N. 166 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 maggio 2010
Ordinanza del 5 febbraio 2010 emessa dal Giudice di pace di Taranto nel procedimento penale a carico di Yhusafzai Safras ed altri. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Violazione del principio di ragionevolezza sotto diversi profili - Contrasto con i principi di materialita' e di offensivita' del reato - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo, nonche' dei principi di solidarieta' politica, economica e sociale - Inosservanza delle norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. - Costituzione, artt. 2, 3, 10, 27 e 117, in relazione agli artt. 5, 6 e 16 del Protocollo addizionale della Convenzione Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.(GU n.23 del 9-6-2010 )
IL GIUDICE DI PACE Procedimento penale a carico dei cittadini stranieri extracomunitari: Thusafzai Safras, nato a Kandar (Afganistan) il 27 febbraio 1991, sedicente - domicilio eletto in Taranto presso lo studio dell'avvocato Roberta De Luca; Baratali Gomali, nato a Kandar (Afganistan) il 1° gennaio 1991, sedicente - domicilio eletto in Taranto presso lo studio dell'avvocato Roberta De Luca; Karan Karan, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata, maggiorenne in seguito ad accertamento osseo - domicilio eletto in Taranto presso lo studio dell'avvocato Roberta De Luca; Nasan Sri, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata, maggiorenne, domicilio eletto in Taranto presso lo studio dell'avvocato Roberta De Luca; tutti imputati del reato di cui all'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 come modificato dall'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94 per aver, quale cittadino straniero extracomunitario fatto ingresso e comunque essersi trattenuto nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del predetto decreto nonche' di quelle di cui all'art. 1 della legge 28 maggio 2007, n. 68. Accertato in agro di Castellana il 7 gennaio 2010. Si premette In data 7 gennaio 2010, una pattuglia della Polizia di Stato in servizio lungo l'autostrada Bari-Taranto, all'altezza del km 721, in direzione Nord, verso le ore 12,00 circa, individuava due persone appiedate che percorrevano la corsia di emergenza. Gli agenti, insospettiti dal comportamento dei due, peraltro in violazione alle norme del C.d.S. che non consente di percorrere a piedi l'autostrada, li fermava e li identificava quali cittadini rumeni rispondenti ai nomi di Lehmann Deivid Costantin e Lehmann Pmr Jemi, in base a documenti di identita' in loro possesso. Ritenuti cittadini extracomunitari, sia perche' non comprendevano per nulla la lingua italiana dichiarando di conoscere quella inglese, sia per le loro caratteristiche somatiche venivano accompagnali negli Uffici immigrazione della Questura di Taranto dove veniva accertata la palese falsita' dei documenti di identita' mostrati; gli stessi, quindi, riferivano spontaneamente di essere cittadini afgani e di chiamarsi rispettivamente Yhusafzai Safras, nato A Kandar (Afganistan) il 27 febbraio 1991 e Baratali Gomali, nato a Kandar (Afganistan) il 1° gennaio 1991. Gli agenti della Polizia di Stato, pertanto, provvedevano a porre sono sequestro entrambi i falsi documenti di identita'; sequestro che veniva convalidato in data 9 gennaio 2010 da sostituto procuratore di turno dott. Enrico Bruschi. Quasi contemporaneamente, altra pattuglia della polizia di Stato, sempre all'altezza del Km 721 dell'autostrada Bari-Taranto, ma in direzione Sud individuava altre due persone che, una volta fermate, sprovviste di documenti, declinavano le loro generalita' dichiarando di essere e di chiamarsi Karan Karan, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata, minorenne e Nasan Sri, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata, quest'ultimo maggiorenne. Su disposizione del PM di turno si procedeva alla verifica dell'eta' di detto Karan Karan previo accertamento osseo eseguito presso il locale nosocomio «SS. Annunziata» che, contrariamente a quanto dichiarato, ne certificava la maggiore eta'. A seguito di detti accertamenti Yhusafzai Safras, nato A Kandar (Afganistan) il 27 febbraio 1991, sedicente; Baratali Gomali, nato a Kandar (Afganistan) il 1° gennaio 1991, sedicente e Karan Karan, nato in Sri Lanka in epoca imprecisata, considerato maggiorenne in seguito ad accertamento osseo, venivano denunciati per falsa attestazione di identita' a pubblico Ufficiale ai sensi dell'art. 495 c.p. e i primi due anche ai sensi dell'art. 485 e 489 c.p. per aver utilizzato atti falsi e falsita' di scrittura. Infine tutti e quattro, dopo essere stati