N. 326 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 2009

Ordinanza del 1° dicembre 2009 emessa dal Tribunale di Palermo - Sez.
Fallimentare nel procedimento relativo a Giarrusso Francesco n.q.  di
titolare dell'impresa individuale Giarrusso Gomme.. 
 
Fallimento e procedure concorsuali - Assoggettabilita' a fallimento -
  Esclusione dell'imprenditore individuale la cui impresa  sia  stata
  oggetto di misura di  prevenzione  patrimoniale  ex  art.  2-ter  e
  seguenti della legge n. 575 del  1965  (legislazione  antimafia)  -
  Omessa previsione - Ingiustificata estensione all'imprenditore solo
  formale delle conseguenze previste per l'imprenditore che si  trovi
  nel pieno e libero esercizio della propria  attivita'  economica  -
  Violazione del principio di uguaglianza - Violazione del diritto di
  difesa nel procedimento prefallimentare - Contrasto con la liberta'
  di iniziativa economica privata. 
- R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), art. 1,  comma  1,
  come modificato dai decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5  e  12
  settembre 2007, n. 169. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 41. 
(GU n.43 del 27-10-2010 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
n. 92/2009  R.G.  Affari  Camera  Consiglio,  avente  ad  oggetto  la
dichiarazione  di  fallimento  di   Giarrusso   Francesco,   titolare
dell'impresa individuale denominata Giarrusso Gomme, su richiesta del
Pubblico Ministero ex art. 7 R.D. 267/1942, come modificato dall'art.
5 d.lgs. n. 5/2006. 
 
                              In fatto 
 
    Con ricorso  depositato  in  data  19  marzo  2009,  il  Pubblico
Ministero chiedeva dichiararsi il fallimento di Giarrusso  Francesco,
titolare  dell'impresa  individuale   denominata   Giarrusso   Gomme,
deducendo,   a    dimostrazione    dello    stato    di    insolvenza
dell'imprenditore, l'ingente esposizione  debitoria  di  quest'ultimo
nei  confronti  dell'Erario  (pari  a  circa  E  900.000,00),   quale
risultante da un precedente procedimento  prefallimentare  intrapreso
ai danni del Giarrusso dal creditore Covelli Salvatore  e  conclusosi
con l'archiviazione per desistenza del ricorrente, giusta decreto del
2-3 luglio 2008. 
    Giarrusso Francesco, ricevuta regolare notifica del ricorso e del
decreto di convocazione, si costituiva con comparsa depositata il  13
maggio 2009, con la quale, premettendo che,  con  decreto  del  17-20
giugno 2005, la  Sezione  Misure  di  Prevenzione  del  Tribunale  di
Palermo aveva disposto il sequestro ex art. 2-ter  legge  n. 575/1965
della propria  ditta  individuale  Giarrusso  Gomme  e  del  relativo
complesso dei beni aziendali, e nominato  amministratore  giudiziario
Rag. Giuseppe Sanfilippo, ed evidenziando, per un verso, che gia'  in
data 31 ottobre 2006 l'impresa aveva  di  fatto  cessato  la  propria
attivita', e, per altro verso, che il debito tributario relativo agli
anni 1998-2002 era stato  oggetto  di  istanza  di  condono  tombale,
chiedeva il rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte. 
    In primo luogo, il  Giarrusso  eccepiva  il  proprio  difetto  di
legittimazione passiva, posto che l'attivita' di  impresa  era  stata
esercitata,   gia'   dal   giugno   del   2005,   dall'Amministratore
giudiziario, del quale chiedeva la convocazione ex art. 15  L.F.;  in
secondo luogo, deduceva decorso del termine annuale di  cui  all'art.
10 L.F., nella versione  -  ritenuta  applicabile  dal  resistente  -
introdotta con  il  d.lgs.  n.  5/2006  (non  potendo,  a  suo  dire,
applicarsi retroattivamente il nuovo testo dell'art.  10,  introdotto
con il d.lgs. 169/2007, il quale limita al solo creditore e  P.M.  la
facolta'  di  dimostrare   il   momento   dell'effettiva   cessazione
dell'attivita');  in   terzo   luogo,   contestava   la   sussistenza
dell'esposizione tributaria posta a base del  ricorso  del  P.M.,  in
quanto oggetto, almeno per gli anni 1998-2002,  di  condono  tombale;
infine,  contestava   genericamente   il   superamento   dei   limiti
dimensionali di cui all'art. 1 comma II L.F. 
