N. 82 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 24 maggio 2010
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 1° luglio 2010 (della Regione Veneto). Bilancio e contabilita' pubblica - Enti locali - Interventi per il contenimento delle spese negli enti locali - Soppressione delle Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del codice dell'ambiente - Nullita' degli atti compiuti oltre il termine di soppressione - Conferimento alle Regioni del compito di provvedere con legge alla attribuzione delle funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza - Lamentata imposizione alle Regioni, nonostante il riconoscimento di competenza, del vincolo ad abbandonare il modello organizzativo della autorita' d'ambito per la gestione dei servizi idrico e dei rifiuti - Lamentata grave incidenza sui servizi pubblici essenziali di competenza regionale e lesione del corretto attuale funzionamento, nonche' lesione degli interessi ambientali e della concorrenza per mere esigenze di bilancio - Ricorso della Regione Veneto - Denunciata violazione della potesta' legislativa regionale residuale in materia di servizi pubblici locali e di organizzazione degli enti locali, esorbitanza dello Stato nell'esercizio del potere di coordinamento finanziario con lesione della competenza legislativa regionale nella materia concorrente del coordinamento della finanza pubblica, lesione dell'autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali, violazione del principio di buon andamento della amministrazione pubblica regionale, irragionevolezza, lesione dei principi di sussidiarieta' e di adeguatezza. - Decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, convertito nella legge 26 marzo 2010, n. 42, art. 1, comma 1-quinquies, che inserisce il comma 186-bis all'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191. - Costituzione, artt. 97, 114, 117, commi terzo e quarto, 118 e 119; legge 5 gennaio 1994, n. 36; legge della Regione Veneto 27 marzo 1998, n. 5; legge della Regione Veneto 21 gennaio 2000, n. 3; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt. 148 e 201; legge 8 giugno 1990, n. 142.(GU n.30 del 28-7-2010 )
Ricorso della Regione Veneto in persona del Presidente della Regione pro tempore, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale 18 maggio 2010, n. 1366 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura a margine del presente atto, dall'avv. prof. Giandomenico Falcon di Padova e dall'avv. Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, in via Confalonieri, n. 5. Contro il Presidente del Consiglio dei ministri, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, inserito dalla legge di conversione 26 marzo 2010, n. 42 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 72 del 27 marzo 2010), nella parte in cui esso prevede la soppressione delle Autorita' territoriali d'ambito e pone limitazioni alla loro conferma come titolari delle funzioni d'ambito, nonche' nella parte in cui prevede la nullita' degli atti compiuti oltre il termine di soppressione, per violazione: degli articoli 97, 114, 117, 118 e 119 della Costituzione, nei modi e per i profili di seguito illustrati. F a t t o La Regione Veneto e' dotata di potesta' legislativa piena in materia di servizi pubblici locali (v., ad es., sent. Corte cost. 29/2006) e di organizzazione degli enti locali (salvi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), ai sensi dell'art. 117, comma 4, Cost. In realta', gia' prima della riforma del titolo V, la legge n. 36/1994 aveva riconosciuto alle regioni un ruolo centrale nell'organizzazione del servizio idrico integrato: v., ad es., l'art. 8, comma 2 (in base al quale le regioni erano chiamate a provvedere alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali), e l'art. 9, comma 3 (in base al quale esse disciplinavano le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale). In attuazione di queste norme, la Regione Veneto ha adottato la l.r. n. 5/1998, Disposizioni in materia di risorse idriche. istituzione del servizio idrico integrato ed individuazione degli ambiti territoriali ottimali, in