N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2010

Ordinanza del 3 marzo 2010 emessa  dal  Tribunale  di  Agrigento  nel
procedimento penale a carico di Saber Abdelilah. 
 
Reati e pene -  Circostanze  aggravanti  comuni  -  Previsione  quale
  circostanza aggravante comune del fatto commesso da soggetto che si
  trovi  illegalmente  sul  territorio  nazionale  -  Violazione  del
  principio di uguaglianza, per la disparita' di trattamento rispetto
  ad analoghe condotte poste in essere da  cittadini  italiani  o  da
  stranieri regolari - Violazione del  principio  di  ragionevolezza,
  per la connessione dell'aumento di pena a condotte  antecedenti  al
  fatto  che  non  hanno  legame  con  questo,  a  prescindere  dalla
  valutazione del giudice della pericolosita' sociale - Contrasto con
  il principio di offensivita' - Questione riproposta in  esito  alla
  restituzione degli atti per ius superveniens disposta  dalla  Corte
  costituzionale con la ordinanza n. 66 del 2010. 
- Codice penale, art. 61, comma 1, n. 11-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 1, lett.  f),  del  decreto-legge  23  maggio  2008,  n.  92,
  convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125. 
- Costituzione, artt. 3,  25,  comma  secondo,  e  27,  commi  primo,
  secondo e terzo. 
(GU n.33 del 18-8-2010 )
 
                             IL TRIBUNALE 
 
    Ha   pronunziato   la   seguente ordinanza   di   non   manifesta
infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
61, comma uno, n. 11-bis c.p., in relazione agli artt.  3,  25  e  27
Cost. 
    Premessa. 
    In data 21 febbraio 2009, Saber Abdelilah, nato in Marocco il  1°
agosto 1976,  veniva  presentato  in  stato  di  arresto  dinanzi  al
presente Giudice ai sensi dell'art. 558 c.p.p. per  essere  giudicato
con il rito direttissimo dei seguenti reati tutti commessi in data 20
febbraio 2009: 
        a) delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 11-bis, 337 c.p. perche'
usava violenza per opporsi a pubblici ufficiali in servizio presso il
distaccamento speciale delle Forze dell'ordine operante in Lampedusa,
in  particolare  scagliandosi  contro  il  Car.  Sc.  Gianmarco   Cau
colpendolo al  volto  con  due  schiaffi  al  fine  di  sottrarsi  ai
controlli operati a suo carico, con l'aggravante  dell'aver  commesso
il fatto mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale; 
        b) delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 10 e 11-bis, 582,  comma
1 e 2, c.p., perche', con la condotta di cui alla  superiore  lettera
a), cagionava al Car. Sc. Gainmarco Cau lesioni  giudicate  guaribili
in giorni 3 s.c.; con le aggravanti dell'aver commesso il  fatto  nei
confronti  di  un  pubblico   ufficiale,   nell'atto   ed   a   causa
dell'adempimento delle sue funzioni e mentre si trovava  illegalmente
nel territorio nazionale. 
    All'udienza  del  21  febbraio  2009,  il  Giudice  provvedeva  a
convalidare  l'arresto   applicando   la   misura   dell'obbligo   di
presentazione alla P.G. Instauratosi  il  giudizio  direttissimo,  il
Difensore chiedeva termine a difesa. 
    Dopo ripetuti rinvii addebitabili all'impedimento  dell'imputato,
all'udienza del 19 maggio 2009, a seguito dell'istanza del  difensore
munito di procura speciale, il  Giudice  disponeva  procedersi  nelle
forme del rito abbreviato e sentite le Parti si ritirava in camera di
consiglio. 
    All'esito,  ritenutane  la   rilevanza   e   la   non   manifesta
infondatezza ai sensi dell'art. 23, legge 11 maggio 1953, n. 87,  con
ordinanza del 19 maggio 2009  il  Tribunale  sollevava  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 61 n. 11-bis c.p. 
    In seguito alla proposizione della questione, con l'art. 1, comma
1, legge 15 luglio 2009, n. 94 e' stato previsto che «la disposizione
di cui all'art. 61 n. 11-bis) c.p. si intende riferita  ai  cittadini
di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi». 
