N. 194 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 febbraio 2010
Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio dell'11 febbraio 2010 sul ricorso proposto da Cirelli Andrea contro Federazione Italiana Pallacanestro ed altri.. Giustizia amministrativa - Controversie relative a sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e societa' sportive - Riserva al giudice sportivo - Illegittima sottrazione al giudice amministrativo o ordinario di controversie relative a sanzioni disciplinari che non esauriscano la loro rilevanza all'interno dell'ordinamento sportivo incidendo su diritti soggettivi ed interessi legittimi tutelati dall'ordinamento generale - Lesione del diritto di azione e difesa in giudizio e del principio di tutela giurisdizionale. - Decreto-legge 19 agosto 2003, n. 220, art. 2, commi 1, lett. b), e 2, convertito, con modificazioni, nella legge 17 ottobre 2003, n. 280. - Costituzione, artt. 24, 103 e 113.(GU n.26 del 30-6-2010 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso n. 6515/07, proposto dal sig. Andrea Girelli, rappresentato e difeso dagli avv.ti Alessandro Gracis, Giorgio De Arcangelis e Carlo Abbate e con questi elettivamente domiciliato in Roma, via F.P. de' Calboli n. 1, presso Io studio dell'avv. Carlo Abbate, Contro la Federazione Italiana Pallacanestro, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Guido Valori e Paola Maria Angela Vaccaro, presso il cui studio in Roma, viale delle Milizie n. 106, e' elettivamente domiciliata, il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), in persona del legale rappresentate pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Alberto Angeletti, presso il cui studio in Roma, via Giuseppe Pisanelli n. 2, e' elettivamente domiciliato, nonche' la Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, non costituita in giudizio, nonche', nei confronti di Pallacanestro Treviso Benetton, in persona del legale rappresentate pro tempore, non costituita in giudizio, per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia, della sanzione dell'inibizione dallo svolgimento di ogni attivita' endofederale per tre anni e quattro mesi, irrogata definitivamente con la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007, anch'essa impugnata; dell'atto di deferimento della procura Federale del 5 marzo 2007, nella parte in cui il ricorrente e' stato deferito alla Commissione Giudicante Nazionale; della decisione della Commissione Giudicante Nazionale n. 81, giusta Comunicato Ufficiale n. 650 del 21 marzo 2007, nella parte in cui e' stata affermata la responsabilita' del ricorrente per la tentata frode sportiva a lui contestata ed e' stata irrogata la sanzione dell'inibizione da qualsiasi attivita' federale e sociale per la durata di due anni; della decisione della. Corte Federale n. 44 di cui al Comunicato Ufficiale n. 672 del 27 marzo 2007 nella parte in cui e' stata confermata la responsabilita' per frode sportiva consumata ex art. 43, primo comma, lett. c), e per l'effetto determinata la sanzione dell'inibizione da ogni attivita' federale e sociale a carico del ricorrente per tre anni e quattro mesi a decorrere dal 21 marzo 2007; di ogni altro atto comunque presupposto, connesso e consequenziale e, in particolare: in parte qua dell'art. 43, secondo comma, del Regolamento di Giustizia, nonche' di tutte le norme statutarie e regolamentari nella parte in cui prevedono l'adozione di provvedimenti disciplinari, sino alla radiazione, a carico dei tesserati che abbiano violato il cd. vincolo di giustizia; di tutte le norme statutarie e regolamentari che attribuiscono natura di lodo arbitrale irrituale anziche' di provvedimento amministrativo di secondo grado alle decisioni assunte dalla Camera di Conciliazione e, in particolare, dell'art. 43,secondo e terzo comma, dello Statuto della F.I.P. nella parte in cui dispone che «gli affiliati, i tesserati ed i soggetti ad essi equiparati sono tenuti ad adire gli Organi di Giustizia dell'ordinamento sportivo nelle materie di cui all'art. 2 d.l. n. 220 del 2003. Nelle materie predette e' possibile, ai sensi dell'art. 12, ottavo comma, dello Statuto del C.O.N.I., il ricorso all'arbitrato irrituale. L'inosservanza della presente disposizione comporta l'adozione di provvedimenti disciplinari sino alla radiazione, nei modi e termini indicati»; dell'art. 6 del Regolamento di Giustizia della F.I.P., nella parte in cui prevede che «gli affiliati, i tesserati ed i soggetti ad essi equiparati sono tenuti ad adire gli Organi di Giustizia dell'ordinamento sportivo nelle materie di cui all'art. 2 d.l. n. 220 del 2003. L'inosservanza della presente disposizione... comporta l'adozione di provvedimenti disciplinari, sino alla radiazione»; nonche' dell'art. 12 dello Statuto del C.O.N.I. e dell'art. 8 