    Disposta   la   convocazione   dell'Amministratore   giudiziario,
quest'ultimo  si  costituiva  all'udienza  del  9  settembre  2009  e
depositava memoria con  la  quale,  premettendo  di  avere  di  fatto
cessato l'attivita' a far data dal 14 novembre  2006  (essendo  stato
autorizzato  dal  Giudice  delegato  alla  misura  di  prevenzione  a
rilasciare l'immobile sede dell'attivita'  ed  a  licenziare  l'unico
dipendente dell'impresa) e precisando che, con decreto del 24 ottobre
2007, la Sezione Misure di Prevenzione  aveva  disposto  la  confisca
(non ancora divenuta definitiva) della  ditta  individuale  Giarrusso
Gomme e  del  relativo  patrimonio  aziendale,  chiedeva  il  rigetto
dell'istanza di fallimento, ed all'uopo eccepiva, in primo luogo,  la
carenza di legittimazione attiva in capo  al  P.M.  per  difetto  dei
presupposti di cui all'art. 7 L.F.; in secondo  luogo,  l'intervenuta
cessazione    ultrannuale    dell'attivita'    d'impresa;     infine,
l'insussistenza dell'esposizione tributaria posta a base del ricorso,
in quanto oggetto di condono tombale. 
    All'udienza del. 7 ottobre 2009, l'Amministratore giudiziario, ad
integrazione delle difese gia' svolte, deduceva, per l'ipotesi in cui
il   Tribunale   avesse   ritenuto   preclusa   all'imprenditore   la
possibilita' di  provare  il  decorso  del  termine  annuale  di  cui
all'art. 10 L.F. a prescindere dalla cancellazione dal registro delle
imprese, l'incostituzionalita'  di  tale  norma  per  violazione  del
principio di  uguaglianza  fra  le  parti,  in  considerazione  della
disparita' di trattamento del debitore rispetto al  creditore  ed  al
P.M., peri quali la stessa norma fa invece salva, in caso di  impresa
individuale  o  di  cancellazione  di  ufficio   degli   imprenditori
collettivi, la  facolta'  di  dimostrare  il  momento  dell'effettiva
cessazione dell'attivita' da cui fare decorrere il termine annuale. 
    II. In diritto. Sulla rilevanza della questione. 
    II.1. Cio' premesso in fatto, deve, anzitutto,  essere  esaminata
l'eccezione di difetto di  legittimazione  attiva  in  capo  al  P.M.
sollevata  dall'Amministratore  giudiziario.  Tale  eccezione  appare
priva di pregio. 
    Invero, com'e' noto, l'art. 7 n.  2  L.F.  consente  al  P.M.  di
presentare la richiesta di fallimento  «quando  l'insolvenza  risulta
dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia  rilevata  nel
corso di un procedimento civile». 
    Ebbene, nella fattispecie in  esame,  l'iniziativa  del  Pubblico
Ministero scaturisce dalla segnalazione  dell'insolvenza  di  cui  al
decreto del 2-3 luglio  2008,  con  il  quale  il  Tribunale  Sezione
Fallimentare, archiviato  il  ricorso  per  fallimento  proposto  dal
creditore Covelli Salvatore per desistenza di quest'ultimo,  trasmise
gli atti al P.M., evidenziando l'esistenza in  capo  all'imprenditore
di un'esposizione nei confronti dell'Erario per oltre € 900.000,00. 
    Ricorrono, pertanto, i presupposti di cui all'art. 7 cit., ove si
consideri che il procedimento prefallimentare  deve  considerarsi,  a
tutti gli effetti, un procedimento civile. 
