N. 288 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 febbraio 2010

Ordinanza del 15 febbraio 2010 emessa dal Giudice di pace di  Pistoia
nel procedimento penale a carico di Karim Mohamed. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come  reato  -  Irragionevolezza
  sotto  diversi  profili,  anche  sotto   quello   sanzionatorio   -
  Disparita' di trattamento rispetto al reato  di  cui  all'art.  14,
  comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 - Violazione del  principio
  di uguaglianza e  del  principio  di  materialita'  -  Lesione  dei
  diritti inviolabili dell'uomo. 
- Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art.  10-bis,  aggiunto
  dall'art. 1, comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 25, comma secondo, e 27. 
(GU n.40 del 6-10-2010 )
 
                         IL GIUDICE DI PACE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
costituzionale. 
    Nel procedimento a carico dell'imputato ritenuto che: 
1) In punto di rilevanza. 
    La  questione  sollevata   e'   sicuramente   rilevante   poiche'
l'imputato e' chiamato a rispondere del reato  di  ingresso/soggiorno
illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'art.  10-bis d.lgs.
n. 286/98. Non solo, ma nel  caso  di  specie  via  sottolineato  che
sussiste in concreto la ricorrenza della causa di giustificazione del
«giustificato motivo» cosi' come descritta dalla  giurisprudenza  che
si e' consolidata in materia di applicazione del delitto sub art.  14
comma 5-ter. 
2) In punto di non manifesta infondatezza. 
    A) Violazione dell'art. 3 della  Costituzione  sotto  il  profilo
della irragionevolezza della  scelta  legislativa  di  criminalizzare
l'ingresso e la permanenza dei clandestini nel territorio dello Stato
pur in presenza di altri rimedi normativi. 
    La  penalizzazione  della  condotta  dovrebbe  intervenire  quale
estrema ratio in tutti i caso in cui non  sia  possibile  individuare
altri  strumenti  idonei  a  raggiungere   lo   scopo.   L'obbiettivo
perseguito   dalla   nuova   fattispecie   penale    e'    costituito
dall'allontanamento dello stranieri irregolare dal  territorio  dello
Stato. Tale obbiettivo e stato pero' previsto in svariate previsioni,
accessorie  alla  fattispecie  penale,  aventi  ad  oggetto   proprio
l'espulsione dello straniero: tale misura e' prevista  come  sanzione
sostitutiva  irrogabile  dal  Giudice  di  Pace  ai  sensi  dell'art.
16 d.lgs. n. 286/87, appositamente  modificato  per  riconiprendervi,
tra i presupposti, la sentenza  di  condanna  per  il  reato  di  cui
all'art. 10-bis. Infatti l'effettiva espulsione  dello  straniero  in
via amministrativa costituisce causa di improcedibilita'  dell'azione
penale.  La  finalita'  della  nuova  norma  incriminatrice,   ovvero
l'allontanamento dello straniero dal territorio dello Stato, e'  gia'
stata perseguita dalla normativa amministrativa e pertanto ad essa si
sovrappone mancando cosi' la ratio giustificatrice della creazione di
una fattispecie penale per far rispettare un  precetto  che  e  stato
invece gia' disciplinato da altre norme di legge in vigore nel nostro
ordinamento in particolare quindi l'art. 10-bis coincide con l'ambito
di   applicazione   della    preesistente    misura    amministrativa
dell'espulsione sia sotto il profilo  dei  soggetti  destinatari  sia
sotto il profilo della ratio giustificativa, l'adozione del  precetto
penale appare cosi' inutile. 
    B)  Violazione  dell'art.  3  e  27  della  Costituzione  per  la
irragionevole disparita' di trattamento fra la  fattispecie  regolata
dall'art. 10-bis e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter  d.lgs.  n.
286/98. 
    La giurisprudenza della suprema Corte ha rilevato che la clausola
«senza giustificato motivo» copre tutte le ipotesi di  impossibilita'
o  grave  difficolta'  per  cui  l'ordine  non  sia  eseguibile   per
impedimento  soggettivo  ed  oggettivo  senza  colpa   del   migrante
irregolare (es. mancato rilascio dei  documenti,  assenza  di  validi
documenti  per  l'espatrio,  indigenza  tale  da  non  consentire  di
acquistare un biglietto aereo) circostanze che,  pur  non  integrando
cause di giustificazione in senso tecnico, impediscono allo straniero
di prestare  osservanza  all'ordine  di  allontanamento  nei  termini
prescritti.  Quindi  la  suprema  Corte  giustifica  un   trattamento
sanzionatorio cosi'  severo  proprio  perche'  la  norma  prevede  un
precetto limitato dal momento che vanno escluse tutte le  ipotesi  di
giustificato motivo  intese  in  senso  ampio;  tale  conclusione  ed
interpretazione della norma impedisce di ritenere che il  legislatore
abbia incriminato condotte che l'autore non era in concreto in  grado
di evitare e che quindi abbia imposto un precetto penale  a  condotte
inesigibili. 