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato. Visti il ricorso ed i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio della Federazione Italiana Pallacanestro; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.); Visto l'atto di motivi aggiunti, notificato il 16 ottobre 2007 e depositato il successivo 23 ottobre; Viste le memorie prodotte dalle parti in causa costituite a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore alla pubblica udienza del 28 gennaio 2010 il Consigliere Giulia Ferrari; uditi altresi' i difensori presenti delle parti in causa, come da verbale; Ritenuto e considerato, in fatto e in diritto, quanto segue, F a t t o 1. - Con ricorso notificato in data 9 luglio 2007 e depositato il successivo 18 luglio 2007 il sig. Andrea Girelli impugna, tra gli altri, la sanzione dell'inibizione dallo svolgimento di ogni attivita' endofederale per tre anni e quattro mesi, irrogata definitivamente con la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007. Espone, in fatto, di essere titolare di tessera della Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P) con la qualifica di dirigente e di aver ricoperto, sino al 24 febbraio 2007, la carica di Team Manager della Pallacanestro Treviso Benetton. In data 5 marzo 2007 e' stato deferito dal Procuratore federale della F.I.P. alla Commissione Giudicante Nazionale perche' «avvalendosi del concorso di persona non soggetta alla giurisdizione federale ed al fine di favorire la Pallacanestro Treviso Benetton, violava gli artt. 2, comma 1, 39 e 43 del Regolamento di Giustizia, richiedendo ed, ottenendo dagli Uffici della lega Basket Serie A di inserire nel fascicolo del tesseramento del giocatore Gino Cuccarolo un atto di risoluzione contrattuale recante data anteriore a quella dell'effettiva presentazione, con cio' alterando o tentando di alterare l'elenco degli atleti professionisti tesserati ed iscritti a referto per la societa' trevigiana, che in tal modo avrebbe avuto la possibilita' di utilizzare e di iscrivere a referto altro atleta professionista». A causa dei predetti fatti e' stato licenziato dalla Pallacanestro Treviso Benetton. In data 21 marzo 2007 la Commissione Giudicante Nazionale gli ha irrogato la sanzione dell'inibizione da qualsiasi attivita' federale e sociale per la durata di due anni, considerato quanto previsto dall'art. 43, secondo comma, del Regolamento di Giustizia per le fattispecie a livello di tentativo. Avverso detto provvedimento e' stato presentato ricorso in appello, oltre che dallo stesso sig. Girelli, anche dalla F.I.P., quest'ultima lamentando l'esiguita', della pena comminata. La Corte Federale, in parziale accoglimento dell'appello della Procura Federale, ha condannato il ricorrente alla sanzione dell'inibizione da ogni attivita' federale e sociale per tre anni e quattro mesi a decorrere dal 21 marzo 2007. L'istanza di conciliazione, proposta dal ricorrente, non ha sortito alcun risultato. Il Collegio arbitrale, al quale il sig. Cirelli si era rivolto, ha rigettato l'istanza confermando la sanzione dell'inibizione per tre anni e quattro mesi. 2. - Avverso i predetti provvedimenti il ricorrente e' insorto deducendo: a) Illegittimita', per violazione artt. 24, 97, 103, 113 Cost. dello Statuto e del Regolamento di Giustizia della F.I.P. Il diritto di difesa del tesserato e' limitato, essendo prevista l'obbligatorieta' del ricorso agli Organi di giustizia sportiva pena l'adozione di provvedimenti sanzionatori. Illegittima e' anche la qualificazione del giudizio ex art. 12, ottavo comma, dello Statuto del C.O.N.I. come arbitrato irritale e la relativa decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato come lodo arbitrale irrituale, anziche' come provvedimento amministrativo, limitandone l'impugnabilita' dinanzi al giudice amministrativo. b) Illegittimita' della sanzione e dei provvedimenti impugnati per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 43, primo comma, lett. c), R.D. della F.I.P. - Eccesso di patere per errore e travisamento nei presupposti di fatto e di diritto Carenza ed insufficiente istruttoria - Illogicita' e contraddittorieta' manifesta, nonche' manifesta irragionevolezza della sanzione irrogata - In via subordinata, illegittimita' dell'art. 42 del R G. nell'interpretazione ed applicazione resa dagli organi di Giustizia Federale e della Camera di conciliazione ed arbitrato del C.O.N.I. per violazione dei principi vigenti dell'ordinamento statale in particolare, per violazione, degli artt. 49 e115 c.p. Illegittimamente la Corte Federale prima ed il Collegio arbitrale poi hanno considerato la frode sportiva un'ipotesi di illecito disciplinare, consumazione anticipata, nel senso che non sarebbe necessario che la frode si consumi, essendo sufficiente il compimento di un atto