    Ritiene, invero, il Collegio di non poter condividere i  principi
espressi dalla giurisprudenza di legittimita' nella nota (e  fin  qui
isolata) pronuncia della Corte di Cassazione n. 4632 del 26  febbraio
2009, secondo cui sarebbe illegittima, con conseguente nullita' della
sentenza dichiarativa di fallimento, la segnalazione al P.M. da parte
del Tribunale fallimentare dell'insolvenza dell'imprenditore, pena la
violazione, secondo la Suprema Corte, dell'art. 111 Cost, del divieto
del  fallimento  di  ufficio  e  della  terzieta'  ed   imparzialita'
dell'organo giudicante. 
    In senso contrario  a  tale  arresto,  questo  Collegio,  facendo
proprie   le   argomentazioni   gia'   lucidamente   espresse   nella
giurisprudenza di merito (v. Trib. Mantova 18  marzo  2009,  inedita,
confermata ed arricchita da App. Brescia 7 ottobre  2009,  pubblicata
sulla rivista telematica www.ilcaso.it), osserva, anzitutto, come non
possa in alcun modo  accomunarsi  l'iniziativa  d'ufficio  alla  mera
segnalazione al P.M., posto che, avvenuta la segnalazione  (la  quale
costituisce l'espressione non gia' di una facolta', bensi' di un vero
e  proprio  potere-dovere  del  giudice  in  presenza  di  un  quadro
indiziario di decozione), il P.M.  vaglia  autonomamente  la  notizia
pervenutagli e valuta liberamente se ricorrono o meno  le  condizioni
per la proponibilita' della domanda di fallimento, con la conseguenza
che non possono dirsi in alcun modo compromesse ne' la terzieta', ne'
l'imparzialita' del giudicante,  come  invece  paventato  dal Supremo
collegio. 
    In  secondo  luogo,   non   sussistono   elementi,   testuali   o
sistematici, per negare che il procedimento  prefallimentare  sia  un
procedimento civile ricompreso nella  previsione  dell'art.  7  n.  2
L.F., ne' vi e' motivo di distinguere, ai fini  della  legittimazione
alla segnalazione da parte del giudice civile, in base al  fatto  che
lo stato di insolvenza riguardi il «debitore» (ipotesi nella quale la
legittimazione del giudice fallimentare e' negata  dalla  Cassazione)
ovvero un «soggetto diverso da  quello  destinatario  dell'iniziativa
per la dichiarazione di fallimento» (ipotesi nella quale, invece,  la
legittimazione e' riconosciuta), atteso  che,  in  entrambi  i  casi,
l'eventuale fallimento  verrebbe  comunque  dichiarato  dallo  stesso
Tribunale fallimentare, con conseguente riproposizione degli identici
dubbi di «terzieta'» paventati dalla S.C. 
    In terzo luogo, nella stessa Relazione illustrativa al d.lgs.  n.
5/2006 (cui non puo' non riconoscersi, in conformita' al  consolidato
indirizzo   della   giurisprudenza   di   legittimita',   un   valore
«sussidiario» nell'interpretazione della legge), si afferma  che  «la
soppressione della dichiarazione di fallimento di ufficio ... risulta
bilanciata dall'affidamento al pubblico ministero del potere  di  dar
corso  all'istanza  di   fallimento   su   segnalazione   qualificata
proveniente  dal  giudice  al  quale,  nel  corso  di  un   qualsiasi
procedimento civile, risulti l'insolvenza di un imprenditore;  quindi
anche  nei  casi  di  rinunzia  (c.d.  desistenza)  al  ricorso   per
dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti». 
    Infine,  l'utilizzo  da  parte  del  legislatore  della   novella
dell'ampio  termine  «procedimento»,  anziche'  del  piu'   ristretto
termine «giudizio», non puo' che comportare l'inclusione di qualunque
procedimento avanti ad organi giurisdizionali di qualsivoglia  natura
ed il riconoscimento tra essi anche della procedura prefallimentare. 
    II.2. Riconosciuta, pertanto, la legittimazione in capo al  P.M.,
puo' procedersi oltre con l'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata
tanto dal Giarrusso quanto dall'Amministratore giudiziario, avente ad
oggetto il decorso del termine annuale di cui all'art. 10  L.F.,  per
avere l'impresa cessato di fatto ogni attivita' gia' dal novembre del
2006. 
    Neanche l'eccezione in esame puo' essere condivisa. 
