N. 210 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2010
Ordinanza del 3 marzo 2010 emessa dal Tribunale di Agrigento nel procedimento penale a carico di Saber Abdelilah. Reati e pene - Circostanze aggravanti comuni - Previsione quale circostanza aggravante comune del fatto commesso da soggetto che si trovi illegalmente sul territorio nazionale - Violazione del principio di uguaglianza, per la disparita' di trattamento rispetto ad analoghe condotte poste in essere da cittadini italiani o da stranieri regolari - Violazione del principio di ragionevolezza, per la connessione dell'aumento di pena a condotte antecedenti al fatto che non hanno legame con questo, a prescindere dalla valutazione del giudice della pericolosita' sociale - Contrasto con il principio di offensivita' - Questione riproposta in esito alla restituzione degli atti per ius superveniens disposta dalla Corte costituzionale con la ordinanza n. 66 del 2010. - Codice penale, art. 61, comma 1, n. 11-bis, aggiunto dall'art. 1, comma 1, lett. f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, nella legge 24 luglio 2008, n. 125. - Costituzione, artt. 3, 25, comma secondo, e 27, commi primo, secondo e terzo.(GU n.33 del 18-8-2010 )
IL TRIBUNALE Ha pronunziato la seguente ordinanza di non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61, comma uno, n. 11-bis c.p., in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost. Premessa. In data 21 febbraio 2009, Saber Abdelilah, nato in Marocco il 1° agosto 1976, veniva presentato in stato di arresto dinanzi al presente Giudice ai sensi dell'art. 558 c.p.p. per essere giudicato con il rito direttissimo dei seguenti reati tutti commessi in data 20 febbraio 2009: a) delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 11-bis, 337 c.p. perche' usava violenza per opporsi a pubblici ufficiali in servizio presso il distaccamento speciale delle Forze dell'ordine operante in Lampedusa, in particolare scagliandosi contro il Car. Sc. Gianmarco Cau colpendolo al volto con due schiaffi al fine di sottrarsi ai controlli operati a suo carico, con l'aggravante dell'aver commesso il fatto mentre si trovava illegalmente sul territorio nazionale; b) delitto p. e p. dagli artt. 61 n. 10 e 11-bis, 582, comma 1 e 2, c.p., perche', con la condotta di cui alla superiore lettera a), cagionava al Car. Sc. Gainmarco Cau lesioni giudicate guaribili in giorni 3 s.c.; con le aggravanti dell'aver commesso il fatto nei confronti di un pubblico ufficiale, nell'atto ed a causa dell'adempimento delle sue funzioni e mentre si trovava illegalmente nel territorio nazionale. All'udienza del 21 febbraio 2009, il Giudice provvedeva a convalidare l'arresto applicando la misura dell'obbligo di presentazione alla P.G. Instauratosi il giudizio direttissimo, il Difensore chiedeva termine a difesa. Dopo ripetuti rinvii addebitabili all'impedimento dell'imputato, all'udienza del 19 maggio 2009, a seguito dell'istanza del difensore munito di procura speciale, il Giudice disponeva procedersi nelle forme del rito abbreviato e sentite le Parti si ritirava in camera di consiglio. All'esito, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza ai sensi dell'art. 23, legge 11 maggio 1953, n. 87, con ordinanza del 19 maggio 2009 il Tribunale sollevava questione di legittimita' costituzionale dell'art. 61 n. 11-bis c.p. In seguito alla proposizione della questione, con l'art. 1, comma 1, legge 15 luglio 2009, n. 94 e' stato previsto che «la disposizione di cui all'art. 61 n. 11-bis) c.p. si intende riferita ai cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi». Inoltre, con l'art. 1, comma 16, della citata legge n. 94 del 2009, e' stato introdotto l'art.10-bis al decreto legislativo n. 286/1998 (c.d. testo unico sull'immigrazione) che punisce con un'ammenda lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni contenute nello stesso d.lgs. n. 286/1998. In considerazione di tali novita' legislative la Corte costituzionale con l'ordinanza n. 66 del 22 febbraio 2010 ha trasmesso gli atti al Tribunale per una nuova valutazione della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione. Il Tribunale rivisitato il tema alla luce delle indicazioni fornite dalla Corte costituzionale ritiene debba confermarsi il giudizio di rilevanza