finalizzato ad un obiettivo illecito. In ogni caso la condotta attribuita al ricorrente non ha avuto rilevanza per l'ordinamento perche' non e' stata esternalizzata. Infine, e a tutto voler concedere, detta condotta avrebbe potuto essere qualificata come contraria ai doveri di lealta' e correttezza di cui all'art. 2 del Regolamento di Giustizia ed essere, quindi, sanzionata ai sensi e per gli effetti dell'art. 39 dello stesso Regolamento. c) Illegittimita' della sanzione e dei provvedimenti impugnati per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 43, primo comma, lett. c), e secondo comma R.G. della F.I.P.; violazione dell'art. 73 R. G. della F.I.P. - Eccesso di potere per errore e travisamento nei presupposti di fatto e di diritto - Per carenza ed insufficienza di istruttoria - Per illogicita' e contraddittorieta' manifesta nonche' per manifesta irragionevolezza della sanzione applicata - In via subordinata, si eccepisce l'illegittimita' dell'art. 43, secondo comma, R. G. nell'interpretazione ad applicazione resa dagli Organi di Giustizia Federale e dalla camera di Conciliazione ad Arbitrato del C.O.N.I. per violazione dei principi vigenti nell'ordinamento statale ed in particolare per violazione 56 c.p. La sanzione irrogata appare ancora piu' illegittima in quanto applicativa della pena prevista per la fattispecie consumata e non della pena ridotta per la fattispecie tentata. 3. - Con atto di motivi aggiunti, notificato il 16 ottobre 2007 e depositato il successivo 23 ottobre, il ricorrente deduce ulteriori profili di illegittimita' dei provvedimenti impugnati con l'atto introduttivo del giudizio, rilevati a seguito delle intercettazioni telefoniche operate dai Nas di Bologna relativamente al «caso Lorbek», dalle quali sarebbero emersi numerosi contatti tra i funzionari della Camera di Conciliazione e i rappresentanti del C.O.N.I. durante i lavori del lodo. Il ricorrente deduce, in particolare: a) Violazione art. 12, ottavo comma, dello Statuto del C.O.N.I. - violazione degli artt. 1, 14 e 27 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport. A seguito delle indagini disposte dalla Procura di Bologna sul «caso Lorbek» e' stato accertato che durante i lavori della Camera arbitrale vi sono stati contatti con i rappresentanti dei vertici delle istituzioni sportive e gli arbitri della Camera. b) Violazione artt. 1, quarto comma, 19, 20, 27 del Regolamento della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport - Violazione delle regole e dei principi generali che presiedono alla formazione del lodo arbitrale. Dalle predette intercettazioni telefoniche e' emerso che il Presidente della Camera arbitrale ha affidato la redazione del lodo a persone estranee al Collegio arbitrale, che non avevano partecipato al procedimento e alle relative udienze. 4. - Si e' costituita in giudizio la Federazione Italiana Pallacanestro, che ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito mentre nel merito ha sostenuto l'infondatezza del ricorso. 5. - Si e' costituito in giudizio il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.), che ha preliminarmente eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito e la propria carenza di legittimazione passiva mentre nel merito ha sostenuto l'infondatezza del ricorso. 6. - La Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I. non si e' costituita in giudizio. 7. - La Pallacanestro Treviso Benetton non si e' costituita in giudizio. 8. - Con memorie depositate alla vigilia dell'udienza di discussione le parti costituite hanno ribadito le rispettive tesi difensive. 9. - In data 12 novembre 2009 il ricorrente ha depositato copia della sentenza n. 2208 del 28 gennaio 2009 del Tribunale di Bologna, sezione per le indagini preliminari, che lo ha assolto dal reato di frode sportiva perche' il fatto non sussiste. 10. - Alla Camera di consiglio del 6 agosto 2007, sull'accordo delle parti, l'esame dell'istanza di sospensione cautelare e' stato abbinato al merito. 11. - All'udienza del 28 gennaio 2010 la causa e' stata trattenuta per la decisione. Diritto 1. - Come esposto in narrativa, e' impugnata la sanzione dell'inibizione dallo svolgimento di ogni attivita' endofederale per tre anni e quattro mesi, irrogata in via definitiva al sig. Girelli con la decisione della Camera di Conciliazione e Arbitrato per lo Sport del C.O.N.I., depositata il 18 maggio 2007. Deve essere preliminarmente esaminata l'eccezione di difetto di giurisdizione, sollevata sia dalla Federazione Italiana Pallacanestro (F.I.P.) che dal Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.) sul rilievo che le sanzioni sportive sarebbero impugnabili, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lett. b), e secondo comma, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito in legge 17 