N. 82 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2010

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 1° luglio 2010 (della Regione Veneto). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali -  Interventi  per  il
  contenimento delle spese negli enti  locali  -  Soppressione  delle
  Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201  del
  codice dell'ambiente  -  Nullita'  degli  atti  compiuti  oltre  il
  termine di soppressione - Conferimento alle Regioni del compito  di
  provvedere  con  legge  alla  attribuzione  delle   funzioni   gia'
  esercitate  dalle  Autorita',  nel   rispetto   dei   principi   di
  sussidiarieta',  differenziazione   e   adeguatezza   -   Lamentata
  imposizione  alle  Regioni,   nonostante   il   riconoscimento   di
  competenza, del vincolo ad  abbandonare  il  modello  organizzativo
  della autorita' d'ambito per la gestione dei servizi idrico  e  dei
  rifiuti - Lamentata grave incidenza sui servizi pubblici essenziali
  di  competenza   regionale   e   lesione   del   corretto   attuale
  funzionamento, nonche' lesione degli interessi ambientali  e  della
  concorrenza per mere esigenze di bilancio - Ricorso  della  Regione
  Veneto - Denunciata violazione della potesta' legislativa regionale
  residuale in materia di servizi pubblici locali e di organizzazione
  degli enti  locali,  esorbitanza  dello  Stato  nell'esercizio  del
  potere di coordinamento finanziario con  lesione  della  competenza
  legislativa regionale nella materia concorrente  del  coordinamento
  della finanza pubblica, lesione  dell'autonomia  finanziaria  della
  Regione e degli enti  locali,  violazione  del  principio  di  buon
  andamento     della     amministrazione     pubblica     regionale,
  irragionevolezza, lesione  dei  principi  di  sussidiarieta'  e  di
  adeguatezza. 
- Decreto-legge 25 gennaio 2010, n.  2,  convertito  nella  legge  26
  marzo 2010, n. 42, art. 1,  comma  1-quinquies,  che  inserisce  il
  comma 186-bis all'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191. 
- Costituzione, artt. 97, 114, 117, commi terzo e quarto, 118 e  119;
  legge 5 gennaio 1994, n. 36; legge della Regione  Veneto  27  marzo
  1998, n. 5; legge della Regione  Veneto  21  gennaio  2000,  n.  3;
  d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 148 e 201; legge 8 giugno 1990,
  n. 142. 
(GU n.30 del 28-7-2010 )
    Ricorso della Regione Veneto  in  persona  del  Presidente  della
Regione pro  tempore,  autorizzato  con  deliberazione  della  Giunta
regionale 18 maggio 2010, n. 1366 (doc. 1), rappresentata  e  difesa,
come  da  procura  a  margine  del  presente  atto,  dall'avv.  prof.
Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi  di  Roma,  con
domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi  Manzi,  in
via Confalonieri, n. 5. 
    Contro  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   per   la
dichiarazione di illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma
1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi  urgenti
concernenti  enti  locali  e  regioni,  inserito   dalla   legge   di
conversione 26 marzo 2010, n. 42 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
n. 72 del 27  marzo  2010),  nella  parte  in  cui  esso  prevede  la
soppressione delle Autorita' territoriali d'ambito e pone limitazioni
alla loro conferma come titolari  delle  funzioni  d'ambito,  nonche'
nella parte in cui prevede la nullita' degli atti compiuti  oltre  il
termine di soppressione, per violazione: 
        degli articoli 97, 114, 117, 118 e  119  della  Costituzione,
nei modi e per i profili di seguito illustrati. 
 
                              F a t t o 
 
    La Regione Veneto e' dotata  di  potesta'  legislativa  piena  in
materia di servizi pubblici locali (v., ad  es.,  sent.  Corte  cost.
29/2006) e di organizzazione degli enti locali (salvi  i  profili  di
cui all'art. 117, comma 2, lett. p), ai sensi dell'art. 117, comma 4,
Cost. 
    In realta', gia' prima della riforma del titolo V,  la  legge  n.
36/1994  aveva  riconosciuto   alle   regioni   un   ruolo   centrale
nell'organizzazione del servizio idrico integrato: v., ad es., l'art.
8, comma 2 (in base al quale le regioni erano chiamate  a  provvedere
alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali), e  l'art.  9,
comma 3 (in base al quale esse disciplinavano  le  forme  ed  i  modi
della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo  ambito
ottimale). 