    Inoltre, con l'art. 1, comma 16, della citata  legge  n.  94  del
2009, e' stato introdotto  l'art.10-bis  al  decreto  legislativo  n.
286/1998  (c.d.  testo  unico  sull'immigrazione)  che  punisce   con
un'ammenda lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio
dello Stato in violazione delle disposizioni contenute  nello  stesso
d.lgs. n. 286/1998. 
    In  considerazione  di  tali   novita'   legislative   la   Corte
costituzionale  con  l'ordinanza  n.  66  del  22  febbraio  2010  ha
trasmesso gli atti al  Tribunale  per  una  nuova  valutazione  della
rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. 
    Il Tribunale rivisitato  il  tema  alla  luce  delle  indicazioni
fornite dalla  Corte  costituzionale  ritiene  debba  confermarsi  il
giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza. 
Rilevanza della questione di costituzionalita'. 
    Gli elementi di prova acquisiti in atti  consentono  di  ritenere
provata la responsabilita' dell'imputato in ordine  alle  fattispecie
contestategli. 
    Dal verbale di arresto e dalla comunicazione di notizia di  reato
emerge che il  Saber  Abdelilah,  di  nazionalita'  marocchina  (cfr.
dichiarazioni rese in sede di convalida e scheda monitoraggio sbarchi
clandestini), in data 20 febbraio 2009 fu fermato per identificazione
a Lampedusa dal Carabiniere scelto Gianmarco Cau il quale esibiva  il
suo  tesserino  di  riconoscimento.  L'imputato  reagi'  colpendo  il
Carabinieri con due schiaffi e tentando la fuga, ma fu fermato subito
e accompagnato al C.I.E.  di  Lampedusa  per  l'identificazione.  Dal
referto medico in atti risulta una prognosi  di  giorni  tre  per  la
persona offesa dovuta a trauma contusivo al volto. 
    Il Saber Adelilah era ospitato al C.I.E. di Lampedusa  in  quanto
sbarcato sull'isola insieme ad altre 220 persone il 20  gennaio  2009
in assenza di permesso di soggiorno. 
    Alla  luce  del  quadro  istruttorio  sopra  rassegnato,  risulta
provata la condotta descritta ai capi a)  e  b)  dell'imputazione  in
quanto l'imputato ha procurato lesioni al Cau per impedire che questi
nell'esercizio delle sue funzioni procedesse alla sua identificazione
e risulta, inoltre, provata anche  la  sussistenza  della  contestata
circostanza  aggravante  prevista   dall'art.   61   n.11-bis   c.p.,
introdotto dall'art. 1 lett. f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n.
92. 
    La necessita' di procedere  alla  determinazione  della  pena  in
ordine ai reati indicati ai capi a) e b),  entrambi  aggravati  dalla
circostanza prevista dall'art. 61 n.11-bis c.p., rende  pregiudiziale
la  risoluzione  del  dubbio  di  legittimita'  costituzionale  della
suddetta norma, che, per i motivi che si indicano di seguito,  appare
non manifestamente infondato. 
    Sempre in punto di rilevanza, si osserva che  l'introduzione  del
reato di clandestinita' di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 non
inficia la piena operativita'  dell'aggravante  di  cui  all'art.  61
n.11-bis c.p. rispetto a tutti i diversi reati compiuti dal cittadino
straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale di cui non
costituisca elemento costitutivo (art. 61 c.p.). 
    Va osservato, poi, con riferimento al fatto oggetto del  presente
processo, che ai sensi degli art. 25, secondo comma, Cost. e  2  c.p.
l'introdotta  fattispecie  incriminatrice  non  puo'  in  ogni   caso
comportare effetti in malam partem sul trattamento sanzionatorio  nei
confronti dell'imputato. 
    Non sembrano, dunque, sussistere dubbi in ordine alla persistenza
della rilevanza della questione anche dopo l'introduzione  del  reato
di cui all'art.10-bis, d.lgs.n. 286/1998. 
Non manifesta infondatezza della questione. 
    1. Il legislatore con la legge n. 125 del  2008  ha  aggiunto  al
novero delle aggravanti comuni previste dall'art.  61,  primo  comma,
c.p. quella di chi ha commesso il fatto mentre si trova  illegalmente
sul territorio nazionale (n.11-bis). 
