N. 226 SENTENZA 21 - 24 giugno 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Sicurezza  pubblica  -  Volontariato  -  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane - Possibilita', per i  sindaci,  di  avvalersi  della
  collaborazione di associazioni tra cittadini non armati, al fine di
  segnalare alle Forze di polizia dello Stato o locali situazioni  di
  «disagio sociale» - Violazione della competenza regionale residuale
  nella materia «servizi  sociali»  -  Illegittimita'  costituzionale
  parziale. 
- Legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, comma 40. 
- Costituzione, art. 117, quarto comma. 
Sicurezza  pubblica  -  Volontariato  -  Comuni,  Province  e  Citta'
  metropolitane - Possibilita', per i  sindaci,  di  avvalersi  della
  collaborazione di associazioni, iscritte in apposito elenco  tenuto
  dal prefetto, tra cittadini non armati, al fine di  segnalare  alle
  Forze di polizia dello Stato o locali eventi che  possano  arrecare
  danno alla «sicurezza urbana» - Avvalimento prioritario di apposite
  associazioni disciplinate con decreto del Ministro  dell'interno  -
  Ricorso delle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e Umbria  -  Asserita
  violazione della  competenza  regionale  residuale  in  materia  di
  polizia amministrativa locale e in materia  di  politiche  sociali,
  dei  limiti  alla  potesta'  regolamentare  statale,  nonche'   del
  principio  di  leale  collaborazione   -   Riconducibilita'   delle
  disposizioni denunciate alla  competenza  esclusiva  statale  nella
  materia «ordine  pubblico  e  sicurezza»  -  Non  fondatezza  delle
  questioni. 
- Legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 3, commi 41, 42 e 43. 
- Costituzione, artt. 117, commi secondo, lett. h), quarto e sesto, e
  118. 
(GU n.26 del 30-6-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Maria  Rita  SAULLE,  Giuseppe  TESAURO,  Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 3, commi 40, 41,
42 e 43 della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di
sicurezza pubblica), promossi dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna e
Umbria, notificati il 22 settembre 2009, depositati in cancelleria il
25, il 29 ed il 30 settembre 2009 e rispettivamente iscritti  ai  nn.
64, 66 e 67 del registro ricorsi 2009. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  28  aprile  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo; 
    Uditi  gli  avvocati  Lucia  Bora   per   la   Regione   Toscana,
Giandomenico  Falcon  per  le  Regioni  Emilia-Romagna  e  Umbria   e
l'avvocato dello Stato  Gabriella  Palmieri  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il  22  settembre  2009,  la  Regione
Toscana  ha  promosso  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 3, commi 40, 41, 42 e 43, della legge 15 luglio 2009, n. 94
(Disposizioni in  materia  di  sicurezza  pubblica),  per  violazione
dell'art. 117, commi secondo,  lettera  h),  quarto  e  sesto,  della
Costituzione, nonche' del principio di leale collaborazione. 
    La  ricorrente  premette  che  le  norme  impugnate  regolano  la
collaborazione di associazioni di privati cittadini alla tutela della
sicurezza urbana e alla prevenzione di situazioni di disagio sociale. 
    In particolare, il comma 40 del citato  art.  3  prevede  che  «i
sindaci, previa intesa  con  il  prefetto,  possono  avvalersi  della
collaborazione di cittadini non armati  al  fine  di  segnalare  alle
Forze di polizia dello Stato o locali  eventi  che  possano  arrecare
danno alla sicurezza urbana ovvero situazioni di disagio sociale». 
    Il  comma  41  stabilisce  che  le  predette  associazioni  «sono
iscritte in apposito  elenco  tenuto  a  cura  del  prefetto,  previa
verifica da parte dello stesso, sentito il comitato  provinciale  per
l'ordine e la sicurezza pubblica, dei  requisiti  necessari  previsti
dal decreto di cui al comma 43», e demanda allo  stesso  prefetto  di
provvedere «al loro periodico monitoraggio, informando dei  risultati
il comitato». 
    Il comma  42  precisa  ulteriormente  che  «tra  le  associazioni
iscritte nell'elenco di cui al comma 41 i sindaci  si  avvalgono,  in
via prioritaria,  di  quelle  costituite  tra  gli  appartenenti,  in
congedo, alle Forze dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi
dello Stato», aggiungendo che  «le  associazioni  diverse  da  queste
ultime sono iscritte negli elenchi solo se non siano destinatarie,  a
nessun  titolo,  di  risorse  economiche  a  carico   della   finanza
pubblica». 
    Da ultimo, il comma 43 attribuisce ad  un  decreto  del  Ministro
dell'interno, da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata
in vigore della legge, il compito di determinare gli ambiti operativi
delle disposizioni di cui ai commi 40 e 41, nonche' i  requisiti  per
l'iscrizione e le modalita' di tenuta degli elenchi. 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  le  disposizioni  ora   ricordate
risulterebbero invasive delle competenze legislative regionali. 
    Alla luce di una consolidata giurisprudenza  costituzionale,  che
si pone in linea di continuita' con un  orientamento  formatosi  gia'
prima della riforma del Titolo V della Parte II  della  Costituzione,
la materia della «sicurezza», demandata alla  legislazione  esclusiva
statale dall'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost., deve essere,
difatti, intesa in senso restrittivo. Tenuto conto della  connessione
testuale con l'«ordine pubblico» e dell'esplicita esclusione dal  suo
ambito della «polizia amministrativa locale»,  nonche'  dell'esigenza
di evitare una smisurata dilatazione dell'area di intervento statale,
il concetto di «sicurezza» va ritenuto comprensivo,  in  specie,  dei
soli  interventi  finalizzati  alla  prevenzione  dei  reati   o   al
mantenimento  dell'ordine  pubblico,  inteso,   quest'ultimo,   quale
complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi  pubblici
primari sui  cui  si  regge  l'ordinata  e  civile  convivenza  nella
comunita' nazionale. 
    Quanto, invece, alla «polizia amministrativa  locale»  -  materia
rientrante nella potesta' legislativa  residuale  delle  Regioni,  ai
sensi della disposizione combinata del secondo comma, lettera  h),  e
del quarto comma dell'art. 117 Cost. - essa abbraccia l'insieme delle
misure dirette ad evitare danni o pregiudizi ai soggetti giuridici  e
alle cose nello svolgimento di attivita' relative alle materie  nelle
quali vengono esercitate le competenze delle  Regioni  e  degli  enti
locali. 
    La  Regione  Toscana  ha   esercitato   la   propria   competenza
legislativa in materia con la legge regionale 3 aprile  2006,  n.  12
(Norme in materia di polizia comunale e provinciale), il cui  art.  7
prevede  specificamente  che  associazioni  di  volontariato  possano
partecipare allo svolgimento di compiti  di  «polizia  amministrativa
locale». Piu' in particolare, e' previsto che i comuni e le  province
possano  stipulare  convenzioni  con  le  associazioni  iscritte  nel
registro di cui all'art. 4 della legge regionale 26 aprile  1993,  n.
28 (Norme relative ai rapporti delle organizzazioni  di  volontariato
con la  Regione,  gli  Enti  locali  e  gli  altri  Enti  pubblici  -
Istituzione  del  registro   regionale   delle   organizzazioni   del
volontariato),   e   successive   modificazioni,   «per    realizzare
collaborazioni tra queste ultime e le  strutture  di  polizia  locale
rivolte a favorire l'educazione alla convivenza, al senso civico e al
rispetto della legalita'». 
    Le norme statali di cui ai commi 40, 41 e 42  dell'art.  3  della
legge n. 94 del 2009 inciderebbero  sulla  disciplina  regionale  ora
ricordata, vanificando il ruolo e i  compiti  delle  associazioni  di
volontariato da essa previste. 