identificati ed aver eletto domicilio presso il difensore di Ufficio avv. De Luca Roberta del foro di Taranto, risultati cittadini extracomunitari clandestini sul territorio dello Stato italiano venivano deferiti in stato di liberta', ai sensi dell'art. 10-bis della legge n. 94/2009, rimanendo a disposizione dell'Ufficio immigrazione, non avendo pregiudizi penali a loro carico. A seguito di comunicazione della notizia del reato commessa dai quattro cittadini extracomunitari, il PM autorizzava la presentazione immediata degli imputati dinanzi al giudice di pace per l'udienza del 22 gennaio 2010, previa notifica dell'atto autorizzativo di citazione, debitamente tradotto nella lingua inglese da interprete all'uopo nominato, agli stessi presso il domicilio da loro eletto al momento della identificazione. All'udienza del 22 gennaio 2010, verificata la regolarita' dell'atto di autorizzazione alla citazione presso il giudice di pace, debitamente notificato agli imputati presso il domicilio eletto, vista la loro mancata comparizione, ne veniva dichiarata la contumacia e quindi aperto il dibattimento nel corso del quale veniva ascoltato il teste Pasqualicchio Giuseppe, sovraintendente capo della Polizia di Stato che aveva effettuato il fermo dei due cittadini stranieri extracomunitari afgani Yhusafzai Safras e Baratati Gomali. Il teste, nel corso della deposizione, confermava quanto descritto in premessa e contenuto nel proprio rapporto acquisito agli atti processuali. Questo giudice di Pace, conclusa l'istruttoria, poiche' dagli atti di causa rilevava possibili elementi di non manifesta infondatezza di incostituzionalita' della norma di cui all'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94, riservava l'esame di detta problematica disponendo la convocazione delle pani per l'udienza del 5 febbraio 2010, alle ore 9,00. Tutto cio' premesso, all'udienza del 5 febbraio 2010, parti costituite come da verbale di udienza. Il giudice di pace dott. Gastone De Vincentiis scioglie la riserva di cui al 22 gennaio 2010 dando lettura della seguente ordinanza. Ritiene questo giudicante che l'art. 10-bis, comma 1 del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U. sulle disposizioni concernenti la disciplina delle immigrazioni e norme sulla condizione dello straniero), modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica e n. 62-bis del d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (disposizioni sulla competenza penale del Giudice di Pace) presenta elementi di non manifesta, infondatezza di legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 2, 3, 10, 27 e 117 della Costituzione, come di seguito. Violazione art. 3 della Costituzione. Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione e' estremamente palese in quanto la novella legislativa tende a criminalizzare il semplice ingresso clandestino e la permanenza senza permesso di soggiorno nel territorio dello Stato travisando i principi di ragionevolezza pasti alla base dell'ordinamento giuridico e legislativo. Infatti come gia' espresso dalla procura della Repubblica del tribunale di Torino in sede di eccezione sulla questione di legittimita' costituzione del novellato articolo 10-bis del d.lgs. n. 268/2008: la irragionevolezza della nuova fattispecie criminosa e' chiaramente evidenziata dalla carenza di un pur minimo fondamento giustificativo : la penalizzazione di una condotta dovrebbe intervenire, come extrema ratio, in tutti i casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Ora, l'obiettivo perseguito dalla nuova fattispecie incriminatrice e' costituito dall'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato. Esso e chiaramente desumibile dalle svariate previsioni, accessorie alla fattispecie incriminatrice, aventi ad oggetto proprio l'espulsione dello straniero: tale misura e', infatti, prevista come sanzione sostitutiva irrogabile dal giudice di pace ai sensi dell'art. 16 d.lgs. n. 286/87, appositamente modificato per comprendervi, tra i presupposti la sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 10-bis (cosi alterando anche con l'espressa introduzione dell'art. 62-bis il sistema sanzionatorio disegnato dal d.lgs. n. 274/7000, che prescriveva all'art. 62, dopo la descrizione delle sanzioni tipiche di cui agli artt. 52 e ss., l'espresso divieto di applicazione delle altre misure sostitutive di pene detentive brevi): inoltre, la effettiva espulsione dello straniero in via amministrativa costituisce causa di non procedibilita' dell'azione penale, il che rende plasticamente evidente quale sia l'interesse primario perseguito dal legislatore infine, non e' richiesto alcun