    L'aggravante  cosi'  introdotta  pare  fondarsi,  sulla  maggiore
capacita' a delinquere  del  reo  a  cui  puo'  muoversi  un  duplice
rimprovero: 
        la precedente condotta illegale con cui ha violato  le  norme
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli  stranieri  in  Italia  e  la
permanente   ed   attuale   condizione   di   illegalita'   derivante
dall'assenza del permesso di soggiorno o del visto d'ingresso. 
    La maggiore meritevolezza di  pena,  parrebbe  fondarsi,  da  una
parte, sul fatto che il reo si e' reso responsabile in precedenza  di
una violazione  delle  norme  di  legge  regolanti  l'ingresso  o  la
permanenza dello straniero nel territorio italiano, dall'altra, sulla
maggiore pericolosita' di tale soggetto che si trova in Italia  nella
condizione di irregolarita' o clandestinita'. 
    Tale    giudizio    di    pericolosita'    verrebbe    confermato
dall'introduzione del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998
con cui si punisce chi si introduce e  si  trattiene  nel  territorio
italiano in violazione delle norme che  regolano  la  presenza  degli
stranieri in Italia. 
    2. Cosi' ricostruita la ratio della norma, e pur alla luce  della
successiva introduzione  del  reato  di  clandestinita',  non  sembra
infondato il  dubbio  di  costituzionalita'  dell'aggravante  di  cui
all'art. 61 n.11-bis c.p.  sotto  il  profilo  della  violazione  del
principio di offensivita' del diritto penale ricavabile  dagli  artt.
25 e 27 Cost. e del principio di uguaglianza e ragionevolezza di  cui
all'art. 3 Cost. 
    Appare  dubbio,  infatti,  con  riferimento   al   principio   di
offensivita' del diritto penale, che  possano  rimproverarsi  al  reo
precedenti  condotte  illecite,  quali  la  violazione  delle   norme
regolanti l'immigrazione degli stranieri nel territorio italiano, che
con il fatto reato sono in rapporto di mera  antecedenza  cronologica
senza che vi sia anche un correlazione fondata sull'affinita'  con  i
beni-interessi protetti dalle  diverse  norme  violate  ovvero  sulla
pericolosita' delle precedente condotta  illecita  rispetto  al  bene
tutelato dalla norma penale successivamente violata. 
    Nella misura in cui il  bene  protetto  dalla  norma  penale  (ad
esempio  il  patrimonio,   la   liberta'   personale,   l'incolumita'
individuale, etc...) non ha attinenza con  il  controllo  dei  flussi
.migratori a cui presiedono le norme sull'ingresso e la permanenza in
Italia  degli  stranieri,  sembra  irragionevole  che  la  precedente
violazione venga punita mediante l'aggravante in occasione del  reato
commesso sul territorio  italiano  senza  che  tra  l'una  e  l'altra
violazione vi sia alcun valido nesso. 
    Conseguentemente, avuto riguardo al principio di  uguaglianza  di
cui all'art.3 Cost., con tale aggravante si applica al fatto commesso
dallo straniero  irregolare  o  clandestino  una  pena  piu'  elevata
rispetto ad analoghe condotte poste in essere da cittadini italiani o
stranieri regolari, senza alcun elemento che valga a rendere il reato
del primo meritevole di una pena maggiore rispetto al reato  commesso
dai secondi. 
    Ne'  sembra  che  dall'introduzione   dell'autonoma   fattispecie
incriminatrice  di  cui  all'art. 10-bis  d.lgs.n.  286/1998  possano
dedursi elementi a sostegno della presenza  nell'ordinamento  di  una
sorta di presunzione legislativa  di  pericolosita'  degli  immigrati
irregolari e clandestini. 
    Non  puo',   infatti,   farsi   discendere   da   una   qualsiasi
incriminazione (nel caso di specie quella concernente l'ingresso o la
permanenza illegale nel territorio italiano) una autonoma presunzione
di pericolosita' dell'autore del reato in relazione a tutti gli altri
beni giuridici tutelati dal sistema penale. 
    I fondamentali canoni propri  del  diritto  penale  del  fatto  e
dell'offesa impediscono in particolare che si possa in via presuntiva
ravvisare un indice di pericolosita' e di maggiore gravita' del reato
in relazione alla condizione di irregolarita' o clandestinita'  anche
quando tale condizione non ha alcun rapporto con il diverso fatto  di
reato a cui si applica l'aggravante e in forza del solo fatto  che  a
tale condizione e' riconnessa una fattispecie contravvenzionale. 