    Le espressioni di cui  il  comma  40  si  avvale   -   «sicurezza
urbana» e «disagio sociale»  -  sarebbero infatti idonee, nella  loro
ampiezza e genericita', a svuotare di contenuto le  competenze  della
Regione. 
    In  base  alla  ricordata   giurisprudenza   costituzionale,   la
«sicurezza urbana»  potrebbe  essere,  in  effetti,  ricondotta  alla
competenza statale solo se circoscritta agli interventi finalizzati -
nell'ambito  delle  citta'  -  alla  prevenzione  dei  reati   e   al
mantenimento dell'ordine pubblico. Tanto e'  vero  che,  in  sede  di
decisione su un ricorso  per  conflitto  di  attribuzioni,  la  Corte
costituzionale ha ritenuto che la definizione di  «sicurezza  urbana»
offerta dall'art. 1 del decreto del Ministro  dell'interno  5  agosto
2008, in attuazione dell'art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008,  n.
92  (Misure  urgenti  in  materia  di  sicurezza),  convertito,   con
modificazioni, dalla legge 24 luglio  2008,  n.  125,  sia  conforme,
bensi', al dettato  costituzionale,  ma  solo  in  quanto  il  citato
decreto ministeriale fa espresso riferimento, come  fondamento  dello
stesso, al secondo comma, lettera h), dell'art. 117  Cost.  (sentenza
n. 196 del 2009). Nell'impugnato art. 3, comma 40, della legge n.  94
del 2009 mancherebbe, di contro, ogni specificazione dei  limiti  del
concetto  di  «sicurezza  urbana»,  il  quale  si   presterebbe,   di
conseguenza, a ricomprendere anche gli interventi volti a  migliorare
le condizioni di vivibilita' dei centri urbani, la convivenza  civile
e  la  coesione  sociale:  interventi  da  ricondurre,  per   contro,
nell'ambito della competenza regionale, in quanto  espressione  della
polizia amministrativa locale. 
    A similare conclusione dovrebbe  pervenirsi  anche  con  riguardo
alla  concorrente  locuzione  «disagio  sociale».  Tale   espressione
apparirebbe, infatti, evocativa della generalita'  delle  situazioni,
protratte nel tempo, nelle quali un soggetto  «non  e'  in  grado  di
utilizzare  le  proprie  risorse  e  le  opportunita'  offerte  dalla
societa'», e quindi «si  isola  o  suscita  rigetto  da  parte  della
societa' stessa». Si tratterebbe, dunque, di  una  nozione  di  ampia
portata, potendo le predette situazioni derivare da molteplici cause,
singole o combinate fra loro  (ristrettezze  economiche,  difficolta'
familiari, disoccupazione, malattie, invalidita',  solitudine,  eta',
carenze culturali, tossicodipendenza e cosi'  via  dicendo).  Sarebbe
evidente, in ogni caso,  come  gli  interventi  finalizzati  a  porre
rimedio a tali  situazioni  disagiate  risultino  riconducibili  alla
sfera delle «politiche sociali»: materia che ricade  anch'essa  nella
competenza legislativa residuale delle Regioni. 
    Analogo contrasto con il riparto costituzionale delle  competenze
legislative sarebbe riscontrabile in rapporto ai successivi commi  41
e 42, giacche', in materia di  polizia  amministrativa  locale  e  di
politiche sociali, la fissazione delle regole  per  la  tenuta  degli
elenchi  e  delle  condizioni  per   l'iscrizione   in   essi   delle
associazioni di volontari non potrebbe che spettare alle Regioni:  e,
infatti, la ricorrente Regione Toscana vi ha provveduto con il citato
art. 7 della legge reg. n. 12 del 2006, che rinvia alla legge reg. n.
28 del 1993. 
    Ne',  d'altra  parte,  sarebbe  possibile   una   interpretazione
conforme a Costituzione delle norme censurate. Non  si  potrebbe,  in
particolare, ritenere che il ricorso alle associazioni  di  volontari
sia da esse previsto nei limiti di cui all'art. 117,  secondo  comma,
lettera h), Cost., perche' cio' significherebbe  affidare  a  privati
cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale  quella  della
prevenzione dei reati e del mantenimento dell'ordine pubblico. 
    Le disposizioni di cui  ai  commi  40,  41  e  42  risulterebbero
illegittime anche sotto il profilo della violazione del principio  di
leale collaborazione. Nessuna di tali disposizioni prevede,  infatti,
un coinvolgimento delle Regioni, neppure  nella  forma  «debole»  del
parere  della  Conferenza  Stato-Regioni:  e  cio'  quantunque   esse
incidano su ambiti complessi, nei quali spesso le competenze  statali
e   quelle   regionali   si   intersecano.   L'esigenza   di    detto
coinvolgimento -  inequivocamente  desumibile  dall'art.  118,  terzo
comma, Cost., che demanda alla legge statale la disciplina  di  forme
di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie  di  cui  all'art.
117, secondo comma, lettera h), Cost. - risulterebbe,  nella  specie,
ancor  piu'  accentuata,  giacche'   la   coesistenza   di   distinte
associazioni di volontariato sul  medesimo  territorio,  regolate  da
norme che propongono differenti modelli organizzativi,  comporterebbe
un  elevato  grado  di  incertezza,  non  solo  normativa,  ma  anche
applicativa. 
    Quanto, infine, al comma 43, esso si porrebbe  in  contrasto  con
l'art. 117, sesto comma, Cost., in quanto attribuirebbe una  potesta'
regolamentare  allo  Stato  in  materie  di  competenza   legislativa
regionale. 
    2. - Con ricorsi di analogo tenore,  notificati  entrambi  il  22
settembre 2009, la Regione Emilia-Romagna e la Regione  Umbria  hanno
promosso questioni di legittimita' costituzionale: 
        a) in via principale, dei commi 40, 41, 42 e 43  dell'art.  3
della legge n. 94 del 2009, per violazione dell'artt.  117,  secondo,
quarto e sesto comma, Cost.; 
        b) in via subordinata, dei commi 40, 41 e 43 del citato  art.
3, per violazione dell'art.  118  Cost.  e  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Le Regioni ricorrenti premettono  di  essersi  anch'esse  dotate,
nell'esercizio  della  propria  potesta'  legislativa  esclusiva   in
materia di polizia  amministrativa  locale,  di  leggi  organiche  di
disciplina di tale servizio: rispettivamente, la legge della  Regione
Emilia-Romagna 4 dicembre  2003,  n.  24  (Disciplina  della  polizia
amministrativa  locale  e  promozione  di  un  sistema  integrato  di
sicurezza), come modificata dalla legge regionale 28 settembre  2007,
n. 21 (Partecipazione della Regione Emilia-Romagna alla  costituzione
della fondazione «Scuola interregionale di Polizia locale». Modifiche
alla legge regionale 4 dicembre  2003,  n.  24),  e  la  legge  della
Regione Umbria 30 aprile 1990, n. 34 (Norme  in  materia  di  polizia
municipale e locale), parzialmente sostituita, da ultimo, dalla legge
regionale 25 gennaio 2005, n. 1 (Disciplina  in  materia  di  polizia
locale). 
    L'art. 8 della legge regionale  emiliana  prevede  specificamente
l'«utilizzazione  del  volontariato»,  quale  «presenza  attiva   sul
territorio,  aggiuntiva  e  non   sostitutiva   rispetto   a   quella
ordinamentale  della  polizia  locale,  con  il  fine  di  promuovere
l'educazione alla  convivenza  e  il  rispetto  della  legalita',  la
mediazione dei conflitti e il dialogo tra le persone,  l'integrazione
e l'inclusione  sociale».  Si  tratta  di  attivita'  svolte  non  da
associazioni, ma da singoli volontari,  in  qualche  misura  inseriti
nell'organizzazione della polizia  locale;  mentre  e'  previsto,  al
comma 3 dello stesso articolo, che le  associazioni  di  volontariato
possano stipulare convenzioni con i comuni e le  province  «con  sole
finalita'  di  supporto  organizzativo  ai  soci  che   svolgano   le
attivita'» di cui  al  medesimo  comma.  La  citata  norma  regionale
determina,  altresi',  analiticamente  i  requisiti  dei   volontari,
prevede che la loro collaborazione  si  limiti  ad  una  «qualificata
attivita'  di  segnalazione»  e  dispone,   fissandone   i   criteri,
l'istituzione da parte dei  Comuni  di  un  registro  nominativo  dei
volontari. 
