhusafzai   Safras,   nato   A   Kandar
(Afganistan) il 27 febbraio 1991 e Baratali  Gomali,  nato  a  Kandar
(Afganistan) il 1° gennaio 1991. 
    Gli agenti della Polizia di Stato, pertanto, provvedevano a porre
sono sequestro entrambi i falsi documenti di identita'; sequestro che
veniva convalidato in data 9 gennaio 2010 da sostituto procuratore di
turno dott. Enrico Bruschi. 
    Quasi contemporaneamente, altra pattuglia della polizia di Stato,
sempre all'altezza del Km 721  dell'autostrada  Bari-Taranto,  ma  in
direzione Sud individuava altre due persone che, una  volta  fermate,
sprovviste di documenti, declinavano le loro generalita'  dichiarando
di essere e di chiamarsi Karan Karan, nato  in  Sri  Lanka  in  epoca
imprecisata, minorenne e Nasan  Sri,  nato  in  Sri  Lanka  in  epoca
imprecisata, quest'ultimo maggiorenne. 
    Su disposizione del  PM  di  turno  si  procedeva  alla  verifica
dell'eta' di detto Karan Karan  previo  accertamento  osseo  eseguito
presso il locale nosocomio «SS.  Annunziata»  che,  contrariamente  a
quanto dichiarato, ne certificava la  maggiore  eta'.  A  seguito  di
detti accertamenti Yhusafzai Safras, nato A Kandar (Afganistan) il 27
febbraio 1991, sedicente; Baratali Gomali, nato a Kandar (Afganistan)
il 1° gennaio 1991, sedicente e Karan Karan, nato  in  Sri  Lanka  in
epoca imprecisata, considerato maggiorenne in seguito ad accertamento
osseo, venivano denunciati per  falsa  attestazione  di  identita'  a
pubblico Ufficiale ai sensi dell'art. 495 c.p. e i primi due anche ai
sensi dell'art. 485 e 489 c.p.  per  aver  utilizzato  atti  falsi  e
falsita' di scrittura. Infine tutti  e  quattro,  dopo  essere  stati
identificati ed aver eletto domicilio presso il difensore di  Ufficio
avv. De  Luca  Roberta  del  foro  di  Taranto,  risultati  cittadini
extracomunitari  clandestini  sul  territorio  dello  Stato  italiano
venivano deferiti in stato di liberta',  ai  sensi  dell'art.  10-bis
della  legge  n.  94/2009,  rimanendo  a  disposizione   dell'Ufficio
immigrazione, non avendo pregiudizi penali a loro carico. 
    A seguito di comunicazione della notizia del reato  commessa  dai
quattro cittadini extracomunitari, il PM autorizzava la presentazione
immediata degli imputati dinanzi al giudice di pace per l'udienza del
22  gennaio  2010,  previa  notifica   dell'atto   autorizzativo   di
citazione, debitamente tradotto nella lingua  inglese  da  interprete
all'uopo nominato, agli stessi presso il domicilio da loro eletto  al
momento della identificazione. 
    All'udienza  del  22  gennaio  2010,  verificata  la  regolarita'
dell'atto di autorizzazione alla citazione presso il giudice di pace,
debitamente notificato agli  imputati  presso  il  domicilio  eletto,
vista  la  loro  mancata  comparizione,  ne  veniva   dichiarata   la
contumacia e quindi aperto il dibattimento nel corso del quale veniva
ascoltato il teste Pasqualicchio Giuseppe, sovraintendente capo della
Polizia di Stato che aveva effettuato  il  fermo  dei  due  cittadini
stranieri extracomunitari afgani Yhusafzai Safras e Baratati Gomali. 
    Il  teste,  nel  corso  della  deposizione,   confermava   quanto
descritto in premessa e contenuto nel proprio rapporto acquisito agli
atti processuali. 
    Questo giudice di Pace,  conclusa  l'istruttoria,  poiche'  dagli
atti  di  causa  rilevava  possibili  elementi   di   non   manifesta
infondatezza di  incostituzionalita'  della  norma  di  cui  all'art.