attuazione della legge 5 gennaio 1994, n. 36, che ha individuato gli ambiti territoriali ottimali e ha previsto l'istituzione dell'Autorita' d'ambito da parte dei comuni e delle province ricadenti in ciascun ambito, attraverso l'uso da parte di questi dello strumento della convenzione o del consorzio, previsti (all'epoca) dalla legge n. 142/1990. All'Autorita' sono state affidate le «funzioni di programmazione, organizzazione e controllo del servizio idrico integrato» (v. art. 3, comma 5, 1.r. n. 5/1998). Essa ha personalita' giuridica di diritto pubblico (art. 5, comma 1) e le spese per il suo funzionamento sono «a carico degli enti locali ricadenti nell'ambito, proporzionalmente al numero degli abitanti residenti» (art. 6, comma 3). Lo strumento dell'Autorita' d'ambito e' poi stato utilizzato anche dalla l.r. n. 3/2000, in materia di gestione dei rifiuti urbani (v. gli artt. 14 ss.). La disciplina statale del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti e' poi confluita nel codice dell'ambiente (d.lgs. n. 152/2006), che prevede l'istituzione dell'Autorita' d'ambito agli articoli 148 e 201. In base alla prima disposizione, «l'Autorita' d'ambito e' una struttura dotata di personalita' giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e' trasferito l'esercizio delle competenze ad essi spettanti in materia di gestione delle risorse idriche». Il comma 2 aggiunge che «le regioni e le province autonome possono disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorita' d'ambito di cui al comma 1, cui e' demandata l'organizzazione, l'affidamento e il controllo della gestione del servizio idrico integrato». In base all'art. 201, «al fine dell'organizzazione del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano ... disciplinano le forme e i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale, prevedendo che gli stessi costituiscano le Autorita' d'ambito di cui al comma 2, alle quali e' demandata, nel rispetto del principio di coordinamento con le competenze delle altre amministrazioni pubbliche, l'organizzazione, l'affidamento e il controllo del servizio di gestione integrata dei rifiuti». Il comma 2 dispone che «l'Autorita' d'ambito e' una struttura dotata di personalita' giuridica costituita in ciascun ambito territoriale ottimale delimitato dalla competente regione, alla quale gli enti locali partecipano obbligatoriamente ed alla quale e' trasferito l'esercizio delle loro competenze in materia di gestione integrata dei rifiuti». Puo' essere comunque osservato, in ragione di quanto poi si dira', che benche' il modello delle Autorita' d'ambito nel Veneto sia perfettamente coerente con le disposizioni statali ora citate, esse non sono state istituite ai sensi di tali disposizioni, che non vi sono per vero neppure nominate: dato che - nonostante la continua opera di manutenzione compiuta dal legislatore regionale (tra l'altro, con le seguenti leggi regionali: 22 febbraio 1999, n. 7; 9 settembre 1999, n. 46; 9 febbraio 2001, n. 5; 3 settembre 2001, n. 27; 18 novembre 2005, n. 15; 16 agosto 2007, n. 20; v. anche la legge regionale 12 gennaio 2009, n. 1), il fondamentale impianto di base continua ad essere costituito dal testo originario della legge regionale n. 5 del 1998. Il sistema delle Autorita' territoriali d'ambito della Regione Veneto non costituisce dunque attuazione ancora sperimentale del d.lgs. n. 152 del 2006 - al quale appartengono le sopra citate disposizioni degli articoli 148 e 201, ma costituisce il presidio territoriale che da oltre un decennio assicura in modo adeguato ed in ambiti ottimali le funzioni pubbliche concernenti il servizio idrico integrato ed il servizio di gestione dei rifiuti, ivi compreso, ma certo non esclusivamente, l'affidamento dei servizi ai soggetti gestori. Nel Veneto le AATO (Autorita' d'Ambito Territoriale Ottimale) sono operative da diversi anni, con piani d'ambito approvati, efficaci e ove occorra gia' aggiornati. Puo' darsi che in diverse realta' regionali le ATO non abbiano dato buona prova, ed abbiano costituito strutture poco efficienti ed onerose: ma questo non si puo' certo dire per il