    Con le norme impugnate, il legislatore statale sarebbe venuto  ad
interferire nell'indicata materia di competenza regionale. 
    Al riguardo - dopo avere ampiamente richiamato la  giurisprudenza
di questa Corte in ordine ai  criteri  identificativi  delle  materie
«ordine pubblico e sicurezza» e «polizia amministrativa locale» -  le
Regioni ricorrenti osservano come il comma 40 dell'art. 3 della legge
n. 94 del 2009,  nel  delineare  l'attivita'  delle  associazioni  di
volontari da esso  disciplinate,  non  menzioni  neppure  la  materia
«ordine pubblico e sicurezza», ma  faccia  diretto  riferimento  agli
«eventi che possano  recare  danno  alla  sicurezza  urbana»  e  alle
«situazioni di disagio sociale». 
    Il concetto di «sicurezza urbana» troverebbe una definizione -  a
livello di disciplina statale - unicamente nel d.m. 5 agosto 2008,  a
mente del quale per  «sicurezza  urbana»  deve  intendersi  «un  bene
pubblico da tutelare attraverso attivita' poste a difesa, nell'ambito
delle comunita' locali, del rispetto delle norme che regolano la vita
civile, per  migliorare  le  condizioni  di  vivibilita'  dei  centri
urbani, la convivenza civile e la coesione sociale». Si  tratterebbe,
dunque,  di  una  nozione  non  limitata  alla  sola   attivita'   di
prevenzione  e  repressione  dei  reati  e,   di   conseguenza,   non
riconducibile allo stretto ambito della materia  «ordine  pubblico  e
sicurezza», di competenza statale. A maggior ragione tale conclusione
si imporrebbe in rapporto al generico riferimento alle «situazioni di
disagio sociale»: nozione, questa, non definita a livello statale, ed
alla quale si richiama, invece, la citata legge  reg.  Emilia-Romagna
n.  24  del  2003,  che  pone  tra  gli  scopi  degli  interventi  la
prevenzione, il contrasto e la riduzione «delle cause del  disagio  e
dell'emarginazione sociale, con particolare  riferimento  alla  legge
regionale 12  marzo  2003,  n.  2  (Norme  per  la  promozione  della
cittadinanza sociale e per la realizzazione di un  sistema  integrato
di interventi e servizi sociali)» (art. 2, comma 3). 
    Ne deriverebbe che la norma censurata, nella parte in cui prevede
l'intesa  del  prefetto  in  relazione  alle  decisioni  comunali  di
avvalersi  della  collaborazione   dei   volontari,   violerebbe   la
competenza regionale in materia di polizia amministrativa locale. 
    L'illegittimita' costituzionale del comma  40  si  riverbererebbe
sul comma 41, nella parte in cui prescrive che le associazioni  siano
iscritte in un elenco tenuto  e  gestito  dalle  prefetture.  Ne'  il
carattere esclusivamente statale di tale  gestione  verrebbe  meno  a
fronte del richiesto parere del comitato provinciale per  l'ordine  e
la sicurezza pubblica, di cui all'art. 20 della legge 1° aprile 1981,
n.  121  (Nuovo  ordinamento  dell'Amministrazione   della   pubblica
sicurezza), trattandosi di organo  anch'esso  statale,  senza  alcuna
partecipazione delle Regioni. 
    Altrettanto dovrebbe dirsi con riguardo al successivo  comma  42,
che stabilisce criteri di preferenza nella scelta delle  associazioni
iscritte  e  vieta  l'iscrizione  nell'elenco  di  associazioni   che
fruiscano di risorse a carico della finanza  pubblica:  essendosi  al
cospetto  di  scelte  che,  nell'ambito  dei   servizi   di   polizia
amministrativa locale, spettano al  legislatore  regionale  e  non  a
quello statale. 
    Da ultimo, il comma 43 - nell'affidare ad un decreto del Ministro
dell'interno  il  completamento  della  disciplina  posta  dai  commi
precedenti (compito concretamente assolto dal d.m. 8 agosto 2009,  di
cui le ricorrenti deducono  di  aver  deliberato  l'impugnazione  per
conflitto di attribuzioni) - violerebbe, oltre al  quarto,  anche  il
sesto  comma  dell'art.  117   Cost.,   prevedendo   una   competenza
regolamentare statale in materia di competenza legislativa regionale. 
    In via subordinata, ove si ritenesse che le norme censurate siano
espressione di una esigenza di disciplina unitaria in  un  ambito  in
cui le competenze statali e regionali si intersecano, i commi 40,  41
e 43 dell'art. 3 della legge  statale  andrebbero  ritenuti  comunque
costituzionalmente illegittimi per la mancata previsione di  adeguati
meccanismi di  coordinamento:  piu'  in  particolare,  per  non  aver
previsto che all'intesa richiesta ai  fini  dell'utilizzazione  delle
associazioni partecipi anche la Regione; che questa  abbia  un  ruolo
nella procedura di iscrizione e nel monitoraggio  delle  associazioni
stesse; che la disciplina di completamento sia dettata, anziche'  con
atto unilaterale del Ministro  dell'interno,  dallo  stesso  Ministro
d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni o, preferibilmente -  stante
la presenza di interessi provinciali e comunali - con  la  Conferenza
unificata. 
    L'esigenza  di  introdurre  meccanismi  di  coinvolgimento  delle
Regioni deriverebbe non soltanto  dal  generale  principio  di  leale
collaborazione, ma anche dallo specifico  dovere,  sancito  a  carico
dello Stato dall'art. 118, terzo comma, Cost., di disciplinare «forme
di coordinamento tra Stato e  Regioni»  nelle  materie  di  cui  alla
lettera h) del secondo comma dell'art. 117 Cost. 
    3. - Si e' costituito, in tutti  i  giudizi,  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo il rigetto dei ricorsi. 
    Ad avviso  della  difesa  dello  Stato,  le  norme  impugnate  si
collocherebbero  nell'ambito  della  materia   «ordine   pubblico   e
sicurezza», quale definita dalla giurisprudenza costituzionale; cio',
anche alla luce del criterio della prevalenza, del quale la Corte  ha
gia' fatto specifica applicazione in situazioni di astratto  concorso
con la competenza  in  materia  di  «polizia  amministrativa  locale»
(sentenza n. 222 del 2006): criterio che assicurerebbe «una  notevole
capacita' penetrativa  alla  potesta'  legislativa  statale,  con  un
raggio d'azione [...] trasversale e potenzialmente espansivo su altre
materie anche di competenza regionale». 
    In questa  prospettiva,  rientrerebbe  nella  competenza  statale
anche l'attivita' degli osservatori volontari, i quali, ai sensi  del
comma 40 dell'art. 3 della legge n. 94 del 2009, segnalano situazioni
di pericolo per la sicurezza urbana o di disagio sociale. 
    Quanto,  infatti,  al  concetto   di   «sicurezza   urbana»,   la
definizione  offerta  dal  d.m.  5   agosto   2008 -   specificamente
richiamato, nelle premesse,  dal  d.m.  8  agosto  2009,  emanato  in
attuazione della legge n. 94 del 2009 - ha gia'  superato  il  vaglio
della Corte costituzionale (sentenza n. 196 del 2009). Ma neanche  il
riferimento alle «situazioni di disagio  sociale»  implicherebbe  una
invasione delle competenze regionali,  e  in  particolare  di  quella
attinente ai «servizi  sociali».  Tale  materia  comprende,  infatti,
«tutte le attivita' relative alla predisposizione  ed  erogazione  di
servizi [...] o di prestazioni economiche  destinate  a  rimuovere  e
superare le situazioni di bisogno e difficolta' che la persona  umana
incontra nel corso della sua vita» (sentenza  n.  50  del  2008).  Di
contro, gli osservatori volontari previsti dalla legge n. 94 del 2009
si limitano a segnalare situazioni critiche, senza erogare servizi. 
