N. 318 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 luglio 2010
Ordinanza del 6 luglio 2010 emessa dal Giudice di pace di Ficarolo nel procedimento civile promosso dal Gherardi Roberta contro il Comune di Castelmassa. Circolazione stradale - Decurtazione di punti dalla patente per violazioni del codice della strada - Obbligo del proprietario del veicolo di comunicare all'organo di polizia i dati del conducente non identificato al momento dell'infrazione - Necessita', secondo la giurisprudenza della Cassazione, che l'adempimento avvenga entro sessanta giorni dalla notificazione del verbale di contestazione dell'infrazione (ossia nello stesso termine accordato per proporre ricorso amministrativo o giurisdizionale avverso il verbale) - Conseguente imposizione al proprietario, ove non diverso dal conducente, del dovere di autoaccusarsi prima della definizione dei ricorsi eventualmente proposti, per non incorrere nella sanzione amministrativa pecuniaria altrimenti applicabile - Discordanza rispetto al dictum della sentenza n. 27 del 2005 della Corte costituzionale - Lesione del diritto di difesa, comprensivo del principio nemo tenetur se detegere - Esorbitanza dai limiti al potere dello Stato di richiedere la collaborazione del cittadino alla scoperta dell'autore di un illecito. - Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), art. 126-bis, comma 2, introdotto [recte: modificato] dall'art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286. - Costituzione, art. 24. Circolazione stradale - Decurtazione di punti dalla patente per violazioni del codice della strada - Obbligo del proprietario del veicolo di comunicare all'organo di polizia i dati del conducente non identificato al momento dell'infrazione - Previsione di sanzione amministrativa pecuniaria in caso di inosservanza (salvo giustificato e documentato motivo) - Sostanziale attribuzione al proprietario che sia anche trasgressore della facolta' di scelta tra pagare la sanzione pecuniaria e subire la decurtazione dei punti - Disparita' di trattamento tra cittadini abbienti e meno abbienti - Violazione del principio di eguaglianza. - Codice della strada (decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), art. 126-bis, comma 2, introdotto [recte: modificato] dall'art. 2, comma 164, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286. - Costituzione, art. 3.(GU n.43 del 27-10-2010 )
IL GIUDICE DI PACE Tanto premesso, questo giudicante, rileva che dal su esteso ricorso emerge, al fine del decidere, la necessita' di riconsiderare la posizione soggettiva del proprietario di un veicolo, il quale debba fare la dichiarazione di cui all'art. 126-bis del codice della strada, nella nuova formulazione introdotta con la legge n. 286/2006. Il predetto riesame, si rende necessario sia per il profilo di possibile illegittimita' invocato dalla difesa della ricorrente sia sotto altro aspetto rilevato da questo giudice ed emerso a seguito della emanazione della sentenza n. 17348, avvenuta l'8 agosto 2007, a cura della II sez. civ. della Corte di cassazione, in cui viene fornita un'interpretazione dell'art. 126-bis del C.d.s. che, rimette in discussione la legittimita' della norma per conflitto con l'inviolabilita' del diritto di difesa di cui all'art. 24 della Costituzione. Tale diritto va riconosciuto anche al proprietario di un veicolo autore di un illecito che prevede la sanzione accessoria della decurtazione di punti della patente di guida, sotto il profilo della facolta' di non rendere dichiarazioni autoaccusatorie. Principio piu' efficacemente espresso dal noto broccardo: nemo tenetur se detegere. Non si tratta, evidentemente, di riproporre la questione nei medesimi termini in cui era gia' stata respinta dalla Corte costituzionale con la sent. n. 27/2005 ma, al contrario, come si chiarira' meglio infra, di effettuante una rivisitazione alla luce della sentenza della s.c. sopra richiamata, in relazione ai motivi per cui il giudice delle leggi l'aveva ritenuta infondata. In breve, la Corte costituzionale aveva affermato al capo 9.1.2.della predetta sentenza n. 27/2005, che i dubbi dei giudici rimettenti si basavano su un'inesatta esegesi del dato normativo Appariva difatti incontestabilmente, dalla lettura della norma, che per «definizione della contestazione effettuata» dovesse intendersi che si fossero conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi o giurisdizionali ammessi, ovvero che fossero «decorsi i termini per la proposizione dei medesimi». Ne discendeva quindi, che tra il verbale che chiameremo «presupposto» e la necessita' di dichiarare da parte del proprietario del veicolo i dati della patente del conducente al momento dell'infrazione, ci fosse una stretta connessione e che, in particolare, il termine per fare la dichiarazione dipendesse dallo spirare di quello fissato per la definizione dei ricorsi o della loro proposizione . Giova ricordare che il termine per la proposizione dei ricorsi e' di sessanta giorni dalla notificazione del verbale che si intende opporre (quello «presupposto», nella fattispecie). La sentenza n. 17348/2007 sopra richiamata, sebbene sia stata emanata avendo riguardo ad aspetti diversi da quelli relativi al diritto di difesa del ricorrente, ha evidenziato un'interpretazione dell'art. 126-bis, 2° comma sia nella formulazione risultante dalla sent. n. 27/2005 della Corte costituzionale, che in quella nuova, introdotta dalla legge n. 286/2006 che, a parere di questo giudice, ripropone la questione della lesione del diritto sancito dall'art. 24 della Costituzione. In particolare, la sent. n. 17348 citata, stabilisce il principio che l'illecito di cui all'art. 126-bis, 2° comma C.d.s. e' istantaneo e che si consuma nel termine di sessanta giorni dalla notificazione del verbale (presupposto). Ne discende che, avendo riguardo solo a cio' che ci interessa e cioe' alla lesione del principio nemo tenetur se detegere, il proprietario del veicolo interessato alla dichiarazione dei dati della patente di guida del conducente autore della violazione di cui al verbale presupposto, debba necessariamente fare la predetta dichiarazione ex art. 126-bis, nello stesso termine (pari a sessanta giorni) di cui dispone per la proposizione dei ricorsi. Insomma, nel medesimo lasso di tempo di cui dispone per difendersi, il proprietario di un veicolo deve, se non vuole violare l'art. 126-bis citato, qualora non intenda accusare terze persone, autoaccusarsi, nei confronti dell'organo che gli ha notificato il verbale presupposto. Tale organo e' il medesimo che eventualmente resistera' in giudizio contro di lui, per cui il ricorrente dovra' rivelargli i dati personali e della patente del conducente prima della definizione del giudizio. In tal modo, viene irrimedialmente leso il suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito. La costruzione dell'illecito di cui all'art. 126-bis C.d.S. nei modi e nei termini prospettati cui alla sent. n. 17348 della s.c. viene a trovarsi, a parere di questo giudicante, «in rotta di collisione» con l'ultima parte del capo n. 9.1.2 della sent. n. 27/2005 della Corte costituzionale, che recita testualmente: «In nessun caso,quindi, il proprietario e' tenuto a rivelare i dati personali e della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti giurisdizionali o amministrativi per l'annullamento del verbale di contestazione dell'infrazione. Poiche' in tutti i casi in cui si debba giudicare dell'eventuale violazione dell'art. 126-bis C.d.S., il G.d.p. dovra' attenersi all'interpretazione espressa dalla Sent. n. 17348 della s.c., e' necessario riesaminare la questione della possibile illegittimita' della norma che, a parere del remittente, sussiste. Ne' puo' obiettarsi che al proprietario del veicolo venga offerta la possibilita' di liberarsi dalla necessita' di «confessare» scegliendo di pagare la sanzione pecuniaria di cui all'art. 126-bis. Sembra difatti a questo giudice che l'esercizio di una facolta' legittima non sia comunque sottoponibile a sanzione e che, pertanto, una tale prospettazione sia illegittima. Si ripropone, a ben vedere, la questione piu' generale del limite invalicabile che esiste tra il diritto dello Stato alla collaborazione del cittadino alla scoperta dell'autore di un illecito ed il diritto di difesa che la Costituzione garantisce. In altre parole, occorre accertare se, nel caso di specie, vi sia da parte dello Stato il diritto di ottenere una confessione. Sia consentito a questo giudice osservare che prima dell'entrata in vigore della legge n. 214/2003, che ha introdotto la patente a punti, la collaborazione del cittadino all'attivita' della p.a. non si era mai spinta fino a pretendere una confessione di responsabilita' da parte del proprietario di un veicolo. La giurisprudenza di legittimita' era divisa tra la necessita' della contestazione immediata delle infrazioni accertate per mezzo di autovelox e simili; tuttavia, in nessun caso si utilizzava l'art. 180 C.d.s. per ottenere una confessione. A ben vedere, difatti, l'art. 180 citato sanziona la mancata collaborazione consistente nell'omessa esibizione di documenti di cui il conducente di un veicolo, la cui identita' era gia' nota, era sprovvisto quando fu fermato. Insomma, la ratio e la conseguente applicazione dell'art. 180 e del suo ottavo comma, prima dell'entrata in vigore della legge n. 214/2003, non prevedeva alcuna confessione di responsabilita'. Sembrava ovvio il principio che l'onere della prova della responsabilita' degli illeciti amministrativi incombesse sulla p.a. e che in nessun caso potesse trasferirsi al cittadino, men che meno prevedendo l'obbligatorieta' della confessione della sua eventuale responsabilita'. Mentre e' indubitabile che il proprietario di un veicolo che sia risultato autore di un illecito a fronte, ad esempio, di prove inconfutabili come le risultanze fotografiche, debba rispondere delle sanzioni pecuniarie, non e' affatto scontato che lo Stato possa pretendere che egli confessi di essere stato il conducente del veicolo, al diverso fine dell'applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti dalla patente di guida. Nell'applicazione della sanzione accessoria, difatti, entra in gioco il diritto del proprietario di difendersi, che comprende la facolta' di astenersi dal rendere dichiarazioni cosiddette «incriminanti». Si tratta percio' di valutare se il dovere di collaborazione alla scoperta del colpevole possa spingersi fino alla rinuncia a difendersi. Nel contrasto tra le due diverse esigenze, questo giudice ritiene che debba prevalere il diritto di difesa, di cui la Carta costituzionale sancisce l'inviolabilita' e che, pertanto, il proprietario del veicolo abbia il diritto di non confessare. L'art. 126-bis di cui si tratta pone la questione nei seguenti termini: o confessi o ti applico la sanzione pecuniaria prevista. Sembra a questo giudice che una tale alternativa sia lesiva in se' dell'art. 24 della Costituzione e che cio' prescinda, da qualsiasi configurazione dell'illecito previsto dall'art.126-bis del C.d.s. e che il diritto dello Stato debba limitarsi, nel caso in cui non sia altrimenti noto l'autore di un illecito amministrativo, all'applicazione di sanzioni pecuniarie nei confronti del proprietario in virtu' del principio di solidarieta' passiva di cui all'art.196 C.d.s.; mentre, per quanto attiene a sanzioni diverse di carattere affluivo, quali la sospensione della patente o la decurtazione dei punti, non possa essere esigibile la confessione. Esiste, secondo questo giudice, un limite invalicabile in proposito, costituito dall'art. 24 della Costituzione, di cui il principio nemo tenetur se detegere e' un corollario. Ne discende che la questione connessa all'art. 126-bis C.d.s., che punisce con una sanzione pecuniaria l'esercizio di una facolta' legittima, non appare manifestamente infondata stante il contrasto con l'art. 24 della Costituzione. Naturalmente l'eventuale illegittimita' della norma sarebbe solo parziale, perche' limitata al caso in cui il proprietario o l'usufruttuario etc. etc., dovessero confessare la propria responsabilita', mentre non sussisterebbe negli altri casi in cui i destinatari della dichiarazione fossero terze persone. In tal ultimo caso, nulla vieterebbe all'obbligato di rendere la dichiarazione dei dati della patente di costoro. Le considerazioni di cui sopra sembrano assorbire l'eccezione di illegittimita' sollevata dal ricorrente; tuttavia, qualora cosi' non fosse ritenuto dall'Ecc.ma Corte costituzionale, per mero scrupolo e' necessario rilevare che la facolta' di scelta che viene offerta al proprietario di un veicolo dall'art. 126-bis, 2° comma citato, tra il pagamento della sanzione pecuniaria e l'effettuazione della dichiarazione dei dati della patente del conducente quando questi sia lo stesso proprietario, sembra essere lesiva del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione vigente. Le persone meno abbienti, in realta', non possono avvalersi della «prima possibilita'», per cui dovranno sempre effettuare la dichiarazione mentre quelle facoltose potranno conservare i propri diritti (punti patente, sospensione della stessa etc.) semplicemente pagando. La disparita' di trattamento che discende dall'applicazione dell'art. 126-bis, sembra evidente. Tanto premesso,
P. Q. M. Visti gli artt.1, legge n. 1/1948 e 23 legge n. 87/1953. Ritenute non manifestamente infondate e rilevanti per la decisione del merito della causa di cui in premesse, le questioni dell'illegittimita' dell'art. 126-bis, 2 cornuta del decreto legislativo introdotto dall'art. 2, comma 164 del 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2006, n. 286, per contrasto con gli artt. 24 e 3 della Costituzione, per i motivi di cui in premesse; sospende il presente giudizio, iscritto al n. 8/O/2009 del ruolo generale degli affari contenziosi per l'anno 2009; Ordina l'immediata trasmissione degli atti all'ecc.ma Corte costituzionale. Ficarolo, addi' 6 luglio 2010 Il Giudice di pace: Campili