    Pare opportuno, al riguardo, prendere le mosse dal nuovo disposto
dell'art. 10 L.F., come modificato dal d.lgs. n. 5/2006 e, da ultimo,
dal d.lgs. n. 169/2007 (applicabile ratione temporis al  procedimento
prefallimentare in esame, introdotto con  ricorso  depositato  il  19
marzo 2009), a  norma  del  quale  «gli  imprenditori  individuali  e
collettivi possono essere dichiarati  falliti  entro  un  anno  dalla
cancellazione dal registro  delle  imprese,  se  l'insolvenza  si  e'
manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo  (I
comma). In caso di impresa individuale o di cancellazione di  ufficio
degli imprenditori collettivi, e' fatta  salva  la  facolta'  per  il
creditore o per  il  pubblico  ministero  di  dimostrare  il  momento
dell'effettiva cessazione dell'attivita' da cui  decorre  il  termine
del primo comma (II comma)». 
    Con tale norma,  il  legislatore  delle  riforme,  recependo  gli
insegnamenti della giurisprudenza costituzionale dell'ultimo decennio
(espressamente richiamata in seno alla relazione  di  accompagnamento
al d.lgs. n. 5/2006), ha chiaramente e  definitivamente  riconosciuto
la prevalenza del principio  di  pubblicita'  rispetto  a  quello  di
effettivita', introducendo un vero e  proprio  presupposto  temporale
(accanto a quello oggettivo e soggettivo)  per  la  dichiarazione  di
fallimento e prevedendo, quale unica eccezione al predetto principio,
la possibilita' per il creditore e per il P.M., nel caso si tratti di
impresa individuale  ovvero  di  imprenditori  collettivi  cancellati
d'ufficio, di dimostrare il momento  (evidentemente  successivo  alla
cancellazione) dell'effettiva cessazione dell'attivita'. 
    Com'e' noto, la ratio di tale  previsione  va  ravvisata,  da  un
lato, nell'esigenza di tutelare i creditori da iniziative unilaterali
(e, possibilmente, arbitrarie) del debitore in ordine alla cessazione
dell'impresa, e, dall'altro, nell'altrettanto importante esigenza  di
non estendere all'infinito le conseguenze giuridiche di  un'attivita'
di impresa non piu' attuale. 
    Ebbene, nella fattispecie in esame,  l'impresa  Giarrusso  Gomme,
sebbene di fatto  inattiva  dal  novembre  2006  (data  del  rilascio
dell'immobile  sede  dell'attivita'  e  di  licenziamento  dell'unico
lavoratore dipendente, in  forza  di  specifiche  autorizzazioni  del
Giudice delegato alla misura di  prevenzione),  non  risulta  essersi
cancellata dal registro delle imprese, con  la  conseguenza  che  non
puo' dirsi decorso il termine annuale di cui all'art. 10 L.F. 
    Ne',  in  senso  contrario,  potrebbe  sostenersi -  come  invece
pretenderebbe  la  difesa  del  Giarrusso,  citando   un   precedente
giurisprudenziale del Tribunale di Udine emesso in data  22  febbraio
2008 - l'applicabilita' alla fattispecie in esame dell'art. 10  nella
versione introdotta con il d.lgs. n. 5/2006, in quanto in  vigore  al
momento  della  concreta  cessazione  di  fatto  dell'attivita',  con
conseguente possibilita', anche per l'imprenditore, di dimostrare  il
momento  dell'effettiva  interruzione  dell'attivita'  di  impresa  a
prescindere dalla formale cancellazione dal registro. 
    Una simile  ricostruzione  non  puo'  essere  condivisa,  ove  si
consideri che il procedimento prefallimentare in  esame  e'  iniziato
sotto il  vigore  del  decreto  correttivo  n.  169/2007  e  risulta,
pertanto, indiscutibilmente disciplinato dalle relative disposizioni. 