nulla osta dell'Autorita' Giudiziaria per l'esecuzione dell'espulsione in via amministrativa, al chiaro scopo di non creare intralci alla predetta operazione. Orbene l'evidente finalita' della nuova fattispecie incriminatrice strumentale all'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio dello Stato, ne sottolinea l'assoluta inutilita' e, dunque, la mancanza di una ratio giustificatrice perche lo stesso obiettivo era perfettamente raggiungibile prima dell'introduzione della nuova figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, d.lgs. n. 286/98 e la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, eseguibile con le modalita' di' cui all'art. 13, comma 4, puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14 comma 1; e le difficolta' di carattere amministrativo ed organizzativo che fino ad oggi hanno ostacolato la piena applicazione dell'espulsione manu militari non verranno certo meno con l'introduzione della nuova figura di reato. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quella della preesistente misura amministrativa dell'espulsione, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era giu' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta priva di ogni giustificazione. E inoltre la irragionevolezza della nuova fattispecie penale emerge anche sotto il profilo sanzionatorio, considerato nel suo complesso, comprensivo, quindi, non solo della pena dell'ammenda da 5.000 a 10.000 euro, ma anche del divieto di applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena (conseguente alla individuazione della competenza in capo al giudice di pace, secondo quanto disposto dalla lettera s-bis) dell'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 274/2000, introdotta dall'art. 1, comma 17, lettera a) della nuova legge della facolta' concessa al giudice di pace di sostituire la pena pecuniaria con una azione piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato per un periodo non inferiore a cinque anni (unico caso di misura sostitutiva piu' grave della sanzione principale sostituita nessuno potendo dubitare della maggiore afflittivita' dell'espulsione rispetto alla mera ammenda, sia pure non oblazionabile, tenuto anche conto della conseguenze penali della violazione del provvedimento dell'autorita' giudiziaria). Tale regolamentazione in fatti, introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione sostitutiva. Da un lato, essa potra' essere comminata a soggetti condannati, anche con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva non superiore a due anni e sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare a sospensione condizionale della pena ex art. 163 c.p. (come previsto dall'originario art. 16, d.lgs. n. 286/98, non modificato sul punto); dall'altro lato essa potra' colpire soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ex art. 10-bis d.lgs. n. 286198, quindi per un reato certamente meno grave di quelli che, soli, originariamente giustificavano l'adozione della misura sostitutiva in oggetto, senza alcuna possibilita' per il giudice, di renderla concretamente inefficace mediante la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena del resto e' prevedibile che la sanzione sostitutiva in questione sara' la pena generalmente adottata dal giudice di pace, laddove non ricorrano le cause ostative di cui all'art. 14, comma 1, stante l'assoluta carenza di efficacia deterrente dell'ammenda prevista. La pena da 5.000 a 10.000 euro di ammenda infatti pur dichiarata espressamente non oblazionabile ex art. 162 c.p. (con l'evidente obiettivo di dare concreta effettivita' alla sanzione prescritta) appare, ad ogni persona di buonsenso, assolutamente priva di un benche' minimo effetto deterrente anzitutto, perche' chi e' spinto ad emigrare da condizioni di vita insostenibili, per sfuggire alle quali e disposto a sfidare la morte affrontando i c.d. viaggi della speranza, non potra' certo indietreggiare di fronte al rischio di una mera sanzione pecuniaria, per quanto elevata e non oblazionabile, ma anche perche' lo straniero clandestino, prevedibilmente, non avra' mai, in concreto, i mezzi economici per pagare la somma a cui sara' condannato dal giudice, rendendo inutile anche ogni tentativo di esecuzione coattiva; mentre la conversione della pena pecuniaria, ad opera del magistrato di sorveglianza ex art. o60 c.p.p., nelle misure del lavoro sostitutivo o dell'obbligo di permanenza domiciliare, ai sensi dell'art. 55, d.lgs. n. 274/2000 (prevista per i casi di insolvenza nei reati di competenza del giudice di pace) appare difficilmente attuabile, anche a prescindere dal contrasto, sul piano