    In attuazione di queste norme, la Regione Veneto ha  adottato  la
l.r.  n.  5/1998,  Disposizioni  in  materia  di   risorse   idriche.
istituzione del servizio idrico  integrato  ed  individuazione  degli
ambiti territoriali ottimali, in attuazione  della  legge  5  gennaio
1994, n. 36, che ha individuato gli ambiti territoriali ottimali e ha
previsto l'istituzione dell'Autorita' d'ambito da parte dei comuni  e
delle province ricadenti in ciascun ambito, attraverso l'uso da parte
di questi dello strumento della convenzione o del consorzio, previsti
(all'epoca) dalla legge n. 142/1990. 
    All'Autorita' sono state affidate le «funzioni di programmazione,
organizzazione e controllo del servizio idrico integrato» (v. art. 3,
comma 5, 1.r. n. 5/1998). Essa ha personalita' giuridica  di  diritto
pubblico (art. 5, comma 1) e le spese per il suo  funzionamento  sono
«a carico degli enti locali ricadenti nell'ambito,  proporzionalmente
al numero degli abitanti residenti» (art. 6, comma 3). 
    Lo strumento dell'Autorita'  d'ambito  e'  poi  stato  utilizzato
anche dalla l.r. n. 3/2000, in materia di gestione dei rifiuti urbani
(v. gli artt. 14 ss.). 
    La  disciplina  statale  del  servizio  idrico  integrato  e  del
servizio di gestione integrata  dei  rifiuti  e'  poi  confluita  nel
codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che prevede  l'istituzione
dell'Autorita' d'ambito agli articoli 148 e 201. 
    In base alla prima disposizione,  «l'Autorita'  d'ambito  e'  una
struttura dotata di  personalita'  giuridica  costituita  in  ciascun
ambito territoriale ottimale  delimitato  dalla  competente  regione,
alla quale gli enti  locali  partecipano  obbligatoriamente  ed  alla
quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in
materia di gestione delle risorse idriche». Il comma 2  aggiunge  che
«le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i
modi della cooperazione tra gli enti locali  ricadenti  nel  medesimo
ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorita'
d'ambito di cui  al  comma  1,  cui  e'  demandata  l'organizzazione,
l'affidamento e il  controllo  della  gestione  del  servizio  idrico
integrato». 
    In base all'art. 201, «al fine dell'organizzazione  del  servizio
di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni  e  le  province
autonome di Trento e di Bolzano ... disciplinano le forme  e  i  modi
della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo  ambito
ottimale,  prevedendo  che  gli  stessi  costituiscano  le  Autorita'
d'ambito di cui al comma 2, alle quali e' demandata, nel rispetto del
principio  di   coordinamento   con   le   competenze   delle   altre
amministrazioni  pubbliche,  l'organizzazione,  l'affidamento  e   il
controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti». Il comma 2
dispone  che  «l'Autorita'  d'ambito  e'  una  struttura  dotata   di
personalita' giuridica  costituita  in  ciascun  ambito  territoriale
ottimale delimitato dalla competente regione,  alla  quale  gli  enti
locali partecipano obbligatoriamente  ed  alla  quale  e'  trasferito
l'esercizio delle loro competenze in materia  di  gestione  integrata
dei rifiuti». 
    Puo' essere comunque osservato,  in  ragione  di  quanto  poi  si
dira', che benche' il modello delle Autorita' d'ambito nel Veneto sia
perfettamente coerente con le disposizioni statali ora  citate,  esse
non sono state istituite ai sensi di tali disposizioni,  che  non  vi
sono per vero neppure nominate: dato che  -  nonostante  la  continua
opera  di  manutenzione  compiuta  dal  legislatore  regionale   (tra
l'altro, con le seguenti leggi regionali: 22 febbraio 1999, n.  7;  9
settembre 1999, n. 46; 9 febbraio 2001, n. 5; 3  settembre  2001,  n.
27; 18 novembre 2005, n. 15; 16 agosto 2007, n. 20; v. anche la legge
regionale 12 gennaio 2009, n. 1), il fondamentale  impianto  di  base
continua ad  essere  costituito  dal  testo  originario  della  legge
regionale n. 5 del 1998. 
    Il sistema delle Autorita' territoriali  d'ambito  della  Regione
Veneto non costituisce  dunque  attuazione  ancora  sperimentale  del
d.lgs. n. 152 del 2006  -  al  quale  appartengono  le  sopra  citate
disposizioni degli articoli 148 e 201,  ma  costituisce  il  presidio
territoriale che da oltre un decennio assicura in modo adeguato ed in
ambiti ottimali le funzioni pubbliche concernenti il servizio  idrico
integrato ed il servizio di gestione dei rifiuti,  ivi  compreso,  ma
certo non  esclusivamente,  l'affidamento  dei  servizi  ai  soggetti
gestori.  Nel  Veneto  le  AATO  (Autorita'   d'Ambito   Territoriale
Ottimale)  sono  operative  da  diversi  anni,  con  piani   d'ambito
approvati, efficaci e ove occorra gia' aggiornati. 