    D'altro canto, non e' superfluo osservare  che  l'interpretazione
dell'art. 10 L.F., come modificato dal d.lgs. n. 5/2006, nel senso di
estendere anche all'imprenditore, oltre che al creditore ed al  P.M.,
la  facolta'  di  provare  il   momento   dell'effettiva   cessazione
dell'attivita', appare, tutt'altro che  scontata,  ove  si  consideri
che, secondo autorevole dottrina, risiedendo  la  ratio  della  norma
nella tutela dei terzi, risultava comunque precluso all'imprenditore,
anche nel vigore della predetta modifica,  di  provare,  perche'  del
tutto irrilevante, che l'attivita'  commerciale  fosse  gia'  cessata
prima della (o, comunque, a prescindere dalla) cancellazione. 
    II.3. Parimenti non meritevole di  essere  condiviso,  risultando
manifestamente   infondato,   e'   il    dubbio    di    legittimita'
costituzionale,   sollevato   all'udienza   del   7   ottobre    2009
dall'Amministratore  giudiziario  e  condiviso  dal  Giarrusso,   con
riferimento al contrasto  dell'art.  10  L.F.  con  il  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 
    Invero, tenuto conto che la ratio  dell'art.  10  L.F.  consiste,
come gia' si e' accennato, nella tutela dell'affidamento dei terzi  e
del  principio  di  certezza  delle  situazioni  giuridiche,  e   che
l'imprenditore, cessata l'attivita', ha l'obbligo di chiedere,  entro
trenta giorni, la propria cancellazione dal registro delle imprese ex
art. 2196 c.c. e, se non  adempie  a  detto  obbligo,  non  puo'  che
subirne  le  conseguenze  in  termini  di  inopponibilita'  ai  terzi
dell'evento cessazione, in coerenza. con il disposto  dell'art.  2193
c.c., il Collegio non  ritiene  possa  ravvisarsi  alcun  profilo  di
illegittimita' costituzionale della norma  in  commento,  proprio  in
quanto la diversita' di trattamento di cui all'art. 10 comma II trova
ragione nella diversita' di posizione in cui si trova  l'imprenditore
(che, in quanto titolare dell'impresa, una volta cessata l'attivita',
ha il potere, oltre che il  dovere,  di  chiedere  la  cancellazione,
cosi' determinando l'inizio del decorso del termine annuale) rispetto
ai creditori ed al P.M., estranei all'impresa. 
    II.3. Sgombrato il campo  dalle  eccezioni  preliminari  fin  qui
esaminate, puo'  quindi  passarsi  a  verificare  la  ricorrenza  dei
presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiarazione di fallimento
di Giarrusso Francesco, accertamento  anch'esso  necessario  ai  fini
della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che si
illustrera' nel prosieguo. 
    II.3.1. Quanto ai requisiti oggettivi, deve anzitutto  osservarsi
come l'istruttoria prefallimentare abbia evidenziato  l'esistenza  di
un indebitamento dell'impresa di gran lunga superiore al  limite  (di
€ 30.000,00) previsto dall'art. 15 ultimo comma L.F., e  cio'  tenuto
conto sia dell'esposizione debitoria riferita dal Concessionario alla
riscossione SERIT Sicilia s.p.a., sia delle risultanze  del  bilancio
di verifica relativo all'esercizio 2008, prodotto dall'Amministratore
giudiziario. 
    Lo stato di insolvenza dell'impresa, poi,  risulta  acclarato  in
considerazione  tanto  dell'ingente   ammontare   delle   esposizioni
debitorie gravanti  sulla  medesima,  quanto  della  ormai  risalente
cessazione di  fatto  dell'attivita',  elementi  la  cui  valutazione
conduce  a  ritenere  esistente  una   obiettiva   ed   irreversibile
incapacita' economico-finanziaria dell'impresa. 
    Ne' puo', in proposito, darsi alcun rilievo alla difesa  spiegata
dal resistente con riferimento al  preteso  abbattimento  del  debito
tributario, per effetto dell'istanza di condono tombale presentata in
relazione alle imposte relative agli anni 1998-2002. 
    Invero, tenuto conto del fatto che la SERIT Sicilia,  invitata  a
fornire informazioni aggiornate sui  carichi  iscritti  a  ruolo,  ha
confermato con nota del 20 ottobre 2009, che l'esposizione  debitoria
allo  stato  gravante  sul  Giarrusso  ammonta  ad  € 909.186,81,   e
considerati altresi' gli ingenti debiti risultanti  dal  bilancio  di
verifica relativo all'esercizio 2008, non puo' dubitarsi dell'attuale
e persistente incapacita' dell'impresa di soddisfare regolarmente  le
proprie obbligazioni. 