10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come  modificato  dall'art.
1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94, riservava  l'esame  di
detta  problematica  disponendo  la  convocazione  delle   pani   per
l'udienza del 5 febbraio 2010, alle ore 9,00. 
    Tutto cio' premesso,  all'udienza  del  5  febbraio  2010,  parti
costituite come da verbale di udienza. 
    Il giudice di  pace  dott.  Gastone  De  Vincentiis  scioglie  la
riserva di cui al  22  gennaio  2010  dando  lettura  della  seguente
ordinanza. 
    Ritiene questo giudicante che l'art. 10-bis, comma 1  del  d.lgs.
25 luglio 1998,  n.  286  (T.U.  sulle  disposizioni  concernenti  la
disciplina  delle  immigrazioni  e  norme  sulla   condizione   dello
straniero),  modificato  dalla  legge   15   luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica e n. 62-bis del d.lgs.
28 agosto 2000, n. 274  (disposizioni  sulla  competenza  penale  del
Giudice di Pace) presenta elementi di non manifesta, infondatezza  di
legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 10, 27 e
117 della Costituzione, come di seguito. 
Violazione art. 3 della Costituzione. 
    Il contrasto con l'art.  3  della  Costituzione  e'  estremamente
palese in quanto la novella legislativa  tende  a  criminalizzare  il
semplice ingresso clandestino  e  la  permanenza  senza  permesso  di
soggiorno  nel  territorio  dello  Stato  travisando  i  principi  di
ragionevolezza  pasti  alla   base   dell'ordinamento   giuridico   e
legislativo. 
    Infatti come gia' espresso dalla  procura  della  Repubblica  del
tribunale  di  Torino  in  sede  di  eccezione  sulla  questione   di
legittimita' costituzione del novellato articolo 10-bis del d.lgs. n.
268/2008: 
    la  irragionevolezza  della  nuova   fattispecie   criminosa   e'
chiaramente evidenziata dalla carenza di  un  pur  minimo  fondamento
giustificativo  :  la  penalizzazione  di   una   condotta   dovrebbe
intervenire, come extrema ratio, in tutti  i  casi  in  cui  non  sia
possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento  dello
scopo.  Ora,   l'obiettivo   perseguito   dalla   nuova   fattispecie
incriminatrice  e'  costituito  dall'allontanamento  dello  straniero
irregolare dal territorio dello Stato. Esso e chiaramente  desumibile
dalle    svariate    previsioni,    accessorie    alla    fattispecie
incriminatrice,  aventi  ad  oggetto   proprio   l'espulsione   dello
straniero:  tale  misura  e',   infatti,   prevista   come   sanzione
sostitutiva irrogabile dal giudice di  pace  ai  sensi  dell'art.  16
d.lgs. n. 286/87, appositamente modificato per  comprendervi,  tra  i
presupposti la sentenza di condanna per  il  reato  di  cui  all'art.
10-bis (cosi alterando anche con  l'espressa  introduzione  dell'art.