    3. La difficolta' di giustificare in chiave di pari  trattamento,
ragionevolezza e offensivita' l'aggravante introdotta  con  la  legge
citata non sembra poter essere superata con la considerazione che  il
legislatore non si  limita  a  prendere  in  considerazione  la  mera
precedente  violazione  ma  il  conseguente  ed  attuale  status   di
irregolare o clandestino per. durante al  momento  della  commissione
del fatto. 
    Non  sembra,  infatti,   -   anche   sulla   scorta   di   alcune
considerazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n.
22/2007   in   ordine   alla   non   traducibilita'   del    fenomeno
dell'immigrazione clandestina in un mero problema di ordine  pubblico
- che tale condizione possa legittimamente  essere  individuata  come
indice di pericolosita' del soggetto agente: nulla, infatti, puo' far
ritenere che chi giunga o rimanga in Italia in violazione delle leggi
sull'ingresso  e  la  permanenza  degli   stranieri   manifesti   una
propensione a delinquere. 
    Lo stato di illegalita' dello straniero,  puo',  al  piu'  e  con
buona approssimazione, indicare una situazione di indigenza del  reo,
dal momento che la legislazione italiana subordina  il  rilascio  del
visto e del permesso di  soggiorno  al  possesso  di  adeguati  mezzi
economici ovvero alla titolarita' di un lavoro regolare  (cfr.  artt.
4, comma 3, 5 e 21 e segg. d.lgs. n. 286/1998). 
    Far  discendere  da  tale  presunta  condizione   di   indigenza,
un'ulteriore  presunzione  di  pericolosita'  sembra  comportare  una
criminalizzazione di condizioni di vita  del  reo  che  solo  in  via
lontana ed ipotetica sono collegate con  l'offesa  al  bene  protetto
dalla norma incriminatrice. Tanto piu' che, anche a voler individuare
nella situazione di  bisogno  economico  o  indigenza  in  cui  versa
l'immigrato  clandestino   o   irregolare   un   valido   indice   di
pericolosita',  tale  condizione   non   gli   e'   in   alcun   modo
rimproverabile. 
    Anche sotto questo  riguardo  l'introduzione  del  reato  di  cui
all'art. 10-bis d.lgs. n.  286/1998  non  sembra  poter  risolvere  i
denunciati dubbi. 
    Una   lettura   costituzionalmente    orientata    della    norma
incriminatrice e in particolare l'esigenza di attribuire al  concetto
di sicurezza pubblica e di ordine pubblico una valenza concreta e non
evanescente, infatti,  conduce  a  rinvenire  la  ratto  della  norma
incriminatrice nel disvalore contenuto negli specifici  comportamenti
positivi ed omissivi tenuti dallo straniero in violazione delle norme
sull'immigrazione e non nella manifestazione di pericolosita'  insita
di per se' nella condizione di clandestinita' o irregolarita'. 
    Una diversa lettura sembrerebbe scontrarsi  con  i  principi  del
diritto penale del fatto e dell'offesa (artt. 25,  comma  secondo,  e
27, commi primo e terzo, Cost.). 
    4. Il sospetto di incostituzionalita' e', dunque, ingenerato: 
        dalla difficile compatibilita' tra la norma e il principio di
offensivita' del diritto penale nella  misura  in  cui  si  puniscono
condotte  prive  di  disvalore  rispetto  al  bene   protetto   dalla
fattispecie penale; 
        dall'irragionevolezza di riconnettere un aumento  di  pena  a
condotte antecedenti al fatto che non hanno alcun legame con questo; 
        dall'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla
punizione di un medesimo fatto di reato in modo diverso in  relazione
ad una circostanza - lo stato di clandestinita' o irregolarita' - che
non rileva ne'  sulla  gravita'  del  fatto  ne'  sulla  capacita'  a
delinquere del reo. 
    5. Il dubbio e' rafforzato dalla comparazione della aggravante in
parola  con  altre  aggravanti  analoghe  gia'  presenti  nel  nostro
ordinamento. 
