N. 326 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 2009
Ordinanza del 1° dicembre 2009 emessa dal Tribunale di Palermo - Sez. Fallimentare nel procedimento relativo a Giarrusso Francesco n.q. di titolare dell'impresa individuale Giarrusso Gomme.. Fallimento e procedure concorsuali - Assoggettabilita' a fallimento - Esclusione dell'imprenditore individuale la cui impresa sia stata oggetto di misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter e seguenti della legge n. 575 del 1965 (legislazione antimafia) - Omessa previsione - Ingiustificata estensione all'imprenditore solo formale delle conseguenze previste per l'imprenditore che si trovi nel pieno e libero esercizio della propria attivita' economica - Violazione del principio di uguaglianza - Violazione del diritto di difesa nel procedimento prefallimentare - Contrasto con la liberta' di iniziativa economica privata. - R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (Legge fallimentare), art. 1, comma 1, come modificato dai decreti legislativi 9 gennaio 2006, n. 5 e 12 settembre 2007, n. 169. - Costituzione, artt. 3, 24 e 41.(GU n.43 del 27-10-2010 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al n. 92/2009 R.G. Affari Camera Consiglio, avente ad oggetto la dichiarazione di fallimento di Giarrusso Francesco, titolare dell'impresa individuale denominata Giarrusso Gomme, su richiesta del Pubblico Ministero ex art. 7 R.D. 267/1942, come modificato dall'art. 5 d.lgs. n. 5/2006. In fatto Con ricorso depositato in data 19 marzo 2009, il Pubblico Ministero chiedeva dichiararsi il fallimento di Giarrusso Francesco, titolare dell'impresa individuale denominata Giarrusso Gomme, deducendo, a dimostrazione dello stato di insolvenza dell'imprenditore, l'ingente esposizione debitoria di quest'ultimo nei confronti dell'Erario (pari a circa E 900.000,00), quale risultante da un precedente procedimento prefallimentare intrapreso ai danni del Giarrusso dal creditore Covelli Salvatore e conclusosi con l'archiviazione per desistenza del ricorrente, giusta decreto del 2-3 luglio 2008. Giarrusso Francesco, ricevuta regolare notifica del ricorso e del decreto di convocazione, si costituiva con comparsa depositata il 13 maggio 2009, con la quale, premettendo che, con decreto del 17-20 giugno 2005, la Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo aveva disposto il sequestro ex art. 2-ter legge n. 575/1965 della propria ditta individuale Giarrusso Gomme e del relativo complesso dei beni aziendali, e nominato amministratore giudiziario Rag. Giuseppe Sanfilippo, ed evidenziando, per un verso, che gia' in data 31 ottobre 2006 l'impresa aveva di fatto cessato la propria attivita', e, per altro verso, che il debito tributario relativo agli anni 1998-2002 era stato oggetto di istanza di condono tombale, chiedeva il rigetto del ricorso, per le ragioni di seguito esposte. In primo luogo, il Giarrusso eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, posto che l'attivita' di impresa era stata esercitata, gia' dal giugno del 2005, dall'Amministratore giudiziario, del quale chiedeva la convocazione ex art. 15 L.F.; in secondo luogo, deduceva decorso del termine annuale di cui all'art. 10 L.F., nella versione - ritenuta applicabile dal resistente - introdotta con il d.lgs. n. 5/2006 (non potendo, a suo dire, applicarsi retroattivamente il nuovo testo dell'art. 10, introdotto con il d.lgs. 169/2007, il quale limita al solo creditore e P.M. la facolta' di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attivita'); in terzo luogo, contestava la sussistenza dell'esposizione tributaria posta a base del ricorso del P.M., in quanto oggetto, almeno per gli anni 1998-2002, di condono tombale; infine, contestava genericamente il superamento dei limiti dimensionali di cui all'art. 1 comma II L.F. Disposta la convocazione dell'Amministratore giudiziario, quest'ultimo si costituiva all'udienza del 9 settembre 2009 e depositava memoria con la quale, premettendo di avere di fatto cessato l'attivita' a far data dal 