N. 194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 febbraio 2010

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dell'11
febbraio  2010  sul  ricorso  proposto  da  Cirelli   Andrea   contro
Federazione Italiana Pallacanestro ed altri.. 
 
Giustizia  amministrativa  -   Controversie   relative   a   sanzioni
  disciplinari, diverse  da  quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,
  tesserati, associazioni e societa' sportive -  Riserva  al  giudice
  sportivo - Illegittima  sottrazione  al  giudice  amministrativo  o
  ordinario di controversie relative a sanzioni disciplinari che  non
  esauriscano la loro rilevanza all'interno dell'ordinamento sportivo
  incidendo su diritti soggettivi  ed  interessi  legittimi  tutelati
  dall'ordinamento generale - Lesione del diritto di azione e  difesa
  in giudizio e del principio di tutela giurisdizionale. 
- Decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, commi 1, lett. b),  e
  2, convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre  2003,  n.
  280. 
- Costituzione, artt. 24, 103 e 113. 
(GU n.26 del 30-6-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato la presente  ordinanza  sul  ricorso  n.  6515/07,
proposto dal sig. Andrea Girelli, rappresentato e difeso dagli avv.ti
Alessandro Gracis, Giorgio De Arcangelis e Carlo Abbate e con  questi
elettivamente domiciliato in Roma, via F.P. de' Calboli n. 1,  presso
Io studio dell'avv. Carlo Abbate, 
 
                               Contro 
 
    la Federazione Italiana  Pallacanestro,  in  persona  del  legale
rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido
Valori e Paola Maria Angela Vaccaro, presso il cui  studio  in  Roma,
viale delle Milizie n. 106, e' elettivamente domiciliata, il Comitato
Olimpico  Nazionale  Italiano  (C.O.N.I.),  in  persona  del   legale
rappresentate pro tempore, rappresentato e difeso  dall'avv.  Alberto
Angeletti, presso il cui studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2,
e' elettivamente domiciliato, nonche' la Camera  di  Conciliazione  e
Arbitrato  per  lo  Sport  del  C.O.N.I.,  in  persona   del   legale
rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, nonche',  nei
confronti di Pallacanestro Treviso Benetton, in  persona  del  legale
rappresentate  pro  tempore,  non   costituita   in   giudizio,   per
l'annullamento, previa  sospensione  dell'efficacia,  della  sanzione
dell'inibizione dallo svolgimento di ogni attivita' endofederale  per
tre anni e quattro mesi, irrogata definitivamente  con  la  decisione
della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del  C.O.N.I.,
depositata il 18  maggio  2007,  anch'essa  impugnata;  dell'atto  di
deferimento della procura Federale del 5 marzo 2007, nella  parte  in
cui il  ricorrente e'  stato  deferito  alla  Commissione  Giudicante
Nazionale; della decisione della Commissione Giudicante Nazionale  n.
81, giusta Comunicato Ufficiale n. 650 del 21 marzo 2007, nella parte
in cui e' stata affermata la responsabilita' del  ricorrente  per  la
tentata frode sportiva a  lui  contestata  ed e'  stata  irrogata  la
sanzione dell'inibizione da qualsiasi attivita'  federale  e  sociale
per la durata di due anni; della decisione della. Corte  Federale  n.
44 di cui al Comunicato Ufficiale n. 672  del  27  marzo  2007  nella
parte in  cui  e'  stata  confermata  la  responsabilita'  per  frode
sportiva consumata ex art. 43, primo comma, lett. c), e per l'effetto
determinata la sanzione dell'inibizione da ogni attivita' federale  e
sociale a carico del  ricorrente  per  tre  anni  e  quattro  mesi  a
decorrere dal 21 marzo 2007; di ogni altro atto comunque presupposto,
connesso e consequenziale e, in particolare: in parte  qua  dell'art.
43, secondo comma, del Regolamento di Giustizia, nonche' di tutte  le
norme  statutarie  e  regolamentari  nella  parte  in  cui  prevedono
l'adozione di provvedimenti disciplinari,  sino  alla  radiazione,  a
carico dei tesserati che abbiano violato il cd. vincolo di giustizia;
di tutte le norme statutarie e regolamentari che attribuiscono natura
di lodo arbitrale irrituale anziche' di provvedimento  amministrativo
di secondo grado alle decisioni assunte dalla Camera di Conciliazione
e, in particolare, dell'art. 43,secondo e terzo comma, dello  Statuto
della F.I.P. nella  parte  in  cui  dispone  che  «gli  affiliati,  i
tesserati ed i soggetti ad essi equiparati sono tenuti ad  adire  gli
Organi di Giustizia dell'ordinamento sportivo nelle  materie  di  cui
all'art. 2 d.l. n. 220 del 2003. Nelle materie predette e' possibile,
ai sensi dell'art. 12, ottavo comma, dello Statuto del  C.O.N.I.,  il
ricorso  all'arbitrato  irrituale.  L'inosservanza   della   presente
disposizione comporta l'adozione di provvedimenti  disciplinari  sino
alla radiazione, nei  modi  e  termini  indicati»;  dell'art.  6  del
Regolamento di Giustizia della F.I.P., nella parte in cui prevede che
«gli affiliati, i tesserati ed i soggetti  ad  essi  equiparati  sono
tenuti ad adire gli Organi  di  Giustizia  dell'ordinamento  sportivo
nelle materie di cui all'art. 2 d.l. n. 220 del 2003.  L'inosservanza
della presente disposizione... comporta l'adozione  di  provvedimenti
disciplinari, sino  alla  radiazione»;  nonche'  dell'art.  12  dello
Statuto del C.O.N.I. e dell'art. 8 del Regolamento  della  Camera  di
Conciliazione e Arbitrato. 