62-bis il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs. n. 274/7000, che
prescriveva all'art. 62, dopo la descrizione delle  sanzioni  tipiche
di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione  delle
altre misure  sostitutive  di  pene  detentive  brevi):  inoltre,  la
effettiva  espulsione   dello   straniero   in   via   amministrativa
costituisce causa di non procedibilita' dell'azione  penale,  il  che
rende  plasticamente  evidente   quale   sia   l'interesse   primario
perseguito dal legislatore infine, non e' richiesto alcun nulla  osta
dell'Autorita' Giudiziaria per l'esecuzione  dell'espulsione  in  via
amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla  predetta
operazione.  Orbene  l'evidente  finalita'  della  nuova  fattispecie
incriminatrice   strumentale   all'allontanamento   dello   straniero
irregolare dal  territorio  dello  Stato,  ne  sottolinea  l'assoluta
inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice perche
lo   stesso   obiettivo   era   perfettamente   raggiungibile   prima
dell'introduzione della nuova figura di  reato,  mediante  l'adozione
dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13,
comma 4, d.lgs. n. 286/98 e la nuova norma modifica in alcun  modo  i
presupposti necessari  per  l'espulsione,  perche'  anche  la  misura
sostitutiva eventualmente disposta dal giudice  di  pace,  eseguibile
con le modalita' di' cui all'art. 13, comma 4, puo'  essere  adottata
soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14
comma  1;  e  le   difficolta'   di   carattere   amministrativo   ed
organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione
dell'espulsione  manu  militari   non   verranno   certo   meno   con
l'introduzione della  nuova  figura  di  reato.  Dunque  l'ambito  di
applicazione  della  nuova  fattispecie  coincide  perfettamente  con
quella della preesistente misura amministrativa dell'espulsione,  sia
sotto il  profilo  dei  soggetti  destinatari  (stranieri  entrati  o
trattenuti irregolarmente nel  territorio  dello  Stato),  sia  sotto
quello della ratio giustificativa. Il che significa  che  c'era  giu'
nell'ordinamento  italiano   uno   strumento   ritenuto   idoneo   al
raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e'  stato  oggetto  di
alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale  resta
priva di ogni giustificazione. 
    E inoltre la  irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  penale
emerge anche sotto il  profilo  sanzionatorio,  considerato  nel  suo
complesso, comprensivo, quindi, non solo della pena  dell'ammenda  da
5.000 a 10.000  euro,  ma  anche  del  divieto  di  applicazione  del
beneficio della sospensione condizionale della pena (conseguente alla
individuazione della competenza in capo al giudice di  pace,  secondo
quanto disposto dalla lettera s-bis) dell'art. 4, comma 2, d.lgs.  n.
274/2000, introdotta dall'art. 1, comma 17, lettera  a)  della  nuova
legge della facolta' concessa al giudice di  pace  di  sostituire  la
pena  pecuniaria  con   una   azione   piu'   grave,   quale   quella
dell'espulsione dallo Stato per un periodo  non  inferiore  a  cinque
anni (unico caso di misura  sostitutiva  piu'  grave  della  sanzione
principale  sostituita  nessuno  potendo  dubitare   della   maggiore
afflittivita' dell'espulsione rispetto alla mera  ammenda,  sia  pure
non oblazionabile, tenuto anche conto della conseguenze penali  della
violazione  del  provvedimento  dell'autorita'   giudiziaria).   Tale
regolamentazione in fatti,  introduce  una  palese  ed  irragionevole
disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente  destinatari  della
predetta  sanzione  sostitutiva.  Da  un  lato,  essa  potra'  essere
comminata a soggetti condannati,  anche  con  sentenza  ex  art.  444
c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva non superiore
a due anni e sempre che non ricorrano le condizioni  per  ordinare  a
sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p.  (come  previsto
dall'originario art. 16, d.lgs. n. 286/98, non modificato sul punto);
dall'altro lato essa potra' colpire  soggetti  condannati  alla  sola
pena pecuniaria, ex art. 10-bis d.lgs. n. 286198, quindi per un reato
certamente  meno  grave  di   quelli   che,   soli,   originariamente