Veneto, dove esse hanno costituito una risorsa, che ha garantito una gestione pubblica e di basso costo per la collettivita' di servizi preziosi quali quello dell'acqua e della gestione dei rifiuti. L'assetto dei rapporti tra competenze degli enti locali ed esigenze di gestione su ambiti adeguati era stato valutato adeguato e conforme a Costituzione da codesta stessa Corte, che con la sentenza n. 246 del 2009 ha respinto talune censure regionali rivolte avverso l'art. 148 sopra citato, argomentando che «la norma censurata non menoma la preesistente autonomia amministrativa degli enti locali, perche' si limita a razionalizzarne le modalita' di esercizio, attraverso l'imputazione delle loro originarie competenze in materia di gestione delle risorse idriche all'autorita' d'ambito alla quale essi obbligatoriamente partecipano». Codesta Corte aveva ricordato che «le autorita' d'ambito erano gia' previste dagli artt. 8 e 9 della legge n. 36 del 1994 e dagli articoli da 24 a 26-bis della legge 8 giugno 1990, n. 142 (Ordinamento delle autonomie locali), che ne consentivano l'istituzione, da parte delle regioni, con strutture e forme giuridiche diverse alle quali pure partecipavano necessariamente gli enti locali, come le convenzioni, i consorzi, le unioni di comuni, l'esercizio associato delle funzioni», e che «tali disposizioni sono state attuate dalla legislazione regionale mediante l'adozione di moduli organizzativi scelti tra quelli consentiti dalle disposizioni stesse, seppure diversamente denominati (agenzie, consorzi, autorita')», per concludere che «la norma censurata razionalizza tale quadro normativo, superando la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali»; che essa «unifica le modalita' di esercizio della gestione delle risorse idriche, prevedendo espressamente il trasferimento delle relative competenze dagli enti locali all'autorita' d'ambito; autorita' della quale - come visto - gli enti locali necessariamente fanno parte», e che «tale razionalizzazione e', dunque, avvenuta - come richiesto dalla legge di delegazione - senza privare gli enti territoriali dei poteri amministrativi loro conferiti dal d.lgs. n. 112 del 1998» (punto 12.1 in diritto). Tale assetto organizzativo, cui e' affidata ormai da tempo la sovrintendenza di due fondamentali servizi pubblici quali quello idrico e quello di gestione dei rifiuti, e' stato ora bruscamente ed inopinatamente sconvolto dall'art. 1, comma 1-quinquies, d.l. n. 2/2010. L'art. 1, d.l. n. 2/2010 e' intitolato Interventi urgenti sul contenimento delle spese negli enti locali, e la legge di conversione n. 42/2010 ha aggiunto in esso il comma 1-quinquies, che stabilisce quanto segue: «All'art. 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, dopo il comma 186 e' inserito il seguente: "186-bis. Decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono soppresse le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni. Decorso lo stesso termine, ogni atto compiuto dalle Autorita' d'ambito territoriale e' da considerarsi nullo. Entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza. Le disposizioni di cui agli articoli 148 e 201 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006, sono efficaci in ciascuna regione fino alla data di entrata in vigore della legge regionale di cui al periodo precedente. I medesimi articoli sono comunque abrogati decorso un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge"». Dunque, e sia pure tenendo conto dei complessi problemi interpretativi che le diverse disposizioni del comma propongono, a quel che sembra il nuovo art. 2, comma 186-bis, legge n. 191/2009, disponendo la soppressione delle Autorita' d'ambito «di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152», con la conseguente nullita' di ogni atto compiuto oltre il termine stabilito, viene ad incidere gravemente su servizi pubblici essenziali di competenza regionale, travolgendone il corretto attuale funzionamento. Cosi' facendo, la nuova norma statale lede le prerogative costituzionali della regione e degli enti locali sotto diversi profili, per le seguenti ragioni di D i r i t t