    Puo' darsi che in diverse realta' regionali le  ATO  non  abbiano
dato buona prova, ed abbiano costituito strutture poco efficienti  ed
onerose: ma questo non si puo' certo dire per il  Veneto,  dove  esse
hanno costituito una risorsa, che ha garantito una gestione  pubblica
e di basso costo per  la  collettivita'  di  servizi  preziosi  quali
quello dell'acqua e della gestione dei rifiuti. 
    L'assetto dei  rapporti  tra  competenze  degli  enti  locali  ed
esigenze di gestione su ambiti adeguati era stato valutato adeguato e
conforme a Costituzione da codesta stessa Corte, che con la  sentenza
n. 246 del 2009 ha respinto talune censure regionali rivolte  avverso
l'art. 148 sopra citato, argomentando che  «la  norma  censurata  non
menoma la preesistente autonomia amministrativa  degli  enti  locali,
perche' si  limita  a  razionalizzarne  le  modalita'  di  esercizio,
attraverso l'imputazione delle loro originarie competenze in  materia
di gestione delle risorse idriche all'autorita' d'ambito  alla  quale
essi obbligatoriamente partecipano». 
    Codesta Corte aveva ricordato che «le  autorita'  d'ambito  erano
gia' previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del  1994  e  dagli
articoli  da  24  a  26-bis  della  legge  8  giugno  1990,  n.   142
(Ordinamento   delle   autonomie   locali),   che   ne   consentivano
l'istituzione,  da  parte  delle  regioni,  con  strutture  e   forme
giuridiche diverse alle quali pure partecipavano necessariamente  gli
enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le  unioni  di  comuni,
l'esercizio associato delle funzioni», e che «tali disposizioni  sono
state attuate dalla legislazione  regionale  mediante  l'adozione  di
moduli organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle  disposizioni
stesse,   seppure   diversamente   denominati   (agenzie,   consorzi,
autorita')», per concludere che «la norma censurata razionalizza tale
quadro normativo, superando  la  frammentazione  della  gestione  del
servizio idrico, nel rispetto  delle  preesistenti  competenze  degli
enti territoriali»; che essa «unifica le modalita' di esercizio della
gestione  delle  risorse   idriche,   prevedendo   espressamente   il
trasferimento   delle   relative   competenze   dagli   enti   locali
all'autorita' d'ambito; autorita' della quale - come visto - gli enti
locali necessariamente fanno parte», e  che  «tale  razionalizzazione
e', dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge  di  delegazione  -
senza privare gli enti territoriali dei  poteri  amministrativi  loro
conferiti dal d.lgs. n. 112 del 1998» (punto 12.1 in diritto). 
    Tale assetto organizzativo, cui e' affidata  ormai  da  tempo  la
sovrintendenza di due  fondamentali  servizi  pubblici  quali  quello
idrico e quello di gestione dei rifiuti, e' stato ora bruscamente  ed
inopinatamente sconvolto dall'art.  1,  comma  1-quinquies,  d.l.  n.
2/2010. 
    L'art. 1, d.l. n. 2/2010 e'  intitolato  Interventi  urgenti  sul
contenimento delle spese negli enti locali, e la legge di conversione
n. 42/2010 ha aggiunto in esso il comma 1-quinquies,  che  stabilisce
quanto segue: 
    «All'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo  il  comma
186 e' inserito il seguente: "186-bis. Decorso un anno dalla data  di
entrata in vigore della presente legge, sono soppresse  le  Autorita'
d'ambito territoriale di cui agli articoli  148  e  201  del  decreto
legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  e  successive  modificazioni.
Decorso  lo  stesso  termine,  ogni  atto  compiuto  dalle  Autorita'
d'ambito territoriale e' da considerarsi nullo. Entro un  anno  dalla
data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge,   le   regioni
attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle  Autorita',
nel rispetto  dei  principi  di  sussidiarieta',  differenziazione  e
adeguatezza. Le disposizioni di cui  agli  articoli  148  e  201  del
citato decreto legislativo n. 152 del 2006, sono efficaci in ciascuna
regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale  di
cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati
decorso un anno dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente
legge"». 
    Dunque,  e  sia  pure  tenendo  conto  dei   complessi   problemi
interpretativi che le diverse disposizioni del  comma  propongono,  a
quel che sembra il nuovo art. 2, comma 186-bis,  legge  n.  191/2009,
disponendo la soppressione delle  Autorita'  d'ambito  «di  cui  agli
articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile  2006,  n.  152»,
con la conseguente nullita' di ogni atto compiuto  oltre  il  termine
stabilito,  viene  ad  incidere  gravemente   su   servizi   pubblici
essenziali di competenza regionale, travolgendone il corretto attuale
funzionamento. 