14 novembre 2006 (essendo stato autorizzato dal Giudice delegato alla misura di prevenzione a rilasciare l'immobile sede dell'attivita' ed a licenziare l'unico dipendente dell'impresa) e precisando che, con decreto del 24 ottobre 2007, la Sezione Misure di Prevenzione aveva disposto la confisca (non ancora divenuta definitiva) della ditta individuale Giarrusso Gomme e del relativo patrimonio aziendale, chiedeva il rigetto dell'istanza di fallimento, ed all'uopo eccepiva, in primo luogo, la carenza di legittimazione attiva in capo al P.M. per difetto dei presupposti di cui all'art. 7 L.F.; in secondo luogo, l'intervenuta cessazione ultrannuale dell'attivita' d'impresa; infine, l'insussistenza dell'esposizione tributaria posta a base del ricorso, in quanto oggetto di condono tombale. All'udienza del. 7 ottobre 2009, l'Amministratore giudiziario, ad integrazione delle difese gia' svolte, deduceva, per l'ipotesi in cui il Tribunale avesse ritenuto preclusa all'imprenditore la possibilita' di provare il decorso del termine annuale di cui all'art. 10 L.F. a prescindere dalla cancellazione dal registro delle imprese, l'incostituzionalita' di tale norma per violazione del principio di uguaglianza fra le parti, in considerazione della disparita' di trattamento del debitore rispetto al creditore ed al P.M., peri quali la stessa norma fa invece salva, in caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, la facolta' di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attivita' da cui fare decorrere il termine annuale. II. In diritto. Sulla rilevanza della questione. II.1. Cio' premesso in fatto, deve, anzitutto, essere esaminata l'eccezione di difetto di legittimazione attiva in capo al P.M. sollevata dall'Amministratore giudiziario. Tale eccezione appare priva di pregio. Invero, com'e' noto, l'art. 7 n. 2 L.F. consente al P.M. di presentare la richiesta di fallimento «quando l'insolvenza risulta dalla segnalazione proveniente dal giudice che l'abbia rilevata nel corso di un procedimento civile». Ebbene, nella fattispecie in esame, l'iniziativa del Pubblico Ministero scaturisce dalla segnalazione dell'insolvenza di cui al decreto del 2-3 luglio 2008, con il quale il Tribunale Sezione Fallimentare, archiviato il ricorso per fallimento proposto dal creditore Covelli Salvatore per desistenza di quest'ultimo, trasmise gli atti al P.M., evidenziando l'esistenza in capo all'imprenditore di un'esposizione nei confronti dell'Erario per oltre € 900.000,00. Ricorrono, pertanto, i presupposti di cui all'art. 7 cit., ove si consideri che il procedimento prefallimentare deve considerarsi, a tutti gli effetti, un procedimento civile. Ritiene, invero, il Collegio di non poter condividere i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimita' nella nota (e fin qui isolata) pronuncia della Corte di Cassazione n. 4632 del 26 febbraio 2009, secondo cui sarebbe illegittima, con conseguente nullita' della sentenza dichiarativa di fallimento, la segnalazione al P.M. da parte del Tribunale fallimentare dell'insolvenza dell'imprenditore, pena la violazione, secondo la Suprema Corte, dell'art. 111 Cost, del divieto del fallimento di ufficio e della terzieta' ed imparzialita' dell'organo giudicante. In senso contrario a tale arresto, questo Collegio, facendo proprie le argomentazioni gia' lucidamente espresse nella giurisprudenza di merito (v. Trib. Mantova 18 marzo 2009, inedita, confermata ed arricchita da App. Brescia 7 ottobre 2009, pubblicata sulla rivista telematica www.ilcaso.it), osserva, anzitutto, come non possa in alcun modo accomunarsi l'iniziativa d'ufficio alla mera segnalazione al P.M., posto che, avvenuta la segnalazione (la quale costituisce l'espressione non gia' di una facolta', bensi' di un vero e proprio potere-dovere del giudice in presenza di un quadro indiziario di decozione), il P.M. vaglia autonomamente la notizia pervenutagli e valuta liberamente se ricorrono o meno le condizioni per la proponibilita' della domanda di fallimento, con la conseguenza che non