e non manifesta infondatezza. Rilevanza della questione di costituzionalita'. Gli elementi di prova acquisiti in atti consentono di ritenere provata la responsabilita' dell'imputato in ordine alle fattispecie contestategli. Dal verbale di arresto e dalla comunicazione di notizia di reato emerge che il Saber Abdelilah, di nazionalita' marocchina (cfr. dichiarazioni rese in sede di convalida e scheda monitoraggio sbarchi clandestini), in data 20 febbraio 2009 fu fermato per identificazione a Lampedusa dal Carabiniere scelto Gianmarco Cau il quale esibiva il suo tesserino di riconoscimento. L'imputato reagi' colpendo il Carabinieri con due schiaffi e tentando la fuga, ma fu fermato subito e accompagnato al C.I.E. di Lampedusa per l'identificazione. Dal referto medico in atti risulta una prognosi di giorni tre per la persona offesa dovuta a trauma contusivo al volto. Il Saber Adelilah era ospitato al C.I.E. di Lampedusa in quanto sbarcato sull'isola insieme ad altre 220 persone il 20 gennaio 2009 in assenza di permesso di soggiorno. Alla luce del quadro istruttorio sopra rassegnato, risulta provata la condotta descritta ai capi a) e b) dell'imputazione in quanto l'imputato ha procurato lesioni al Cau per impedire che questi nell'esercizio delle sue funzioni procedesse alla sua identificazione e risulta, inoltre, provata anche la sussistenza della contestata circostanza aggravante prevista dall'art. 61 n.11-bis c.p., introdotto dall'art. 1 lett. f), del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92. La necessita' di procedere alla determinazione della pena in ordine ai reati indicati ai capi a) e b), entrambi aggravati dalla circostanza prevista dall'art. 61 n.11-bis c.p., rende pregiudiziale la risoluzione del dubbio di legittimita' costituzionale della suddetta norma, che, per i motivi che si indicano di seguito, appare non manifestamente infondato. Sempre in punto di rilevanza, si osserva che l'introduzione del reato di clandestinita' di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 non inficia la piena operativita' dell'aggravante di cui all'art. 61 n.11-bis c.p. rispetto a tutti i diversi reati compiuti dal cittadino straniero irregolarmente presente sul territorio nazionale di cui non costituisca elemento costitutivo (art. 61 c.p.). Va osservato, poi, con riferimento al fatto oggetto del presente processo, che ai sensi degli art. 25, secondo comma, Cost. e 2 c.p. l'introdotta fattispecie incriminatrice non puo' in ogni caso comportare effetti in malam partem sul trattamento sanzionatorio nei confronti dell'imputato. Non sembrano, dunque, sussistere dubbi in ordine alla persistenza della rilevanza della questione anche dopo l'introduzione del reato di cui all'art.10-bis, d.lgs.n. 286/1998. Non manifesta infondatezza della questione. 1. Il legislatore con la legge n. 125 del 2008 ha aggiunto al novero delle aggravanti comuni previste dall'art. 61, primo comma, c.p. quella di chi ha commesso il fatto mentre si trova illegalmente sul territorio nazionale (n.11-bis). L'aggravante cosi' introdotta pare fondarsi, sulla maggiore capacita' a delinquere del reo a cui puo' muoversi un duplice rimprovero: la precedente condotta illegale con cui ha violato le norme sull'ingresso e la permanenza degli stranieri in Italia e la permanente ed attuale condizione di illegalita' derivante dall'assenza del permesso di soggiorno o del visto d'ingresso. La maggiore meritevolezza di pena, parrebbe fondarsi, da una parte, sul fatto che il reo si e' reso responsabile in precedenza di una violazione delle norme di legge regolanti l'ingresso o la permanenza dello straniero nel territorio italiano, dall'altra, sulla maggiore pericolosita' di tale soggetto che si trova in Italia nella condizione di irregolarita' o clandestinita'. Tale giudizio di pericolosita' verrebbe confermato dall'introduzione del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 con cui si punisce chi si introduce e si trattiene nel territorio italiano in violazione delle norme che regolano la presenza degli stranieri in Italia. 