    Cosi'  facendo,  la  nuova  norma  statale  lede  le  prerogative
costituzionali della  regione  e  degli  enti  locali  sotto  diversi
profili, per le seguenti ragioni di 
 
                            D i r i t t o 
 
    Premesse interpretative. 
    Le disposizioni di qui al comma 186-bis qui impugnate sopprimono,
come gia' esposto, «le Autorita' d'ambito territoriale  di  cui  agli
articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.  152,  e
successive modificazioni». 
    A rigore, le Autorita' d'ambito del Veneto  non  dipendono  dagli
articoli 148 e 201 del decreto ambiente, ma dalla legge regionale  n.
5  del  1998,  e  successive  modificazioni,  nella  quale   le   due
disposizioni non sono neppure nominate. Tuttavia, si assume  qui  che
nell'intenzione del  legislatore  statale  la  soppressione  riguardi
anche le AATO del Veneto,  fermo  restando  che,  ove  tale  premessa
interpretativa fosse  errata,  le  censure  formulate  non  avrebbero
ragion  d'essere.  Ancora,  la  disposizione  statale   sopprime   le
Autorita', ma non certo le funzioni  (ne'  l'idea  stessa  di  ambito
territoriale ottimale nel quale esse vadano esercitate, che  continua
ad essere presente in diverse norme dello stesso decreto ambiente,  a
partire da quella dell'art. 147), delle quali  anzi  si  prevede  che
siano le Regioni ad attribuirle con propria legge «nel  rispetto  dei
principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza». 
    Sembra trattarsi di un riconoscimento di competenza molto  ampio,
al punto che potrebbe persino ritenersi che l'abrogazione degli artt.
148 e 201 del d.lgs. n. 152  del  2006  si  limiti  a  sopprimere  il
vincolo delle regioni a quel modello, lasciandole tuttavia libere  di
confermarlo ove ne fossero soddisfatte. 
    Se cosi' fosse, tuttavia, non si  capirebbe  la  ragione  di  una
cosi' drastica e precipitosa soppressione delle Autorita'  esistenti,
che in definitiva corrispondevano ad  un  modello  associativo  degli
enti locali perfettamente coerente e legittimo, come attestato  dalla
stessa giurisprudenza  costituzionale  sopra  citata:  sarebbe  stato
sufficiente lasciare alle regioni la liberta' di allontanarsene,  nei
modi e tempi che ritenessero opportuni. 
    Si assume dunque qui  che  non  solo  le  disposizioni  impugnate
sopprimano gli organismi che da oltre 10 anni governano nel Veneto  i
servizi idrici e di gestione dei rifiuti, ma che sia  anche  precluso
alle regioni di confermare con le proprie leggi la sostanza  di  quel
modello, ove esso abbia dato ottima prova. 
1) Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, Cost. 
    Come sopra esposto, la norma impugnata e' inserita in un articolo
intitolato Interventi urgenti sul contenimento delle spese negli enti
locali. 
    La ratio dell'intervento e' dunque di ordine finanziario, come e'
anche confermato dal «luogo» della legge n.  191/2009  nel  quale  e'
stata inserita la nuova  disposizione.  Essa,  infatti,  aggiunge  il
comma 186-bis, nell'art. 2, legge n. 191/2009, e tale  comma  186-bis
e' compreso fra una disposizione che prevede il dovere dei comuni  di
adottare determinate misure (soppressione della figura del  difensore
civico comunale, soppressione delle circoscrizioni  di  decentramento
comunale, possibilita' di delega da parte del sindaco  dell'esercizio
di proprie funzioni a non piu' di  due  consiglieri,  in  alternativa
alla nomina degli assessori, soppressione della figura del  direttore
generale, soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti  locali)
«al  fine  del  coordinamento  della  finanza  pubblica  e   per   il
contenimento  della  spesa  pubblica»  (comma   186),   ed   un'altra
disposizione che sancisce  la  cessazione  del  concorso  statale  al
finanziamento delle comunita' montane. 
    Dunque, sia  la  duplice  collocazione  sistematica  della  norma
impugnata (nel d.l. n. 2/2010 e nella legge n. 191/2009) sia  il  suo
contenuto rendono chiaro che l'ambito di competenza in base al  quale
lo Stato ha ritenuto di intervenire,  e  lo  scopo  che  esso  si  e'
proposto, e' il coordinamento della finanza  pubblica,  nella  figura
delle misure di risparmio. 