    Parimenti infondate risulterebbero le censure mosse al comma  41.
Acclarato, infatti, che le associazioni di volontari operano solo  in
ambiti di competenza statale, apparirebbe pienamente giustificata  la
scelta di affidare al prefetto il controllo sulle associazioni stesse
e di prevedere la consultazione del comitato provinciale per l'ordine
e la  sicurezza  pubblica:  organo,  quest'ultimo,  alle  cui  sedute
possono essere chiamati  a  partecipare  i  responsabili  degli  enti
locali interessati, attuando, cosi', il necessario coordinamento  con
le attivita' di competenza dei sindaci. 
    Analogamente,  la  preferenza  accordata  dal   comma   42   alle
associazioni  costituite  da  appartenenti  in  congedo  alle   Forze
dell'ordine risponderebbe alla ratio di privilegiare l'intervento  di
persone abituate ad individuare e gestire situazioni di pericolo «per
l'incolumita' delle persone, la sicurezza dei possessi e  il  disagio
sociale», confermando che il legislatore ha ritenuto l'attivita'  dei
volontari finalizzata  alla  tutela  dell'ordine  e  della  sicurezza
pubblica. 
    Infondate risulterebbero, infine, le censure  relative  al  comma
43, giacche' il riconoscimento della  piena  competenza  dello  Stato
comporterebbe che il  legislatore  statale  sia  anche  abilitato  ad
individuare i meccanismi per la predisposizione degli  elenchi  delle
associazioni e il controllo sugli iscritti. 
    Ne', d'altro canto, si potrebbero invocare forme di coordinamento
ulteriori rispetto a quelle gia' assicurate  dal  coinvolgimento  del
comitato per l'ordine e la  sicurezza  pubblica.  Anche  a  ritenere,
infatti, che le attivita' svolte dagli osservatori  siano  «contigue»
ad ambiti afferenti alla polizia  amministrativa  locale,  la  comune
finalita'   delle   disposizioni    denunciate,    consistente    nel
miglioramento delle condizioni di sicurezza dei  cittadini,  varrebbe
comunque a ricondurle alla  materia  «ordine  pubblico  e  sicurezza»
sulla base del criterio della prevalenza,  senza  che  sia  richiesta
l'applicazione del principio di leale collaborazione. 
    4. - Nell'imminenza dell'udienza pubblica, la Regione Toscana  ha
depositato memoria illustrativa, volta a confutare le  argomentazioni
della difesa dello Stato. 
    Secondo la ricorrente, non  risulterebbe  probante,  ai  fini  di
inquadrare l'attivita' delle associazioni  di  volontari  nell'ambito
della materia «ordine pubblico e sicurezza», il riferimento al d.m. 5
agosto 2008, a propria volta  richiamato  dal  d.m.  8  agosto  2009,
attuativo delle norme legislative censurate  (decreto,  quest'ultimo,
che la Regione Toscana deduce di aver anch'essa impugnato con ricorso
per conflitto di attribuzioni). In primo luogo, infatti,  l'idoneita'
lesiva delle competenze regionali,  insita  nella  genericita'  delle
espressioni utilizzate dalle disposizioni legislative denunciate, non
potrebbe essere eliminata rimettendo l'individuazione del significato
di tali espressioni ad un decreto ministeriale,  per  giunta  tramite
rinvio operato da un ulteriore decreto. In secondo luogo, e comunque,
andrebbe  ribadito  che  il  decreto  ministeriale  in  questione  ha
superato il sindacato della  Corte  costituzionale  solo  perche',  a
differenza  delle  norme  impugnate,  faceva   espresso   riferimento
all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
    Ne' potrebbe trovare  applicazione,  nella  specie,  il  criterio
della prevalenza. La Corte costituzionale ha, infatti, rimarcato come
l'interpretazione restrittiva del  concetto  di  «ordine  pubblico  e
sicurezza» si imponga per non privare di significato le  attribuzioni
regionali in materia  di  «polizia  amministrativa  locale»:  il  che
renderebbe illogico  ipotizzare  l'operativita'  del  criterio  della
prevalenza, idoneo ad attrarre per altra via le  predette  competenze
nella sfera statale. In ogni  caso,  non  sussisterebbero  neppure  i
requisiti  individuati  dalla   giurisprudenza   costituzionale   per
l'applicazione del criterio in questione, ossia il  perseguimento  di
una medesima  finalita'.  L'unica  possibile  finalita'  comune  alle
disposizioni censurate  sarebbe,  infatti,  quella  di  garantire  la
«buona vivibilita'» delle aree urbane: finalita' che, per  l'ampiezza
delle attivita' e delle funzioni ad essa riconducibili,  decamperebbe
dall'alveo delle competenze statali. 
    In rapporto, poi, all'attivita' di segnalazione delle  situazioni
di «disagio sociale» verrebbe in rilievo,  non  tanto  la  competenza
regionale in materia di «servizi sociali», ma quella  piu'  ampia  in
tema di «politiche sociali»: materia che abbraccia il complesso degli
interventi volti non soltanto a rimuovere le situazioni  di  disagio,
ma anche a prevenirle, e  dunque  anche  l'attivita'  preliminare  di
monitoraggio delle condizioni di vita della comunita'. Con  la  legge
regionale 24 febbraio 2005, n. 41 (Sistema integrato di interventi  e
servizi per la  tutela  dei  diritti  di  cittadinanza  sociale),  la
Regione Toscana ha gia' esercitato, peraltro, la  propria  competenza
in materia, prevedendo  l'adozione  di  apposite  «politiche  per  le
persone a rischio  di  esclusione  sociale»  (art.  58),  consistenti
«nell'insieme degli interventi e dei  servizi  volti  a  prevenire  e
ridurre tutte  le  forme  di  emarginazione,  comprese  le  forme  di
poverta' estrema». 
    Stante l'eterogeneita' delle cause delle  situazioni  di  disagio
sociale, sarebbe inoltre impossibile ravvisare  in  dette  situazioni
elementi di rischio per l'ordine pubblico e la sicurezza. 
    Quanto, infine, all'asserita impossibilita' di invocare forme  di
coordinamento ulteriori rispetto al previsto intervento del  comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica,  tale  affermazione
rifletterebbe   l'erroneo   presupposto   che    l'attivita'    delle
associazioni in questione sia integralmente riconducibile  all'ordine
pubblico e alla sicurezza: e cio' a prescindere dal rilievo  che  nel
predetto comitato possono essere coinvolti solo i rappresentati degli
enti locali, e non anche quelli della Regione interessata. 
    5. - Anche le Regioni Emilia-Romagna e  Umbria  hanno  depositato
memorie   illustrative,   di   analogo   tenore,    insistendo    per
l'accoglimento dei ricorsi. 
    Le ricorrenti rilevano che - diversamente da quanto  sostiene  la
difesa dello Stato - la giurisprudenza costituzionale non avrebbe mai
esteso la competenza statale di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), Cost. ai settori della sicurezza urbana in  senso  ampio,
come definita dal d.m. 5 agosto 2008, e alle  situazioni  di  disagio
sociale. Con la sentenza n. 196 del 2009, la Corte ha potuto  infatti
respingere il ricorso proposto  avverso  detto  decreto  ministeriale
solo dandone una interpretazione restrittiva e adeguatrice,  e  cioe'
stabilendo - sulla base di un insieme di argomenti  esegetici  -  che
esso  «ha  ad  oggetto  esclusivamente  la  tutela  della   sicurezza
pubblica, intesa come attivita'  di  prevenzione  e  repressione  dei
reati». 