giustificavano l'adozione della misura sostitutiva in oggetto,  senza
alcuna  possibilita'  per  il  giudice,  di  renderla   concretamente
inefficace mediante la concessione del  beneficio  della  sospensione
condizionale della pena del resto  e'  prevedibile  che  la  sanzione
sostitutiva in questione sara'  la  pena  generalmente  adottata  dal
giudice di pace, laddove non  ricorrano  le  cause  ostative  di  cui
all'art.  14,  comma  1,  stante  l'assoluta  carenza  di   efficacia
deterrente dell'ammenda prevista. La pena da 5.000 a 10.000  euro  di
ammenda infatti pur dichiarata  espressamente  non  oblazionabile  ex
art. 162 c.p. (con l'evidente obiettivo di dare concreta effettivita'
alla sanzione prescritta)  appare,  ad  ogni  persona  di  buonsenso,
assolutamente  priva  di  un  benche'   minimo   effetto   deterrente
anzitutto, perche' chi e' spinto ad emigrare da  condizioni  di  vita
insostenibili, per sfuggire alle quali e disposto a sfidare la  morte
affrontando  i  c.d.  viaggi  della  speranza,   non   potra'   certo
indietreggiare di fronte al rischio di una mera sanzione  pecuniaria,
per quanto elevata e non oblazionabile, ma anche perche' lo straniero
clandestino, prevedibilmente, non avra' mai,  in  concreto,  i  mezzi
economici per pagare la somma a cui  sara'  condannato  dal  giudice,
rendendo inutile anche ogni tentativo di esecuzione coattiva;  mentre
la conversione della pena pecuniaria,  ad  opera  del  magistrato  di
sorveglianza ex art. o60 c.p.p., nelle misure del lavoro  sostitutivo
o dell'obbligo di permanenza  domiciliare,  ai  sensi  dell'art.  55,
d.lgs. n. 274/2000 (prevista per i casi di insolvenza  nei  reati  di
competenza del giudice di pace) appare difficilmente attuabile, anche
a prescindere dal contrasto, sul piano logico, con  la  nuova  figura
criminosa  (paradossalmente  il  clandestino   sarebbe   chiamato   a
svolgere,  sia  pure  a  titolo  gratuito,  un,  lavoro  di  pubblica
utilita'), per la concreta difficolta' dell'immigrato  clandestino  a
reperire un domicilio stabile; 
    Va inoltre considerato che, anche prima  della  introduzione  del
nuovo reato l'art. 14 del T.U.  sull'immigrazione  prevedeva  per  lo
straniero  l'ipotesi   di   reato   qualora   non   ottemperasse   al
provvedimento  di  espulsione  emanato  dal  Prefetto.  Tale  ipotesi
costituiva una violazione piu' grave di quella prevista dalla vigente
normativa che ha introdotto la figura del reato di clandestinita', in
quanto  lo  straniero,  attraverso  il  provvedimento  amministrativo
veniva informato della normativa vigente, in forza  della  quale  era
disposta l'espulsione (rectius l'ordine di  allontanamento),  con  le
relative conseguenze penali in caso di inadempimento. 
    Nel primo caso  la  pena  detentiva  prevista  per  inadempimento
all'ordine di abbandonare il territorio dello Stato era supportata da
un giustificato motivo, contrariamente a quanto dispone il nuovo art.
10-bis. Il nuovo reato,  pertanto,  pur  costituendo,  rispetto  alla
ipotesi piu' grave  di  cui  all'art.  14,  una  funzione  di  minare
gravita', viene punito per la  sua  oggettivita'  senza  possibilita'
alcuna di giustificato motivo. 
    Peraltro le due procedure, penale ed amministrativa, convivono  e
confermano la sterilita' della nuova figura di  reato  (punibile  con
una sanzione pecuniaria da 5.000,000  a  10.000,00  curo)  in  quanto
entrambe tese alla espulsione del cittadino straniero irregolare. 
    E' palese, infatti, che tutta la disciplina prevista dal T.U.  e'
orientata a realizzare l'allontanamento  dello  straniero  irregolare
dal territorio nazionale; la condanna alla pena pecuniaria di cui  al
nuovo art. 10-bis non e' l'obiettivo principale dell'ordinamento. 
    Possiamo quindi  concludere  che,  nella  pratica  il  reato  non
esiste, in quanto la norma «sul reato di clandestinita'»  costituisce
un mero rafforzativo della piu'  operativa  procedura  amministrativa
finalizzata all'espulsione. 
Violazione dell'art. 27 della Costituzione. 
    Il nuovo art. 10-bis del d.lgs. n. 268/2009 oltre che  essere  in
contrasto con l'art. 3  della  Costituzione  viola  anche  l'art.  27
secondo il quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali posti
in essere. 