    Visti il ricorso ed i relativi allegati; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  della  Federazione
Italiana Pallacanestro; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio  del  Comitato  Olimpico
Nazionale Italiano (C.O.N.I.); 
    Visto l'atto di motivi aggiunti, notificato il 16 ottobre 2007  e
depositato il successivo 23 ottobre; 
    Viste le memorie prodotte  dalle  parti  in  causa  costituite  a
sostegno delle rispettive difese; 
    Visti gli atti tutti della causa; 
    Relatore alla pubblica udienza del 28 gennaio 2010 il Consigliere
Giulia Ferrari; uditi altresi' i difensori presenti  delle  parti  in
causa, come da verbale; 
    Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue, 
 
                              F a t t o 
 
    1. - Con ricorso notificato in data 9 luglio 2007 e depositato il
successivo 18 luglio 2007 il sig. Andrea  Girelli  impugna,  tra  gli
altri,  la  sanzione  dell'inibizione  dallo  svolgimento   di   ogni
attivita'  endofederale  per  tre  anni  e  quattro  mesi,   irrogata
definitivamente con la decisione  della  Camera  di  Conciliazione  e
Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007. 
    Espone, in fatto, di essere titolare di tessera della Federazione
Italiana Pallacanestro (F.I.P) con la qualifica  di  dirigente  e  di
aver ricoperto, sino al 24 febbraio 2007, la carica di  Team  Manager
della Pallacanestro Treviso Benetton. 
    In data 5 marzo 2007 e' stato deferito dal  Procuratore  federale
della  F.I.P.   alla   Commissione   Giudicante   Nazionale   perche'
«avvalendosi del concorso di persona non soggetta alla  giurisdizione
federale ed al fine di favorire la  Pallacanestro  Treviso  Benetton,
violava gli artt. 2, comma 1, 39 e 43 del Regolamento  di  Giustizia,
richiedendo ed, ottenendo dagli Uffici della lega Basket Serie  A  di
inserire nel fascicolo del tesseramento del giocatore Gino  Cuccarolo
un atto di risoluzione contrattuale recante data anteriore  a  quella
dell'effettiva  presentazione,  con  cio'  alterando  o  tentando  di
alterare l'elenco degli atleti professionisti tesserati ed iscritti a
referto per la societa' trevigiana, che in tal modo avrebbe avuto  la
possibilita' di utilizzare e di  iscrivere  a  referto  altro  atleta
professionista». A causa dei predetti fatti e' stato licenziato dalla
Pallacanestro Treviso Benetton. In data 21 marzo 2007 la  Commissione
Giudicante Nazionale gli ha irrogato la sanzione  dell'inibizione  da
qualsiasi attivita' federale e sociale per la  durata  di  due  anni,
considerato  quanto  previsto  dall'art.  43,  secondo   comma,   del
Regolamento di Giustizia per le fattispecie a livello  di  tentativo.
Avverso detto provvedimento e' stato presentato ricorso  in  appello,
oltre che dallo stesso sig. Girelli, anche dalla F.I.P., quest'ultima
lamentando l'esiguita', della pena comminata. La Corte  Federale,  in
parziale  accoglimento  dell'appello  della  Procura   Federale,   ha
condannato  il  ricorrente  alla  sanzione  dell'inibizione  da  ogni
attivita' federale e sociale per tre anni e quattro mesi a  decorrere
dal  21  marzo  2007.  L'istanza  di  conciliazione,   proposta   dal
ricorrente, non ha sortito alcun risultato. Il Collegio arbitrale, al
quale  il  sig.  Cirelli  si  era  rivolto,  ha  rigettato  l'istanza
confermando la sanzione dell'inibizione per tre anni e quattro mesi. 
    2. - Avverso i predetti provvedimenti il  ricorrente  e'  insorto
deducendo: 
        a) Illegittimita', per violazione  artt.  24,  97,  103,  113
Cost. dello Statuto e del Regolamento di Giustizia della F.I.P. 
    Il diritto di difesa del tesserato e' limitato, essendo  prevista
l'obbligatorieta' del ricorso agli Organi di giustizia sportiva  pena
l'adozione di provvedimenti sanzionatori.  Illegittima  e'  anche  la
qualificazione del giudizio ex art. 12, ottavo comma,  dello  Statuto
del C.O.N.I. come arbitrato irritale e la  relativa  decisione  della
Camera di Conciliazione e Arbitrato come  lodo  arbitrale  irrituale,
anziche'    come    provvedimento     amministrativo,     limitandone
l'impugnabilita' dinanzi al giudice amministrativo. 
        b)  Illegittimita'  della  sanzione   e   dei   provvedimenti
impugnati per violazione e/o falsa applicazione dell'art.  43,  primo
comma, lett. c), R.D. della F.I.P. - Eccesso di patere per  errore  e
travisamento nei  presupposti  di  fatto  e  di  diritto  Carenza  ed
insufficiente  istruttoria   -   Illogicita'   e   contraddittorieta'
manifesta, nonche' manifesta irragionevolezza della sanzione irrogata
-  In  via  subordinata,  illegittimita'  dell'art.  42  del   R   G.
nell'interpretazione ed applicazione resa dagli organi  di  Giustizia
Federale e della Camera di conciliazione ed  arbitrato  del  C.O.N.I.
per violazione  dei  principi  vigenti  dell'ordinamento  statale  in
particolare, per violazione, degli artt. 49 e115 c.p. 