    Ne' potrebbe condividersi la tesi secondo la quale  il  comma  40
dell'art. 3, nonostante il riferimento alle  «situazioni  di  disagio
sociale», non intacca le competenze regionali in materia  di  servizi
sociali, in quanto gli osservatori volontari  sono  chiamati  non  ad
erogare servizi, ma a delle  semplici  segnalazioni.  A  prescindere,
infatti, dal rilievo che, ragionando in questi termini,  si  dovrebbe
ammettere che anche la  Regione  sia  legittimata  a  creare  proprie
«ronde» con il compito di segnalare alla polizia  statale  fatti  che
mettono in pericolo l'ordine  pubblico,  risulterebbe  evidente  come
l'organizzazione di un servizio  specifico  in  un  campo  rientrante
nella competenza delle Regioni leda comunque la competenza stessa. In
realta',  dalle   norme   impugnate   emergerebbe   chiaramente   che
l'attivita' degli osservatori  e'  stata  considerata  di  competenza
statale per ragioni di materia, e  non  gia'  perche'  si  tratta  di
attivita' di mera segnalazione, come attesta la  circostanza  che  la
segnalazione stessa non venga effettuata alle «istituzioni preposte»,
ma alla polizia statale e locale, senza  alcun  coinvolgimento  degli
organi competenti in materia di servizi sociali. 
    Quanto, poi, al comma 41, l'intervento del  comitato  provinciale
per l'ordine e la sicurezza non  assicurerebbe  affatto  un  adeguato
coordinamento  tra  competenze  statali  e  regionali.  Da  un  lato,
infatti, tale intervento risulta limitato alla semplice  formulazione
di un parere circa il possesso,  da  parte  delle  associazioni,  dei
requisiti necessari ai fini dell'iscrizione nel registro; dall'altro,
il coordinamento resterebbe comunque interno alle competenze  statali
(quelle del prefetto  e  quelle  dei  sindaci,  quali  ufficiali  del
Governo), senza garantire alcuna tutela alle competenze regionali. 
    Per quel che attiene, ancora, al  comma  42,  il  riferimento  al
«disagio   sociale»   risulterebbe   evidentemente   «eterogeneo   ed
artificioso»  rispetto  alla  scelta  legislativa  di  preferire   le
associazioni costituite  tra  appartenenti  in  congedo  «alle  Forze
dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi dello Stato». 
    Ne',  da  ultimo,  potrebbe  farsi  appello  al  criterio   della
prevalenza,  giacche'  le  norme  impugnate  non  sarebbero   affatto
accomunate dalla finalita' di migliorare la sicurezza dei  cittadini.
Ad  escluderlo  basterebbe  gia'   il   suddetto   riferimento   alle
«situazioni di disagio sociale»: ma lo stesso concetto di  «sicurezza
urbana» si  estenderebbe  ad  interventi  estranei  all'ambito  della
materia di cui all'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Regione Toscana ha  promosso  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 40, 41, 42 e  43,  della  legge  15
luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica). 
    Ad avviso della ricorrente, il comma 40 del citato art. 3  -  nel
prevedere che «i sindaci, previa  intesa  con  il  prefetto,  possono
avvalersi della collaborazione di cittadini non  armati  al  fine  di
segnalare alle Forze di polizia  dello  Stato  o  locali  eventi  che
possano arrecare danno alla sicurezza  urbana  ovvero  situazioni  di
disagio  sociale»   -   detterebbe   una   disposizione   esorbitante
dall'ambito  della  materia  «ordine  pubblico   e   sicurezza»,   di
competenza legislativa statale  esclusiva  ai  sensi  dell'art.  117,
secondo comma, lettera h), della Costituzione:  materia  da  reputare
circoscritta, per  consolidata  giurisprudenza  costituzionale,  alle
sole misure inerenti alla prevenzione dei  reati  o  al  mantenimento
dell'ordine pubblico. 
    Il  generico  concetto  di  «sicurezza  urbana»  si  presterebbe,
infatti, a ricomprendere interventi - quali quelli volti a migliorare
le condizioni di vivibilita' dei centri urbani, la convivenza  civile
e la coesione sociale - che esulano dal predetto ambito, per ricadere
nel  campo  della  «polizia  amministrativa  locale»,  di  competenza
legislativa esclusiva regionale,  ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera h), e quarto comma, Cost.; mentre la formula  «disagio
sociale» evocherebbe un'ampia gamma di situazioni  di  emarginazione,
di varia matrice eziologica, che richiedono  interventi  inquadrabili
nella materia delle  «politiche  sociali»,  anch'essa  di  competenza
regionale esclusiva ai sensi del quarto comma dell'art. 117 Cost. 
    Gli    evidenziati    profili    di    incostituzionalita'     si
riverbererebbero sulle disposizioni di cui ai commi successivi  dello
stesso art. 3: disposizioni  che,  per  un  verso,  attribuiscono  al
prefetto il compito di tenere l'elenco  in  cui  le  associazioni  di
volontari debbono essere iscritte, di verificare la  sussistenza  dei
requisiti  per  l'iscrizione,  sentito   il   parere   del   comitato
provinciale per l'ordine e la sicurezza  pubblica,  e  di  monitorare
periodicamente le associazioni stesse (comma 41); e, per altro verso,
stabiliscono che i sindaci debbano avvalersi, prioritariamente, delle
associazioni costituite tra gli appartenenti, in congedo, «alle Forze
dell'ordine, alle Forze armate e agli altri Corpi  dello  Stato»,  ed
escludono che associazioni diverse da queste  ultime  possano  essere
iscritte negli elenchi ove  destinatarie,  a  qualunque  titolo,  «di
risorse economiche a carico della finanza pubblica»  (comma  42).  In
materia di polizia amministrativa locale e di politiche  sociali,  la
fissazione delle regole  in  questione  non  potrebbe,  infatti,  che
competere alle Regioni. 
    Le citate disposizioni di cui ai commi 40, 41 e 42 risulterebbero
illegittime anche sotto il profilo della violazione del principio  di
leale collaborazione, giacche', pur incidendo su ambiti nei quali  le
competenze statali e regionali si intersecano, non  prevedono  alcuna
forma di coinvolgimento delle Regioni. 
    Da ultimo, il comma 43 - demandando ad un  decreto  del  Ministro
dell'interno il compito di determinare  gli  ambiti  operativi  delle
disposizioni di cui ai  commi  40  e  41,  nonche'  i  requisiti  per
l'iscrizione nell'elenco e le modalita' di tenuta degli elenchi -  si
porrebbe in  contrasto  con  il  sesto  comma  dell'art.  117  Cost.,
attribuendo una potesta'  regolamentare  allo  Stato  in  materie  di
competenza legislativa regionale. 
    2. - Le disposizioni di cui all'art. 3, commi 40, 41,  42  e  43,
della legge n. 94 del 2009 sono impugnate,  con  ricorsi  di  analogo
tenore, anche dalle Regioni Emilia-Romagna e Umbria. 
    Ad avviso delle ricorrenti, il comma 40 dell'art. 3 violerebbe il
secondo comma, lettera h), e il quarto  comma  dell'art.  117  Cost.,
nella parte in cui richiede l'intesa con il prefetto in rapporto alla
decisione dei comuni di avvalersi della collaborazione di volontari a
fini  di  tutela  della  sicurezza  urbana  e  di  prevenzione  delle
situazioni di disagio  sociale.  L'attivita'  regolata  decamperebbe,
infatti, dai ristretti confini propri della materia «ordine  pubblico
e sicurezza», per ricadere nell'ambito della «polizia  amministrativa
locale», di competenza regionale. 