ottobre 2003 n. 280, solo dinanzi agli organi della Giustizia sportiva. Rileva il Collegio che piu' volte questo Tribunale ha affermato la propria giurisdizione in occasione dell'impugnazione di sanzioni sportive diverse da quelle c.d. tecniche (per esse dovendosi intendere quelle preordinate ad assicurare la regolarita' della gara e la corrispondenza del suo risultato ai valori sportivi espressi in campo), inflitte a dirigenti sportivi, ad arbitri o a societa' calcistiche. Cio' nella considerazione che, ai sensi del cit. d.l. n. 220 del 2003, il criterio secondo il quale i rapporti tra l'ordinamento sportivo e quello statale sono regolati in base al principio di autonomia - con conseguente sottrazione al sindacato del giudice statale degli atti a contenuto tecnico sportivo - trova una deroga nel caso di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive, qualificabili in termini di diritti soggettivi e/o di interessi legittimi, connesse con l'ordinamento sportivo; in tale ipotesi, le relative controversie sono attribuite alla giurisdizione dell'Autorita' giudiziaria ordinaria, ove abbiano per oggetto i rapporti patrimoniali tra Societa', Associazioni ed atleti, mentre ogni altra controversia avente ad oggetto atti del C.O.N.I. o delle Federazioni sportive nazionali e' devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In altri termini, la giustizia sportiva costituisce lo strumento di tutela per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle regole sportive, mentre quella statale e' chiamata a risolvere le controversie che presentano una rilevanza per l'ordinamento generale, concernendo la violazione di diritti soggettivi o interessi legittimi ai quali e' l'ordinamento statale che appresta tutela (Cons.Stato, VI Sez., 9 luglio 2004 n. 5025). Con precipuo riferimento al principio, introdotto dal cit. art. 2, primo comma, lett. b), che riserva al giudice sportivo la definizione delle questioni aventi ad oggetto «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive», questa Sezione ha gia' piu' volte chiarito che detta disposizione, letta unitamente all'art. 1, secondo comma, dello stesso decreto-legge, non appare operante nel caso in cui la sanzione non esaurisce la sua incidenza nell'ambito strettamente sportivo, non ha cioe' rilevanza esclusivamente tecnica, ma rifluisce nell'ordinamento generale dello Stato (T.A.R. Lazio, sez. III ter, 22 agosto 2006 n. 7331; 18 aprile 2005 n. 2801 e 14 dicembre 2005 n. 13616). In applicazione di detto principio ha quindi affermato (Sentt. 21 giugno 2007 n. 5645; 8 giugno 2007 n. 5280) la giurisdizione del giudice amministrativo nei ricorsi proposti da dirigenti, da societa' sportive e da arbitri avverso le sanzioni inflitte con la decisione della Corte Federale della F.I.G.C. per illecito sportivo per fatti connessi alla vicenda della c.d. «calciopoli», insorta nella stagione calcistica 2005/2006, mentre ha dichiarato (Sentt. 5 novembre 2007 nn. 10894 e 10911) il difetto assoluto di giurisdizione dello stesso giudice nella controversia promossa da un arbitro per la mancata sua iscrizione alla Commissione Arbitri Nazionale della serie A e B, fondandosi il provvedimento impugnato su un giudizio basato esclusivamente sulla rilevata mancanza delle necessarie qualita' tecniche da parte del soggetto in questione ed essendo, dunque, privo di qualsiasi effetto all'esterno dell'ordinamento sportivo. La conclusione alla quale questa Sezione era giunta era stata dettata anche dalla necessita' di dare una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2 d.l. n. 220 del 2003. Costituisce, infatti, principio ricorrente nella giurisprudenza del giudice delle leggi che, dinanzi ad un dubbio interpretativo di una norma o ad un'aporia del sistema, prima di dubitare della legittimita' costituzionale della norma stessa occorre verificare la possibilita' di darne un'interpretazione secondo Costituzione (Corte cost. 22 ottobre 1996 n. 356). Ha chiarito la Corte costituzionale (30 novembre 2007 n. 403) che il giudice (specie in assenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale) ha il dovere di adottare, tra piu' possibili interpretazioni di una stessa disposizione, quella idonea a fugare ogni dubbio di legittimita' costituzionale, sollevando la questione dinanzi al giudice delle leggi solo quando la lettera della norma sia tale da precludere ogni possibilita' ermeneutica idonea a offrirne una lettura conforme a Costituzione. Ha infine aggiunto la Corte costituzionale che, in linea di principio, le leggi non si dichiarano costituzionalmente illegittime perche' e' possibile dare di esse interpretazioni incostituzionali, ma perche' e' impossibile dare delle stesse interpretazioni costituzionali. Ora, nel caso all'esame della Sezione, si era ritenuto che non mancassero