    Illegittimamente la Corte Federale prima ed il Collegio arbitrale
poi hanno  considerato  la  frode  sportiva  un'ipotesi  di  illecito
disciplinare, consumazione anticipata,  nel  senso  che  non  sarebbe
necessario che la frode si consumi, essendo sufficiente il compimento
di un atto finalizzato ad un obiettivo  illecito.  In  ogni  caso  la
condotta  attribuita  al  ricorrente  non  ha  avuto  rilevanza   per
l'ordinamento perche' non e' stata esternalizzata. Infine, e a  tutto
voler concedere, detta condotta  avrebbe  potuto  essere  qualificata
come contraria ai doveri di lealta' e correttezza di cui  all'art.  2
del Regolamento di Giustizia ed essere, quindi, sanzionata ai sensi e
per gli effetti dell'art. 39 dello stesso Regolamento. 
        c)  Illegittimita'  della  sanzione   e   dei   provvedimenti
impugnati per violazione e/o falsa applicazione dell'art.  43,  primo
comma, lett. c),  e  secondo  comma  R.G.  della  F.I.P.;  violazione
dell'art. 73 R. G. della F.I.P. - Eccesso  di  potere  per  errore  e
travisamento nei presupposti di fatto e di diritto - Per  carenza  ed
insufficienza di istruttoria - Per illogicita'  e  contraddittorieta'
manifesta  nonche'  per  manifesta  irragionevolezza  della  sanzione
applicata  -  In  via  subordinata,  si  eccepisce   l'illegittimita'
dell'art.  43,  secondo  comma,   R.   G.   nell'interpretazione   ad
applicazione resa dagli Organi di Giustizia Federale e  dalla  camera
di  Conciliazione  ad  Arbitrato  del  C.O.N.I.  per  violazione  dei
principi vigenti  nell'ordinamento  statale  ed  in  particolare  per
violazione 56 c.p. 
    La sanzione irrogata appare ancora  piu'  illegittima  in  quanto
applicativa della pena prevista per la fattispecie  consumata  e  non
della pena ridotta per la fattispecie tentata. 
    3. - Con atto di motivi aggiunti, notificato il 16 ottobre 2007 e
depositato il successivo 23 ottobre, il ricorrente  deduce  ulteriori
profili di illegittimita'  dei  provvedimenti  impugnati  con  l'atto
introduttivo del giudizio, rilevati a seguito  delle  intercettazioni
telefoniche  operate  dai  Nas  di  Bologna  relativamente  al  «caso
Lorbek»,  dalle  quali  sarebbero  emersi  numerosi  contatti  tra  i
funzionari della Camera  di  Conciliazione  e  i  rappresentanti  del
C.O.N.I. durante i lavori del lodo. 
    Il ricorrente deduce, in particolare: 
        a) Violazione  art.  12,  ottavo  comma,  dello  Statuto  del
C.O.N.I. - violazione degli artt. 1, 14 e 27  del  Regolamento  della
Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. 
    A seguito delle indagini disposte dalla Procura  di  Bologna  sul
«caso Lorbek» e' stato accertato che durante i  lavori  della  Camera
arbitrale vi sono stati contatti con  i  rappresentanti  dei  vertici
delle istituzioni sportive e gli arbitri della Camera. 
        b)  Violazione  artt.  1,  quarto  comma,  19,  20,  27   del
Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport  -
Violazione delle regole e dei principi generali che  presiedono  alla
formazione del lodo arbitrale. 
    Dalle  predette  intercettazioni  telefoniche e'  emerso  che  il
Presidente della Camera arbitrale ha affidato la redazione del lodo a
persone estranee al Collegio arbitrale, che non  avevano  partecipato
al procedimento e alle relative udienze. 
    4. -  Si  e'  costituita  in  giudizio  la  Federazione  Italiana
Pallacanestro,  che  ha  preliminarmente  eccepito  il   difetto   di
giurisdizione del  giudice  adito  mentre  nel  merito  ha  sostenuto
l'infondatezza del ricorso. 
    5. - Si e' costituito in giudizio il Comitato Olimpico  Nazionale
Italiano (C.O.N.I.), che ha preliminarmente eccepito  il  difetto  di
giurisdizione  del  giudice   adito   e   la   propria   carenza   di
legittimazione passiva mentre nel merito ha sostenuto  l'infondatezza
del ricorso. 
    6. - La Camera di Conciliazione e  Arbitrato  per  lo  Sport  del
C.O.N.I. non si e' costituita in giudizio. 
    7. - La Pallacanestro Treviso Benetton non si  e'  costituita  in
giudizio. 
    8.  -  Con  memorie  depositate  alla  vigilia  dell'udienza   di
discussione le parti costituite hanno  ribadito  le  rispettive  tesi
difensive. 
    9. - In data 12 novembre 2009 il ricorrente ha  depositato  copia
della sentenza n. 2208 del 28 gennaio 2009 del Tribunale di  Bologna,
sezione per le indagini preliminari, che lo ha assolto dal  reato  di
frode sportiva perche' il fatto non sussiste. 
    10. - Alla Camera di consiglio del 6  agosto  2007,  sull'accordo
delle parti, l'esame dell'istanza di sospensione cautelare  e'  stato
abbinato al merito. 
    11.  -  All'udienza  del  28  gennaio  2010  la  causa  e'  stata
trattenuta per la decisione. 
 
                               Diritto 
 
    1.  -  Come  esposto  in  narrativa,  e'  impugnata  la  sanzione
dell'inibizione dallo svolgimento di ogni attivita' endofederale  per
tre anni e quattro mesi, irrogata in via definitiva al  sig.  Girelli
con la decisione della Camera di Conciliazione  e  Arbitrato  per  lo
Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007. 
    Deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di  difetto  di
giurisdizione, sollevata sia dalla Federazione Italiana Pallacanestro
(F.I.P.) che dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.)  sul
rilievo che le sanzioni  sportive  sarebbero  impugnabili,  ai  sensi
dell'art. 2, primo comma, lett. b), e secondo comma, d.l.  19  agosto
2003 n. 220, convertito in legge 17 ottobre 2003 n. 280, solo dinanzi
agli organi della Giustizia sportiva. 
    Rileva il Collegio che piu' volte questo Tribunale  ha  affermato
la propria giurisdizione in occasione dell'impugnazione  di  sanzioni
sportive  diverse  da  quelle  c.d.  tecniche  (per  esse   dovendosi
intendere quelle preordinate ad assicurare la regolarita' della  gara
e la corrispondenza del suo risultato ai valori sportivi espressi  in
campo), inflitte a  dirigenti  sportivi,  ad  arbitri  o  a  societa'
calcistiche. Cio' nella considerazione che, ai sensi del cit. d.l. n.
220  del  2003,  il  criterio  secondo  il  quale  i   rapporti   tra
l'ordinamento sportivo e quello statale  sono  regolati  in  base  al
principio di autonomia - con conseguente sottrazione al sindacato del
giudice statale degli atti a contenuto tecnico sportivo -  trova  una
deroga nel  caso  di  rilevanza  per  l'ordinamento  giuridico  della
Repubblica di  situazioni  giuridiche  soggettive,  qualificabili  in
termini di diritti soggettivi e/o di  interessi  legittimi,  connesse
con l'ordinamento sportivo; in tale ipotesi, le relative controversie
sono  attribuite  alla   giurisdizione   dell'Autorita'   giudiziaria
ordinaria, ove  abbiano  per  oggetto  i  rapporti  patrimoniali  tra
Societa', Associazioni ed  atleti,  mentre  ogni  altra  controversia
avente ad oggetto atti del  C.O.N.I.  o  delle  Federazioni  sportive
nazionali  e'  devoluta  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice
amministrativo. 
    In altri termini, la giustizia sportiva costituisce lo  strumento
di tutela per le ipotesi in cui si  discute  dell'applicazione  delle
regole sportive, mentre quella statale e'  chiamata  a  risolvere  le
controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale,
concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi
ai quali e' l'ordinamento statale che appresta tutela (Cons.Stato, VI
Sez., 9 luglio 2004 n. 5025). 
    Con precipuo riferimento al principio, introdotto dal  cit.  art.
2, primo  comma,  lett.  b),  che  riserva  al  giudice  sportivo  la
definizione  delle  questioni  aventi  ad  oggetto  «i  comportamenti
rilevanti sul piano  disciplinare  e  l'irrogazione  ed  applicazione
delle relative sanzioni disciplinari  sportive»,  questa  Sezione  ha
gia' piu' volte chiarito che  detta  disposizione,  letta  unitamente
all'art. 1, secondo comma, dello  stesso  decreto-legge,  non  appare
operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la  sua  incidenza
nell'ambito   strettamente   sportivo,   non   ha   cioe'   rilevanza
esclusivamente tecnica, ma rifluisce nell'ordinamento generale  dello
Stato (T.A.R. Lazio, sez. III ter, 22 agosto 2006 n. 7331; 18  aprile
2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616). 
    In applicazione di detto principio ha quindi affermato (Sentt. 21
giugno 2007 n. 5645; 8 giugno 2007  n.  5280)  la  giurisdizione  del
giudice amministrativo nei ricorsi proposti da dirigenti, da societa'
sportive e da arbitri avverso le sanzioni inflitte con  la  decisione
della Corte Federale della F.I.G.C. per illecito sportivo  per  fatti
connessi alla vicenda della c.d. «calciopoli», insorta nella stagione
calcistica 2005/2006, mentre ha dichiarato (Sentt.  5  novembre  2007
nn. 10894 e 10911) il difetto assoluto di giurisdizione dello  stesso
giudice nella controversia promossa da un arbitro per la mancata  sua
iscrizione alla Commissione Arbitri Nazionale  della  serie  A  e  B,
fondandosi  il  provvedimento  impugnato  su   un   giudizio   basato
esclusivamente sulla  rilevata  mancanza  delle  necessarie  qualita'
tecniche da parte del soggetto in questione ed essendo, dunque, privo
di qualsiasi effetto all'esterno dell'ordinamento sportivo. 
    La conclusione alla quale questa Sezione  era  giunta  era  stata
dettata anche dalla necessita' di dare una lettura costituzionalmente
orientata dell'art. 2 d.l. n. 220 del 2003. 
    Costituisce, infatti, principio ricorrente  nella  giurisprudenza
del giudice delle leggi che, dinanzi ad un dubbio  interpretativo  di
una norma o  ad  un'aporia  del  sistema,  prima  di  dubitare  della
legittimita' costituzionale della norma stessa occorre verificare  la
possibilita' di darne un'interpretazione secondo Costituzione  (Corte
cost. 22 ottobre 1996 n. 356). Ha chiarito  la  Corte  costituzionale
(30 novembre 2007 n. 403) che il giudice (specie  in  assenza  di  un
consolidato orientamento giurisprudenziale) ha il dovere di adottare,
tra piu' possibili interpretazioni di una stessa disposizione, quella
idonea  a  fugare  ogni  dubbio   di   legittimita'   costituzionale,
sollevando la questione dinanzi al giudice delle leggi solo quando la
lettera  della  norma  sia  tale  da  precludere  ogni   possibilita'
ermeneutica idonea a offrirne una lettura conforme a Costituzione. Ha
infine aggiunto la Corte costituzionale che, in linea  di  principio,
le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche'  e'
possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali,  ma  perche'
e' impossibile dare delle stesse interpretazioni costituzionali. 