    In sostanza, il comma 186-bis mira a «sfoltire»  l'organizzazione
pubblica locale, diminuendo le spese degli  enti  locali.  In  nessun
modo la norma impugnata si propone uno scopo di tutela  dell'ambiente
o della concorrenza, essendo assente qualsiasi riferimento  esplicito
a tali materie ed essendo assente qualsiasi  finalita'  implicita  di
tutela dell'ambiente o della concorrenza. 
    A ben vedere, e proprio  al  contrario,  la  norma  impugnata  va
contro gli interessi ambientali e della concorrenza, dal momento  che
proprio la razionalizzazione delle competenze nelle  ATO  era  dovuta
alla  tutela  di  tali  valori:   infatti,   codesta   stessa   Corte
costituzionale con la  sent.  n.  246/2009  ha  respinto  le  censure
regionali  contro  l'art.  148  codice  ambiente  osservando  che  la
disposizione attiene «alla tutela della concorrenza, laddove  prevede
il superamento della  frammentazione  della  gestione  delle  risorse
idriche attraverso l'individuazione di un'unica  Autorita'  d'ambito,
allo scopo (come meglio si vedra' al punto 17.4.)  di  consentire  la
razionalizzazione del mercato, con la  determinazione  della  tariffa
del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a  garantire
la concorrenzialita' e l'efficienza delle prestazioni»,  e  che  essa
«attiene  anche  alla  tutela  dell'ambiente,  perche'  l'allocazione
all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale delle  competenze  sulla
gestione serve a razionalizzare l'uso  delle  risorse  idriche  e  le
interazioni  e  gli  equilibri  fra  le  diverse   componenti   della
"biosfera" intesa "come sistema" [...] nel suo aspetto dinamico». 
    La norma impugnata non prevede un  mutamento  dell'organizzazione
del servizio  idrico  per  ragioni  ambientali,  ma  la  soppressione
generale delle AATO per mere esigenze di bilancio. 
    Si puo'  anche  aggiungere  che  la  cessazione  delle  ATO,  con
nullita'  degli  atti  compiuti  dalle   Autorita'   dopo   un   anno
dall'entrata in vigore della legge n. 42/2010, anche per  le  regioni
che non avessero adempiuto il compito di  attribuire  «con  legge  le
funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto  dei  principi
di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza», pone ancor piu' a
rischio gli interessi  ambientali  tutelati  dal  sistema  imperniato
sulle Autorita' d'ambito. 
    Di modo che, in definitiva, non solo  le  competenze  statali  in
materia di tutela dell'ambiente e di  tutela  della  concorrenza  non
possono costituire il fondamento delle disposizioni impugnate, ma  ne
pongono in rilievo un  ulteriore  aspetto  di  illegittimita',  nella
misura in cui tali disposizioni mettono a repentaglio i valori che lo
Stato dovrebbe proteggere. 
    L'esclusiva  imputazione  della  norma  impugnata  alla   materia
«coordinamento   della   finanza   pubblica»   e'   poi    confermata
dall'evidente collegamento che essa ha con le  precedenti  previsioni
dell'art. 2, commi 33 e 38, legge n. 244/2007. In base al  comma  38,
«per le finalita' di cui al comma 33» (cioe', il coordinamento  della
finanza  pubblica),  «le  regioni,  nell'esercizio  delle  rispettive
prerogative costituzionali in materia di  organizzazione  e  gestione
del servizio idrico integrato e del servizio  di  gestione  integrata
dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare, in ottemperanza agli obblighi
comunitari, procedono entro  il  1°  luglio  2008,  fatti  salvi  gli
affidamenti e le convenzioni in essere, alla  rideterminazione  degli
ambiti territoriali ottimali per la  gestione  dei  medesimi  servizi
secondo i principi dell'efficienza e della riduzione della spesa  nel
rispetto  dei  seguenti  criteri   generali,   quali   indirizzi   di
coordinamento della finanza pubblica: a)  in  sede  di  delimitazione
degli ambiti secondo i criteri e i principi di cui agli articoli  147
e 200 del decreto legislativo 3  aprile  2006,  n.  152,  valutazione
prioritaria  dei  territori  provinciali  quali  ambiti  territoriali
ottimali ai fini  dell'attribuzione  delle  funzioni  in  materia  di
rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio  idrico
integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in  caso  di
bacini di dimensioni piu'  ampie  del  territorio  provinciale,  alle
regioni o alle province interessate, sulla base di appositi  accordi;
in alternativa, attribuzione delle medesime  funzioni  ad  una  delle
forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e  seguenti  del
testo unico di cui al decreto legislativo 18  agosto  2000,  n.  267,
composte  da  sindaci  o  loro  delegati  che  vi  partecipano  senza
percepire alcun compenso». 
    La norma impugnata, quindi, ha scopi di risparmio attraverso  una
semplificazione organizzativa, che si  traduce  nel  divieto  per  le
regioni di utilizzare le  Autorita'  d'ambito  per  la  gestione  dei
servizi idrico e dei rifiuti. 