argomenti e precedenti giurisprudenziali a dimostrazione che il Legislatore del 2003 avesse voluto solo garantire il previo esperimento, nella materia della disciplina sportiva, di tutti i rimedi interni, senza peraltro elidere la possibilita', per le parti del rapporto, di adire il giudice dello Stato se la sanzione comminata non esaurisce la sua rilevanza all'interno del solo ordinamento sportivo. Peraltro, da ultimo la parabola argomentativa della Sezione non e' stata condivisa dal giudice di appello (Cons. Stato, VI Sez., 25 novembre 2008 n. 5782). Quest'ultimo, premesso che di frequente accade che i provvedimenti sanzionatori inflitti ad atleti, associazioni e societa' sportive, adottati nell'ambito dell'ordinamento sportivo, incidano, almeno indirettamente, per i gravi effetti anche economici che comportano, su situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo, ma rilevanti per l'ordinamento generale, si e' posto il problema se, verificandosi tale evenienza, debba prevalere il valore dell'autonomia dell'ordinamento sportivo o quello del diritto di azione o di difesa in giudizio. Ha precisato che a favore della prima soluzione sembrerebbe deporre il testo letterale dell'art. 2 d.l. n. 220 del 2003 che riserva alla giustizia sportiva, senza alcuna ulteriore distinzione in ragione degli effetti che dall'intervento sanzionatorio discendono, «i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive». A favore della seconda lettura sarebbe invece invocabile la parte finale dell'art. 1 dello stesso d.l. n. 220 che, nell'affermare il principio dell'autonomia sportiva, fa espressamente «salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo». Il giudice di appello ha dichiarato di aderire alla prima opzione ermeneutica, ritenendola piu' aderente alla formulazione letterale degli artt. 2 e 3 d.l. n. 220 del 2003. Ha chiarito che tali norme demandano in via esclusiva alla giustizia sportiva tutti i «comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive». Il legislatore, dunque, da un lato non farebbe alcuna distinzione in ordine alle conseguenze morali e patrimoniali che da quelle sanzioni possono derivare e, dall'altro, allorche' emano' il d.l. n. 220 del 2003, non poteva ignorare che l'applicazione del regolamento sportivo - sia da parte dell'arbitro nella singola gara, sia da parte del giudice sportivo di primo o di ultimo grado - e l'irrogazione delle piu' gravi sanzioni disciplinari quasi sempre producono conseguenze morali e i. patrimoniali indirette di rilevantissima entita'. Tuttavia a tali conseguenze non ha attribuito alcun rilievo ai fini della verifica di sussistenza della giurisdizione statuale che, infatti, ha riconosciuto solo nei casi diversi da quelli, espressamente indicati, di cui all'art. 2, primo comma, del decreto-legge citato. Lo stesso giudice di appello ha pero' riconosciuto che, cosi' inteso, l'art. 2 d.l. n. 220 del 2003 da' luogo ad alcune perplessita' in ordine alla legittimita' costituzionale della riserva a favore della «giustizia sportiva». In effetti anche questa Sezione, prima ancora del Consiglio di Stato, aveva manifestato analoghe perplessita' in ordine al disposto dell'art. 2 d.l. n. 220 del 2003, ma aveva ritenuto di poterle superare con specifico, puntuale riferimento all'insegnamento del giudice delle leggi, le cui regole fanno parte del bagaglio culturale e professionale di ogni operatore del diritto, e cioe' che prima di attivare il procedimento per l'annullamento di una legge per contrasto con principi costituzionali il giudice remittente ha l'obbligo di verificare se il suo testo consente, sul piano interpretativo, anche una lettura dello stesso che renda le prescrizioni in esso contenute compatibili con il dettato costituzionale. Ed e' questa, in effetti, la strada che la Sezione ha sempre percorso in materia di sanzioni disciplinari non tecniche, assumendo come criterio di individuazione della giurisdizione gli effetti che da esse discendono, cioe' a seconda che detti effetti si esauriscano all'interno dell'ordinamento sportivo o si proiettino anche all'esterno di esso, con danni non solo patrimoniali ma anche morali per il soggetto che ne e' destinatario. Cosi' argomentando la Sezione aveva motivatamente recepito e fatte proprie anche le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza comunitaria e dalla dottrina piu' qualificata. Il giudice comunitario (Corte di giustizia 18 luglio 2006 C-519/04 P), partendo dalla premessa che le sanzioni sportive, specie se interdittive dell'attivita', sono suscettibili in concreto di ledere le liberta' economiche degli atleti e di coloro che operano negli organismi sportivi, ha concluso nel senso che la circostanza che sia indiscussa una regola eminentemente sportiva non puo' precludere in via automatica l'accertamento