    Ora, nel caso all'esame della Sezione, si era  ritenuto  che  non
mancassero argomenti e precedenti giurisprudenziali  a  dimostrazione
che il Legislatore del 2003 avesse voluto solo  garantire  il  previo
esperimento, nella materia della  disciplina  sportiva,  di  tutti  i
rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilita', per le  parti
del rapporto,  di  adire  il  giudice  dello  Stato  se  la  sanzione
comminata  non  esaurisce  la  sua  rilevanza  all'interno  del  solo
ordinamento sportivo. 
    Peraltro, da ultimo la parabola argomentativa della  Sezione  non
e' stata condivisa dal giudice di appello (Cons. Stato, VI  Sez.,  25
novembre 2008 n.  5782).  Quest'ultimo,  premesso  che  di  frequente
accade  che  i  provvedimenti  sanzionatori   inflitti   ad   atleti,
associazioni    e    societa'    sportive,    adottati    nell'ambito
dell'ordinamento sportivo, incidano,  almeno  indirettamente,  per  i
gravi  effetti  anche  economici  che   comportano,   su   situazioni
giuridiche  soggettive  connesse  con  l'ordinamento   sportivo,   ma
rilevanti per l'ordinamento generale, si e'  posto  il  problema  se,
verificandosi   tale   evenienza,   debba   prevalere    il    valore
dell'autonomia dell'ordinamento sportivo  o  quello  del  diritto  di
azione o di difesa in giudizio. Ha precisato che a favore della prima
soluzione sembrerebbe deporre il testo letterale dell'art. 2 d.l.  n.
220 del 2003  che  riserva  alla  giustizia  sportiva,  senza  alcuna
ulteriore distinzione in ragione degli  effetti  che  dall'intervento
sanzionatorio  discendono,  «i  comportamenti  rilevanti  sul   piano
disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative  sanzioni
disciplinari sportive». A favore della seconda lettura sarebbe invece
invocabile la parte finale dell'art. 1 dello stesso d.l. n. 220  che,
nell'affermare il principio dell'autonomia sportiva, fa espressamente
«salvi  i  casi  di  rilevanza  per  l'ordinamento  giuridico   della
Repubblica  di  situazioni   giuridiche   soggettive   connesse   con
l'ordinamento sportivo». 
    Il giudice di appello ha dichiarato di aderire alla prima opzione
ermeneutica, ritenendola piu' aderente  alla  formulazione  letterale
degli artt. 2 e 3 d.l. n. 220 del 2003. Ha chiarito  che  tali  norme
demandano  in  via  esclusiva  alla  giustizia   sportiva   tutti   i
«comportamenti rilevanti sul piano disciplinare  e  l'irrogazione  ed
applicazione  delle  relative  sanzioni  disciplinari  sportive».  Il
legislatore, dunque, da un lato non  farebbe  alcuna  distinzione  in
ordine alle conseguenze morali e patrimoniali che da quelle  sanzioni
possono derivare e, dall'altro, allorche' emano' il d.l. n.  220  del
2003, non poteva ignorare che l'applicazione del regolamento sportivo
- sia da parte dell'arbitro nella singola  gara,  sia  da  parte  del
giudice sportivo di primo o di ultimo grado - e  l'irrogazione  delle
piu' gravi sanzioni disciplinari quasi sempre  producono  conseguenze
morali  e  i.  patrimoniali  indirette  di  rilevantissima   entita'.
Tuttavia a tali conseguenze non ha attribuito alcun rilievo  ai  fini
della verifica  di  sussistenza  della  giurisdizione  statuale  che,
infatti,  ha  riconosciuto  solo  nei   casi   diversi   da   quelli,
espressamente  indicati,  di  cui  all'art.  2,  primo   comma,   del
decreto-legge citato. 
    Lo stesso giudice di appello ha  pero'  riconosciuto  che,  cosi'
inteso,  l'art.  2  d.l.  n.  220  del  2003  da'  luogo  ad   alcune
perplessita' in ordine alla legittimita' costituzionale della riserva
a favore della «giustizia sportiva». 
    In effetti anche questa Sezione, prima ancora  del  Consiglio  di
Stato, aveva manifestato analoghe perplessita' in ordine al  disposto
dell'art. 2 d.l. n. 220  del  2003,  ma  aveva  ritenuto  di  poterle
superare con specifico,  puntuale  riferimento  all'insegnamento  del
giudice delle leggi, le cui regole fanno parte del bagaglio culturale
e professionale di ogni operatore del diritto, e cioe' che  prima  di
attivare  il  procedimento  per  l'annullamento  di  una  legge   per
contrasto  con  principi  costituzionali  il  giudice  remittente  ha
l'obbligo  di  verificare  se  il  suo  testo  consente,  sul   piano
interpretativo,  anche  una  lettura  dello  stesso  che   renda   le
prescrizioni  in  esso   contenute   compatibili   con   il   dettato
costituzionale. 
    Ed e' questa, in effetti, la strada  che  la  Sezione  ha  sempre
percorso in materia di sanzioni disciplinari non tecniche,  assumendo
come criterio di individuazione della giurisdizione gli  effetti  che
da esse discendono, cioe' a seconda che detti effetti si  esauriscano
all'interno  dell'ordinamento  sportivo   o   si   proiettino   anche
all'esterno di esso, con danni non solo patrimoniali ma anche  morali
per il soggetto che ne e' destinatario. Cosi' argomentando la Sezione
aveva motivatamente recepito e fatte  proprie  anche  le  indicazioni
provenienti dalla giurisprudenza comunitaria e  dalla  dottrina  piu'
qualificata. 