o Premesse interpretative. Le disposizioni di qui al comma 186-bis qui impugnate sopprimono, come gia' esposto, «le Autorita' d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni». A rigore, le Autorita' d'ambito del Veneto non dipendono dagli articoli 148 e 201 del decreto ambiente, ma dalla legge regionale n. 5 del 1998, e successive modificazioni, nella quale le due disposizioni non sono neppure nominate. Tuttavia, si assume qui che nell'intenzione del legislatore statale la soppressione riguardi anche le AATO del Veneto, fermo restando che, ove tale premessa interpretativa fosse errata, le censure formulate non avrebbero ragion d'essere. Ancora, la disposizione statale sopprime le Autorita', ma non certo le funzioni (ne' l'idea stessa di ambito territoriale ottimale nel quale esse vadano esercitate, che continua ad essere presente in diverse norme dello stesso decreto ambiente, a partire da quella dell'art. 147), delle quali anzi si prevede che siano le Regioni ad attribuirle con propria legge «nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza». Sembra trattarsi di un riconoscimento di competenza molto ampio, al punto che potrebbe persino ritenersi che l'abrogazione degli artt. 148 e 201 del d.lgs. n. 152 del 2006 si limiti a sopprimere il vincolo delle regioni a quel modello, lasciandole tuttavia libere di confermarlo ove ne fossero soddisfatte. Se cosi' fosse, tuttavia, non si capirebbe la ragione di una cosi' drastica e precipitosa soppressione delle Autorita' esistenti, che in definitiva corrispondevano ad un modello associativo degli enti locali perfettamente coerente e legittimo, come attestato dalla stessa giurisprudenza costituzionale sopra citata: sarebbe stato sufficiente lasciare alle regioni la liberta' di allontanarsene, nei modi e tempi che ritenessero opportuni. Si assume dunque qui che non solo le disposizioni impugnate sopprimano gli organismi che da oltre 10 anni governano nel Veneto i servizi idrici e di gestione dei rifiuti, ma che sia anche precluso alle regioni di confermare con le proprie leggi la sostanza di quel modello, ove esso abbia dato ottima prova. 1) Violazione dell'art. 117, terzo comma, e dell'art. 119, Cost. Come sopra esposto, la norma impugnata e' inserita in un articolo intitolato Interventi urgenti sul contenimento delle spese negli enti locali. La ratio dell'intervento e' dunque di ordine finanziario, come e' anche confermato dal «luogo» della legge n. 191/2009 nel quale e' stata inserita la nuova disposizione. Essa, infatti, aggiunge il comma 186-bis, nell'art. 2, legge n. 191/2009, e tale comma 186-bis e' compreso fra una disposizione che prevede il dovere dei comuni di adottare determinate misure (soppressione della figura del difensore civico comunale, soppressione delle circoscrizioni di decentramento comunale, possibilita' di delega da parte del sindaco dell'esercizio di proprie funzioni a non piu' di due consiglieri, in alternativa alla nomina degli assessori, soppressione della figura del direttore generale, soppressione dei consorzi di funzioni tra gli enti locali) «al fine del coordinamento della finanza pubblica e per il contenimento della spesa pubblica» (comma 186), ed un'altra disposizione che sancisce la cessazione del concorso statale al finanziamento delle comunita' montane. Dunque, sia la duplice collocazione sistematica della norma impugnata (nel d.l. n. 2/2010 e nella legge n. 191/2009) sia il suo contenuto rendono chiaro che l'ambito di competenza in base al quale lo Stato ha ritenuto di intervenire, e lo scopo che esso si e' proposto, e' il coordinamento della finanza pubblica, nella figura delle misure di risparmio. In sostanza, il comma 186-bis mira a «sfoltire» l'organizzazione pubblica locale, diminuendo le spese degli enti locali. In nessun modo la norma impugnata si propone uno scopo di tutela dell'ambiente o della concorrenza, essendo assente qualsiasi riferimento esplicito a tali materie ed essendo assente qualsiasi finalita' implicita di tutela dell'ambiente o della concorrenza. A ben vedere, e proprio al contrario, la norma impugnata va contro gli interessi ambientali