2. Cosi' ricostruita la ratio della norma, e pur alla luce della successiva introduzione del reato di clandestinita', non sembra infondato il dubbio di costituzionalita' dell'aggravante di cui all'art. 61 n.11-bis c.p. sotto il profilo della violazione del principio di offensivita' del diritto penale ricavabile dagli artt. 25 e 27 Cost. e del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Appare dubbio, infatti, con riferimento al principio di offensivita' del diritto penale, che possano rimproverarsi al reo precedenti condotte illecite, quali la violazione delle norme regolanti l'immigrazione degli stranieri nel territorio italiano, che con il fatto reato sono in rapporto di mera antecedenza cronologica senza che vi sia anche un correlazione fondata sull'affinita' con i beni-interessi protetti dalle diverse norme violate ovvero sulla pericolosita' delle precedente condotta illecita rispetto al bene tutelato dalla norma penale successivamente violata. Nella misura in cui il bene protetto dalla norma penale (ad esempio il patrimonio, la liberta' personale, l'incolumita' individuale, etc...) non ha attinenza con il controllo dei flussi .migratori a cui presiedono le norme sull'ingresso e la permanenza in Italia degli stranieri, sembra irragionevole che la precedente violazione venga punita mediante l'aggravante in occasione del reato commesso sul territorio italiano senza che tra l'una e l'altra violazione vi sia alcun valido nesso. Conseguentemente, avuto riguardo al principio di uguaglianza di cui all'art.3 Cost., con tale aggravante si applica al fatto commesso dallo straniero irregolare o clandestino una pena piu' elevata rispetto ad analoghe condotte poste in essere da cittadini italiani o stranieri regolari, senza alcun elemento che valga a rendere il reato del primo meritevole di una pena maggiore rispetto al reato commesso dai secondi. Ne' sembra che dall'introduzione dell'autonoma fattispecie incriminatrice di cui all'art. 10-bis d.lgs.n. 286/1998 possano dedursi elementi a sostegno della presenza nell'ordinamento di una sorta di presunzione legislativa di pericolosita' degli immigrati irregolari e clandestini. Non puo', infatti, farsi discendere da una qualsiasi incriminazione (nel caso di specie quella concernente l'ingresso o la permanenza illegale nel territorio italiano) una autonoma presunzione di pericolosita' dell'autore del reato in relazione a tutti gli altri beni giuridici tutelati dal sistema penale. I fondamentali canoni propri del diritto penale del fatto e dell'offesa impediscono in particolare che si possa in via presuntiva ravvisare un indice di pericolosita' e di maggiore gravita' del reato in relazione alla condizione di irregolarita' o clandestinita' anche quando tale condizione non ha alcun rapporto con il diverso fatto di reato a cui si applica l'aggravante e in forza del solo fatto che a tale condizione e' riconnessa una fattispecie contravvenzionale. 3. La difficolta' di giustificare in chiave di pari trattamento, ragionevolezza e offensivita' l'aggravante introdotta con la legge citata non sembra poter essere superata con la considerazione che il legislatore non si limita a prendere in considerazione la mera precedente violazione ma il conseguente ed attuale status di irregolare o clandestino per. durante al momento della commissione del fatto. Non sembra, infatti, - anche sulla scorta di alcune considerazioni contenute nella sentenza della Corte costituzionale n. 22/2007 in ordine alla non traducibilita' del fenomeno dell'immigrazione clandestina in un mero problema di ordine pubblico - che tale condizione possa legittimamente essere individuata come indice di pericolosita' del soggetto agente: nulla, infatti, puo' far ritenere che chi giunga o rimanga in Italia in violazione delle leggi sull'ingresso e la permanenza degli stranieri manifesti una propensione a delinquere. Lo stato di illegalita' dello straniero, puo', al piu' e con buona approssimazione, indicare una situazione di indigenza del reo, dal momento che la legislazione italiana subordina il rilascio del visto e del permesso di soggiorno al possesso di adeguati mezzi economici ovvero alla titolarita' di un lavoro regolare (cfr. artt. 4, comma 3, 5 e 21 e segg. d.lgs. n. 286/1998). Far discendere da tale presunta condizione di indigenza, un'ulteriore presunzione di pericolosita' sembra comportare una criminalizzazione di condizioni di vita del reo che solo in via lontana ed ipotetica sono collegate con l'offesa al bene protetto