    II.3.2.  Dunque,  verificata  la   ricorrenza   dei   presupposti
oggettivi del fallimento,  resta  a  questo  punto  da  accertare  la
sussistenza dei requisiti soggettivi, e, segnatamente, la qualita' di
imprenditore del soggetto debitore e la riconducibilita' dell'impresa
ai parametri dimensionali di cui all'art. 1 L.F. 
    Cominciando  da  quest'ultimo  aspetto,  risulta  documentalmente
provato il superamento del requisito di cui alla lettera c) dell'art.
1 L.F. («avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore
ad   euro    cinquecentomila»),    avuto    riguardo    all'ammontare
dell'esposizione debitoria (€ 909.186,81) riferita dal Concessionario
alla riscossione, e tenuto conto, altresi',  idei  debiti  evincibili
dal «bilancio di verifica» relativo all'esercizio 2008 (all. 13 della
produzione dell'amministratore giudiziario), dal quale risultano, tra
le altre, esposizioni verso fornitori per  €  53.064,62,  verso  enti
previdenziali per € 28.674,08, verso il personale  per  €  28.400,08,
nonche' «debiti vari» per € 130.223,82. 
    L'aspetto maggiormente problematico, e per il quale  il  Collegio
ritiene di rimettere la questione al  Giudice  delle  leggi,  attiene
invece alla possibilita' di riconoscere la qualita'  di  imprenditore
commerciale in capo al soggetto il quale, a seguito dell'applicazione
di una misura  di  prevenzione  patrimoniale  ai  sensi  della  legge
n. 575/1965,  sia  stato  estromesso  dall'esercizio   dell'attivita'
imprenditoriale,    esercizio    affidato    ad    altro     soggetto
(l'amministratore giudiziario). 
    In  particolare,  cio'  di  cui  il   Collegio   dubita   e'   la
compatibilita' con la Carta Costituzionale dell'art.  1  L.F.,  nella
parte in cui  tale  disposizione  non  esclude  dal  fallimento  quei
soggetti che, benche' formalmente titolari dell'impresa, non svolgano
piu' alcuna attivita' di  gestione  ed  amministrazione  dell'impresa
stessa, e tale attivita' risulti, invece, far  capo  ad  un  soggetto
diverso, e segnatamente all'amministratore  giudiziario  nominato  ai
sensi dell'art. 2-sexies L. cit. 
    In proposito, va premesso che la possibilita' di una  coesistenza
tra misure di prevenzione e fallimento e' pacificamente affermata sia
in dottrina che in giurisprudenza, e cio' sulla base della diversita'
di presupposti e, soprattutto, di finalita'  tra  le  due  procedure,
l'una tesa  a  sottrarre  alle  organizzazioni  malavitose  la  linfa
economica che ne alimenta le iniziative criminali ed  a  liberare  il
tessuto   economico-sociale   dall'inquinamento   mafioso,    l'altra
finalizzata alla tutela degli interessi dei creditori. 
    Gli interpreti, proprio sul presupposto  della  sempre  possibile
coesistenza tra sequestro antimafia e fallimento, si  sono  piuttosto
preoccupati di  individuare  i  criteri  per  risolvere  i  possibili
conflitti che da tale coesistenza possono derivare. 
    Si  e'  cosi'  passati,  da  un  criterio  affidato   alla   mera
prevenzione temporale tra le  due  procedure,  al  criterio  -  ormai
consolidato e inaugurato dalla nota sentenza della I  Sezione  Penale
della Corte di Cassazione n. 1947 del 23 marzo 1998, Commisso -  che,
valorizzata la differente  ratio  fra  i  due  istituti,  attribuisce
prevalenza    alla    tutela    dell'interesse    pubblico    sotteso
all'applicazione  della  misura  di  prevenzione  patrimoniale,   con
conseguente attribuzione della gestione  del  patrimonio  sequestrato
all'amministratore giudiziario piuttosto che alla curatela. 