e della concorrenza, dal momento che proprio la razionalizzazione delle competenze nelle ATO era dovuta alla tutela di tali valori: infatti, codesta stessa Corte costituzionale con la sent. n. 246/2009 ha respinto le censure regionali contro l'art. 148 codice ambiente osservando che la disposizione attiene «alla tutela della concorrenza, laddove prevede il superamento della frammentazione della gestione delle risorse idriche attraverso l'individuazione di un'unica Autorita' d'ambito, allo scopo (come meglio si vedra' al punto 17.4.) di consentire la razionalizzazione del mercato, con la determinazione della tariffa del servizio secondo un meccanismo di price cap, diretto a garantire la concorrenzialita' e l'efficienza delle prestazioni», e che essa «attiene anche alla tutela dell'ambiente, perche' l'allocazione all'Autorita' d'ambito territoriale ottimale delle competenze sulla gestione serve a razionalizzare l'uso delle risorse idriche e le interazioni e gli equilibri fra le diverse componenti della "biosfera" intesa "come sistema" [...] nel suo aspetto dinamico». La norma impugnata non prevede un mutamento dell'organizzazione del servizio idrico per ragioni ambientali, ma la soppressione generale delle AATO per mere esigenze di bilancio. Si puo' anche aggiungere che la cessazione delle ATO, con nullita' degli atti compiuti dalle Autorita' dopo un anno dall'entrata in vigore della legge n. 42/2010, anche per le regioni che non avessero adempiuto il compito di attribuire «con legge le funzioni gia' esercitate dalle Autorita', nel rispetto dei principi di sussidiarieta', differenziazione e adeguatezza», pone ancor piu' a rischio gli interessi ambientali tutelati dal sistema imperniato sulle Autorita' d'ambito. Di modo che, in definitiva, non solo le competenze statali in materia di tutela dell'ambiente e di tutela della concorrenza non possono costituire il fondamento delle disposizioni impugnate, ma ne pongono in rilievo un ulteriore aspetto di illegittimita', nella misura in cui tali disposizioni mettono a repentaglio i valori che lo Stato dovrebbe proteggere. L'esclusiva imputazione della norma impugnata alla materia «coordinamento della finanza pubblica» e' poi confermata dall'evidente collegamento che essa ha con le precedenti previsioni dell'art. 2, commi 33 e 38, legge n. 244/2007. In base al comma 38, «per le finalita' di cui al comma 33» (cioe', il coordinamento della finanza pubblica), «le regioni, nell'esercizio delle rispettive prerogative costituzionali in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti, fatte salve le competenze del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in ottemperanza agli obblighi comunitari, procedono entro il 1° luglio 2008, fatti salvi gli affidamenti e le convenzioni in essere, alla rideterminazione degli ambiti territoriali ottimali per la gestione dei medesimi servizi secondo i principi dell'efficienza e della riduzione della spesa nel rispetto dei seguenti criteri generali, quali indirizzi di coordinamento della finanza pubblica: a) in sede di delimitazione degli ambiti secondo i criteri e i principi di cui agli articoli 147 e 200 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, valutazione prioritaria dei territori provinciali quali ambiti territoriali ottimali ai fini dell'attribuzione delle funzioni in materia di rifiuti alle province e delle funzioni in materia di servizio idrico integrato di norma alla provincia corrispondente ovvero, in caso di bacini di dimensioni piu' ampie del territorio provinciale, alle regioni o alle province interessate, sulla base di appositi accordi; in alternativa, attribuzione delle medesime funzioni ad una delle forme associative tra comuni di cui agli articoli 30 e seguenti del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, composte da sindaci o loro delegati che vi partecipano senza percepire alcun compenso». La norma impugnata, quindi, ha scopi di risparmio attraverso una semplificazione organizzativa, che si traduce nel divieto per le regioni di utilizzare le Autorita' d'ambito per la gestione dei servizi idrico e dei rifiuti. Assegnato tale