    Da  tale  raffronto  emerge,  infatti,  che,  sebbene   l'attuale
legislazione  conosca  diverse  ipotesi  in  cui  al   fine   di   un
aggravamento  di  pena  si  valutano  condotte  precedenti  e  status
personali del reo,  in  tanto  cio'  accade  in  quanto  a  chi  deve
applicare tali norme sia consentito valtitare in concreto l'incidenza
di tali precedenti condotte sulla capacita' a delinquere  del  reo  e
sulla gravita' del reato ovvero in quanto tali status derivino da  un
precedente accertamento in concreto della maggiore pericolosita'  del
reo e dell'intensita' della sua indole criminale. 
    Il fatto, dunque, che la aggravante in  parola  non  consenta  al
giudice di valutare in concreto la personalita' del reo e che la  sua
applicazione non consegue ad un giudizio di pericolosita' in concreto
non  fa  che  confermare  la  difficolta'  di  armonizzare  la  nuova
aggravante  con  il  principio  costituzionale  di  offensivita'  del
diritto penale. 
    5.1.  Viene  in  rilievo,  innanzitutto,  il  confronto  con   la
disciplina della recidiva che, analogamente  a  quanto  e'  stabilito
dall'aggravante di cui all'art. 61 n.11-bis c.p., prevede un  aumento
di pena nei confronti del reo che abbia in precedenza posto in essere
una condotta illecita costituente reato. 
    E' facile constatare che a differenza della recidiva,  l'art.  61
n.11-bis c.p. non richiede che il reato di cui all'art.10-bis  d.lgs.
n. 286/1998 sia accertato giudizialmente con sentenza di condanna. 
    Inoltre,  a  norma  dell'art.  99  c.p.  puo'  essere  dichiarato
recidivo chi ha commesso in precedenza un delitto non colposo  mentre
in questo caso l'aggravamento di pena si applica a  chi  ha  compiuto
una condotta punita con una contravvenzione con la conseguenza che un
fatto (astrattamente) punibile con l'applicazione di una ammenda puo'
determinare  un  aumento  della  pena  (anche  detentiva)  ben   piu'
rilevante per un fatto di reato del tutto scollegato dal primo. 
    La differenza piu' rilevante e che sembra suffragare il  giudizio
di incostituzionalita' della norma in questione, attiene, pero', alle
modalita' di applicazione di tali aggravanti. 
    Com'e' noto,  in  relazione  al  riconoscimento  della  recidiva,
infatti,  il  giudice  e'  chiamato  a   compiere   una   preliminare
valutazione delle precedenti  condanne  del  reo  per  verificare  se
l'ulteriore reato sia indice di  una  accentuata  colpevolezza  e  di
maggiore pericolosita' (cosi' Corte cost. n. 192 del 14 giugno 2007). 
    Tale giudizio in tanto e' possibile in quanto il  legislatore,  a
seguito della novella introdotta con la legge 7 giugno 1974, n. 220 -
e salvo l'ipotesi del quinto comma dell'art.99 c.p. -  ha  utilizzato
l'espressione «puo'» che  ha  lasciato  al  giudice  la  facolta'  di
decidere  se  riconoscere  o  meno  l'aggravante  in   relazione   ai
summenzionati criteri di giudizio (colpevolezza e pericolosita'). 
    Nell'applicazione  dell'aggravante  dell'art.61  n.11-bis   c.p.,
invece, non e' consentita al giudice l'operazione volta a selezionare
in concreto le ipotesi in cui la violazione delle norme sull'ingresso
degli  stranieri  da  parte  del  reo  effettivamente  determina  una
maggiore meritevolezza  di  pena  da  quelle  in  cui,  invece,  tale
condotta antecedente del reo rimanga  neutra  ai  fini  del  giudizio
sulla sua capacita' a delinquere. 
    Il legislatore,  infatti,  non  ha  lasciato  al   giudice   tale
discrezionalita'  e,  come  nelle  altre   ipotesi   di   circostanze
aggravanti indicate nell'art. 61 c.p., ne ha  imposto  l'applicazione
salvo  la  scelta  della  misura  dell'aumento  di  pena  ovvero  del
bilanciamento con eventuali attenuanti. 