    Ebbene,  tenuto  conto  della  consolidata  opinione   circa   la
compatibilita' tra misure di  prevenzione  e  procedura  concorsuale,
tale da assurgere a vero e proprio diritto vivente, dovrebbe de piano
pervenirsi,  nella  fattispecie  in  esame,  alla   declaratoria   di
fallimento di Giarrusso Francesco. 
    III. Sulla non manifesta infondatezza della questione. 
    Tuttavia, l'art. 1 L.F., cosa interpretato, appare  in  contrasto
con gli artt. 3, 24 e 41 Cost. 
    La questione, che assume rilevanza nel caso concreto  per  quanto
sin qui osservato,  va  esaminata  separatamente  in  relazione  alle
menzionate disposizioni della Costituzione  di  cui  si  ritiene  non
manifestamente infondata la possibile violazione. 
    III.1. Sotto il profilo dell'art. 3 Cost., giova  premettere  che
l'art.  1  L.F.,  nel  dichiarare  soggetti  alle  disposizioni   sul
fallimento  e  sul  concordato  preventivo  «gli   imprenditori   che
esercitano   un'attivita'   commerciale»,   rimanda   alla    nozione
civilistica di imprenditore, per  la  quale  e'  tale  «chi  esercita
professionalmente una attivita' economica organizzata al  fine  della
produzione o dello scambio di beni o di servizi» (art 2082 c.c.). 
    Tale definizione, com'e' stato affermato, concentra  il  fenomeno
dell'impresa sul versante della titolarita' soggettiva, nel senso che
si definisce non l'impresa in quanto tale  ma  l'imprenditore,  ossia
colui che, come capo dell'impresa (art. 2086 c.c.), ne costituisce il
centro di governo e ne pratica professionalmente l'esercizio. 
    Fallibile e', dunque, il soggetto che gestisce l'impresa, tant'e'
che - si afferma comunemente e lo stabilisce Io stesso art. 1 L.F.  -
fallisce non gia' l'impresa bensi'  l'imprenditore,  il  quale  trova
nella legge fallimentare il limite  estremo  di  quella  liberta'  di
iniziativa  economica  garantita  dall'art.  41   Cost.   nell'ambito
dell'utilita' sociale, utilita' che  sarebbe  seriamente  compromessa
(specie nei confronti  dei  creditori)  dalla  presenza  nel  mercato
competitivo di un imprenditore insolvente. 
    Tutte le considerazioni  appena  svolte  partono,  tuttavia,  dal
presupposto che  titolarita'  formale  e  sostanziale  dell'attivita'
imprenditoriale facciano fisiologicamente capo ad un unico  soggetto,
appunto l'imprenditore. 
    Tuttavia, nell'ipotesi in cui - come quella oggetto di giudizio -
la titolarita' formale dell'impresa rimanga in capo  ad  un  soggetto
(nella   specie,   Giarrusso   Francesco),   mentre   l'esercizio   e
l'amministrazione dell'attivita' imprenditoriale faccia  capo  ad  un
altro soggetto (l'amministratore di nomina giudiziale), ritenere  che
il primo possa essere dichiarato fallito  e  possa  subire  tutte  le
conseguenze personali (di certo notevolmente  attenuatesi  a  seguito
delle riforme del 2006 e del 2007, ma  non  del  tutto  scomparse)  e
patrimoniali (in termini  di  spossessamento  di  tutti  beni,  anche
estranei  al  patrimonio  aziendale)  collide  con  il  principio  di
uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 
    In altri termini, ad avviso del Collegio, opinando in  tal  modo,
si creerebbe una ingiustificata lesione del principio di  uguaglianza
sostanziale di cui all'art. 3 Cost., in quanto si farebbero subire le
medesime  conseguenze  giuridiche  (fallimento)  a  soggetti  che  si
trovano   in   situazioni   affatto   differenti:    nell'un    caso,
l'imprenditore nel pieno e libero esercizio della  propria  attivita'
economica; nell'altro, l'imprenditore solo formale  (in  quanto  mero
titolare   dell'impresa),   estromesso    per,    factum    principis
dall'amministrazione  dell'attivita'  economica,  affidata  ad  altro
soggetto. 