scopo ed ambito alla norma, tuttavia, risulta ad avviso della ricorrente regione evidente che essa eccede palesemente i limiti della potesta' statale di coordinamento della finanza pubblica. In tale materia, infatti, la competenza statale consiste nel potere di dettare principi fondamentali ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e una ormai ampia giurisprudenza costituzionale ha chiarito i possibili contenuti ed i limiti della potesta' statale di coordinamento. Una delle regole fondamentali enucleate dalla giurisprudenza costituzionale consiste nel principio secondo il quale lo Stato, nell'esercizio del potere di coordinamento finanziario, puo' bensi' porre limiti alla spesa complessiva degli enti territoriali - in quanto questo e' necessario per garantire l'unita' del bilancio ed il rispetto evidentemente necessario dei vincoli del patto di stabilita' comunitario - ma non decidere in luogo delle regioni quali specifiche voci di spesa debbano essere compresse per rispettare tali limiti: perche' cio' e' indifferente al complessivo esito finanziario e rientra nell'ambito di autonomia regionale. Tale principio e' stato affermato, ad esempio, nella sentenza n. 36 del 2004, punto 6. Si puo' poi ricordare la sent. n. 390/2004, che ha dichiarato illegittimo il limite del 50% per il turn-over, in quanto si trattava di un «precetto specifico e puntuale»: codesta Corte ha appunto stabilito in questa occasione che «la legge statale puo' prescrivere criteri ... ed obiettivi (ad esempio, contenimento della spesa pubblica) ma non imporre nel dettaglio gli strumenti concreti da utilizzare per raggiungere quegli obiettivi». Importante e' stata, poi, la sent. n. 417/2005, che ha dichiarato illegittimi i vincoli per consulenze, missioni e acquisti: «le norme che fissano vincoli puntuali relativi a singole voci di spesa dei bilanci delle regioni e degli enti locali non costituiscono principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell'art. 117, terzo comma, Cost., e ledono pertanto l'autonomia finanziaria di spesa garantita dall'art. 119 Cost.»; «il legislatore statale puo' legittimamente imporre agli enti autonomi vincoli alle politiche di bilancio (ancorche' si traducano, inevitabilmente, in limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti), ma solo, con «disciplina di principio», «per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari»; «perche' detti vincoli possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle regioni e degli enti locali debbono avere ad oggetto o l'entita' del disavanzo di parte corrente oppure - ma solo «in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale» - la crescita della spesa corrente degli enti autonomi; in altri termini, la legge statale puo' stabilire solo un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia liberta' di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (v. poi le sentt. 88/2006, 449/2005, 89/2007, 95/2007, 157/2007, 237/2009, 297/2009). E' vero che, in certi casi, codesta Corte ha giustificato anche limiti che riguardavano voci specifiche di spesa, ma si trattava o di limiti a carattere transitorio (v. sentt. 289/2008 e 120/2008), o di ipotesi nelle quali le regioni mantenevano pur sempre un margine di scelta per modulare il limite (v. sentt. 139/2009 e 289/2008). Il comma 186-bis, invece, prevede una specifica limitazione organizzativa che si suppone (senza fondate ragioni, come si dira') corrisponda ad un peraltro indeterminato risparmio di spesa. Ora, se pure si potesse assimilare una simile limitazione organizzativa - per la quale paradossalmente quella forma organizzativa che fino a ieri era imposta alle regioni in nome della tutela dell'ambiente e della concorrenza ora risulta addirittura vietata, e in quanto in atto soppressa - ad una limitazione della spesa, si tratterebbe di un limite puntuale, ad una voce specifica di spesa che di certo non rappresenta «un rilevante aggregato della spesa di parte corrente, che costituisce una delle piu' frequenti e rilevanti cause del disavanzo pubblico» (come la Corte ha puntualizzato con riferimento a certi casi); e