    Assegnato tale scopo ed ambito alla norma, tuttavia,  risulta  ad
avviso della ricorrente regione evidente che essa eccede  palesemente
i limiti  della  potesta'  statale  di  coordinamento  della  finanza
pubblica. 
    In tale materia, infatti,  la  competenza  statale  consiste  nel
potere di dettare principi fondamentali ai sensi dell'art. 117, terzo
comma, Cost., e una  ormai  ampia  giurisprudenza  costituzionale  ha
chiarito i possibili contenuti ed i limiti della potesta' statale  di
coordinamento. 
    Una delle  regole  fondamentali  enucleate  dalla  giurisprudenza
costituzionale consiste nel principio  secondo  il  quale  lo  Stato,
nell'esercizio del potere di coordinamento finanziario,  puo'  bensi'
porre limiti alla spesa complessiva  degli  enti  territoriali  -  in
quanto questo e' necessario per garantire l'unita' del bilancio ed il
rispetto evidentemente necessario dei vincoli del patto di stabilita'
comunitario - ma non decidere in luogo delle regioni quali specifiche
voci di spesa debbano essere compresse per  rispettare  tali  limiti:
perche' cio' e'  indifferente  al  complessivo  esito  finanziario  e
rientra nell'ambito di autonomia regionale. 
    Tale principio e' stato affermato, ad esempio, nella sentenza  n.
36 del 2004, punto 6. Si puo' poi ricordare la sent. n. 390/2004, che
ha dichiarato illegittimo il limite del  50%  per  il  turn-over,  in
quanto si trattava di un «precetto  specifico  e  puntuale»:  codesta
Corte ha appunto stabilito in questa occasione che «la legge  statale
puo' prescrivere criteri ... ed obiettivi (ad  esempio,  contenimento
della spesa pubblica) ma non  imporre  nel  dettaglio  gli  strumenti
concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi». 
    Importante e' stata, poi, la sent. n. 417/2005, che ha dichiarato
illegittimi i vincoli per consulenze, missioni e acquisti: «le  norme
che fissano vincoli puntuali relativi a singole  voci  di  spesa  dei
bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono  principi
fondamentali  di  coordinamento  della  finanza  pubblica,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo comma,  Cost.,  e  ledono  pertanto  l'autonomia
finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.»; «il  legislatore
statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi  vincoli  alle
politiche di bilancio (ancorche' si  traducano,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli  enti),  ma  solo,
con  «disciplina  di  principio»,  «per  ragioni   di   coordinamento
finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli
obblighi comunitari»; «perche'  detti  vincoli  possano  considerarsi
rispettosi dell'autonomia delle regioni e degli enti  locali  debbono
avere ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure -
ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi  di
riequilibrio  della  finanza  pubblica  perseguiti  dal   legislatore
statale» - la crescita della spesa corrente degli enti  autonomi;  in
altri termini, la  legge  statale  puo'  stabilire  solo  un  «limite
complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi   ampia   liberta'   di
allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di  spesa»
(v. poi le sentt.  88/2006,  449/2005,  89/2007,  95/2007,  157/2007,
237/2009, 297/2009). 
    E' vero che, in certi casi, codesta Corte ha  giustificato  anche
limiti che riguardavano voci specifiche di spesa, ma si trattava o di
limiti a carattere transitorio (v. sentt. 289/2008 e 120/2008), o  di
ipotesi nelle quali le regioni mantenevano pur sempre un  margine  di
scelta per modulare il limite (v. sentt. 139/2009 e 289/2008). 
    Il comma  186-bis,  invece,  prevede  una  specifica  limitazione
organizzativa che si suppone (senza fondate ragioni, come  si  dira')
corrisponda ad un peraltro indeterminato risparmio di spesa. 
    Ora,  se  pure  si  potesse  assimilare  una  simile  limitazione
organizzativa  -  per   la   quale   paradossalmente   quella   forma
organizzativa che fino a ieri era imposta alle regioni in nome  della
tutela dell'ambiente e  della  concorrenza  ora  risulta  addirittura
vietata, e in quanto in atto soppressa -  ad  una  limitazione  della
spesa, si tratterebbe di un limite puntuale, ad una voce specifica di
spesa che di certo non  rappresenta  «un  rilevante  aggregato  della
spesa di parte corrente, che costituisce una delle piu'  frequenti  e
rilevanti  cause  del  disavanzo  pubblico»   (come   la   Corte   ha
puntualizzato con riferimento a certi casi); e si tratta di un limite
stabile, non suscettibile di alcuno svolgimento da  parte  regionale,
dato  che  esso  e'  auto  applicativo  e  opera  con   la   radicale
soppressione delle Autorita' dopo  un  anno  dall'entrata  in  vigore
della legge. 