possono dirsi in alcun modo compromesse ne' la terzieta', ne' l'imparzialita' del giudicante, come invece paventato dal Supremo collegio. In secondo luogo, non sussistono elementi, testuali o sistematici, per negare che il procedimento prefallimentare sia un procedimento civile ricompreso nella previsione dell'art. 7 n. 2 L.F., ne' vi e' motivo di distinguere, ai fini della legittimazione alla segnalazione da parte del giudice civile, in base al fatto che lo stato di insolvenza riguardi il «debitore» (ipotesi nella quale la legittimazione del giudice fallimentare e' negata dalla Cassazione) ovvero un «soggetto diverso da quello destinatario dell'iniziativa per la dichiarazione di fallimento» (ipotesi nella quale, invece, la legittimazione e' riconosciuta), atteso che, in entrambi i casi, l'eventuale fallimento verrebbe comunque dichiarato dallo stesso Tribunale fallimentare, con conseguente riproposizione degli identici dubbi di «terzieta'» paventati dalla S.C. In terzo luogo, nella stessa Relazione illustrativa al d.lgs. n. 5/2006 (cui non puo' non riconoscersi, in conformita' al consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimita', un valore «sussidiario» nell'interpretazione della legge), si afferma che «la soppressione della dichiarazione di fallimento di ufficio ... risulta bilanciata dall'affidamento al pubblico ministero del potere di dar corso all'istanza di fallimento su segnalazione qualificata proveniente dal giudice al quale, nel corso di un qualsiasi procedimento civile, risulti l'insolvenza di un imprenditore; quindi anche nei casi di rinunzia (c.d. desistenza) al ricorso per dichiarazione di fallimento da parte dei creditori istanti». Infine, l'utilizzo da parte del legislatore della novella dell'ampio termine «procedimento», anziche' del piu' ristretto termine «giudizio», non puo' che comportare l'inclusione di qualunque procedimento avanti ad organi giurisdizionali di qualsivoglia natura ed il riconoscimento tra essi anche della procedura prefallimentare. II.2. Riconosciuta, pertanto, la legittimazione in capo al P.M., puo' procedersi oltre con l'esame dell'ulteriore eccezione, sollevata tanto dal Giarrusso quanto dall'Amministratore giudiziario, avente ad oggetto il decorso del termine annuale di cui all'art. 10 L.F., per avere l'impresa cessato di fatto ogni attivita' gia' dal novembre del 2006. Neanche l'eccezione in esame puo' essere condivisa. Pare opportuno, al riguardo, prendere le mosse dal nuovo disposto dell'art. 10 L.F., come modificato dal d.lgs. n. 5/2006 e, da ultimo, dal d.lgs. n. 169/2007 (applicabile ratione temporis al procedimento prefallimentare in esame, introdotto con ricorso depositato il 19 marzo 2009), a norma del quale «gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l'insolvenza si e' manifestata anteriormente alla medesima o entro l'anno successivo (I comma). In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, e' fatta salva la facolta' per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell'effettiva cessazione dell'attivita' da cui decorre il termine del primo comma (II comma)». Con tale norma, il legislatore delle riforme, recependo gli insegnamenti della giurisprudenza costituzionale dell'ultimo decennio (espressamente richiamata in seno alla relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 5/2006), ha chiaramente e definitivamente riconosciuto la prevalenza del principio di pubblicita' rispetto a quello di effettivita', introducendo un vero e proprio presupposto temporale (accanto a quello oggettivo e soggettivo) per la dichiarazione di fallimento e prevedendo, quale unica eccezione al predetto principio, la possibilita' per il creditore e per il P.M., nel caso si tratti di impresa individuale ovvero di imprenditori collettivi cancellati d'ufficio, di dimostrare il momento (evidentemente successivo alla cancellazione) dell'effettiva cessazione dell'attivita'. Com'e' noto, la ratio di tale previsione va ravvisata, da un lato, nell'esigenza di tutelare i creditori da iniziative unilaterali (e, possibilmente, arbitrarie) del debitore in ordine alla cessazione dell'impresa, e, dall'altro, nell'altrettanto importante esigenza di non estendere all'infinito le conseguenze giuridiche di un'attivita' di impresa non piu' attuale. Ebbene, nella fattispecie in esame, l'impresa Giarrusso Gomme, sebbene di fatto inattiva dal novembre 2006 (data del rilascio dell'immobile sede dell'attivita' e di licenziamento dell'unico lavoratore dipendente, in forza di specifiche autorizzazioni del Giudice delegato alla misura di prevenzione), non risulta essersi cancellata dal registro delle imprese, con la conseguenza che non puo' dirsi decorso il termine annuale di cui all'art. 10 L.F. Ne', in senso contrario, potrebbe sostenersi - come invece pretenderebbe la difesa del Giarrusso, citando un precedente giurisprudenziale del Tribunale di Udine emesso in data 22 febbraio 2008 - l'applicabilita' alla fattispecie in esame dell'art. 10 nella versione introdotta con il d.lgs. n. 5/2006, in quanto in vigore al momento della concreta cessazione di fatto dell'attivita', con conseguente possibilita', anche per l'imprenditore, di dimostrare il momento dell'effettiva interruzione dell'attivita' di impresa a prescindere dalla formale cancellazione dal registro. Una simile ricostruzione non puo' essere condivisa, ove si consideri che il procedimento prefallimentare in esame e' iniziato sotto il vigore del decreto correttivo n. 169/2007 e risulta, pertanto, indiscutibilmente disciplinato dalle relative disposizioni. D'altro canto, non e' superfluo osservare che l'interpretazione dell'art. 10 L.F., come modificato dal d.lgs. n. 5/2006, nel senso di estendere anche all'imprenditore, oltre che al creditore ed al P.M., la facolta' di provare il momento dell'effettiva cessazione dell'attivita', appare, tutt'altro che scontata, ove si consideri che, secondo autorevole dottrina, risiedendo la ratio della norma nella tutela dei terzi, risultava comunque precluso all'imprenditore, anche nel vigore della predetta modifica, di provare, perche' del tutto irrilevante, che l'attivita' commerciale fosse gia' cessata prima della (o, comunque, a prescindere dalla) cancellazione. II.3. Parimenti non meritevole di essere condiviso, risultando manifestamente infondato, e' il dubbio di legittimita' costituzionale, sollevato all'udienza del 7 ottobre 2009 dall'Amministratore giudiziario e condiviso dal Giarrusso, con riferimento al contrasto dell'art. 10 L.F. con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. Invero, tenuto conto che la ratio dell'art. 10 L.F. consiste, come gia' si e' accennato, nella tutela dell'affidamento dei terzi e del principio di certezza delle situazioni giuridiche, e che l'imprenditore, cessata l'attivita', ha l'obbligo di chiedere, entro trenta giorni, la propria cancellazione dal registro delle imprese ex art. 2196 c.c. e, se non adempie a detto obbligo, non puo' che subirne le conseguenze in termini di inopponibilita' ai terzi dell'evento cessazione, in coerenza. con il disposto dell'art. 2193 c.c., il Collegio non ritiene possa ravvisarsi alcun profilo di illegittimita' costituzionale della norma in commento, proprio in quanto la diversita' di trattamento di cui all'art. 10 comma II trova ragione nella diversita' di posizione in cui si trova l'imprenditore (che, in quanto titolare dell'impresa, una volta cessata l'attivita', ha il potere, oltre che il dovere, di chiedere la cancellazione, cosi' determinando l'inizio del decorso del termine annuale) rispetto ai creditori ed al P.M., estranei all'impresa. II.3. Sgombrato il campo dalle eccezioni preliminari fin qui esaminate, puo' quindi passarsi a verificare la ricorrenza dei presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiarazione di fallimento di Giarrusso Francesco, accertamento anch'esso necessario ai fini della rilevanza della questione di legittimita' costituzionale che si illustrera' nel prosieguo. II.3.1. Quanto ai requisiti oggettivi, deve anzitutto osservarsi come l'istruttoria prefallimentare