logico, con la nuova figura criminosa (paradossalmente il clandestino sarebbe chiamato a svolgere, sia pure a titolo gratuito, un, lavoro di pubblica utilita'), per la concreta difficolta' dell'immigrato clandestino a reperire un domicilio stabile; Va inoltre considerato che, anche prima della introduzione del nuovo reato l'art. 14 del T.U. sull'immigrazione prevedeva per lo straniero l'ipotesi di reato qualora non ottemperasse al provvedimento di espulsione emanato dal Prefetto. Tale ipotesi costituiva una violazione piu' grave di quella prevista dalla vigente normativa che ha introdotto la figura del reato di clandestinita', in quanto lo straniero, attraverso il provvedimento amministrativo veniva informato della normativa vigente, in forza della quale era disposta l'espulsione (rectius l'ordine di allontanamento), con le relative conseguenze penali in caso di inadempimento. Nel primo caso la pena detentiva prevista per inadempimento all'ordine di abbandonare il territorio dello Stato era supportata da un giustificato motivo, contrariamente a quanto dispone il nuovo art. 10-bis. Il nuovo reato, pertanto, pur costituendo, rispetto alla ipotesi piu' grave di cui all'art. 14, una funzione di minare gravita', viene punito per la sua oggettivita' senza possibilita' alcuna di giustificato motivo. Peraltro le due procedure, penale ed amministrativa, convivono e confermano la sterilita' della nuova figura di reato (punibile con una sanzione pecuniaria da 5.000,000 a 10.000,00 curo) in quanto entrambe tese alla espulsione del cittadino straniero irregolare. E' palese, infatti, che tutta la disciplina prevista dal T.U. e' orientata a realizzare l'allontanamento dello straniero irregolare dal territorio nazionale; la condanna alla pena pecuniaria di cui al nuovo art. 10-bis non e' l'obiettivo principale dell'ordinamento. Possiamo quindi concludere che, nella pratica il reato non esiste, in quanto la norma «sul reato di clandestinita'» costituisce un mero rafforzativo della piu' operativa procedura amministrativa finalizzata all'espulsione. Violazione dell'art. 27 della Costituzione. Il nuovo art. 10-bis del d.lgs. n. 268/2009 oltre che essere in contrasto con l'art. 3 della Costituzione viola anche l'art. 27 secondo il quale si puo' essere puniti solo per fatti materiali posti in essere. Nella fattispecie il reato non si sostanzia in un facere o in un non facere, bensi' nello status di clandestino irregolare prescindendo dalla condotta dell'autore e dando valenza soltanto ad una condizione di pericolosita' sociale costruita ex lege e non quale conseguenza di fatti e comportamenti. Si viene cosi' a determinare la violazione dei principi di materialita' ed offensivita' posti alla base del diritto penale espressi con la massima del nullum crimen sine actione. Sull'argomento la Corte costituzionale si e' gia' espressa con la sentenze del 16 marzo 2007, n. 78 statuendo, in tema di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione degli stranieri irregolari, che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla perrmanenza nel territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva. che, di per se', non e' univocamente sintomatica. di una particolare pericolosita' sociale» e ancor prima con la sentenza del 28 dicembre 1995, n. 519 con la quale ha dichiarato la incostituzionalita' del reato di mendicita' disciplinato dall'art. 670, comma 1 del C.P.; infatti, a questo proposito la Corte ha affermato che le persone in condizione di poverta' e di miseria non possono essere considerate, per tale condizione, pericolose e colpevoli. Peraltro la irrazionalita' della legge istitutiva del reato di immigrazione clandestina risiede anche nella sua irretroattivita': infatti opera anche nei confronti di coloro che gia' si trovavano nel territorio dello Stato, sia pure in condizione irregolare. Si viene cosi' a punire penalmente anche coloro che hanno commesso il reato di' cui alla novella prima che la legge fosse emanata, cioe' quando non potevano sapere di commettere reato penalmente perseguibile. Appare evidente il contrasto con la circostanza che prevede una sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui, per effetto del provvedimento di espulsione emanato dal Prefetto, lo straniero clandestino sia stato respinto o espulso. E' l'unico caso in cui il provvedimento amministrativo prevale sull'azione penale. Violazione dell'art. 2 della Costituzione. La norma in questione viola il principio costituzionale che garantisce a tutti i cittadini che si trovano sul territorio dello Stato i diritti inviolabili dell'uomo, nonche' i principi di solidarieta' politica, economica