dalla norma incriminatrice. Tanto piu' che, anche a voler individuare nella situazione di bisogno economico o indigenza in cui versa l'immigrato clandestino o irregolare un valido indice di pericolosita', tale condizione non gli e' in alcun modo rimproverabile. Anche sotto questo riguardo l'introduzione del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/1998 non sembra poter risolvere i denunciati dubbi. Una lettura costituzionalmente orientata della norma incriminatrice e in particolare l'esigenza di attribuire al concetto di sicurezza pubblica e di ordine pubblico una valenza concreta e non evanescente, infatti, conduce a rinvenire la ratto della norma incriminatrice nel disvalore contenuto negli specifici comportamenti positivi ed omissivi tenuti dallo straniero in violazione delle norme sull'immigrazione e non nella manifestazione di pericolosita' insita di per se' nella condizione di clandestinita' o irregolarita'. Una diversa lettura sembrerebbe scontrarsi con i principi del diritto penale del fatto e dell'offesa (artt. 25, comma secondo, e 27, commi primo e terzo, Cost.). 4. Il sospetto di incostituzionalita' e', dunque, ingenerato: dalla difficile compatibilita' tra la norma e il principio di offensivita' del diritto penale nella misura in cui si puniscono condotte prive di disvalore rispetto al bene protetto dalla fattispecie penale; dall'irragionevolezza di riconnettere un aumento di pena a condotte antecedenti al fatto che non hanno alcun legame con questo; dall'ingiustificata disparita' di trattamento derivante dalla punizione di un medesimo fatto di reato in modo diverso in relazione ad una circostanza - lo stato di clandestinita' o irregolarita' - che non rileva ne' sulla gravita' del fatto ne' sulla capacita' a delinquere del reo. 5. Il dubbio e' rafforzato dalla comparazione della aggravante in parola con altre aggravanti analoghe gia' presenti nel nostro ordinamento. Da tale raffronto emerge, infatti, che, sebbene l'attuale legislazione conosca diverse ipotesi in cui al fine di un aggravamento di pena si valutano condotte precedenti e status personali del reo, in tanto cio' accade in quanto a chi deve applicare tali norme sia consentito valtitare in concreto l'incidenza di tali precedenti condotte sulla capacita' a delinquere del reo e sulla gravita' del reato ovvero in quanto tali status derivino da un precedente accertamento in concreto della maggiore pericolosita' del reo e dell'intensita' della sua indole criminale. Il fatto, dunque, che la aggravante in parola non consenta al giudice di valutare in concreto la personalita' del reo e che la sua applicazione non consegue ad un giudizio di pericolosita' in concreto non fa che confermare la difficolta' di armonizzare la nuova aggravante con il principio costituzionale di offensivita' del diritto penale. 5.1. Viene in rilievo, innanzitutto, il confronto con la disciplina della recidiva che, analogamente a quanto e' stabilito dall'aggravante di cui all'art. 61 n.11-bis c.p., prevede un aumento di pena nei confronti del reo che abbia in precedenza posto in essere una condotta illecita costituente reato. E' facile constatare che a differenza della recidiva, l'art. 61 n.11-bis c.p. non richiede che il reato di cui all'art.10-bis d.lgs. n. 286/1998 sia accertato giudizialmente con sentenza di condanna. Inoltre, a norma dell'art. 99 c.p. puo' essere dichiarato recidivo chi ha commesso in precedenza un delitto non colposo mentre in questo caso l'aggravamento di pena si applica a chi ha compiuto una condotta punita con una contravvenzione con la conseguenza che un fatto (astrattamente) punibile con l'applicazione di una ammenda puo' determinare un aumento della pena (anche detentiva) ben piu' rilevante per un fatto di reato del tutto scollegato dal primo. La differenza piu' rilevante e che sembra suffragare il giudizio di incostituzionalita' della norma in questione, attiene, pero', alle modalita' di applicazione di tali aggravanti. Com'e' noto, in relazione al riconoscimento della recidiva, infatti, il giudice e' chiamato a compiere una preliminare valutazione delle precedenti condanne del reo per verificare se l'ulteriore reato sia indice di una accentuata colpevolezza e di maggiore pericolosita' (cosi' Corte cost. n. 192 del 14 giugno 