    La norma impugnata, dunque, viola l'art. 117, terzo comma,  Cost.
e  anche  l'art.  119  Cost.,  in  quanto  implica  una   menomazione
dell'autonomia finanziaria della regione e degli enti locali. 
    La regione, infatti, agisce sia a tutela della propria  autonomia
finanziaria, in quanto gli artt. 20 e 48, 1.r. n. 3/2000 e gli  artt.
6 e 13, l.r. n.  5/1998  prevedono  l'erogazione  di  contributi  che
possono essere destinati alle  AATO  (v.  anche  l'art.  2,  1.r.  n.
31/1991: «I benefici economici previsti dalle vigenti leggi regionali
di settore a favore dei Consorzi tra Enti  locali  sono  estesi  alle
Unioni di Comuni, alle Comunita' montane e,  compatibilmente  con  la
natura dell'attivita' svolta, ai Comuni e alle Province che stipulino
tra loro apposite convenzioni ai sensi dell'art.  24  della  legge  8
giugno 1990, n. 142»), sia a tutela dell'autonomia finanziaria  degli
enti locali, che sono i soggetti cui fanno carico i costi delle AATO. 
    Codesta  Corte  ha  gia'  riconosciuto  la  legittimazione  delle
Regioni a difendere l'autonomia finanziaria degli enti locali: v.  le
sentt. 169/2007, 95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002.  Di  recente,
codesta  Corte  ha  ribadito  che  «le  Regioni  sono  legittimate  a
denunciare la legge statale anche per la lesione  delle  attribuzioni
degli  enti  locali,  indipendentemente  dalla  prospettazione  della
violazione della competenza legislativa regionale»  (sent.  298/2009,
punto 7.2). 
    Inoltre, la disposizione soppressiva  delle  ATO,  non  potendosi
giustificare come norma di principio di coordinamento finanziario, si
traduce in una arbitraria  limitazione  della  autonomia  legislativa
della Regione Veneto nella organizzazione del servizio idrico  e  del
servizio di asporto rifiuti, come meglio si esporra'  nel  punto  che
segue. 
2) Violazione degli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost. 
    Come gia' ricordato nella parte in Fatto, la  Regione  Veneto  e'
dotata di potesta' legislativa piena in materia di  servizi  pubblici
locali (v., ad es., sent. Corte cost. n. 29/2006) e di organizzazione
degli enti locali (salvi i profili di  cui  all'art.  117,  comma  2,
lett. p), ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. 
    Tanto  cio'  e'  vero,   che   le   «prerogative   costituzionali
[regionali] in materia di  organizzazione  e  gestione  del  servizio
idrico integrato e del servizio di gestione  integrata  dei  rifiuti»
sono state menzionate dallo stesso legislatore statale (art. 2, comma
38, legge n. 244/2007). La competenza regionale a regolare  le  forme
di cooperazione tra gli enti locali in relazione al servizio  idrico,
d'altronde, era riconosciuta gia' nella legge n. 36/1994, come visto,
e, in generale, dall'art. 3, comma  3,  legge  n.  142/1990  (v.  ora
l'art. 4, comma 4, d.lgs. n. 267/2000). 
    Dunque, anche in un  periodo  in  cui  l'ordinamento  degli  enti
locali spettava interamente al legislatore statale,  la  Regione  era
competente a regolare le forme di collaborazione tra gli enti locali,
sul presupposto che esse, essendo strettamente  legate  all'esercizio
di funzioni amministrative nelle diverse materie, fanno  parte  della
disciplina di tale esercizio, e devono dunque essere in  una  qualche
misura regolabili dall'ente titolare  della  competenza  nei  diversi
settori. 
    Dopo il 2001 la competenza regionale sul punto  si  e'  ampliata,
dato che ora i moduli organizzativi degli enti locali rientrano nella
potesta' legislativa regionale, salva l'autonomia degli  enti  stessi
ed esclusi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p). 
    Dunque, la norma  impugnata,  prevedendo  la  soppressione  delle
AATO, pone un vincolo che incide su materie di  competenza  regionale
ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. (il servizio idrico e  le
forme di cooperazione degli enti locali) e sul  potere  regionale  di
allocare le funzioni amministrative  nelle  materie  regionali  (art.
118, Cost.). Non potendosi tale  vincolo  giustificare  a  titolo  di
coordinamento finanziario (come visto nel punto 1),  ne  risulta  una
lesione della competenza costituzionale regionale. 
    La soppressione delle AATO pregiudica le competenze regionali  in
materia di servizi pubblici anche perche' si pone  in  contrasto  con
l'art. 97 Cost. 