si tratta di un limite stabile, non suscettibile di alcuno svolgimento da parte regionale, dato che esso e' auto applicativo e opera con la radicale soppressione delle Autorita' dopo un anno dall'entrata in vigore della legge. La norma impugnata, dunque, viola l'art. 117, terzo comma, Cost. e anche l'art. 119 Cost., in quanto implica una menomazione dell'autonomia finanziaria della regione e degli enti locali. La regione, infatti, agisce sia a tutela della propria autonomia finanziaria, in quanto gli artt. 20 e 48, 1.r. n. 3/2000 e gli artt. 6 e 13, l.r. n. 5/1998 prevedono l'erogazione di contributi che possono essere destinati alle AATO (v. anche l'art. 2, 1.r. n. 31/1991: «I benefici economici previsti dalle vigenti leggi regionali di settore a favore dei Consorzi tra Enti locali sono estesi alle Unioni di Comuni, alle Comunita' montane e, compatibilmente con la natura dell'attivita' svolta, ai Comuni e alle Province che stipulino tra loro apposite convenzioni ai sensi dell'art. 24 della legge 8 giugno 1990, n. 142»), sia a tutela dell'autonomia finanziaria degli enti locali, che sono i soggetti cui fanno carico i costi delle AATO. Codesta Corte ha gia' riconosciuto la legittimazione delle Regioni a difendere l'autonomia finanziaria degli enti locali: v. le sentt. 169/2007, 95/2007, 417/2005, 196/2004, 533/2002. Di recente, codesta Corte ha ribadito che «le Regioni sono legittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione delle attribuzioni degli enti locali, indipendentemente dalla prospettazione della violazione della competenza legislativa regionale» (sent. 298/2009, punto 7.2). Inoltre, la disposizione soppressiva delle ATO, non potendosi giustificare come norma di principio di coordinamento finanziario, si traduce in una arbitraria limitazione della autonomia legislativa della Regione Veneto nella organizzazione del servizio idrico e del servizio di asporto rifiuti, come meglio si esporra' nel punto che segue. 2) Violazione degli artt. 97, 117, quarto comma, e 118 Cost. Come gia' ricordato nella parte in Fatto, la Regione Veneto e' dotata di potesta' legislativa piena in materia di servizi pubblici locali (v., ad es., sent. Corte cost. n. 29/2006) e di organizzazione degli enti locali (salvi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p), ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. Tanto cio' e' vero, che le «prerogative costituzionali [regionali] in materia di organizzazione e gestione del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti» sono state menzionate dallo stesso legislatore statale (art. 2, comma 38, legge n. 244/2007). La competenza regionale a regolare le forme di cooperazione tra gli enti locali in relazione al servizio idrico, d'altronde, era riconosciuta gia' nella legge n. 36/1994, come visto, e, in generale, dall'art. 3, comma 3, legge n. 142/1990 (v. ora l'art. 4, comma 4, d.lgs. n. 267/2000). Dunque, anche in un periodo in cui l'ordinamento degli enti locali spettava interamente al legislatore statale, la Regione era competente a regolare le forme di collaborazione tra gli enti locali, sul presupposto che esse, essendo strettamente legate all'esercizio di funzioni amministrative nelle diverse materie, fanno parte della disciplina di tale esercizio, e devono dunque essere in una qualche misura regolabili dall'ente titolare della competenza nei diversi settori. Dopo il 2001 la competenza regionale sul punto si e' ampliata, dato che ora i moduli organizzativi degli enti locali rientrano nella potesta' legislativa regionale, salva l'autonomia degli enti stessi ed esclusi i profili di cui all'art. 117, comma 2, lett. p). Dunque, la norma impugnata, prevedendo la soppressione delle AATO, pone un vincolo che incide su materie di competenza regionale ai sensi dell'art. 117, quarto comma, Cost. (il servizio idrico e le forme di cooperazione degli enti locali) e sul potere regionale di allocare le funzioni amministrative nelle materie regionali (art. 118, Cost.). Non potendosi tale vincolo giustificare a titolo di coordinamento finanziario (come visto nel punto 1), ne risulta una lesione della