2007). Tale giudizio in tanto e' possibile in quanto il legislatore, a seguito della novella introdotta con la legge 7 giugno 1974, n. 220 - e salvo l'ipotesi del quinto comma dell'art.99 c.p. - ha utilizzato l'espressione «puo'» che ha lasciato al giudice la facolta' di decidere se riconoscere o meno l'aggravante in relazione ai summenzionati criteri di giudizio (colpevolezza e pericolosita'). Nell'applicazione dell'aggravante dell'art.61 n.11-bis c.p., invece, non e' consentita al giudice l'operazione volta a selezionare in concreto le ipotesi in cui la violazione delle norme sull'ingresso degli stranieri da parte del reo effettivamente determina una maggiore meritevolezza di pena da quelle in cui, invece, tale condotta antecedente del reo rimanga neutra ai fini del giudizio sulla sua capacita' a delinquere. Il legislatore, infatti, non ha lasciato al giudice tale discrezionalita' e, come nelle altre ipotesi di circostanze aggravanti indicate nell'art. 61 c.p., ne ha imposto l'applicazione salvo la scelta della misura dell'aumento di pena ovvero del bilanciamento con eventuali attenuanti. In tal modo, dunque, a differenza di quanto accade per il recidivo - che, pure, in precedenza ha commesso un delitto non colposo - si e' stabilita una presunzione assoluta di maggiore capacita' a delinquere del soggetto che ha posto in essere una precedente violazione amministrativa, senza possibilita' di riscontrare concretamente tale giudizio normativo con altri elementi di fatto. 5.2. Considerazioni analoghe valgono nel raffronto tra la aggravante dell'art. 61 n. 11-bis c.p. e le ipotesi di legge in cui vengono in rilievo status personali ai fini della determinazione della pena. Presentano attinenza con la norma in questione, in particolare, l'aggravante di cui all'art. 61 n. 6 c.p. che si applica a chi ha commesso il fatto mentre si sottraeva volontariamente ad un ordine di cattura e l'aggravante di cui all'art.7 legge n. 575/65 che si applica, solo in relazione ad alcuni reati, quando siano commessi da chi e' stato sottoposto ad una misura di prevenzione, nel periodo di vigenza della misura ovvero nei tre anni successivi. Da un approfondimento delle norme ora citate emerge con evidenza la maggiore concretezza del giudizio di pericolosita' e di riprovevolezza presupposto da tali norme rispetto a quello implicito nell'aggravante introdotta con la legge citata. E, infatti, quanto all'aggravante prevista all'art. 61 n. 6 c.p., si osserva che, mentre quest'ultima si riferisce a soggetti che sono stati ritenuti pericolosi sulla base di un accertamento di fatto e di seri indizi in ordine alla commissione di un reato di una certa gravita' tanto da giustificare una misura custodiale, nel caso dell'art. 61 n. 11-bis, c.p., l'aumento di pena si riferisce a soggetti che hanno compiuto una violazione di natura contravvenzionale e rispetto ai quali non e' stata espressa nessuna valutazione concreta di pericolosita' sulla base di un provvedimento specifico. Inoltre, mentre la prima aggravante si applica a chi con il sottrarsi volontariamente alla cattura ha posto in essere una condotta che e' di per se' ragione di allarme, la seconda si applica allo straniero clandestino o irregolare per il solo fatto della violazione delle norme sull'ingresso e la permanenza in Italia degli stranieri senza che rilevi una successiva condotta volta a sottrarsi alle conseguenze di tale violazione. E le stesse considerazioni possono farsi con riferimento all'aggravante prevista dall'art. 7 legge n. 575/1965: i soggetti per i quali e' previsto tale aumento di pena sono stati giudicati pericolosi da un Tribunale ai sensi della legge n.1423/1956 ovvero della legge n. 575/1965 e ad essi si applica l'aumento di pena solo in quanto abbiano compiuto determinate ipotesi di reato e solo se il fatto sia stato commesso entro un certo periodo di tempo (fino a tre anni dalla cessazione della misura). Al contrario, l'aggravante di cui all'art. 61 n. 11 c.p. si applica a tutti i reati commessi dallo straniero e pur quando sia trascorso molto tempo dalla violazione delle norme sull'immigrazione senza possibilita' che il decorso del tempo possa incidere in alcun modo a meno che lo straniero perda la sua condizione di illegalita'. 