    Infatti l'art. 148 d.lgs. n. 152/2006 «razionalizzava» il  quadro
normativo previgente - lo si descrive usando le parole della sentenza
n. 246 del 2009 di codesta Corte - «superando la frammentazione della
gestione  del  servizio  idrico,  nel  rispetto  delle   preesistenti
competenze degli enti territoriali» (punto 12.1). 
    Nel punto 1 si e' poi visto  che  la  stessa  sentenza  ha  anche
affermato la funzionalita'  delle  AATO  alla  tutela  dell'ambiente.
Dunque, la norma impugnata impone alle regioni di  rinunciare  ad  un
modulo organizzativo che, secondo quanto ritenuto da codesta Corte  e
dallo stesso legislatore statale (nel momento in cui ha  previsto  le
AATO), e' idoneo a garantire uno svolgimento adeguato  del  servizio.
La violazione dell'art. 97 Cost.  si  riflette  nella  lesione  degli
artt. 117 e 118 Cost. perche' pregiudica il  buon  andamento  di  una
funzione rientrante nella competenza regionale. 
    Tale lesione e' aggravata dall'irrazionalita'  della  disciplina,
che prevede  una  soppressione  automatica  ed  indilazionabile  alla
scadenza del termine di un anno dall'entrata in vigore  della  norma,
anche in assenza della legge regionale prevista dalla norma impugnata
e senza  alcuna  disciplina  suppletiva  volta  a  regolare  la  fase
transitoria. Cio' determina incertezza sulla sorte  dei  rapporti  in
essere, delle gestioni  in  corso,  sull'approvazione  dei  progetti,
sulla realizzazione delle opere. 
    Inoltre, la  stessa  premessa  posta  a  fondamento  della  norma
statale (per vero frutto di un frettoloso emendamento in aula) che la
soppressione delle ATO determini un risparmio di spesa non poggia  su
alcuna base  seria  di  analisi,  che  del  resto  presupporrebbe  il
raffronto tra diverse ipotesi di  modelli  di  gestione.  Come  sopra
esposto, la disposizione qui censurata sopprime l'organismo pubblico,
ma non sopprime - ne' si vede  come  lo  potrebbe  -  le  funzioni  e
neppure l'esigenza ovvia di una gestione unitaria del fenomeno idrico
sulla base di una razionale individuazione del bacino.  Le  «funzioni
di autorita' d'ambito»  dunque  permangono,  e  dovra'  permanere  in
qualche modo un'organizzazione chiamata a svolgerle.  Ed  i  relativi
costi potranno bensi' essere (come peraltro quelli delle stesse AATO)
limitati da un saggio contenimento dei  costi,  ma  non  potranno  in
alcun  modo  essere  eliminati.  Vi  e'  anzi  il  rischio   che   la
«transizione» dal sistema ormai collaudato delle  AATO  ad  un  nuovo
sistema determini, anziche' un risparmio, costi aggiuntivi. 
    Anche sotto questo profilo vi e' dunque violazione del  principio
di buon andamento e di ragionevolezza,  e  potenziale  contraddizione
persino con l'obiettivo del contenimento della spesa. 
    Quanto     alla      lesione      dell'autonomia      legislativa
nell'organizzazione  del  servizio   pubblico,   le   lesioni   sopra
denunciate  sarebbero  ancor  piu'  gravi  qualora  la   disposizione
impugnata dovesse essere intesa nel senso che le regioni non  possono
piu' affidare le funzioni svolte dalle AATO a forme  di  cooperazione
tra enti locali, dovendole invece attribuire esclusivamente agli enti
territoriali «di base»: il che, tuttavia, ci si sente  di  escludere,
permanendo nella  stessa  legislazione  statale  il  principio  della
gestione per ambiti ottimali (art. 147 d.lgs. n. 152  del  2006),  ed
essendo l'ipotesi di un ritorno  alla  gestione  dei  singoli  comuni
evidentemente in contrasto con i  principi  di  sussidiarieta'  e  di
adeguatezza. Mentre, d'altro canto, una gestione  provinciale  da  un
lato non corrisponderebbe neppure essa ad un  criterio  di  razionale
individuazione degli  ambiti  idrografici,  dall'altro  priverebbe  i
comuni delle proprie competenze in settori rilevanti. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso,
dichiarando  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.   1,   comma
1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi  urgenti
concernenti  enti  locali  e  regioni,  inserito   dalla   legge   di
conversione 26 marzo 2010, n. 42,  nei  termini  e  sotto  i  profili
esposti nel presente ricorso. 
        Padova-Roma, addi' 24 maggio 2010 
 
            Prof. avv. Giandomenico Falcon - Luigi Manzi