abbia evidenziato l'esistenza di un indebitamento dell'impresa di gran lunga superiore al limite (di € 30.000,00) previsto dall'art. 15 ultimo comma L.F., e cio' tenuto conto sia dell'esposizione debitoria riferita dal Concessionario alla riscossione SERIT Sicilia s.p.a., sia delle risultanze del bilancio di verifica relativo all'esercizio 2008, prodotto dall'Amministratore giudiziario. Lo stato di insolvenza dell'impresa, poi, risulta acclarato in considerazione tanto dell'ingente ammontare delle esposizioni debitorie gravanti sulla medesima, quanto della ormai risalente cessazione di fatto dell'attivita', elementi la cui valutazione conduce a ritenere esistente una obiettiva ed irreversibile incapacita' economico-finanziaria dell'impresa. Ne' puo', in proposito, darsi alcun rilievo alla difesa spiegata dal resistente con riferimento al preteso abbattimento del debito tributario, per effetto dell'istanza di condono tombale presentata in relazione alle imposte relative agli anni 1998-2002. Invero, tenuto conto del fatto che la SERIT Sicilia, invitata a fornire informazioni aggiornate sui carichi iscritti a ruolo, ha confermato con nota del 20 ottobre 2009, che l'esposizione debitoria allo stato gravante sul Giarrusso ammonta ad € 909.186,81, e considerati altresi' gli ingenti debiti risultanti dal bilancio di verifica relativo all'esercizio 2008, non puo' dubitarsi dell'attuale e persistente incapacita' dell'impresa di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni. II.3.2. Dunque, verificata la ricorrenza dei presupposti oggettivi del fallimento, resta a questo punto da accertare la sussistenza dei requisiti soggettivi, e, segnatamente, la qualita' di imprenditore del soggetto debitore e la riconducibilita' dell'impresa ai parametri dimensionali di cui all'art. 1 L.F. Cominciando da quest'ultimo aspetto, risulta documentalmente provato il superamento del requisito di cui alla lettera c) dell'art. 1 L.F. («avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila»), avuto riguardo all'ammontare dell'esposizione debitoria (€ 909.186,81) riferita dal Concessionario alla riscossione, e tenuto conto, altresi', idei debiti evincibili dal «bilancio di verifica» relativo all'esercizio 2008 (all. 13 della produzione dell'amministratore giudiziario), dal quale risultano, tra le altre, esposizioni verso fornitori per € 53.064,62, verso enti previdenziali per € 28.674,08, verso il personale per € 28.400,08, nonche' «debiti vari» per € 130.223,82. L'aspetto maggiormente problematico, e per il quale il Collegio ritiene di rimettere la questione al Giudice delle leggi, attiene invece alla possibilita' di riconoscere la qualita' di imprenditore commerciale in capo al soggetto il quale, a seguito dell'applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale ai sensi della legge n. 575/1965, sia stato estromesso dall'esercizio dell'attivita' imprenditoriale, esercizio affidato ad altro soggetto (l'amministratore giudiziario). In particolare, cio' di cui il Collegio dubita e' la compatibilita' con la Carta Costituzionale dell'art. 1 L.F., nella parte in cui tale disposizione non esclude dal fallimento quei soggetti che, benche' formalmente titolari dell'impresa, non svolgano piu' alcuna attivita' di gestione ed amministrazione dell'impresa stessa, e tale attivita' risulti, invece, far capo ad un soggetto diverso, e segnatamente all'amministratore giudiziario nominato ai sensi dell'art. 2-sexies L. cit. In proposito, va premesso che la possibilita' di una coesistenza tra misure di prevenzione e fallimento e' pacificamente affermata sia in dottrina che in giurisprudenza, e cio' sulla base della diversita' di presupposti e, soprattutto, di finalita' tra le due procedure, l'una tesa a sottrarre alle organizzazioni malavitose la linfa economica che ne alimenta le iniziative criminali ed a liberare il tessuto economico-sociale dall'inquinamento mafioso, l'altra finalizzata alla tutela degli interessi dei creditori. Gli interpreti, proprio sul presupposto della sempre possibile