6. L'attuale legislazione conferma, dunque, che in tanto puo' considerarsi lo status personale del reo ai fini di un aggravamento della pena, in quanto la pericolosita' del soggetto si fondi su dati concreti e specifici (le esigenze cautelari della misura custodiale, ovvero il giudizio di pericolosita' fondante l'applicazione di una misura di prevenzione) e purche' tali dati manifestino un'indole criminale che giustifichi il giudizio di maggiore riprovevolezza del successivo fatto-reato commesso (i gravi indizi di, reato e la sottrazione all'ordine di cattura del latitante, la personalita' criminale fondante la misura di prevenzione). Anche quando, come nel caso dell'aggravante della recidiva, l'aumento e' connesso al dato formale dei precedenti penali, il legislatore affida al giudice il compito di verificare in concreto l'esistenza di una correlazione tra la precedente condotta delittuosa e quella posta in essere in chiave di maggiore capacita' a delinquere. La norma introdotta sembra discostarsi da questo schema sotto entrambi i profili: il giudizio di pericolosita' e' legato ad un dato formale, quale la condizione di illegalita', che prescinde da un accertamento concreto di pericolosita', e la maggiore riprovevolezza del reato commesso dallo straniero irregolare e' affidata unicamente alla circostanza della violazione (astrattamente punita a titolo di contravvenzione) delle norme sull'ingresso in Italia a prescindere da ogni altro dato che valga a supporre una propensione al crimine ovvero ad individuare nella precedente violazione un antecedente non meramente cronologico ma in senso lato causale del reato di cui si e' reso responsabile. 7. In conclusione si osserva quanto segue: il principio di necessaria offensivita' del diritto penale costituisce un limite alla discrezionalita' del legislatore nel senso di non consentire che per finalita' di mera deterrenza siano introdotte sanzioni che non si ricollegano a fatti colpevoli ma, piuttosto, a modi d'essere ovvero ad una mera disobbedienza priva di disvalore (anche potenziale) per un determinato bene giuridico protetto (cfr. Corte Cost. n. 364/88, n. 58/1995, n. 263/2000 e n. 354/2002). Nell'ambito della disciplina delle circostanze del reato, tale principio sembra tradursi nella necessita' di una relazione di adeguatezza tra la condotta o la situazione a cui e' connesso l'aggravamento di pena e il fatto di reato, tale che questo non sia semplicemente la condizione al cui verificarsi si punisce un precedente illecito o una condotta di vita, ma, piuttosto, la realizzazione del pericolo che la norma in precedenza violata intendeva prevenire ovvero che la propria condotta di vita ingenerava. La norma in questione, congegnata in modo tale da far discendere il suo riconoscimento automaticamente dall'accertamento dello stato dello straniero immigrato, sembra porsi in contrasto con tali criteri traducendosi in una sanzione applicata in occasione della realizzazione di qualsiasi fatto di reato e senza che sia accertato alcun legame di adeguatezza tra tale fatto e la condotta o la condizione a cui e' collegato l'aumento di pena. Prescindendosi da ogni accertata messa in pericolo dei beni tutelati dalla norma penale violata e semplicemente applicandosi in occasione della violazione di quest'ultima, l'aggravante sembra punire una mera disobbedienza (violazione delle norme sull'ingresso nel territorio italiano) e un tipo d'autore (lo straniero clandestino o irregolare). In questo senso non e' manifestamente infondato il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 61, n.11-bis c.p. in relazione agli artt. 3, 25 e 27 Cost.
P. Q. M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenutane la rilevanza e la non manifesta infondatezza; Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art.61 n. 11-bis c.p. per contrasto con gli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, primo e terzo comma, della Costituzione; Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti dello stesso alla Corte costituzionale; Ordina che la presente ordinanza sia notificata a cura della cancelleria al difensore dell'imputato, all'imputato, presso il domicilio eletto, al P.M. e al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al Presidente della Camera dei deputati. Agrigento, addi 3 marzo 2010 Il Giudice