    Conseguentemente, risulterebbero inficiati da  analogo  vizio  di
costituzionalita' anche i commi 41 e 42, che dettano regole  in  tema
di iscrizione delle associazioni di volontari in elenchi  tenuti  dai
prefetti, di scelta fra le associazioni  iscritte  e  di  divieto  di
iscrizione delle associazioni destinatarie  di  contributi  pubblici:
trattandosi di determinazioni che, nell'ambito dei servizi di polizia
amministrativa locale, spettano al  legislatore  regionale  e  non  a
quello statale. 
    Da ultimo, il comma 43 - nel rimettere ad un decreto del Ministro
dell'interno  il  completamento  della  disciplina  posta  dai  commi
precedenti - violerebbe,  oltre  al  quarto,  anche  il  sesto  comma
dell'art. 117 Cost., prevedendo una competenza regolamentare  statale
in materia di competenza legislativa regionale. 
    In  via  subordinata,  e  per  l'eventualita'  in  cui  le  norme
censurate fossero ritenute espressive di una esigenza  di  disciplina
unitaria in un ambito in cui le competenze  statali  e  regionali  si
intersecano, le ricorrenti deducono l'incostituzionalita'  dei  commi
40, 41 e 43 per violazione del principio di  leale  collaborazione  e
dello specifico dovere, sancito a carico dello Stato  dall'art.  118,
terzo comma, Cost., di disciplinare «forme di coordinamento tra Stato
e Regioni» nelle materie di cui alla lettera  h)  del  secondo  comma
dell'art. 117 Cost. Cio', in conseguenza della mancata previsione  di
adeguati meccanismi di coinvolgimento delle Regioni  nelle  attivita'
regolate. 
    3. - I ricorsi sollevano questioni di legittimita' costituzionale
aventi ad oggetto le medesime norme e  basate  su  censure  in  larga
parte analoghe, onde i relativi  giudizi  vanno  riuniti  per  essere
definiti con unica decisione. 
    4. - Giova rimarcare preliminarmente come la  disciplina  dettata
nelle norme impugnate formi  oggetto  di  scrutinio,  nella  presente
sede,  esclusivamente  nella   prospettiva   della   verifica   della
denunciata invasione delle competenze  legislative  regionali,  avuto
riguardo segnatamente alla  spettanza  del  potere  di  stabilire  le
condizioni alle quali i Comuni possono avvalersi della collaborazione
di associazioni di  privati  per  il  controllo  del  territorio.  La
decisione  non  investe,  dunque,  in  alcun  modo,  il  diritto   di
associazione dei cittadini ai fini dello  svolgimento  dell'attivita'
di segnalazione descritta dalle disposizioni censurate: diritto  che,
ai  sensi  dell'art.  18,   primo   comma,   Cost.,   resta   affatto
impregiudicato. 
    5.  -  Cio'  puntualizzato,  la  questione  di  costituzionalita'
relativa al comma 40 dell'art. 3  della  legge  n.  94  del  2009  e'
fondata, nei limiti di seguito specificati. 
    5.1. - La facolta' di avvalersi di gruppi di osservatori  privati
volontari  (cosiddette  «ronde»)  per  il  controllo  del  territorio
rappresenta un ulteriore strumento offerto  ai  sindaci,  a  fini  di
salvaguardia  della   sicurezza   urbana,   dai   tre   provvedimenti
legislativi statali, recanti misure in materia di sicurezza pubblica,
intervenuti, in rapida successione, a cavallo  degli  anni  2008-2009
(cosiddetti «pacchetti sicurezza»). 
    Esso si affianca, infatti, al potere  dei  sindaci  di  adottare,
nella  veste  di  ufficiali  del   Governo,   provvedimenti,   «anche
contingibili  e  urgenti   nel   rispetto   dei   principi   generali
dell'ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi  pericoli
che minacciano [...] la sicurezza urbana»: potere loro conferito  dal
primo  dei   predetti   provvedimenti   legislativi   (art.   6   del
decreto-legge 23 maggio 2008,  n.  92,  recante  «Misure  urgenti  in
materia di sicurezza pubblica», convertito, con  modificazioni  dalla
legge 24 luglio 2008, n.  125),  tramite  novellazione  del  comma  4
dell'art. 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000,  n.  267  (Testo
unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali). 
    Nell'occasione, il legislatore - con  tecnica  poi  reiterata  in
rapporto all'intervento normativo che qui interessa - ha demandato ad
un decreto del Ministro dell'interno  la  determinazione  dell'ambito
applicativo della ricordata disposizione, con  particolare  riguardo,
tra l'altro, alla definizione  del  concetto  di  «sicurezza  urbana»
(art. 54, comma 4-bis, del d.lgs. n. 267 del 2000, come  modificato).
Tale compito e' stato assolto dal d.m. 5  agosto  2008:  decreto  che
questa Corte ha avuto modo di scrutinare a  seguito  di  ricorso  per
conflitto  di  attribuzione  promosso  dalla  Provincia  autonoma  di
Bolzano,  escludendo   la   denunciata   lesione   delle   competenze
provinciali (sentenza n. 196 del 2009). 
    Lo  strumento  in  esame  si  aggiunge,  per  altro  verso,  alla
possibilita',   per   i   comuni,   di    utilizzare    sistemi    di
videosorveglianza «per la tutela  della  sicurezza  urbana»,  secondo
quanto e' stabilito  dall'art.  6,  comma  7,  del  decreto-legge  23
febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica
e di contrasto alla  violenza  sessuale,  nonche'  in  tema  di  atti
persecutori), convertito, con modificazioni, dalla  legge  23  aprile
2009, n. 38 (costituente il secondo dei provvedimenti legislativi  in
questione). La facolta' di avvalersi delle associazioni di  volontari
era, in effetti, originariamente prevista dallo  stesso  art.  6  del
decreto-legge ora citato. Le relative disposizioni furono,  tuttavia,
soppresse in sede di conversione,  per  refluire  indi  nell'art.  3,
commi 40, 41, 42 e 43,  della  legge  n.  94  del  2009:  norme  oggi
impugnate. 
    5.2. - Tanto premesso, il problema  nodale  posto  dalle  odierne
questioni di costituzionalita' attiene  alla  valenza  delle  formule
«sicurezza urbana» e «situazioni di disagio sociale»,  che  compaiono
nel comma 40 dell'art. 3 della legge  da  ultimo  citata  a  fini  di
identificazione dell'oggetto delle attivita' cui le  associazioni  di
volontari sono chiamate («i sindaci, previa intesa con  il  prefetto,
possono avvalersi della collaborazione di associazioni tra  cittadini
non armati al fine di segnalare alle Forze di polizia dello  Stato  o
locali eventi che possano arrecare danno alla sicurezza urbana ovvero
situazioni  di  disagio  sociale»).  In  particolare,  si  tratta  di
stabilire se dette formule individuino  o  meno  ambiti  d'intervento
inquadrabili nella materia «ordine pubblico e  sicurezza»,  demandata
alla legislazione esclusiva statale  dall'art.  117,  secondo  comma,
lettera h), Cost.: materia che - in  contrapposizione  alla  «polizia
amministrativa locale», da essa espressamente esclusa -  deve  essere
intesa, secondo  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,  in
termini restrittivi, ossia come relativa alle  sole  misure  inerenti
alla prevenzione dei  reati  e  alla  tutela  dei  primari  interessi
pubblici sui quali si regge  l'ordinata  e  civile  convivenza  della
comunita' nazionale (ex plurimis, sentenze n. 129 del 2009; n. 237  e
n. 222 del 2006; n. 383 e n. 95 del 2005; n. 428 del 2004). 
    L'interrogativo richiede una risposta differenziata  in  rapporto
alle due locuzioni che vengono in rilievo. 
    5.3. - Quanto, infatti, al concetto  di  «sicurezza  urbana»,  il
dettato della norma impugnata non e' in contrasto con  la  previsione
costituzionale. 