    In tal modo,  dunque,  a  differenza  di  quanto  accade  per  il
recidivo - che, pure,  in  precedenza  ha  commesso  un  delitto  non
colposo - si  e'  stabilita  una  presunzione  assoluta  di  maggiore
capacita' a delinquere del  soggetto  che  ha  posto  in  essere  una
precedente   violazione   amministrativa,   senza   possibilita'   di
riscontrare concretamente tale giudizio normativo con altri  elementi
di fatto. 
    5.2.  Considerazioni  analoghe  valgono  nel  raffronto  tra   la
aggravante dell'art. 61 n. 11-bis c.p. e le ipotesi di legge  in  cui
vengono in rilievo status  personali  ai  fini  della  determinazione
della pena. 
    Presentano attinenza con la norma in questione,  in  particolare,
l'aggravante di cui all'art. 61 n. 6 c.p. che si  applica  a  chi  ha
commesso il fatto mentre si sottraeva volontariamente ad un ordine di
cattura e l'aggravante di  cui  all'art.7  legge  n.  575/65  che  si
applica, solo in relazione ad alcuni reati, quando siano commessi  da
chi e' stato sottoposto ad una misura di prevenzione, nel periodo  di
vigenza della misura ovvero nei tre anni successivi. 
    Da un approfondimento delle norme ora citate emerge con  evidenza
la  maggiore  concretezza  del  giudizio  di   pericolosita'   e   di
riprovevolezza presupposto da tali norme rispetto a quello  implicito
nell'aggravante introdotta con la legge citata. 
    E, infatti, quanto all'aggravante prevista all'art. 61 n. 6 c.p.,
si osserva che, mentre quest'ultima si riferisce a soggetti che  sono
stati ritenuti pericolosi sulla base di un accertamento di fatto e di
seri indizi in ordine alla commissione  di  un  reato  di  una  certa
gravita' tanto  da  giustificare  una  misura  custodiale,  nel  caso
dell'art. 61 n. 11-bis,  c.p.,  l'aumento  di  pena  si  riferisce  a
soggetti   che   hanno   compiuto   una    violazione    di    natura
contravvenzionale e rispetto ai quali non e' stata  espressa  nessuna
valutazione concreta di pericolosita' sulla base di un  provvedimento
specifico. 
    Inoltre, mentre la prima aggravante  si  applica  a  chi  con  il
sottrarsi  volontariamente  alla  cattura  ha  posto  in  essere  una
condotta che e' di per se' ragione di allarme, la seconda si  applica
allo straniero clandestino o  irregolare  per  il  solo  fatto  della
violazione delle norme sull'ingresso e la permanenza in Italia  degli
stranieri senza che rilevi una successiva condotta volta a  sottrarsi
alle conseguenze di tale violazione. 
    E  le  stesse  considerazioni  possono  farsi   con   riferimento
all'aggravante prevista dall'art. 7 legge n. 575/1965: i soggetti per
i quali e'  previsto  tale  aumento  di  pena  sono  stati  giudicati
pericolosi da un Tribunale ai sensi della  legge  n.1423/1956  ovvero
della legge n. 575/1965 e ad essi si applica l'aumento di  pena  solo
in quanto abbiano compiuto determinate ipotesi di reato e solo se  il
fatto sia stato commesso entro un certo periodo di tempo (fino a  tre
anni dalla cessazione della misura). 
    Al contrario, l'aggravante di cui  all'art.  61  n.  11  c.p.  si
applica a tutti i reati commessi dallo straniero  e  pur  quando  sia
trascorso molto tempo dalla violazione delle norme  sull'immigrazione
senza possibilita' che il decorso del tempo possa incidere  in  alcun
modo a meno che lo straniero perda la sua condizione di illegalita'. 
    6. L'attuale legislazione conferma, dunque,  che  in  tanto  puo'
considerarsi lo status personale del reo ai fini di  un  aggravamento
della pena, in quanto la pericolosita' del soggetto si fondi su  dati
concreti e specifici (le esigenze cautelari della misura  custodiale,
ovvero il giudizio di pericolosita' fondante  l'applicazione  di  una
misura di prevenzione) e  purche'  tali  dati  manifestino  un'indole
criminale che giustifichi il giudizio di maggiore riprovevolezza  del
successivo fatto-reato commesso  (i  gravi  indizi  di,  reato  e  la
sottrazione all'ordine di  cattura  del  latitante,  la  personalita'
criminale fondante la misura di prevenzione). 