    Il  giudice  comunitario  (Corte  di  giustizia  18  luglio  2006
C-519/04 P), partendo dalla premessa che le sanzioni sportive, specie
se interdittive dell'attivita',  sono  suscettibili  in  concreto  di
ledere le liberta' economiche degli atleti e di  coloro  che  operano
negli organismi sportivi, ha concluso nel senso  che  la  circostanza
che  sia  indiscussa  una  regola  eminentemente  sportiva  non  puo'
precludere in via automatica l'accertamento da  parte  dell'Autorita'
giudiziaria ordinaria della violazione della liberta' e  dei  diritti
garantiti dal Trattato e del contesto nel quale si colloca il fatto o
il comportamento sanzionato. Dello  stesso  avviso  si  e'  detta  la
dottrina interessata al problema, la quale ha concluso nel senso  che
la norma disciplinare dell'ordinamento sportivo  non  ha  sempre  una
mera rilevanza interna, ma e' suscettibile di incidere  su  posizioni
soggettive riconosciute e tutelate sia dall'ordinamento  statale  che
da quello comunitario atteso che, diversamente opinando,  l'autonomia
e la riserva di giurisdizione del giudice sportivo  si  tradurrebbero
in una ingiustificata  riduzione  del  diritto  ad  una  effettiva  e
completa tutela giurisdizionale. 
    A fronte del recente arresto del giudice di  appello  la  Sezione
ritiene di dover far proprie le  conclusioni  alle  quali  questo  e'
pervenuto e di sollevare la questione di costituzionalita'  affinche'
il giudice delle leggi decida se l'art. 2,  primo  comma,  lett.  b),
d.l. n. 220 del 2003 deve essere eliminato  dall'ordinamento  perche'
contrastante con i principi fondamentali che la Carta  costituzionale
detta a tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei  cittadini
e preclusiva, in questo  caso,  della  possibilita'  di  far  ricorso
finale al giudice statale ove la pronuncia del giudice  sportivo  sia
ritenuta errata o comunque non satisfattiva. 
    Appare infatti dubbia la legittimita' costituzionale dell'art. 2,
primo comma, lett. b), e in parte qua  del  secondo  comma,  d.l.  19
agosto 2003 n. 220, convertito dalla L. 17 ottobre 2003 n.  280,  per
violazione degli artt. 24, 103  e  113  Cost.,  nella  parte  in  cui
riserva  al  giudice  sportivo  la  competenza  a  decidere  in   via
definitiva le controversie aventi ad oggetto  sanzioni  disciplinari,
non tecniche (id est non dirette ad assicurare la  regolarita'  della
gara ma che,  ancorche'  occasionate  da  una  gara,  riguardano  gli
ordinari rapporti di correttezza fra associati  e  organi  sportivi),
inflitte a  atleti,  tesserati,  associazioni  e  societa'  sportive,
sottraendole al sindacato del giudice amministrativo, anche se i loro
effetti  vanno  oltre  i  confini  assegnati  dalla  legge  a   detto
ordinamento, ma incidono su diritti e  interessi  la  cui  tutela  e'
affidata al giudice statale. 
    La questione e' certamente rilevante nella presente controversia,
atteso che presupposto per poter esaminare i motivi dedotti dal  sig.
Cirelli avverso gli atti  impugnati  e'  che  il  giudice  adito  sia
competente decidere. 
    Il  Collegio  ritiene  peraltro  che  la  questione,  oltre   che
rilevante, sia, anche non manifestamente infondata, ove sia  ritenuto
corretto e assorbente il rilievo esclusivo assegnato dal Consiglio di
Stato al testo letterale  del  cit.  art.  2  e  invece  additivo  il
tentativo di questa Sezione di offrirne una lettura congiunta con  il
disposto del precedente art. 1, nella parte in cui detta il  generale
criterio di  riparto  della  giurisdizione  fra  giudice  sportivo  e
giudice statale. 
    In questo caso risulta in primo luogo  violato  l'art.  24  cost.
che, definendo la difesa come un diritto inviolabile in ogni stato  e
grado del procedimento, garantisce a tutti la possibilita'  di  agire
in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e
affida tale compito al giudice statale. 
    Risultano altresi'  violati  gli  artt.  103  e  113  Cost.,  che
consentono   sempre   l'impugnativa   di   atti    e    provvedimenti
amministrativi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, senza
che si possa, al contrario, dubitare della natura degli atti adottati
dal C.O.N.I. e dalle  Federazioni  sportive  e,  dunque,  della  loro
riconducibilita' all'art. 103 Cost., atteso che l'art. 3 dello stesso
d.l. n. 220 del 2003 riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo la cognizione dei ricorsi proposti avverso detti atti,
salvi i casi previsti dal precedente 2, primo comma, lett. a) e b). 
    L'art. 2, primo comma, lett. b), e in parte  qua  secondo  comma,
viola dunque gli artt.  24,  103  e  113  Cost.,  dal  cui  combinato
disposto si evince che a nessuno puo' essere negata la  tutela  della
propria sfera giuridica dinanzi ad un giudice  statale,  ordinario  o
amministrativo che sia. L'innanzi  richiamata  norma  riserva  invece
agli organi della giustizia sportiva - e, dunque, ad  organi  la  cui
composizione e' affidata ad  una  sola  delle  parti  in  causa -  la
competenza a risolvere, in via definitiva,  le  controversie  insorte
tra l'ordinamento sportivo e  i  suoi  affiliati  ove  oggetto  delle
stesse siano l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari,
organizzative e  statutarie  dell'ordinamento  sportivo  nazionale  e
delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto  svolgimento
delle attivita'  sportive  e  i  comportamenti  rilevanti  sul  piano
disciplinare,  con  l'irrogazione  ed  applicazione  delle   relative
sanzioni disciplinari sportive. 