competenza costituzionale regionale. La soppressione delle AATO pregiudica le competenze regionali in materia di servizi pubblici anche perche' si pone in contrasto con l'art. 97 Cost. Infatti l'art. 148 d.lgs. n. 152/2006 «razionalizzava» il quadro normativo previgente - lo si descrive usando le parole della sentenza n. 246 del 2009 di codesta Corte - «superando la frammentazione della gestione del servizio idrico, nel rispetto delle preesistenti competenze degli enti territoriali» (punto 12.1). Nel punto 1 si e' poi visto che la stessa sentenza ha anche affermato la funzionalita' delle AATO alla tutela dell'ambiente. Dunque, la norma impugnata impone alle regioni di rinunciare ad un modulo organizzativo che, secondo quanto ritenuto da codesta Corte e dallo stesso legislatore statale (nel momento in cui ha previsto le AATO), e' idoneo a garantire uno svolgimento adeguato del servizio. La violazione dell'art. 97 Cost. si riflette nella lesione degli artt. 117 e 118 Cost. perche' pregiudica il buon andamento di una funzione rientrante nella competenza regionale. Tale lesione e' aggravata dall'irrazionalita' della disciplina, che prevede una soppressione automatica ed indilazionabile alla scadenza del termine di un anno dall'entrata in vigore della norma, anche in assenza della legge regionale prevista dalla norma impugnata e senza alcuna disciplina suppletiva volta a regolare la fase transitoria. Cio' determina incertezza sulla sorte dei rapporti in essere, delle gestioni in corso, sull'approvazione dei progetti, sulla realizzazione delle opere. Inoltre, la stessa premessa posta a fondamento della norma statale (per vero frutto di un frettoloso emendamento in aula) che la soppressione delle ATO determini un risparmio di spesa non poggia su alcuna base seria di analisi, che del resto presupporrebbe il raffronto tra diverse ipotesi di modelli di gestione. Come sopra esposto, la disposizione qui censurata sopprime l'organismo pubblico, ma non sopprime - ne' si vede come lo potrebbe - le funzioni e neppure l'esigenza ovvia di una gestione unitaria del fenomeno idrico sulla base di una razionale individuazione del bacino. Le «funzioni di autorita' d'ambito» dunque permangono, e dovra' permanere in qualche modo un'organizzazione chiamata a svolgerle. Ed i relativi costi potranno bensi' essere (come peraltro quelli delle stesse AATO) limitati da un saggio contenimento dei costi, ma non potranno in alcun modo essere eliminati. Vi e' anzi il rischio che la «transizione» dal sistema ormai collaudato delle AATO ad un nuovo sistema determini, anziche' un risparmio, costi aggiuntivi. Anche sotto questo profilo vi e' dunque violazione del principio di buon andamento e di ragionevolezza, e potenziale contraddizione persino con l'obiettivo del contenimento della spesa. Quanto alla lesione dell'autonomia legislativa nell'organizzazione del servizio pubblico, le lesioni sopra denunciate sarebbero ancor piu' gravi qualora la disposizione impugnata dovesse essere intesa nel senso che le regioni non possono piu' affidare le funzioni svolte dalle AATO a forme di cooperazione tra enti locali, dovendole invece attribuire esclusivamente agli enti territoriali «di base»: il che, tuttavia, ci si sente di escludere, permanendo nella stessa legislazione statale il principio della gestione per ambiti ottimali (art. 147 d.lgs. n. 152 del 2006), ed essendo l'ipotesi di un ritorno alla gestione dei singoli comuni evidentemente in contrasto con i principi di sussidiarieta' e di adeguatezza. Mentre, d'altro canto, una gestione provinciale da un lato non corrisponderebbe neppure essa ad un criterio di razionale individuazione degli ambiti idrografici, dall'altro priverebbe i comuni delle proprie competenze in settori rilevanti.
P. Q. M. Voglia codesta ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1-quinquies, decreto-legge 25 gennaio 2010, n. 2, interventi urgenti concernenti enti locali e regioni, inserito dalla legge di conversione 26 marzo 2010, n. 42, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. Padova-Roma, addi' 24 maggio 2010 Prof. avv. Giandomenico Falcon - Luigi Manzi