    Anche quando,  come  nel  caso  dell'aggravante  della  recidiva,
l'aumento e' connesso al  dato  formale  dei  precedenti  penali,  il
legislatore affida al giudice il compito di  verificare  in  concreto
l'esistenza di una correlazione tra la precedente condotta delittuosa
e  quella  posta  in  essere  in  chiave  di  maggiore  capacita'   a
delinquere. 
    La norma introdotta sembra discostarsi  da  questo  schema  sotto
entrambi i profili: il giudizio di pericolosita' e' legato ad un dato
formale, quale la condizione di  illegalita',  che  prescinde  da  un
accertamento concreto di pericolosita', e la maggiore  riprovevolezza
del reato commesso dallo straniero irregolare e' affidata  unicamente
alla circostanza della violazione (astrattamente punita a  titolo  di
contravvenzione) delle norme sull'ingresso in Italia a prescindere da
ogni altro dato che valga  a  supporre  una  propensione  al  crimine
ovvero ad individuare nella precedente violazione un antecedente  non
meramente cronologico ma in senso lato causale del reato di cui si e'
reso responsabile. 
    7. In conclusione  si  osserva  quanto  segue:  il  principio  di
necessaria offensivita' del diritto penale costituisce un limite alla
discrezionalita' del legislatore nel senso di non consentire che  per
finalita' di mera deterrenza siano introdotte  sanzioni  che  non  si
ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi  d'essere  ovvero
ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche  potenziale)  per
un determinato bene giuridico protetto (cfr. Corte Cost.  n.  364/88,
n. 58/1995, n. 263/2000 e n. 354/2002). 
    Nell'ambito della disciplina delle circostanze  del  reato,  tale
principio sembra  tradursi  nella  necessita'  di  una  relazione  di
adeguatezza tra la  condotta  o  la  situazione  a  cui  e'  connesso
l'aggravamento di pena e il fatto di reato, tale che questo  non  sia
semplicemente  la  condizione  al  cui  verificarsi  si  punisce   un
precedente illecito  o  una  condotta  di  vita,  ma,  piuttosto,  la
realizzazione  del  pericolo  che  la  norma  in  precedenza  violata
intendeva  prevenire  ovvero  che  la  propria   condotta   di   vita
ingenerava. 
    La norma in questione, congegnata in modo tale da far  discendere
il suo riconoscimento automaticamente dall'accertamento  dello  stato
dello straniero immigrato, sembra porsi in contrasto con tali criteri
traducendosi  in  una   sanzione   applicata   in   occasione   della
realizzazione di qualsiasi fatto di reato e senza che  sia  accertato
alcun legame di adeguatezza  tra  tale  fatto  e  la  condotta  o  la
condizione a cui e' collegato l'aumento di pena. 
    Prescindendosi da ogni  accertata  messa  in  pericolo  dei  beni
tutelati dalla norma penale violata e semplicemente  applicandosi  in
occasione  della  violazione  di  quest'ultima,  l'aggravante  sembra
punire una mera disobbedienza (violazione delle  norme  sull'ingresso
nel territorio italiano) e un tipo d'autore (lo straniero clandestino
o irregolare). 
    In questo senso non e'  manifestamente  infondato  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale dell'art. 61, n.11-bis c.p. in  relazione
agli artt. 3, 25 e 27 Cost. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visto l'art.  23,  legge 11 marzo  1953,  n.  87,  ritenutane  la
rilevanza e la non manifesta infondatezza; 
    Solleva questione di legittimita' costituzionale  dell'art.61  n.
11-bis c.p. per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma,  e  27,
primo e terzo comma, della Costituzione; 
    Sospende il giudizio in corso e  dispone  la  trasmissione  degli
atti dello stesso alla Corte costituzionale; 
    Ordina che la presente ordinanza  sia  notificata  a  cura  della
cancelleria  al  difensore  dell'imputato,  all'imputato,  presso  il
domicilio eletto, al P.M. e al Presidente del Consiglio dei  ministri
e  comunicata  al  Presidente  del  Senato  della  Repubblica  e   al
Presidente della Camera dei deputati. 
 
        Agrigento, addi 3 marzo 2010 
 
                             Il Giudice