da parte dell'Autorita' giudiziaria ordinaria della violazione della liberta' e dei diritti garantiti dal Trattato e del contesto nel quale si colloca il fatto o il comportamento sanzionato. Dello stesso avviso si e' detta la dottrina interessata al problema, la quale ha concluso nel senso che la norma disciplinare dell'ordinamento sportivo non ha sempre una mera rilevanza interna, ma e' suscettibile di incidere su posizioni soggettive riconosciute e tutelate sia dall'ordinamento statale che da quello comunitario atteso che, diversamente opinando, l'autonomia e la riserva di giurisdizione del giudice sportivo si tradurrebbero in una ingiustificata riduzione del diritto ad una effettiva e completa tutela giurisdizionale. A fronte del recente arresto del giudice di appello la Sezione ritiene di dover far proprie le conclusioni alle quali questo e' pervenuto e di sollevare la questione di costituzionalita' affinche' il giudice delle leggi decida se l'art. 2, primo comma, lett. b), d.l. n. 220 del 2003 deve essere eliminato dall'ordinamento perche' contrastante con i principi fondamentali che la Carta costituzionale detta a tutela dei diritti e degli interessi legittimi dei cittadini e preclusiva, in questo caso, della possibilita' di far ricorso finale al giudice statale ove la pronuncia del giudice sportivo sia ritenuta errata o comunque non satisfattiva. Appare infatti dubbia la legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. b), e in parte qua del secondo comma, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla L. 17 ottobre 2003 n. 280, per violazione degli artt. 24, 103 e 113 Cost., nella parte in cui riserva al giudice sportivo la competenza a decidere in via definitiva le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, non tecniche (id est non dirette ad assicurare la regolarita' della gara ma che, ancorche' occasionate da una gara, riguardano gli ordinari rapporti di correttezza fra associati e organi sportivi), inflitte a atleti, tesserati, associazioni e societa' sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo, anche se i loro effetti vanno oltre i confini assegnati dalla legge a detto ordinamento, ma incidono su diritti e interessi la cui tutela e' affidata al giudice statale. La questione e' certamente rilevante nella presente controversia, atteso che presupposto per poter esaminare i motivi dedotti dal sig. Cirelli avverso gli atti impugnati e' che il giudice adito sia competente decidere. Il Collegio ritiene peraltro che la questione, oltre che rilevante, sia, anche non manifestamente infondata, ove sia ritenuto corretto e assorbente il rilievo esclusivo assegnato dal Consiglio di Stato al testo letterale del cit. art. 2 e invece additivo il tentativo di questa Sezione di offrirne una lettura congiunta con il disposto del precedente art. 1, nella parte in cui detta il generale criterio di riparto della giurisdizione fra giudice sportivo e giudice statale. In questo caso risulta in primo luogo violato l'art. 24 cost. che, definendo la difesa come un diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, garantisce a tutti la possibilita' di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, e affida tale compito al giudice statale. Risultano altresi' violati gli artt. 103 e 113 Cost., che consentono sempre l'impugnativa di atti e provvedimenti amministrativi dinanzi agli organi di giustizia amministrativa, senza che si possa, al contrario, dubitare della natura degli atti adottati dal C.O.N.I. e dalle Federazioni sportive e, dunque, della loro riconducibilita' all'art. 103 Cost., atteso che l'art. 3 dello stesso d.l. n. 220 del 2003 riserva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo la cognizione dei ricorsi proposti avverso detti atti, salvi i casi previsti dal precedente 2, primo comma, lett. a) e b). L'art. 2, primo comma, lett. b), e in parte qua secondo comma, viola dunque gli artt. 24, 103 e 113 Cost., dal cui combinato disposto si evince che a nessuno puo' essere negata la tutela della propria sfera giuridica dinanzi ad un giudice statale, ordinario o amministrativo che sia. L'innanzi richiamata norma riserva invece agli organi della giustizia sportiva - e, dunque, ad organi la cui composizione e' affidata ad una sola delle parti in causa - la competenza a risolvere, in via definitiva, le controversie insorte tra l'ordinamento sportivo e i suoi affiliati ove oggetto delle stesse siano l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attivita' sportive e i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare, con l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive. Ne' puo' ritenersi che la deroga al principio costituzionale del diritto ad ottenere la tutela della propria posizione giuridica di diritto soggettivo o di interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale possa essere giustificata - e quindi ammessa - in considerazione della necessita', dettata dalla peculiarita' degli interessi in gioco, di avere una «giustizia rapida», che l'ordinamento giudiziario statale potrebbe non consentire. E' agevole in primo luogo rilevare che lo stesso legislatore del 2003, attento a questa esigenza, ha esteso al contenzioso c.d. sportivo la disciplina celere dettata per alcune materie di particolare rilevanza economico-sociale (appalti, delibere delle Autorita' indipendenti) dall'art. 23-bis legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che consente, dunque, di definire in tempi rapidi le controversie che vedono coinvolti le Federazioni sportive ed i propri associati. Aggiungasi che se il legislatore non avesse ritenuto sufficiente il rimedio processuale gia' sperimentato (ad es. per il contenzioso in materia di appalti pubblici, nella quale e' veramente pressante la necessita' di chiudere in tempi strettissimi le controversie instaurate), avrebbe potuto dettare una nuova regola processuale per rendere ancora piu' celere il rito, con l'unico limite del rispetto del diritto di difesa, diritto che, ad avviso di questo Collegio, finisce per essere irrimediabilmente leso proprio dalla preclusione del ricorso al giudice statale e, dunque, dal rimedio che sarebbe stato introdotto per assicurare una tutela rapida delle ragioni del soggetto inciso dalle decisioni degli organi dell'ordinamento sportivo. Va peraltro chiarito, al fine di sgomberare il campo da possibili equivoci e di delineare nei suoi esatti confini la questione sottoposta al giudice delle leggi, che i dubbi di costituzionalita' della norma, espressi dalla Sezione, non attengono alla previsione della c.d. pregiudiziale sportiva, essendo essa corretta e logica conseguenza della riconosciuta autonomia dell'ordinamento sportivo, ma alla generale preclusione (ultronea rispetto ad essa) ad adire il giudice statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva. Gli stessi problemi non si pongono neppure per l'ipotesi in cui la materia del contendere e' la sanzione c.d. tecnica comminata durante o in conseguenza di una competizione sportiva (ad es. l'ammonizione o l'espulsione di un giocatore). E' agevole, infatti, osservare che in tali casi manca il presupposto per poter invocare l'art. 24 Cost., e cioe' la tutela di posizioni giuridiche di diritto soggettivo o di interesse legittimo. Alle regole tecniche che vengono in gioco non puo' essere attribuita natura di norme di relazione dalle quali derivino diritti soggettivi e contrapposti obblighi in capo ai soggetti coinvolti nell'esercizio dell'attivita' sportiva. Ma non sono configurabili neanche posizioni di interesse legittimo, che presupporrebbero la possibilita' di qualificare le decisioni assunte dai giudici di gara come provvedimenti amministrativi. In altri termini, e per concludere sul punto, la violazione di regole di gara, aventi dunque connotato prettamente ed esclusivamente tecnico, che la dottrina piu' qualificata fa rientrare nell'ambito «dell'irrilevante giuridico», da' luogo all'applicazione di sanzioni anch'esse tecniche, indifferenti per l'ordinamento statale, la cui giustiziabilita' puo' essere correttamente riservata agli organi di giustizia sportiva. In effetti a questa conclusione era gia' giunto il giudice della giurisdizione (Cass. civ., 26 ottobre 1989 n. 4399) il quale, nell'individuare i criteri che consentono di stabilire quali questioni possono essere sottoposte alla cognizione del giudice statale, aveva chiarito che rientrano in modo diretto nella categoria delle norme organizzatone, riservate come tali al giudice sportivo, le regole che l'ordinamento federale ha emanato o emana per l'ordinata acquisizione dei «risultati delle competizioni agonistiche», non potendo ogni e qualunque provvedimento attuativo di esse essere qualificato come provvedimento amministrativo. Ha aggiunto - con affermazioni che, sebbene svolte con riferimento ad un tessuto normativo antecedente alla novella del 2003, sono sicuramente applicabili anche ad essa - che «l'ordinamento generale ha, bensi', interesse all'inserimento dell'organizzazione sportiva nell'ambito della realta' sociale di modo che, se pur con formale riconoscimento, consente (per non mortificare un'insopprimibile vocazione autonomistica) che l'intera struttura assuma forma e sostanza di ordinamento separato, tuttavia impone (quando giudica inopportuna una completa abdicazione sui capisaldi programmatici) che le norme fondamentali di esso si armonizzino con quelle proprie, oppure assicura (quando e' in gioco il primato della giurisdizione) la tutela delle posizioni giuridiche gravitanti nell'orbita dell'ordinamento predetto. Tutto questo, pero', non significa