e sociale quale dovere inderogabile di ogni cittadino nei confronti di qualsiasi altro essere umano. Infatti la vera finalita' della norma non e' quella della condanna dell'immigrato irregolare alla sanzione pecuniaria, notevolmente elevata; e' evidente, infatti, che nessuno puo' trovarsi nelle condizioni di poter pagare; la vera finalita' della norma, Invece, e' quella dell'espulsione peraltro gia' prevista dall'ordinamento vigente e tuttora operante. Scopo della norma, quindi, e' l'aver predisposto strumenti tali da rendere la vita impossibile all'immigrato non regolare, minando radicalmente la possibilita' di qualsiasi forma di solidarieta' nei suoi confronti, dando luogo ad ipotesi di concorso nel reato da parte di tutti coloro che dovessero offrire accoglienza, ospitalita' e qualsiasi altra forma di aiuto quale trovargli alloggio, sfamarlo, offrigli degli abiti e magari persino pregare con lui. La configurabilita' della ipotesi di concorso trasforma inevitabilmente il cittadino da solidale in ostile nei confronti di qualsiasi tipo di diversita' e lo rende disponibile alla delazione e alla violenza anche perche' se la sanzione pecuniaria e' inefficace per lo straniero irregolare, certamente non lo e' per il cittadino italiano. Violazione degli artt. 10 e 117 della Costituzione. Ulteriore contrasto si rileva con gli artt. 10 e 117 della nostra Costituzione che sanciscono l'obbligo per il legislatore di rispettare le norme poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali circa gli obblighi di assistenza e protezione. Sull'argomento la Corte si e' ampiamente espressa con la sentenza n. 349/2007 affermando che dall'esame dell'art. 117 discende «l'obbligo del legislatore ordinario di rispettare le nonne poste dai trattati e dalle convenzioni internazionali, con la conseguenza che la norma nazionale incompatibile con gli obblighi internazionali di cui all'art. 117, primo comma, viola per cio' stesso tale parametro costituzionale, che realizza un rinvio mobile alla norma convenzionale di volta in volta conferente, la quale da' vita e contenuto a quegli obblighi internazionali genericamente evocati. Ne consegue che al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali cio' sia permesso dai testi delle norme e qualora cio' non sia possibile, ovvero qualora dubiti della compatibilita' della norma interna con la disposizione convenzionale "interposta", proporre la relativa questione di legittimita' costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117, primo comma della Costituzione». La violazione dell'art. 117 della Costituzione e' gia' stato ampiamente sviluppato dalla Procura della Repubblica di Agrigento sollevando problemi di illegittimita' nel corso del procedimento n. 624/2009 Mod 21-bis evidenziando quanto affermato dal Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalita' organizzata transnazionale per combattere il traffico di migranti sottoscritto nel corso della Conferenza di Palermo (15-15 dicembre 2000). Detta convenzione da un lato prevede, all'art. 6, che ogni Stato aderente possa adottare misure legislative tese a conferire il carattere di reato ad alcune condotte quali il traffico di migranti, la falsificazione di documenti di viaggio e quanto altro teso a favorire la permanenza illegale sul territorio dello Stato, dall'altro sancisce, all'articolo 5, «che i migranti non diventano assoggettati all'azione penale fondata sul presente Protocollo per il fatto di essere stati oggetto delle condotte di cui all'art. 6». E inoltre l'art. 16 obbliga gli Stati contraenti a «prendere misure adeguate, comprese quelle di carattere legislativo se necessario, per preservare e tutelare i diritti delle persone che sono state oggetto delle condotte di cui all'art. 6» e nonche' «a fornire una assistenza adeguata ai migranti la cui vita, o incolumita', e' in pericolo dal fatto di' essere stati oggetto delle condotte di' cui all'art. 6». E' pertanto evidente la contraddizione tra la nuova disciplina del reato di immigrazione che tende a «criminalizzare» il cittadino straniero irregolare e la disposizione costituzionale.
P.Q.M. Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza di incostituzionalita' dell'art. 10-bis del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, introdotto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94 per conflitto con gli artt. 2, 3, 10, 27 e 117 della Costituzione; Solleva d'ufficio questione di legittimita' e ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina altresi' che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidente delle due Camere del Parlamento. Il Giudice di pace: De Vincentiis