    Nella fattispecie il reato non si sostanzia in un facere o in  un
non  facere,  bensi'   nello   status   di   clandestino   irregolare
prescindendo dalla condotta dell'autore e dando valenza  soltanto  ad
una condizione di pericolosita' sociale costruita ex lege e non quale
conseguenza di fatti e comportamenti. 
    Si viene cosi'  a  determinare  la  violazione  dei  principi  di
materialita' ed offensivita'  posti  alla  base  del  diritto  penale
espressi con la massima del nullum crimen sine actione. 
    Sull'argomento la Corte costituzionale si e' gia' espressa con la
sentenze  del  16  marzo  2007,  n.  78   statuendo,   in   tema   di
applicabilita'  delle  misure  alternative  alla   detenzione   degli
stranieri  irregolari,  che  «il  mancato  possesso  di   un   titolo
abilitativo alla perrmanenza nel territorio dello Stato»  costituisce
«una condizione soggettiva. che, di  per  se',  non  e'  univocamente
sintomatica. di una particolare pericolosita' sociale» e ancor  prima
con la sentenza del  28  dicembre  1995,  n.  519  con  la  quale  ha
dichiarato   la   incostituzionalita'   del   reato   di   mendicita'
disciplinato dall'art. 670, comma  1  del  C.P.;  infatti,  a  questo
proposito la Corte ha affermato  che  le  persone  in  condizione  di
poverta' e di  miseria  non  possono  essere  considerate,  per  tale
condizione, pericolose e colpevoli. 
    Peraltro la irrazionalita' della legge istitutiva  del  reato  di
immigrazione clandestina risiede anche  nella  sua  irretroattivita':
infatti opera anche nei confronti di coloro che gia' si trovavano nel
territorio dello Stato, sia pure in condizione irregolare.  Si  viene
cosi' a punire penalmente anche coloro che hanno  commesso  il  reato
di' cui alla novella prima che la legge fosse emanata,  cioe'  quando
non potevano sapere di commettere reato penalmente perseguibile. 
    Appare evidente il contrasto con la circostanza che  prevede  una
sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui,  per  effetto  del
provvedimento  di  espulsione  emanato  dal  Prefetto,  lo  straniero
clandestino sia stato respinto o espulso. E' l'unico caso in  cui  il
provvedimento amministrativo prevale sull'azione penale. 
Violazione dell'art. 2 della Costituzione. 
    La norma in  questione  viola  il  principio  costituzionale  che
garantisce a tutti i cittadini che si trovano  sul  territorio  dello
Stato  i  diritti  inviolabili  dell'uomo,  nonche'  i  principi   di
solidarieta' politica, economica e sociale quale dovere  inderogabile
di ogni cittadino nei confronti di qualsiasi altro essere umano. 
    Infatti la  vera  finalita'  della  norma  non  e'  quella  della
condanna  dell'immigrato   irregolare   alla   sanzione   pecuniaria,
notevolmente elevata; e' evidente, infatti, che nessuno puo' trovarsi
nelle condizioni di poter pagare;  la  vera  finalita'  della  norma,
Invece,   e'   quella   dell'espulsione   peraltro   gia'    prevista
dall'ordinamento vigente  e  tuttora  operante.  Scopo  della  norma,
quindi, e' l'aver predisposto  strumenti  tali  da  rendere  la  vita
impossibile  all'immigrato  non  regolare,  minando  radicalmente  la
possibilita' di qualsiasi forma di solidarieta' nei  suoi  confronti,
dando luogo ad ipotesi di concorso nel reato da parte di tutti coloro
che dovessero offrire  accoglienza,  ospitalita'  e  qualsiasi  altra
forma di aiuto quale trovargli  alloggio,  sfamarlo,  offrigli  degli
abiti e magari persino pregare con lui. 