    Premesso cio', la questione di costituzionalita' deve esser posta
con riferimento alla ingiustificata  disparita'  di  trattamento  fra
coloro che incorrono  in  una  delle  due  fattispecie,  infatti  per
l'ipotesi della contravvenzione non e' prevista l'applicazione  della
clausola  di  salvaguardia  del  «giustificato  motivo»,  mentre  per
l'ipotesi del delitto e' prevista l'applicazione  di  tale  causa  di
giustificazione di cui all'art. 14, comma 5-ter d.lgs. n. 286/98. 
    La differenza di trattamento non si giustifica  per  la  maggiore
gravita' del fatto punito a titolo di contravvenzione, che  anzi  non
si puo' dubitare che invece si tratti di ipotesi di reato sussidiario
rispetto al delitto e percio' prevede e punisce una fattispecie  meno
grave. Non appare quindi ne' comprensibile ne' ragionevole il  motivo
del diverso trattamento delle due fattispecie  entrambe  omissive  ed
anzi tali da realizzare in concreto una stessa condotta  di  illecito
trattenimento nel territorio dello Stato. 
    Tuttavia  tale  situazione  non  pare   possa   legittimare   una
interpretazione secondo il principio del favor rei ovvero si  applica
la causa di  giustificazione  anche  al  reato  contravvenzionale  in
virtu' del principio sopra esposto. La fattispecie astratta descritta
dal legislatore  non  consente  tale  interpretazione  estensiva  del
«senza giustificato motivo» e resta pertanto esclusa la  possibilita'
di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma. 
    La mancata attribuzione di rilevanza nella nuova  fattispecie  ad
eventuali motivi che possano giustificare il trattenimento  illegale,
e'  del  tutto  in  contrasto  con   quanto   scritto   dalla   Corte
costituzionale nelle sentenze n. 5 del 2004 e nella successiva n.  22
del 2007 dalla cui lettura emerge la necessita' di ritenere la  causa
di giustificazione un elemento (negativo) del fatto, essenziale della
fattispecie penale,  perche'  solo  la  sua  previsione  consente  di
superare ogni obiezione e ritenere costituzionalmente  orientata  (ai
sensi  dell'art.  27  della  Cost)  l'incriminazione  della  condotta
omissiva. 
    Per maggior chiarezza  e'  opportuno  riportare  qui  di  seguito
quanto espresso dalla Corte nella sentenza n. 22 del 2007  nel  punto
in cui fa riferimento all'argomento trattato:  «quanto  all'eccessivo
rigore della norma censurata, lamentato in gran parte delle ordinanze
di rimessione, da cui si dedurrebbe una  irragionevolezza  intrinseca
della norma stessa, si deve innanzitutto ricordare che questa  Corte,
conformemente alla sua recente  giurisprudenza  (sentenza  n.  4  del
2004; ordinanze n. 302 e 80 del 2004), ha sottolineato «il ruolo che,
nell'economia applicativa della fattispecie criminosa, e' chiamato  a
svolgere  il  requisito  negativo  espresso  dalla  formula   ''senza
giustificato  motivo'',  presente   nella   descrizione   del   fatto
incriminato dal citato  comma  5-ter  dell'art.  14».  Tale  formula,
secondo  la  citata  giurisprudenza,  copre  tutte  le   ipotesi   di
impossibilita' o di grave difficolta' (mancato rilascio di  documenti
da parte dell'autorita'  competente,  assoluta  indigenza  che  rende
impossibile l'acquisto  di  biglietti  di  viaggio  ed  altre  simili
situazioni), che pur non integrando le cause  di  giustificazione  in
senso tecnico, impediscono  allo  straniero  di  prestare  osservanza
all'ordine di allontanamento nei termini prescritti». 
    Neppure puo' esser da solo sufficiente a  giustificare  lo  stato
dei fatti  il  rispetto  per  la  discrezionalita'  del  legislatore,
infatti la sentenza n. 22 del 2007, a tal proposito precisa che:  «il
sindacato di costituzionalita' puo'  investire  le  pene  scelte  dal
legislatore solo se si appalesi una evidente  violazione  del  canone
della ragionevolezza, in quanto ci si trovi di fronte  a  fattispecie
di  reato  sostanzialmente  identiche,  ma   sottoposte   a   diverso
trattamento sanzionatorio». 
    Nel caso di specie  e'  evidente  che  qui  ricorra  proprio  una
evidente violazione del canone della ragionevolezza in quanto  ci  si
trova di fronte a  fattispecie  di  reato  sostanzialmente  identiche
sottoposte a diverso trattamento sanzionatorio ma con una  previsione
che finisce, in concreto, per esser molto piu' rigorosa per il  reato
che dovrebbe essere quello meno grave avendo natura  sussidiaria.  Si
riscontra  quindi  una  sostanziale   parziale   identita'   fra   le
fattispecie prese in considerazione e si rileva invece come nel  caso
in esame una sproporzione sanzionatoria che penalizza non le condotte
piu' gravi ma che e' invertita rispetto a tale criterio,  circostanza
che richiede un  intervento  di  riequilibrio  e  che  giustifica  il
giudizio  di  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    C) violazione degli artt. 2, 3, 25  comma  2  della  Costituzione
dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 avutro riguardo alla configurazione
di  una  fattispecie  penale  discriminatoria  perche'   fondata   su
particolari condizioni  personali  e  sociali  anziche'  su  fatti  e
comportamento riconducibili alla volonta' del soggetto attivo. 