    E tale sospetto di incostituzionalita' appare ancor piu' evidente
in tutte quelle ipotesi - come quella oggetto di esame -  in  cui  la
gestione  dell'attivita'  in  capo   all'amministratore   di   nomina
giudiziale si protragga per un apprezzabile lasso di tempo. 
    Ne', si osserva per inciso, dovrebbero preoccupare le conseguenze
della declaratoria di incostituzionalita' dell'art.  L.F.  nel  senso
prospettato. 
    Invero, per un  verso,  anche  nell'ambito  del  procedimento  di
prevenzione che si concluda con la confisca definitiva,  i  creditori
dell'imprenditore dispongono di adeguati strumenti di tutela, potendo
utilizzare, come  ormai  unanimemente  riconosciuto,  l'incidente  di
esecuzione ex art. 665 e ss. c.p.p.  al  fine  di  far  accertare  al
Giudice dell'esecuzione  penale  la  propria  buona  fede  e,  previo
riconoscimento  della  pretesa  creditoria,  ricevere  il  necessario
soddisfacimento del credito. 
    Per altro verso, nell'ipotesi in cui  la  misura  di  prevenzione
venga successivamente revocata ed  il  prevenuto  torni  nella  piena
disponibilita' dell'impresa e dei relativi beni  aziendali,  potrebbe
comunque addivenirsi alla declaratoria di fallimento (su  istanza  di
un  creditore,  del  P.M.  ovvero  dello  stesso  imprenditore),  ove
beninteso permanga lo stato  di  insolvenza  e  ricorrano  gli  altri
presupposti oggettivi e soggettivi  richiesti  per  l'apertura  della
procedura concorsuale. 
    III.2. Altro profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 1
L.F. che appare non manifestamente infondato attiene al contrasto  di
tale disposizione con l'art. 24 Cost. 
    Non v'e' dubbio, infatti, che l'imprenditore sottoposto a  misura
di prevenzione, ove si opti - conformemente al  diritto  vivente  fin
qui illustrato - per la sua fallibilita', subirebbe  una  menomazione
del proprio diritto di difesa nel  procedimento  prefallimentare,  in
quanto non disporrebbe di tutti  gli  elementi  conoscitivi  relativi
all'impresa e della documentazione  contabile  necessaria  per  poter
contraddire al ricorso, e, in particolare,  per  poter  eventualmente
contestare la sussistenza dello stato di insolvenza,  il  superamento
dei limiti dimensionali, ecc. 
    III.3. Infine, l'art.  1  L.F.,  se  interpretato  nel  senso  di
ricomprendere nell'area della fallibilita' l'imprenditore  sottoposto
a misura di prevenzione, si  porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  41
Cost., in quanto il prevenuto, benche' non piu' imprenditore  per  le
ragioni sopra illustrate, subirebbe la piu' ampia  limitazione  della
propria liberta' di iniziativa economica a cagione dell'insolvenza di
un'impresa che non risulta piu' dal medesimo governata  ne'  gestita,
in quanto coattivamente amministrata da altro soggetto. 
    IV. Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte,  va  allora
disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli
atti alla Corte Costituzionale per  la  decisione  sulle  evidenziate
pregiudiziali  di  legittimita'  costituzionale,   siccome   ritenute
rilevanti e non manifestamente infondate. 
    Alla Cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai
sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  in  relazione
agli  artt.  3,  24  e  41  della  Costituzione,  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 1 comma I R.D. 16 marzo 1942 n.
267,  conte  modificato  dai  decreti  legislativi  n.  5/2006  e  n.
169/2007, nella parte in cui  non  esclude  dall'assoggettabilita'  a
fallimento  l'imprenditore  individuale  la  cui  impresa  sia  stata
oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter e ss.
L. 575/1965. 
    Ordina alla Cancelleria di notificare la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera
dei deputati ed alle parti costituite. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale,  comprensivi  della  documentazione   attestante   il
perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni  anche
alle parti. 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Cosi' deciso nella Camera di consiglio della IV Sezione civile  e
fallimentare del Tribunale di Palermo, il giorno 13 novembre 2009. 
 
                        Il Presidente: Novara 
 
 
                                        Il giudice relatore: Giammona