    Come gia' ricordato, questa Corte ha avuto modo  di  pronunciarsi
sul d.m. 5 agosto 2008, che ha definito il concetto in questione  con
riferimento al potere dei sindaci di adottare  provvedimenti  secondo
la previsione dell'art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del  2000.  Ai
sensi dell'art. 1 del citato  decreto  ministeriale,  la  nozione  di
«sicurezza  urbana»  identifica  «un  bene   pubblico   da   tutelare
attraverso attivita' poste  a  difesa,  nell'ambito  delle  comunita'
locali, del rispetto delle norme che regolano  la  vita  civile,  per
migliorare  le  condizioni  di  vivibilita'  nei  centri  urbani,  la
convivenza civile e la coesione sociale». 
    Nell'occasione,  questa  Corte  ha  ritenuto  che  -   nonostante
l'apparente ampiezza della definizione ora riprodotta  -  il  decreto
ministeriale in questione abbia comunque ad oggetto esclusivamente la
tutela della sicurezza pubblica, intesa come attivita' di prevenzione
e repressione dei reati. In tale direzione, si sono  valorizzati  sia
la titolazione del d.l. n. 92 del 2008 (che si riferisce appunto alla
«sicurezza pubblica»); sia il richiamo, contenuto nelle premesse  del
decreto,  come  fondamento  giuridico  dello  stesso,  all'art.  117,
secondo  comma,  lettera  h),  Cost.,  oggetto   dell'interpretazione
restrittiva  dianzi   ricordata   ad   opera   della   giurisprudenza
costituzionale;  sia,  ancora,  la  circostanza  che,  sempre   nelle
premesse, il decreto escluda  espressamente  dal  proprio  ambito  di
riferimento la polizia amministrativa  locale.  Di  qui,  dunque,  la
conclusione che i poteri esercitabili dai sindaci, ai sensi dei commi
1 e 4 dell'art. 54 del d.lgs. n. 267 del 2000, non possono che essere
quelli finalizzati alla attivita' di prevenzione  e  repressione  dei
reati, e non i poteri concernenti lo svolgimento  delle  funzioni  di
polizia amministrativa nelle materie di competenza  delle  Regioni  e
delle Province autonome (sentenza n. 196 del 2009). 
    Alla  stessa  conclusione  si  deve  pervenire  con  riguardo  al
concetto di «sicurezza urbana» che  figura  nella  norma  legislativa
statale oggi impugnata, risultando anche piu' numerosi  e  stringenti
gli argomenti in tale senso. 
    A fianco della titolazione della legge n. 94 del 2009, che, anche
in  questo  caso,  richiama  la  «sicurezza   pubblica»,   viene   in
particolare rilievo l'evidenziato  collegamento  sistematico  tra  il
comma 40 dell'art. 3 di detta  legge  -  che  affida  al  sindaco  la
decisione di avvalersi della  collaborazione  delle  associazioni  di
volontari - e il citato art. 54, comma 4, del d.lgs. n. 267 del 2000:
collegamento reso, peraltro, piu'  evidente  dalla  disposizione  del
comma 5 di tale articolo, che gia' prefigurava il  coinvolgimento  di
«soggetti privati» in rapporto ai provvedimenti  sindacali  a  tutela
della sicurezza urbana che interessassero piu' comuni. 
    Di  qui,  dunque,  la  logica  conseguenza  che  il  concetto  di
«sicurezza urbana» debba avere l'identica valenza nei due casi: cioe'
quella che, in rapporto ai provvedimenti  previsti  dal  testo  unico
delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, la citata sentenza n.
196 del 2009  ha  gia'  ritenuto  non  esorbitante  dalla  previsione
dell'art. 117, secondo comma, lettera h), Cost. Quanto precede trova,
del resto, conferma nel d.m. 8 agosto 2009, che,  in  attuazione  del
comma 43 della legge n. 94 del 2009, individua gli  ambiti  operativi
dell'attivita'  delle  associazioni  in   questione.   Tale   decreto
richiama, infatti, nel preambolo espressamente tanto  l'art.  54  del
d.lgs. n. 267 del 2000, quanto il d.m. 5 agosto 2008, e fa ulteriore,
specifico rinvio al secondo nell'art. 1, comma 2, proprio al fine  di
estendere all'attivita' delle associazioni di volontari la nozione di
«sicurezza urbana» da esso offerta. 
    Sotto diverso profilo, poi,  l'intera  disciplina  dettata  dalle
norme impugnate si presenta coerente con una lettura del concetto  di
«sicurezza urbana» evocativa della sola attivita'  di  prevenzione  e
repressione dei reati. Significative,  in  tale  direzione,  appaiono
segnatamente le circostanze che la decisione del sindaco di avvalersi
delle associazioni di volontari richieda una intesa con il  prefetto;
che le associazioni debbano essere iscritte in un registro  tenuto  a
cura dello stesso prefetto, previo parere, in sede  di  verifica  dei
requisiti, del comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza
pubblica; che il sindaco debba preferire le  associazioni  costituite
da personale in congedo delle Forze dell'ordine, delle Forze armate o
di  altri  Corpi  dello  Stato,  ossia  da  soggetti  gia'  impegnati
istituzionalmente, o  talvolta  utilizzati  in  funzione  integrativa
nell'esercizio di attivita' di prevenzione e repressione  dei  reati;
che, infine, le segnalazioni degli osservatori siano  indirizzate  in
via esclusiva alle Forze di polizia, statali o locali. 
    Ne'  puo'  condividersi,  per  questo  verso,  l'obiezione  della
Regione Toscana, stando alla  quale  si  dovrebbe  escludere  che  il
ricorso  alle  associazioni  di  volontari,  previsto   dalle   norme
impugnate,   resti   circoscritto   nell'ambito   della    competenza
legislativa statale di cui  alla  lett.  h)  dell'art.  117,  secondo
comma,  Cost.,  perche'  cio'  significherebbe  affidare  a   privati
cittadini una funzione necessariamente pubblica, quale appunto quella
della prevenzione dei reati e del mantenimento dell'ordine  pubblico.
Tale obiezione non tiene conto, a tacer d'altro,  del  fatto  che  le
associazioni di volontari svolgono una attivita' di mera osservazione
e segnalazione e che qualsiasi privato cittadino  puo'  denunciare  i
reati, perseguibili di ufficio, di cui venga a conoscenza  (art.  333
del codice di procedura penale) e addirittura  procedere  all'arresto
in flagranza nei casi previsti dall'art. 380 cod. proc. pen.,  sempre
quando si tratti di reati perseguibili d'ufficio (art. 383 cod. proc.
pen.); mentre lo stesso art. 24 della legge 1° aprile  1981,  n.  121
(Nuovo ordinamento dell'Amministrazione  della  pubblica  sicurezza),
nel descrivere  i  compiti  istituzionali  della  Polizia  di  Stato,
prevede che essa eserciti  le  proprie  funzioni  al  servizio  delle
istituzioni  democratiche  e  dei   cittadini,   «sollecitandone   la
collaborazione». 
    5.4.  -  La  conclusione  e'  diversa  per  quanto   attiene   al
riferimento alternativo alle «situazioni  di  disagio  sociale»:  una
espressione  in  rapporto  alla  quale  non   risulta,   di   contro,
praticabile una lettura conforme al dettato costituzionale. 
    La valenza semantica propria della locuzione «disagio sociale»  -
gia' di per se' assai piu' distante, rispetto a quella di  «sicurezza
urbana», dall'ambito  di  materia  previsto  dall'art.  117,  secondo
comma, lettera h), Cost. - si  coniuga,  difatti,  all'impiego  della
disgiuntiva «ovvero» («eventi che possano recare danno alla sicurezza
urbana ovvero situazioni  di  disagio  sociale»),  che  rende  palese
l'intento del legislatore di evocare situazioni diverse ed  ulteriori
rispetto a quelle sottese dalla locuzione precedente. 