    Ne' puo' ritenersi che la deroga al principio costituzionale  del
diritto ad ottenere la tutela della propria  posizione  giuridica  di
diritto soggettivo o di interesse legittimo  dinanzi  ad  un  giudice
statale  possa  essere   giustificata -   e   quindi   ammessa -   in
considerazione della necessita',  dettata  dalla  peculiarita'  degli
interessi  in  gioco,  di   avere   una   «giustizia   rapida»,   che
l'ordinamento giudiziario statale potrebbe non consentire. E' agevole
in primo luogo rilevare che lo stesso legislatore del 2003, attento a
questa esigenza, ha esteso al contenzioso c.d. sportivo la disciplina
celere  dettata  per  alcune   materie   di   particolare   rilevanza
economico-sociale (appalti, delibere  delle  Autorita'  indipendenti)
dall'art. 23-bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che consente, dunque,
di definire in tempi rapidi le controversie che vedono  coinvolti  le
Federazioni sportive ed i propri  associati.  Aggiungasi  che  se  il
legislatore non avesse ritenuto sufficiente  il  rimedio  processuale
gia' sperimentato (ad es. per il contenzioso in  materia  di  appalti
pubblici,  nella  quale  e'  veramente  pressante  la  necessita'  di
chiudere in tempi strettissimi le controversie  instaurate),  avrebbe
potuto dettare una nuova regola processuale per rendere  ancora  piu'
celere il rito, con  l'unico  limite  del  rispetto  del  diritto  di
difesa, diritto che, ad avviso di questo Collegio, finisce per essere
irrimediabilmente leso  proprio  dalla  preclusione  del  ricorso  al
giudice statale e, dunque, dal rimedio che sarebbe  stato  introdotto
per assicurare una tutela rapida delle ragioni  del  soggetto  inciso
dalle decisioni degli organi dell'ordinamento sportivo. 
    Va peraltro chiarito, al fine di sgomberare il campo da possibili
equivoci  e  di  delineare  nei  suoi  esatti  confini  la  questione
sottoposta al giudice delle leggi, che i dubbi  di  costituzionalita'
della norma, espressi dalla Sezione, non  attengono  alla  previsione
della c.d. pregiudiziale sportiva, essendo  essa  corretta  e  logica
conseguenza della riconosciuta autonomia  dell'ordinamento  sportivo,
ma alla generale preclusione (ultronea rispetto ad essa) ad adire  il
giudice statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva. 
    Gli stessi problemi non si pongono neppure per l'ipotesi  in  cui
la materia del contendere  e'  la  sanzione  c.d.  tecnica  comminata
durante o  in  conseguenza  di  una  competizione  sportiva  (ad  es.
l'ammonizione o l'espulsione di un giocatore). E'  agevole,  infatti,
osservare che in tali casi manca il presupposto  per  poter  invocare
l'art. 24 Cost., e cioe' la tutela di posizioni giuridiche di diritto
soggettivo o di interesse legittimo. Alle regole tecniche che vengono
in gioco non puo' essere attribuita  natura  di  norme  di  relazione
dalle quali derivino diritti soggettivi e  contrapposti  obblighi  in
capo ai soggetti coinvolti nell'esercizio dell'attivita' sportiva. Ma
non sono configurabili neanche posizioni di interesse legittimo,  che
presupporrebbero la possibilita' di qualificare le decisioni  assunte
dai giudici di  gara  come  provvedimenti  amministrativi.  In  altri
termini, e per concludere sul punto, la violazione di regole di gara,
aventi dunque connotato prettamente ed esclusivamente tecnico, che la
dottrina piu' qualificata fa rientrare nell'ambito  «dell'irrilevante
giuridico»,  da'  luogo  all'applicazione   di   sanzioni   anch'esse
tecniche,   indifferenti   per   l'ordinamento   statale,   la    cui
giustiziabilita' puo' essere correttamente riservata agli  organi  di
giustizia sportiva. 
    In effetti a questa conclusione era gia' giunto il giudice  della
giurisdizione (Cass.  civ.,  26  ottobre  1989  n.  4399)  il  quale,
nell'individuare  i  criteri  che  consentono  di   stabilire   quali
questioni possono  essere  sottoposte  alla  cognizione  del  giudice
statale, aveva chiarito che rientrano in modo diretto nella categoria
delle norme organizzatone, riservate come tali al  giudice  sportivo,
le  regole  che  l'ordinamento  federale  ha  emanato  o  emana   per
l'ordinata   acquisizione   dei   «risultati    delle    competizioni
agonistiche», non potendo ogni e qualunque provvedimento attuativo di
esse  essere  qualificato  come  provvedimento   amministrativo.   Ha
aggiunto - con affermazioni che, sebbene svolte con riferimento ad un
tessuto normativo antecedente alla novella del 2003, sono sicuramente
applicabili anche ad essa - che «l'ordinamento generale  ha,  bensi',
interesse all'inserimento  dell'organizzazione  sportiva  nell'ambito
della realta' sociale di modo che, se pur con formale riconoscimento,
consente   (per   non   mortificare    un'insopprimibile    vocazione
autonomistica) che l'intera struttura  assuma  forma  e  sostanza  di
ordinamento separato, tuttavia impone (quando giudica inopportuna una
completa  abdicazione  sui  capisaldi  programmatici)  che  le  norme
fondamentali di  esso  si  armonizzino  con  quelle  proprie,  oppure
assicura (quando e' in  gioco  il  primato  della  giurisdizione)  la
tutela   delle   posizioni    giuridiche    gravitanti    nell'orbita
dell'ordinamento predetto. Tutto questo,  pero',  non  significa  che
l'ingerenza sia tale da coprire ogni aspetto dell'attivita' normativa
dell'ordinamento  separato,  posto   che   esistono   norme   interne
(denominate extragiuridiche dalla  dottrina  che  ne  ha  individuato
l'essenza), che pur dotate di rilevanza nell'ambito  dell'ordinamento
che le ha espresse, sono insuscettibili  di  inquadramento  giuridico
nell'ambito dell'ordinamento generale. Tali sono,  indiscutibilmente,
le norme meramente tecniche; e fra esse sicuramente rientrano  quelle
che  l'ordinamento  sportivo  ha  elaborato  ed   elabora   ai   fini
dell'acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche». 
    Dalle considerazioni appena svolte emerge  evidente  che  l'unico
modo per superare i dubbi di costituzionalita' dell'art.  2  d.l.  19
agosto  2003  n.  220  sarebbe  sostenere  che  anche   le   sanzioni
disciplinari, inflitte non in violazione di regole tecniche di gioco,
hanno carattere meramente interno ed esauriscono  la  loro  efficacia
all'interno dell'ordinamento sportivo. Ma  a  questa  conclusione  il
Collegio ritiene di non poter pervenire, atteso che tali sanzioni non
si esauriscono in ambito sportivo ma, essendo dirette a modificare in
modo sostanziale, ancorche' non sempre totalmente  irreversibile,  lo
status dell'affiliato,  ridondano  pure  in  danno  della  sua  sfera
giuridica nell'ambito dell'ordinamento statale. 
    E non e' certo l'incontestata autonomia di cui gode l'ordinamento
sportivo (riconosciuta e favorita ex art. 1 d.l. n.  220  del  2003),
rispetto a quello statale, a contrastare tale affermazione. Autonomia
sta, infatti, a significare inibizione per un  ordinamento  giuridico
di interferire con le proprie regole e i propri  strumenti  attuativi
in  un  ambito  normativamente   riservato   ad   altro   ordinamento
coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che  gli
atti e le pronunce in detto ambito intervenuti in esso esauriscano  i
propri effetti. 
    Tale situazione non ricorre  affatto  allorche'  la  materia  del
contendere e' costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti
personali che, a prescindere dalla qualifica professionale  rivestita
dal soggetto destinatario degli stessi e dal settore nel  quale  egli
ha svolto  la  sua  attivita',  investono  con  immediatezza  diritti
fondamentali dello stesso quanto uomo e  cittadino,  con  conseguenze
lesive della sua onorabilita'  e  negativi,  intuitivi  riflessi  nei
rapporti sociali. 
    Verificandosi questa ipotesi, che e' poi quella che  ricorre  nel
caso all'esame del  Collegio -  atteso  che  il  danno  asseritamente
ingiusto,  sofferto  dal  ricorrente  e',  piu'  che   nelle   misure
interdittive comminate, nel  giudizio  negativo  sulle  sue  qualita'
morali,  che  esse  inequivocabilmente  sottintendono -  e'   davvero
difficile negare il diritto  all'odierno  ricorrente  ad  accedere  a
colui che di dette vicende e' incontestabilmente il giudice naturale. 
    Per le ragioni sopra esposte  il  Collegio  solleva,  ritenendola
rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt.  24,
103  e  113  Cost.,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 2, primo comma, lett. b), e, in parte qua,  secondo  comma,
d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003 n.
280,  nella  parte  in  cui  riserva  al  solo  giudice  sportivo  la
competenza a decidere le  controversie  aventi  ad  oggetto  sanzioni
disciplinari «non tecniche», ma con effetti che vanno oltre  l'ambito
sportivo, inflitte ad  atleti,  tesserati,  associazioni  e  societa'
sportive, sottraendole allo  scrutinio  del  giudice  amministrativo,
ancorche' a giudizio di quest'ultimo sia palese la loro incidenza  su
diritti e interessi legittimi che dall'ordinamento generale  egli  e'
chiamato a tutelare. 
    Il giudizio deve  pertanto  essere  sospeso,  e  gli  atti  vanno
trasmessi alla Corte costituzionale. 
    Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e  in  ordine  alle
spese resta, riservata alla decisione definitiva. 
 
                                P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III Ter,
pronunciando sul  ricorso,  come  in  epigrafe  proposto,  visti  gli
artt.134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1  e
23 legge 11 marzo 1953 n. 87 solleva,  ritenendola  rilevante  e  non
manifestamente infondata in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost.,
la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma,
lett. b) e, in parte qua, secondo comma, d.l. 19 agosto 2003 n.  220,
convertito dalla legge 17 ottobre 2003 n. 280,  nella  parte  in  cui
riserva  al  solo  giudice  sportivo  la  competenza  a  decidere  le
controversie aventi ad  oggetto  sanzioni  disciplinari,  diverse  da
quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,  tesserati,  associazioni  e
societa'   sportive,   sottraendole   al   sindacato   del    giudice
amministrativo. 
    Dispone la sospensione del presente giudizio. 
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Ordina che a cura della  segreteria  della  Sezione  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere
dei deputati e del Senato della Repubblica. 
    Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore  statuizione  in
rito, in merito e in ordine alle spese. 
    Cosi deciso in Roma nella  camera  di  consiglio  del  giorno  28
gennaio 2010. 
 
                        Il Presidente: Riggio 
 
 
                        L'estensore: Ferrari