coesistenza tra sequestro antimafia e fallimento, si sono piuttosto preoccupati di individuare i criteri per risolvere i possibili conflitti che da tale coesistenza possono derivare. Si e' cosi' passati, da un criterio affidato alla mera prevenzione temporale tra le due procedure, al criterio - ormai consolidato e inaugurato dalla nota sentenza della I Sezione Penale della Corte di Cassazione n. 1947 del 23 marzo 1998, Commisso - che, valorizzata la differente ratio fra i due istituti, attribuisce prevalenza alla tutela dell'interesse pubblico sotteso all'applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, con conseguente attribuzione della gestione del patrimonio sequestrato all'amministratore giudiziario piuttosto che alla curatela. Ebbene, tenuto conto della consolidata opinione circa la compatibilita' tra misure di prevenzione e procedura concorsuale, tale da assurgere a vero e proprio diritto vivente, dovrebbe de piano pervenirsi, nella fattispecie in esame, alla declaratoria di fallimento di Giarrusso Francesco. III. Sulla non manifesta infondatezza della questione. Tuttavia, l'art. 1 L.F., cosa interpretato, appare in contrasto con gli artt. 3, 24 e 41 Cost. La questione, che assume rilevanza nel caso concreto per quanto sin qui osservato, va esaminata separatamente in relazione alle menzionate disposizioni della Costituzione di cui si ritiene non manifestamente infondata la possibile violazione. III.1. Sotto il profilo dell'art. 3 Cost., giova premettere che l'art. 1 L.F., nel dichiarare soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo «gli imprenditori che esercitano un'attivita' commerciale», rimanda alla nozione civilistica di imprenditore, per la quale e' tale «chi esercita professionalmente una attivita' economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi» (art 2082 c.c.). Tale definizione, com'e' stato affermato, concentra il fenomeno dell'impresa sul versante della titolarita' soggettiva, nel senso che si definisce non l'impresa in quanto tale ma l'imprenditore, ossia colui che, come capo dell'impresa (art. 2086 c.c.), ne costituisce il centro di governo e ne pratica professionalmente l'esercizio. Fallibile e', dunque, il soggetto che gestisce l'impresa, tant'e' che - si afferma comunemente e lo stabilisce Io stesso art. 1 L.F. - fallisce non gia' l'impresa bensi' l'imprenditore, il quale trova nella legge fallimentare il limite estremo di quella liberta' di iniziativa economica garantita dall'art. 41 Cost. nell'ambito dell'utilita' sociale, utilita' che sarebbe seriamente compromessa (specie nei confronti dei creditori) dalla presenza nel mercato competitivo di un imprenditore insolvente. Tutte le considerazioni appena svolte partono, tuttavia, dal presupposto che titolarita' formale e sostanziale dell'attivita' imprenditoriale facciano fisiologicamente capo ad un unico soggetto, appunto l'imprenditore. Tuttavia, nell'ipotesi in cui - come quella oggetto di giudizio - la titolarita' formale dell'impresa rimanga in capo ad un soggetto (nella specie, Giarrusso Francesco), mentre l'esercizio e l'amministrazione dell'attivita' imprenditoriale faccia capo ad un altro soggetto (l'amministratore di nomina giudiziale), ritenere che il primo possa essere dichiarato fallito e possa subire tutte le conseguenze personali (di certo notevolmente attenuatesi a seguito delle riforme del 2006 e del 2007, ma non del tutto scomparse) e patrimoniali (in termini di spossessamento di tutti beni, anche estranei al patrimonio aziendale) collide con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. In altri termini, ad avviso del Collegio, opinando in tal modo, si creerebbe una ingiustificata lesione del principio di uguaglianza sostanziale di cui all'art. 3 Cost., in quanto si farebbero subire le medesime conseguenze giuridiche (fallimento) a soggetti che si trovano in situazioni affatto differenti: nell'un caso, l'imprenditore nel pieno e libero esercizio della propria attivita' economica; nell'altro, l'imprenditore solo formale (in quanto