che l'ingerenza sia tale da coprire ogni aspetto dell'attivita' normativa dell'ordinamento separato, posto che esistono norme interne (denominate extragiuridiche dalla dottrina che ne ha individuato l'essenza), che pur dotate di rilevanza nell'ambito dell'ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento giuridico nell'ambito dell'ordinamento generale. Tali sono, indiscutibilmente, le norme meramente tecniche; e fra esse sicuramente rientrano quelle che l'ordinamento sportivo ha elaborato ed elabora ai fini dell'acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche». Dalle considerazioni appena svolte emerge evidente che l'unico modo per superare i dubbi di costituzionalita' dell'art. 2 d.l. 19 agosto 2003 n. 220 sarebbe sostenere che anche le sanzioni disciplinari, inflitte non in violazione di regole tecniche di gioco, hanno carattere meramente interno ed esauriscono la loro efficacia all'interno dell'ordinamento sportivo. Ma a questa conclusione il Collegio ritiene di non poter pervenire, atteso che tali sanzioni non si esauriscono in ambito sportivo ma, essendo dirette a modificare in modo sostanziale, ancorche' non sempre totalmente irreversibile, lo status dell'affiliato, ridondano pure in danno della sua sfera giuridica nell'ambito dell'ordinamento statale. E non e' certo l'incontestata autonomia di cui gode l'ordinamento sportivo (riconosciuta e favorita ex art. 1 d.l. n. 220 del 2003), rispetto a quello statale, a contrastare tale affermazione. Autonomia sta, infatti, a significare inibizione per un ordinamento giuridico di interferire con le proprie regole e i propri strumenti attuativi in un ambito normativamente riservato ad altro ordinamento coesistente (nella specie, quello sportivo), ma a condizione che gli atti e le pronunce in detto ambito intervenuti in esso esauriscano i propri effetti. Tale situazione non ricorre affatto allorche' la materia del contendere e' costituita innanzi tutto da valutazioni e apprezzamenti personali che, a prescindere dalla qualifica professionale rivestita dal soggetto destinatario degli stessi e dal settore nel quale egli ha svolto la sua attivita', investono con immediatezza diritti fondamentali dello stesso quanto uomo e cittadino, con conseguenze lesive della sua onorabilita' e negativi, intuitivi riflessi nei rapporti sociali. Verificandosi questa ipotesi, che e' poi quella che ricorre nel caso all'esame del Collegio - atteso che il danno asseritamente ingiusto, sofferto dal ricorrente e', piu' che nelle misure interdittive comminate, nel giudizio negativo sulle sue qualita' morali, che esse inequivocabilmente sottintendono - e' davvero difficile negare il diritto all'odierno ricorrente ad accedere a colui che di dette vicende e' incontestabilmente il giudice naturale. Per le ragioni sopra esposte il Collegio solleva, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. b), e, in parte qua, secondo comma, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003 n. 280, nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari «non tecniche», ma con effetti che vanno oltre l'ambito sportivo, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e societa' sportive, sottraendole allo scrutinio del giudice amministrativo, ancorche' a giudizio di quest'ultimo sia palese la loro incidenza su diritti e interessi legittimi che dall'ordinamento generale egli e' chiamato a tutelare. Il giudizio deve pertanto essere sospeso, e gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale. Ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese resta, riservata alla decisione definitiva.
P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione III Ter, pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, visti gli artt.134 Cost., 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87 solleva, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 24, 103 e 113 Cost., la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. b) e, in parte qua, secondo comma, d.l. 19 agosto 2003 n. 220, convertito dalla legge 17 ottobre 2003 n. 280, nella parte in cui riserva al solo giudice sportivo la competenza a decidere le controversie aventi ad oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle tecniche, inflitte ad atleti, tesserati, associazioni e societa' sportive, sottraendole al sindacato del giudice amministrativo. Dispone la sospensione del presente giudizio. Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della segreteria della Sezione la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti delle Camere dei deputati e del Senato della Repubblica. Riserva alla decisione definitiva ogni ulteriore statuizione in rito, in merito e in ordine alle spese. Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 28 gennaio 2010. Il Presidente: Riggio L'estensore: Ferrari