    Il  rilievo  letterale,  anche  alla  luce  del  generale  canone
ermeneutico  del   «legislatore   non   ridondante»,   impedisce   di
interpretare la formula in questione in senso fortemente  limitativo,
tale  da  ridurne  l'inquadramento  nell'ambito   dell'attivita'   di
prevenzione dei reati: ossia di  ritenerla  riferita  a  quelle  sole
«situazioni  di  disagio  sociale»  che,  traducendosi   in   fattori
criminogeni, determinino un concreto pericolo di commissione di fatti
penalmente  rilevanti.  In  questa  accezione,   essa   risulterebbe,
infatti, gia'  interamente  inclusa  nel  preliminare  richiamo  agli
eventi pericolosi per la sicurezza urbana, come attesta  puntualmente
il piu' volte citato d.m. 5 agosto 2008, che - al fine di specificare
i poteri sindacali a tutela della  sicurezza  urbana  -  richiede  ai
sindaci di intervenire  «per  prevenire  e  contrastare»,  proprio  e
anzitutto, «le situazioni urbane  di  degrado  o  di  isolamento  che
favoriscono l'insorgere di fenomeni criminosi, quali  lo  spaccio  di
stupefacenti, lo sfruttamento  della  prostituzione,  l'accattonaggio
con l'impiego di minori e disabili e i fenomeni  di  violenza  legati
anche all'abuso di alcool» (art. 2, lettera a). 
    Nella sua genericita', la formula «disagio  sociale»  si  presta,
dunque, ad abbracciare una vasta platea di ipotesi di emarginazione o
di difficolta' di inserimento  dell'individuo  nel  tessuto  sociale,
derivanti dalle piu' varie cause (condizioni economiche,  di  salute,
eta',  rapporti  familiari  e  altre):  situazioni,   che   reclamano
interventi ispirati a finalita' di  politica  sociale,  riconducibili
segnatamente  alla  materia  dei  «servizi  sociali».  Per  reiterata
affermazione di  questa  Corte,  tale  materia  -  appartenente  alla
competenza legislativa regionale residuale (tra le  ultime,  sentenze
n. 121 e n. 10 del 2010) - individua,  infatti,  il  complesso  delle
attivita' relative alla predisposizione  ed  erogazione  di  servizi,
gratuiti e a pagamento,  o  di  prestazioni  economiche  destinate  a
rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficolta' che la
persona umana incontra nel corso della  sua  vita,  escluse  soltanto
quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario (ex
plurimis, sentenze n. 168 e n. 124 del 2009; n. 50 del 2008;  n.  287
del 2004). 
    Non puo', al riguardo, condividersi la tesi  della  difesa  dello
Stato, secondo cui le disposizioni  impugnate  non  inciderebbero  su
tale  competenza  regionale,  in  quanto  gli  osservatori  volontari
previsti  dalla  legge  n.  94  del  2009  si  limitano  a  segnalare
«situazioni critiche», senza erogare servizi. Il  monitoraggio  delle
«situazioni critiche» rappresenta, infatti,  la  necessaria  premessa
conoscitiva degli interventi intesi alla rimozione e  al  superamento
del «disagio sociale»: onde  la  determinazione  delle  condizioni  e
delle modalita' con le quali i Comuni  possono  avvalersi,  per  tale
attivita' di monitoraggio, dell'ausilio di privati volontari  rientra
anch'essa nelle competenze del legislatore regionale. 
    Neppure puo' essere utilmente invocato,  al  fine  di  ricondurre
l'intera disciplina in esame nell'alveo della  competenza  statale  -
come pure sostiene l'Avvocatura  dello  Stato  -  il  criterio  della
prevalenza.  L'applicazione  di  questo  strumento  per  comporre  le
interferenze tra competenze concorrenti implica, infatti, da un lato,
una disciplina che, collocandosi alla confluenza  di  un  insieme  di
materie, sia espressione di un'esigenza di regolamentazione unitaria,
e, dall'altro,  che  una  tra  le  materie  interessate  possa  dirsi
dominante, in quanto nel complesso normativo  sia  rintracciabile  un
nucleo essenziale appartenente ad un solo ambito materiale, ovvero le
diverse disposizioni perseguano una medesima finalita'  (sentenza  n.
222 del 2006). 
    Nell'ipotesi  in  esame,  per   contro,   il   riferimento   alle
«situazioni di disagio sociale» si presenta come un  elemento  spurio
ed eccentrico rispetto alla ratio ispiratrice delle norme  impugnate,
quale dianzi delineata,  finendo  per  rendere  incongrua  la  stessa
disciplina da  esse  dettata.  Gli  interventi  del  prefetto  e  del
comitato  provinciale  per  l'ordine  e  la  sicurezza  pubblica,  la
preferenza accordata alle associazioni fra  appartenenti  in  congedo
alle Forze  dell'ordine,  la  circostanza  che  le  segnalazioni  dei
volontari siano dirette alle sole Forze di polizia  (e  non,  invece,
agli  organi  preposti  ai  servizi  sociali)  -   previsioni   tutte
pienamente coerenti in una prospettiva  di  tutela  della  «sicurezza
urbana», intesa come attivita' di prevenzione e repressione dei reati
in ambito cittadino - perdono tale carattere quando venga in  rilievo
il diverso obiettivo di porre rimedio  a  condizioni  di  disagio  ed
emarginazione sociale. 
    6. - Il comma 40 dell'art. 3 della legge  n.  94  del  2009  deve
essere  dichiarato,  pertanto,  costituzionalmente  illegittimo,  per
contrasto con l'art. 117, quarto  comma,  Cost.,  limitatamente  alle
parole «ovvero situazioni di disagio sociale». 
    E'  da  escludere,  per  contro,  che -  una  volta  circoscritta
l'attivita' delle associazioni di  volontari  alla  segnalazione  dei
soli eventi pericolosi per la  sicurezza  urbana,  intesa  nei  sensi
dianzi indicati -  il  legislatore  statale  sia  tenuto  comunque  a
prevedere forme di coordinamento di tale attivita' con la  disciplina
della polizia amministrativa locale, secondo quanto  sostenuto  dalle
Regioni Emilia-Romagna e  Umbria.  L'art.  118,  terzo  comma,  Cost.
prevede una riserva di legge statale  ai  fini  della  disciplina  di
forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui  alle
lettere b) e h) del secondo comma dell'art. 117 (immigrazione, ordine
pubblico e sicurezza), ma non implica che qualunque legge dello Stato
che contenga disposizioni riferibili a tali materie  debba  sempre  e
comunque provvedere in tal senso. 
    7. - Le restanti questioni, concernenti i commi 41, 42 e 43 della
legge n. 94 del 2009, non sono fondate. 
    La lesione del riparto costituzionale  delle  competenze  deriva,
infatti, esclusivamente dalla eccessiva ampiezza della previsione del
comma 40. La declaratoria di illegittimita'  costituzionale  parziale
di essa, riconducendo l'attivita' delle associazioni di volontari, di
cui il sindaco puo' avvalersi, nel perimetro  della  materia  «ordine
pubblico e sicurezza», di  competenza  esclusiva  statale,  rende  la
disciplina   complementare   recata   dai   commi   successivi    non
incompatibile  con  i   parametri   costituzionali   evocati,   senza
necessita' di ulteriori interventi. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi, 
    1) dichiara l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  3,  comma
40, della legge 15 luglio 2009, n. 94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), limitatamente alle parole «ovvero situazioni  di
disagio sociale»; 
    2)  dichiara   non   fondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, commi 41, 42 e 43, della  medesima  legge
15 luglio 2009, n. 94, promosse dalle Regioni Toscana, Emilia-Romagna
e Umbria, in riferimento agli artt.  117,  secondo,  quarto  e  sesto
comma, e 118  della  Costituzione,  nonche'  al  principio  di  leale
collaborazione, con i ricorsi indicati in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 24 giugno 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola