N. 319 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 marzo 2010
Ordinanza del 26 aprile 2010 emessa dal Consiglio nazionale forense di Roma sul reclamo proposto da Testa Carlo contro Graziani Alessandro. Professioni - Avvocato e procuratore - Avvocati componenti della Commissione e delle sottocommissioni per l'esame per l'accesso alla professione - Incandidabilita' ai rispettivi Consigli degli Ordini ed alle cariche rappresentative alla Cassa Nazionale di Assistenza e Previdenza Forense alle elezioni immediatamente successive all'incarico coperto - Violazione di diritto fondamentale della persona - Irragionevolezza - Lesione della liberta' di riunione e di associazione dei liberi professionisti sancita dall'art. 11 della CEDU. - R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, art. 22, comma 6, convertito, con modificazioni, nella legge 22 gennaio 1934, n. 36, sostituito dall'art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, nella legge 18 luglio 2003, n. 180. - Costituzione, artt. 2, 3, 51, commi primo e terzo; Carta dei diritti fondamentali U.E., art. 52; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, art. 11.(GU n.43 del 27-10-2010 )
IL CONSIGLIO NAZIONALE FORESE Nella seduta giurisdizionale del 20 marzo 2010; Esaminato il reclamo proposto dall'avv. Carlo Testa avverso la candidatura e la proclamazione dell'avv. Alessandro Graziani quale eletto a conclusione del ballottaggio per il rinnovo del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma per il biennio 2010/2011; Udita la relazione del consigliere avv. Marco Stefenelli; Sentito il Procuratore generale; Ha pronunciato la seguente, ordinanza. F a t t o Con ricorso di data 11 febbraio 2010, depositato lo stesso giorno presso la segreteria del Consiglio nazionale forense e notificato a tutti i contro interessati, l'avvocato Carlo Testa ha proposto reclamo avverso la candidatura dell'avvocato - Alessandro Graziani alle elezioni per il rinnovo del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma per il biennio 2010-2011 e avverso la proclamazione del detto candidato quale eletto a conclusione delle votazioni di ballottaggio del 10 febbraio 2010. Il ricorrente ha depositato nel giorno successivo una integrazione «dei documenti allegati. Deduce il ricorrente che l'avvocato Graziani, avendo svolto l'incarico di componente supplente di una sottocommissione di esame abilitativo alla professione forense presso il distretto della Corte d'appello di Roma fino al 3 luglio 2008, avrebbe illegittimamente presentato la propria candidatura ed altrettanto illegittimamente sarebbe stato proclamato eletto in violazione della disposizione dell'art. 1-bis del decreto-legge 21 maggio 2003 convertito in legge 18 luglio 2003 n. 180. Chiede pertanto che l'elezione dell'avvocato Graziani venga annullata ex tunc dichiarando direttamente eletto esso ricorrente quale primo dei non eletti. Con comparsa depositata il 4 marzo 2010 si e' costituito in giudizio l'avvocato Graziani rilevando, con un primo motivo, che la norma invocata a sostegno del reclamo, in quanto limitativa del diritto di elettorato passivo, sarebbe insuscettibile di interpretazione estensiva, ragione per cui il reclamo avrebbe dovuto essere proposto avverso la candidatura essendo precluso l'esame del ricorso volto a far valer l'ineleggibilita'. Contesta comunque che l'avvocato Testa possa essere dichiarato direttamente eletto atteso che se le elezioni sono state «inquinate» dalla partecipazione di chi non vi era legittimato sarebbe contraddittorio chiedere che, come se nulla fosse, si proceda nella graduatoria dei non eletti piuttosto che attraverso il ricorso ad elezioni suppletive. Deduce ancora che l'incompatibilita' sancita dalla norma che si assume violata sarebbe limitata alla prima tornata elettorale successiva all'incarico, da identificarsi nella specie in quella tenutasi a gennaio-febbraio 2009 per l'elezione del comitato dei delegati della Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense. Con un terzo motivo l'avvocato Graziani sostiene che l'incompatibilita' riguarderebbe i soli componenti effettivi della commissione d'esame e non anche i supplenti, attesa l'occasionalita' ed imprevedibilita' della loro partecipazione, prospettando, ove non interpretata nel senso indicato, questione di legittimita' costituzionale della norma richiamata. Ulteriori profili di incostituzionalita' vengono ancora sollevati in relazione agli art. 3 e 51 della Costituzione. In particolare, si sottolinea che l'art. 22, sesto comma, regio decreto n. 1578/1933 (come novellato dal decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito nella legge 18 luglio 2003, n. 180) suscita manifesti dubbi di legittimita' costituzionale dal momento che la sua formulazione e' talmente opinabile da delegare all'interprete, anziche' alla legge, la determinazione delle condizioni di incandidabilita' o ineleggibilita', e cio' e' inammissibilmente in contrasto con la regola secondo cui le disposizioni che pongono cause di incompatibilita' o incandidabilita' o ineleggibilita' all'assunzione di cariche elettive, in quanto derogatorie di un diritto costituzionalmente garantito, sono di stretta pertinenza della legge, stante le espressa riserva di legge sancita dall'art. 51 della Costituzione. Inoltre, si rileva che costituisce consolidato principio costituzionale il fatto che i casi di ineleggibilita', in quanto limitativi di un diritto fondamentale della persona, sono ragionevoli soltanto se posti a tutela di interessi pari rango costituzionale. Infine, vengono sollevati profili di costituzionalita' riconducibili all'irrazionalita' in se' della disposizione, derivante dal dubbio che l'incandidabilita' o l'ineleggibilita' sia una conseguenza irragionevolmente sproporzionata rispetto alla natura dei poteri che ciascun commissario d'esame possa esercitare al fine della captatio benevolentiae dei solo potenziali o futuri elettori: dovendo escludersi che l'esercizio di poteri collegiali (quali quelli attribuiti al componente di commissione d'esame) possa essere determinante ai fini della previsione di cause di ineleggibilita', non resta altro che supporre che la previsione contenuta nell'art. 22, sesto comma, regio decreto n. 1578/1933 debba essere essenzialmente riferita al potere di esprimersi in ordine alla promozione del candidato all'esame di abilitazione forense, spettante a ciascun membro di commissione (o sottocommissione) d'esame. Alla stregua di tale interpretazione, pero', la preclusione dettata dalla norma in questione risulta palesemente irragionevole e assolutamente incoerente con il sistema delle preclusioni all'eleggibilita' legislativamente previsto. In definitiva, ad avviso dell'avv. Graziani, la tenuita' - se non l'inconsistenza - delle ragioni poste a base della previsione legislativa concernente l'ineleggibilita' dei componenti di commissione (o sottocommissione) d'esame dimostra l'evidente mancanza di quella rigorosa prova dell'indispensabilita' del limite esaminato rispetto all'esigenza primaria di assicurare una libera competizione elettorale, che la Corte costituzionale (a partire dalla sentenza n. 46 del 1969) costantemente richiede in riferimento al principio fondamentale contenuto nell'art. 51 della Costituzione. Conclude chiedendo il rigetto del reclamo o in subordine insistendo nell'eccezione di legittimita' costituzionale ed in ogni caso opponendosi alla richiesta di diretta elezione del ricorrente alla carica di consigliere. Con memoria depositata il 5 marzo successivo il ricorrente richiama ed amplia i contenuti del ricorso evidenziando come il reclamo sia proponibile solo avverso la proclamazione degli eletti e non in via anticipata avversa la loro candidatura. Si e' costituito in giudizio il COA di Roma che, senza esprimere alcuna valutazione sulla questione principale del reclamo, richiama i due fondamentali principi che disciplinano le elezioni forensi, il primo di quali escluderebbe la possibilita' di sostituire un consigliere dimissionario o altrimenti venuto meno con il primo dei candidati non eletti mentre il secondo attribuirebbe effetti stabilizzanti alla proclamazione degli eletti in assenza di precedenti contestazioni e conclude rimettendosi alla decisione di questo consiglio in relazione al motivo concernente l'ineleggibilita' comunque chiedendo la declaratoria di inammissibilita' od il rigetto del ricorso. All'udienza del 20 marzo 2010 i difensori dei ricorrente hanno depositato memorie, nelle quali ribadiscono ulteriormente le ragioni che assistono il fondamento del ricorso. In estrema sintesi, l'avv. Carlo Testa allega che non e' contestato che l'avv. Graziani abbia partecipato attivamente agli esami di avvocato per l'anno 2006 conclusi in data 3 luglio 2008. In particolare, l'ultima seduta di esami orali alla quale ha partecipato, in sostituzione di un componente effettivo, risale al 12 giugno 2008» (v. memoria depositata nell'interesse dell'avv. Graziani, pag. 6, lettera b). L'avv. Graziani, dunque, e' stato inequivocabilmente «componente della commissione e delle sottocommissioni» nel senso indicato dall'art. 22, sesto comma, del regio decreto 27 novembre 1933, n. 1578, e ha partecipato in concreto alle operazioni d'esame; e che non e' altrettanto contestato che l'avv. Graziani abbia partecipato alle elezioni per il rinnovo dei componenti del Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma e sia stato proclamato all'esito del ballottaggio, nella notte tra il 9 ed il 10 febbraio 2010, il sesto degli eletti. In diritto quale normativa elettorale di riferimento, l'avv. Testa richiama: il d.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382, integrato dal d.lgs. 26 febbraio 1948, n. 174, ai sensi del quale «Tutti gli iscritti sono elettori ed eleggibili, compreso coloro che dopo l'iscrizione non abbiano ancora prestato giuramento»; la legge 18 luglio 2003, n. 180, di conversione del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, che ha modificato l'art. 22, sesto comma, del regio decreto n. 1578/1933, ove e' previsto che «gli avvocati componenti della commissione e delle sottocommissioni (per l'esame per l'accesso alla professione) non possono candidarsi ai rispettivi Consigli degli ordini ed alla carica dei rappresentati alla Cassa nazionale di assistenza e previdenza forense alle elezioni immediatamente successive all'incarico coperto», evidenziando l'assenza di deroghe in favore dei componenti supplenti; l'art. 6 del d.lgs. lgt. 23 novembre 1944, n. 382, in virtu' del quale ciascun professionista iscritto all'albo puo' proporre reclamo contro i risultati dell'elezione, presentandolo nella sede del C.N.F.: «il reclamo puo' investire le modalita' di espletamento delle operazioni elettorali, l'attribuzione ed il calcolo dei voti e l'eleggibilita' degli eletti»; viene richiamata anche la giurisprudenza del Consiglio nazionale forense: parere n. 1 del 16 gennaio 2008 (parere n. 14 del 22 marzo 2006); in particolare, nelle difese dell'avv. Testa si insiste sui seguenti aspetti: componente effettivo e supplente svolgono le stesse funzioni e, quindi, sono assoggettati alle medesime cause di ineleggibilita'; stante l'identita' di funzioni tra componente effettivo e supplente, non vi e' violazione dell'art. 3 della Costituzione. «Conseguentemente non vi e' questione di legittimita' costituzionale e, tanto meno, sproporzione, in quanto nella specie l'incompatibilita' e' stabilita all'interno di un ceto, quello di un avvocato che vive continuamente a contatto dei colleghi negli uffici giudiziari. Colleghi che hanno i loro figli candidati agli esami; sicche' la captatio benevolentiae va valutata con maggiore rigore proprio perche' le elezioni si svolgono all'interno di un ceto» (v. note d'udienza del 20 marzo 2010, p. 2, ove vengono anche richiamati i lavori preparatori della riforma forense in sede di discussione nella seduta n. 327 del 23 giugno 2003); la normativa esaminata pone un divieto espresso di candidatura e, quindi, di eleggibilita' sia ai Consigli degli ordini sia alla carica di rappresentante alla Cassa nazionale di previdenza, limitandolo, per entrambi, e non in via alternativa, alle elezioni immediatamente successive alla cessazione della carica. All'udienza di discussione sono presenti: l'avv. Carlo Testa assistito dai suoi difensori: prof. avv. Giuseppe Abbamonte e dall'avv. Antonino Galletti nominato in udienza; l'avv. Alessandro Graziani assistito dai suoi difensori: avv. Edoardo Pontecorvo e prof. avv. Romano Vaccarella; I difensori dell'avv. Graziani hanno ulteriormente insistito per il rigetto del ricorso. Ed hanno svolto in modo analitico i profili di incostituzionalita' della norma invocata dal ricorrente, ove, in subordine, questo consiglio ritenesse di non rigettare il ricorso. Il p.g. dott. Pasquale Paolo Maria Ciccolo ha concluso per raccoglimento del ricorso e, in subordine, per il rinvio alla Corte costituzionale della questione di legittimita' dell'art. 22 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. In legge 22 gennaio 1934, n. 36 e modificato dall'art. 1-bis del d.l. 21 maggio 2003, n. 112 come conv. In legge 18 luglio 2003, n. 180 sollevata dal resistente. Viene preliminarmente in esame la questione della legittimita' costituzionale dell'art. 22 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, conv. In legge 22 gennaio 1934, n. 36 e modificato dall'art. 1-bis del d.l. 21 maggio 2003, n. 112 come conv. In legge 18 luglio 2003, n. 180 sollevata dal resistente. Si tratta di questione incidente su di un diritto fondamentale, tutelato, come piu' volte ribadito dalla Corte costituzionale e dalla Corte di cassazione, dagli articoli 2, 3, 51 Cost. (ad es. Corte cost. 23 dicembre 1994 n. 438; Cass. 26 febbraio 1988,n. 2046; Cass. 11 marzo 2005 n. 5449; 12 febbraio 2008, n. 3384) connessa con la iscrizione all'albo degli avvocati e all'esercizio delle prerogative riconosciute in capo a ciascun iscritto al fine della rappresentanza negli ordini professionali, il ricorso proponente il reclamo investe questo consiglio nella sua funzione giurisdizionale; ed e' pertanto nell'ambito della propria potestas decidendi che il consiglio ha preso cognizione della questione di legittimita' costituzionale. La questione di legittimita' costituzionale che riguarda la norma la cui applicazione e' invocata dal ricorrente prevale sulle altre sollevate dal resistente, il cui esame e' rinviato all'esito dell'accertamento della conformita' o meno della norma al dettato costituzionale. Il contraddittorio e' completo, in quanto si e' costituito l'ordine di Roma (Corte cost. ord. n. 183 del 1999). La norma impugnata, come si dira', ha incidenza attuale e non meramente eventuale nel procedimento a quo e pertanto essa deve necessariamente essere impiegata per dirimere la questione e giungere alla decisione. La norma invocata dal ricorrente a fondamento del proprio diritto e' certamente equivoca. Essa dispone infatti che < (...) Gli avvocati componenti della commissione e delle sottocommissioni non possono candidarsi ai rispettivi consigli dell' ordine e alla carica di rappresentanti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense alle elezioni immediatamente successive all'incarico ricoperto (..) > . Questo Consiglio, richiesto si esprimere parere in ordine alla sua interpretazione da parte del Ministero della giustizia, ha risposto, mediante la sua commissione pareri con il parere del 22 marzo 2006, n. 14 ritenendo che l'espressione usata dal legislatore, di «incandidabilita'», debba essere intesa nel senso della ineleggibilita', atteso che l'attuale disciplina elettorale agli organi rappresentativi forensi non disciplina la categoria della «candidatura», essendo possibile per ogni iscritto all'albo votare per qualsiasi iscritto all'albo (in questo senso v. anche Corte cost. ord. n. 260 del 2002). Si' che, prosegue il parere, «la causa di ineleggibilita' si protrae, secondo la norma, fino alle elezioni immediatamente successive al momento nel quale, una volta espletate le relative funzioni, cessa la condizione di componente della commissione o delle sottocommissioni. E cio' in ragione del fatto che la disposizione non assume a riferimento il momento della nomina a commissario o sottocommissario, e dunque un evento assai circoscritto temporalmente, bensi' la piu' generale condizione di colui che ha ricoperto l'incarico. In conclusione deve dunque ritenersi che la sessione elettorale oggetto dell' incompatibilita' sia la prima che intervenga dopo la cessazione della qualita' di commissario d'esame, oltre ovviamente a quelle svolgentisi nel corso della sessione di esami». Trattandosi di ineleggibilita' occorre che la norma invocata sia interpretata in senso restrittivo. Come si e' posto in luce dalla Corte di cassazione con la recente ord. n. 19757 del 2009 con cui si e' ricostruita la linea interpretativa della Corte costituzionale in materia, la giurisprudenza costante della Corte ha affermato la sindacabilita' delle norme che comminano, alternativamente, l'ineleggibilita' o l'incompatibilita' a cariche elettive, sotto il profilo del criterio della ragionevolezza, dal momento che esse rispondono a finalita' diverse che non ne consentono la previsione discrezionale, o promiscua, da parte del legislatore. La prima sanzione costituisce, infatti, una piu' grave deroga al diritto di elettorato passivo, costituzionalmente tutelato (art. 51 Cost.) e deve essere giustificata da condizioni personali tassative: quale una condanna penale per determinati reati cui la legge ne ricolleghi la perdita, o la titolarita' di ufficio o di una carica suscettibile di provocare una indebita influenza distorsiva sulle libere scelte degli elettori, lesiva della par condicio, in virtu' di una captatio benevolentiae, o di un timore reverenziale in essi ingenerato. Per contro, l'incompatibilita' sottende un conflitto di interessi, pur se potenziale, o quanto meno un giudizio di inopportunita' dell'esercizio contemporaneo della carica elettiva e di altra, privata o pubblica, ricoperta dal candidato. Essendo meno grave, l'incompatibilita' non produce l'invalidita' dell'elezione, a differenza della causa di ineleggibilita', ma e' sanabile mediante il successivo abbandono del munus concorrente entro il termine di legge. Alla luce di questa configurazione concettuale, la Corte costituzionale ha piu' volte affermato che le cause di ineleggibilita' sono di stretta interpretazione e devono essere rigorosamente informate alla soddisfazione di effettive esigenze di pubblico interesse (Corte costituzionale, 13 febbraio 2008, n. 25; Corte costituzionale, 3 ottobre 2003, n. 306; Corte costituzionale, 2 febbraio 1990, n. 53; ed altre). L'art. 51 Cost. pone infatti come regola l'eleggibilita'; e solo come eccezione l'ineleggibilita' (cfr. anche per affinita' di oggetto, Corte costituzionale, 6 febbraio 2009, n. 27, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, art. 60, comma 1, n. 9). Ora nel caso di specie e' evidente che la ratio della norma si basa proprio sulla esigenza di evitare che chi si trovi ad essere componente (effettivo o supplente) della commissione per l'abilitazione all'esercizio della professione forense possa acquisire il favor degli elettori e quindi non possa essere eletto ( anche se candidatosi) alle elezioni che sono indette nel corso dell'espletamento delle prove d'esame e per un periodo successivo. Il periodo successivo non e' indicato nella norma, dal momento che le elezioni possono avere diverse cadenze, sicche' per assolvere allo scopo si parla di elezioni «immediatamente» successive all'incarico ricoperto. Ed e' evidente che finche' l'incarico e' ricoperto, cioe' finche' non sia terminata la tornata di esami in cui l'avvocato e' commissario, questo impedimento sussista. Occorre pero' tener conto del fatto che le norme che prescrivono la ineleggibilita' (ovvero anche la incompatibilita') di un soggetto ad una carica, proprio perche' incidenti su di un diritto fondamentale, debbono essere interpretate restrittivamente. Tanto piu' la disposizione in esame, la quale - al fine di «moralizzare» gli esami di avvocato - e' basata su di un sospetto e vuoi colpire coloro che sottoponendosi al gravoso compito di commissario d'esame, intendessero acquisire meriti, o peggio, favori, espressi attraverso il voto alle elezioni di categoria; lo scopo perseguito dal legislatore e' quindi fondato sul sospetto e sulla malafede di coloro che assumessero l'incarico a questo premeditato fine, perche' svolgendo il loro incarico capterebbero la benevolenza degli elettori. Il limite temporale - che per le ragioni dette - deve essere inteso nel modo meno lesivo e meno discrezionale possibile del diritto fondamentale all'elettorato passivo - nella norma e' espresso con l'avverbio «immediatamente» riferito alle 1 elezioni successive «all' incarico ricoperto». Le elezioni di cui parla la norma riguardano quelle alla carica di consigliere dell' ordine forense e quella di rappresentante alla Cassa nazionale di assistenza e di previdenza forense. Il tenore letterale della disposizione e' chiaro. Per quanto riguarda l'avverbio «immediatamente» e' chiaro che il legislatore si voglia riferire alle elezioni successive a quelle da espletarsi nel corso degli esami oppure nella prima occasione utile dopo che gli esami si sono conclusi. Per quanto riguarda la congiunzione «e», che fa riferimento alle due diverse tipologie di elezioni, il ricorrente sostiene che essa debba intendersi in senso disgiuntivo, si che l'impedimento cadrebbe quando si fossero espletate le une o le altre tornate elettorali; nel caso di specie il resistente ritiene che, essendosi espletate pendente tempore le elezioni alla Cassa di previdenza, l'impedimento sarebbe ormai rimosso. Tuttavia questo Consiglio ritiene che se il legislatore avesse inteso rendere alternative le due ipotesi avrebbe utilizzato il disgiuntivo «o». Il testo legislativo conduce quindi ad una situazione di irrazionalita' manifesta. Cio' perche' le elezioni dei Consigli degli ordini forensi avvengono - al momento - ogni biennio e quelle alla Cassa forense ogni quadriennio, sicche' si potrebbe addirittura verificare il caso di ineleggibilita' per un sessennio addizionandosi i due periodi di durata delle cariche elettive. Si tratterebbe di una misura evidentemente sproporzionata- in contrasto con gli articoli 3 e 51 primo comma e terzo comma, Cost. - nonche' con l'art. 52 della Carta dei diritti fondamentali dell' Unione europea, qui valorizzabile ex art. 117 Cost. - volta peraltro a colpire quanti si sobbarcano il gravoso compito di componente delle commissioni di esami, i quali si vedrebbero precludere la possibilita' di espletare il servizio presso l'ordine o la Cassa per il solo fatto di avere svolto altro servizio sotto l'aura sospettosa del legislatore. L'irrazionalita' manifesta di questa lettura della norma si evince ancor piu' dal fatto che se la captatio benevolentiae dovesse consistere (come nella mens legis sembrerebbe essere) nel fatto di aver agevolato i candidati all'esame, i quali medesimi o i loro congiunti ed amici si trasformerebbero poi in elettori che volessero manifestare la loro gratitudine al candidato all'elezione al consiglio dell' ordine o alla cassa, la benevolenza o la gratitudine dovrebbero essere «eterne» e quindi non avrebbe senso far cadere l'impedimento dopo un certo periodo di tempo. Poiche' la lettura della norma nel suo senso letterale include entrambe le tipologie di elezioni, appare evidente l'incongruita' del testo e la sua palese violazione dell'art. 3 Cost. che discrimina chi ha fatto parte delle commissioni d'esame, e viene penalizzato, e chi invece non si e' sobbarcato questo servizio e quindi viene agevolato perche' non incontra come competitori coloro che lo hanno svolto. Si ostacolerebbe pure la libera competizione elettorale, e quindi sussisterebbe la violazione dell'art. 51 Cost. esponendo il componente della commissione di esame ad un vincolo di ineleggibilita' incerto nel tempo e di durata potenzialmente cosi' lunga (per tutto il periodo di carica dei due organi rappresentativi sommati tra loro) da non giustificare simile incisione di un diritto fondamentale rispetto al vantaggio che ne dovrebbe conseguire e all' interesse contrapposto che la norma vorrebbe tutelare. Poiche' la lettera «e» nel testo legislativo implica una congiunzione e non e' possibile interpretarla in senso opposto, non e' neppure possibile effettuare - come richiesto dal resistente - una interpretazione costituzionalmente orientata. Di qui la rilevanza della questione che appare non manifestamente infondata di incostituzionalita' della norma e quindi la necessita' di sottoporre la questione alla Corte costituzionale. Inoltre, consentendo il diritto di elettorato passivo la libera espressione della propria personalita',la norma si pone in contrasto con l'art. 2 Cost. nonche' con l'art. 11 della C.E.D.U. interpretato nel senso che il diritto di far parte degli organismi rappresentativi delle professioni intellettuali vulnera la liberta' di riunione e associazione in modo eccedente quanto necessario al raggiungimento della finalita' perseguita.
P. Q. M. Visti gli articoli 134 Cost. e 23 11 marzo 1953 n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' dell'art. 22 del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 conv. in legge 22 gennaio 1934, n. 36 come modificato dall'art. 1-bis del d.l. 21 maggio 2003, n. 112 conv. in legge 18 luglio 2003, n. 180 in quanto, rimuovendo l'impedimento alla elezione passiva ai Consigli e degli ordini forensi e agli organi della cassa di previdenza e di assistenza forense per gli avvocati che abbiamo fatto parte delle commissioni dell'esame di abilitazione forense solo dopo che siano state espletate le elezioni immediatamente successive all'incarico ricoperto per entrambe le elezioni,e' in contrasto con gli articoli 2, 3 e 51, primo e terzo comma, Cost., giusto quanto sopra motivato nonche' con gli articoli 52 della carta dei diritti fondamentali e l'art. 11 C.E.D.U. Sospende il presente procedimento in attesa della decisione della Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria siano trasmessi gli atti alla Corte costituzionale, il presente provvedimento sia notificato alle parti e cioe': al ricorrente avv. Carlo Testa; al resistente avv. Alessandro Graziani; al Consiglio dell'ordine degli avvocati di Roma; ai contro interessati, consiglieri dell'ordine di Roma, e al Presidente del Consiglio dei ministri, e sia comunicato ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma, addi' 20 marzo 2010 Il Presidente: Alpa Depositata presso la segreteria del Consiglio nazionale forense, addi' 26 aprile 2010 Il Consigliere segretario: Tirale