    La  configurabilita'  della   ipotesi   di   concorso   trasforma
inevitabilmente il cittadino da solidale in ostile nei  confronti  di
qualsiasi tipo di diversita' e lo rende disponibile alla delazione  e
alla violenza anche perche' se la sanzione pecuniaria  e'  inefficace
per lo straniero irregolare, certamente non lo e'  per  il  cittadino
italiano. 
Violazione degli artt. 10 e 117 della Costituzione. 
    Ulteriore contrasto si rileva con gli artt. 10 e 117 della nostra
Costituzione  che  sanciscono  l'obbligo  per   il   legislatore   di
rispettare  le  norme  poste  dai  trattati   e   dalle   convenzioni
internazionali  circa  gli  obblighi  di  assistenza  e   protezione.
Sull'argomento la Corte si e' ampiamente espressa con la sentenza  n.
349/2007 affermando che dall'esame dell'art. 117 discende  «l'obbligo
del legislatore ordinario di rispettare le nonne poste dai trattati e
dalle convenzioni internazionali, con la  conseguenza  che  la  norma
nazionale  incompatibile  con  gli  obblighi  internazionali  di  cui
all'art. 117, primo comma,  viola  per  cio'  stesso  tale  parametro
costituzionale,  che   realizza   un   rinvio   mobile   alla   norma
convenzionale di volta in volta  conferente,  la  quale  da'  vita  e
contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati.  Ne
consegue che al giudice comune spetta interpretare la  norma  interna
in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei
quali cio' sia permesso dai testi delle norme e qualora cio' non  sia
possibile, ovvero qualora dubiti  della  compatibilita'  della  norma
interna con la disposizione convenzionale "interposta",  proporre  la
relativa  questione  di  legittimita'  costituzionale   rispetto   al
parametro dell'art. 117, primo comma della Costituzione». 
    La violazione dell'art. 117  della  Costituzione  e'  gia'  stato
ampiamente sviluppato dalla Procura  della  Repubblica  di  Agrigento
sollevando problemi di illegittimita' nel corso del  procedimento  n.
624/2009 Mod 21-bis  evidenziando  quanto  affermato  dal  Protocollo
addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni   Unite   contro   la
criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di
migranti sottoscritto nel corso della Conferenza  di  Palermo  (15-15
dicembre 2000). 
    Detta convenzione da un lato prevede, all'art. 6, che ogni  Stato
aderente possa  adottare  misure  legislative  tese  a  conferire  il
carattere di reato ad alcune condotte quali il traffico di  migranti,
la falsificazione di documenti di  viaggio  e  quanto  altro  teso  a
favorire  la  permanenza  illegale  sul   territorio   dello   Stato,
dall'altro sancisce, all'articolo 5, «che i  migranti  non  diventano
assoggettati all'azione penale fondata sul presente Protocollo per il
fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui  all'art.  6».  E
inoltre l'art. 16 obbliga gli Stati  contraenti  a  «prendere  misure
adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per
preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state  oggetto
delle condotte di cui all'art. 6» e nonche' «a fornire una assistenza
adeguata ai migranti la cui vita, o incolumita', e' in  pericolo  dal
fatto di' essere stati oggetto delle condotte di' cui all'art. 6». 
    E' pertanto evidente la contraddizione tra  la  nuova  disciplina
del reato di immigrazione che tende a «criminalizzare»  il  cittadino
straniero irregolare e la disposizione costituzionale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti  gli  artt.  137  della   Costituzione,   1   della   legge
costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11  marzo  1953,
n. 87; 
    Ritenuta  la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza   di
incostituzionalita' dell'art. 10-bis del d.lgs. 25  luglio  1998,  n.
286, introdotto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 per  conflitto  con
gli artt. 2, 3, 10, 27 e 117 della Costituzione; 
    Solleva d'ufficio questione di legittimita' e ordina  l'immediata
trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e  sospende  il
giudizio in corso. 
    Ordina  altresi'  che  a  cura  della  Cancelleria  la   presente
ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei  ministri  e
comunicata ai Presidente delle due Camere del Parlamento. 
 
                  Il Giudice di pace: De Vincentiis