mero titolare dell'impresa), estromesso per, factum principis dall'amministrazione dell'attivita' economica, affidata ad altro soggetto. E tale sospetto di incostituzionalita' appare ancor piu' evidente in tutte quelle ipotesi - come quella oggetto di esame - in cui la gestione dell'attivita' in capo all'amministratore di nomina giudiziale si protragga per un apprezzabile lasso di tempo. Ne', si osserva per inciso, dovrebbero preoccupare le conseguenze della declaratoria di incostituzionalita' dell'art. L.F. nel senso prospettato. Invero, per un verso, anche nell'ambito del procedimento di prevenzione che si concluda con la confisca definitiva, i creditori dell'imprenditore dispongono di adeguati strumenti di tutela, potendo utilizzare, come ormai unanimemente riconosciuto, l'incidente di esecuzione ex art. 665 e ss. c.p.p. al fine di far accertare al Giudice dell'esecuzione penale la propria buona fede e, previo riconoscimento della pretesa creditoria, ricevere il necessario soddisfacimento del credito. Per altro verso, nell'ipotesi in cui la misura di prevenzione venga successivamente revocata ed il prevenuto torni nella piena disponibilita' dell'impresa e dei relativi beni aziendali, potrebbe comunque addivenirsi alla declaratoria di fallimento (su istanza di un creditore, del P.M. ovvero dello stesso imprenditore), ove beninteso permanga lo stato di insolvenza e ricorrano gli altri presupposti oggettivi e soggettivi richiesti per l'apertura della procedura concorsuale. III.2. Altro profilo di illegittimita' costituzionale dell'art. 1 L.F. che appare non manifestamente infondato attiene al contrasto di tale disposizione con l'art. 24 Cost. Non v'e' dubbio, infatti, che l'imprenditore sottoposto a misura di prevenzione, ove si opti - conformemente al diritto vivente fin qui illustrato - per la sua fallibilita', subirebbe una menomazione del proprio diritto di difesa nel procedimento prefallimentare, in quanto non disporrebbe di tutti gli elementi conoscitivi relativi all'impresa e della documentazione contabile necessaria per poter contraddire al ricorso, e, in particolare, per poter eventualmente contestare la sussistenza dello stato di insolvenza, il superamento dei limiti dimensionali, ecc. III.3. Infine, l'art. 1 L.F., se interpretato nel senso di ricomprendere nell'area della fallibilita' l'imprenditore sottoposto a misura di prevenzione, si porrebbe in contrasto con l'art. 41 Cost., in quanto il prevenuto, benche' non piu' imprenditore per le ragioni sopra illustrate, subirebbe la piu' ampia limitazione della propria liberta' di iniziativa economica a cagione dell'insolvenza di un'impresa che non risulta piu' dal medesimo governata ne' gestita, in quanto coattivamente amministrata da altro soggetto. IV. Alla stregua delle considerazioni fin qui svolte, va allora disposta la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la decisione sulle evidenziate pregiudiziali di legittimita' costituzionale, siccome ritenute rilevanti e non manifestamente infondate. Alla Cancelleria vanno affidati gli adempimenti di competenza, ai sensi dell'art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87.
P.Q.M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3, 24 e 41 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 comma I R.D. 16 marzo 1942 n. 267, conte modificato dai decreti legislativi n. 5/2006 e n. 169/2007, nella parte in cui non esclude dall'assoggettabilita' a fallimento l'imprenditore individuale la cui impresa sia stata oggetto di una misura di prevenzione patrimoniale ex art. 2-ter e ss. L. 575/1965. Ordina alla Cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica, al Presidente della Camera dei deputati ed alle parti costituite. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte notificazioni e comunicazioni anche alle parti. Sospende il giudizio in corso. Cosi' deciso nella Camera di consiglio della IV Sezione civile e fallimentare del Tribunale di Palermo, il giorno 13 novembre 2009. Il Presidente: Novara Il giudice relatore: Giammona