    Oggetto dell'incriminazione e' la mera condizione personale dello
straniero costituita dal mancato possesso di  un  titolo  abilitativi
all'ingresso ed  alla  successiva  permanenza  sul  territorio  dello
stato, che e' poi anche la condizione tipica del migrante economico e
dunque una condizione sociale propria di una determinata categoria di
persone. 
    Si tratta di una condizione priva  di  una  significativita'  sul
piano penale sotto il profilo della pericolosita' sociale, tanto  che
la stessa Corte costituzionale nella sentenza  n.  22/2007  dice  che
l'ingresso  e  la  presenza  illegali  nel  territorio  statale   non
costituiscono di per se' stessi  fatti  lesivi  di  un  qualche  bene
meritevole di tutela penale; tale condizione inoltre  e'  spesso  non
riconducibile  ad  una  condotta  volontaria  e   consapevole   dello
straniero.  La  criminalizzazione  quindi  del  migrante  appare   in
contrasto con il principio di uguaglianza sancito  all'art.  3  della
costituzione che vieta ogni  discriminazione  fondata  su  condizioni
personali e sociali sia con la fondamentale  garanzia  costituzionale
secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali - art.  25
comma 2 della Costituzione - e non per questioni attinenti al proprio
status. 
    La Corte costituzionale si  e'  gia'  espressa  sul  punto  nella
sentenza n. 78 del  2007  in  tema  di  applicabilita'  delle  misure
alternative alla detenzione agli stranieri  clandestini  quando  dice
che «il mancato possesso di un titolo abilitativi alla permanenza nel
territorio dello Stato» costituisce una «condizione soggettiva che di
per  se'  non  e'  univocamente  sintomatica   di   una   particolare
pericolosita'    sociale».    Da    tale    affermazione     consegue
l'impossibilita' di individuare  nella  esigenza  di  rispetto  delle
regole in  materia  di  ingresso  e  soggiorno  in  detto  territorio
nazionale una ragione giustificativa della  radicale  discriminazione
dello straniero sul piano dell'accesso al percorso rieducativi cui la
concessione  delle  misure  alternative  e'  funzionale».  La   nuova
fattispecie, fra le altre, renderebbe cosi' del  tutto  inapplicabile
la citata sentenza della Corte costituzionale e dunque  inaccessibili
le misure alternative alla detenzione per gli  stranieri  clandestini
condannati a pene detentive. Peraltro le condizioni cui e' giunta  la
Corte costituzionale sono  la  conclusione  di  un  percorso  storico
iniziato nel 1968 con l'abolizione dell'art. 708  c.p.  limitatamente
alla parte in cui faceva riferimento  alle  condizioni  personali  di
condannato  per  mendicita';   nel   1971   veniva   poi   dichiarata
l'illegittimita' Costituzionale dell'art. 707 cp  limitatamente  alla
parte in cui faceva riferimento alle stesse condizioni soggettive. 
    Per quanto riguarda il contrasto con l'art. 2 della  Costituzione
si  evidenzia  come  l'articolo  sancisca  il  riconoscimento   della
garanzia dei diritti inviolabili dell'uomo e  richiede  l'adempimento
dei  doveri  inderogabili  di  solidarieta'  economica,  politica   e
sociale. 
    Proprio   in   ottemperanza   a   questo   principio   la   Corte
costituzionale dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di
medicita' dove lo status di indigenza poteva esser eliminato  facendo
leva sulla solidarieta'. Allo stesso modo  lo  spirito  solidaristico
sempre  presente  nella  carta  costituzionale,   dovrebbe   impedire
l'adozione di misure meramente repressive per risolvere  il  problema
dell' immigrazione. 
    Tali principi solidaristici, oltre ad esser sanciti nella  nostra
Costituzione, sono anche principi  internazionalmente  accolti  nelle
piu' importanti convenzioni internazionali. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ritenuta  la  rilevanza  e  non  manifesta   infondatezza   della
questione   proposta,   solleva   la   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs.  n. 286/1998,  per  violazione
degli artt. 2, 3, 25 comma 2, 27  della  Costituzione  per  i  motivi
espressi in narrativa; 
    Ordina la trasmissione degli atti  alla  Corte  costituzionale  e
sospende il giudizio in corso; 
    Con comunicazione al Presidente del Consiglio dei ministri ed  ai
Presidenti delle Camere. 
        Pistoia, addi' 15 febbraio 2010 
 
                     Il Giudice di pace: Bagnoli