N. 291 SENTENZA 4 - 8 ottobre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Ordinamento penitenziario - Divieto  di  concessione  di  benefici  -
  Affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  nei  casi   previsti
  dall'art. 47 della legge n. 354 del 1975 - Divieto  di  concessione
  per piu' di una volta al condannato al quale sia stata applicata la
  recidiva prevista dall'art. 99, quarto comma, cod. pen. - Eccezione
  di inammissibilita' della questione per carente  descrizione  della
  fattispecie - Reiezione. 
- Legge  26  luglio  1975,  n.  354,  art.  58-quater,  comma  7-bis,
  introdotto dall'art. 7, comma 7, della legge 5  dicembre  2005,  n.
  251. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
Ordinamento penitenziario - Divieto  di  concessione  di  benefici  -
  Affidamento  in  prova  al  servizio  sociale  nei  casi   previsti
  dall'art. 47 della legge n. 354 del 1975 - Divieto  di  concessione
  per piu' di una volta al condannato al quale sia stata applicata la
  recidiva  prevista  dall'art.  99,  quarto  comma,  cod.   pen.   -
  Denunciata  violazione  dei  principi  di   ragionevolezza   e   di
  necessaria finalizzazione rieducativa della pena -  Omessa  ricerca
  di un'interpretazione adeguatrice della  disposizione  censurata  -
  Inammissibilita' delle questioni. 
- Legge  26  luglio  1975,  n.  354,  art.  58-quater,  comma  7-bis,
  introdotto dall'art. 7, comma 7, della legge 5  dicembre  2005,  n.
  251. 
- Costituzione, artt. 3 e 27, terzo comma. 
(GU n.41 del 13-10-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Francesco AMIRANTE; 
Giudici: Ugo DE SIERVO, Paolo MADDALENA, Alfio  FINOCCHIARO,  Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                               Sentenza 
 
nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  58-quater,
comma  7-bis,  della  legge   26   luglio   1975,   n.   354   (Norme
sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
privative e limitative della liberta'),  promosso  dal  Tribunale  di
sorveglianza di Genova con ordinanza del 25 novembre  2009,  iscritta
al numero 128 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 19, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del 25
novembre 2009, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione - questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative e limitative della liberta'), nella parte  in  cui  esclude
che la misura dell'affidamento in prova  al  servizio  sociale  possa
essere disposta per piu' di una volta in favore  del  condannato  nei
cui confronti sia stata applicata la recidiva  di  cui  all'art.  99,
quarto comma, del codice penale. 
    1.1. - Il giudice a quo e' chiamato a valutare  la  posizione  di
persona detenuta in espiazione della pena di un anno e otto  mesi  di
reclusione, inflittagli per un delitto di tentato furto commesso il 7
aprile 2009, cioe' nello stesso giorno di decorrenza  della  pena  in
corso di esecuzione. In precedenza, ed  in  particolare  nel  periodo
compreso tra il 2000 ed il  2006,  l'interessato  aveva  gia'  subito
condanne  per  i  delitti  di  furto,  di  violazione   delle   norme
concernenti le misure di prevenzione, di ricettazione e di  evasione.
Nel 2006 era stata applicata in suo favore, con  esito  positivo,  la
misura dell'affidamento in prova al servizio sociale. Si precisa  dal
rimettente, con riferimento alla pena attualmente eseguita,  che  «in
sentenza e' stata applicata la recidiva reiterata ex art. 99,  quarto
comma, cod. pen.». 
    Secondo il Tribunale sussisterebbero le condizioni per una  nuova
misura  di  affidamento  in  prova,  anche  in  considerazione  delle
caratteristiche personali del reo, segnato da deficit intellettivo  e
deprivato culturalmente, per tali ragioni male inserito nell'ambiente
carcerario,  ed  invece  ben  contenuto,  di   norma,   nell'ambiente
familiare e sociale della piccola comunita' di provenienza. 
    Tuttavia  -  prosegue  il  rimettente  -  nessuna  delle   misure
alternative alla carcerazione e' applicabile nel  caso  concreto.  Un
nuovo affidamento in prova al  servizio  sociale  e'  precluso  dalla
norma  oggetto   di   censura.   L'intervenuta   applicazione   della
circostanza concernente la recidiva reiterata  comporta  anche  -  in
base al testo novellato dell'art. 47-ter, comma 1-bis, della legge n.
354 del 1975 - che non possa essere disposta in favore del condannato
la misura della  detenzione  domiciliare.  Sempre  in  ragione  della
recidiva,  infine,  mancano  le   condizioni   per   l'accesso   alla
semiliberta',  posto  che  il  nuovo  art.  50-bis   dell'ordinamento
penitenziario esige, nei casi in questione, la preventiva  espiazione
della pena nella misura di due terzi. Il  Tribunale  osserva  d'altra
parte, a tale ultimo proposito, che le esigenze rieducative poste dal
caso di specie sarebbero meglio assicurate tramite una misura fondata
sulla  sorveglianza,  piuttosto  che  su  prestazioni   a   carattere
socio-assistenziale. 
    1.2. - Il rimettente evoca anzitutto, a sostegno della  questione
sollevata, la giurisprudenza costituzionale secondo la  quale,  nella
disciplina della pena, l'attuazione della finalita' rieducativa  puo'
concorrere con esigenze diverse, a cominciare dalla difesa sociale, a
condizione che tali ultime esigenze siano assicurate  con  il  minimo
possibile sacrificio dell'opera di rieducazione, e che nessuna tra le
funzioni in concorso resti di fatto obliterata (e' citata la sentenza
n. 78 del 2007). 
    L'accesso alle misure alternative, nel concorso delle  condizioni
per ciascuna previste, costituisce secondo il Tribunale una modalita'
essenziale  di  attuazione  del  finalismo  rieducativo  della  pena.
Tuttavia, per i recidivi  reiterati,  sarebbe  stato  introdotto  uno
sbarramento  quasi  impenetrabile,   non   essendo   ammissibile   la
detenzione domiciliare, ne' «comune» (art. 47-ter, comma 1-bis,  ord.
pen.) ne' «speciale» per gli ultrasettantenni (art. 47-ter, comma 01,
ord.  pen.),  ed  essendo  necessaria  l'espiazione  d'una  rilevante
porzione della pena a fini di conseguimento della semiliberta'  (art.
50-bis ord. pen.). 
    Proprio per l'affidamento in prova,  cioe'  per  la  misura  piu'
favorevole  al  detenuto,  il  legislatore  della  riforma   non   ha
introdotto  una  preclusione  diretta.  Di  questa  scelta  la  Corte
costituzionale avrebbe individuato la ratio con  la  sentenza  n.  38
(recte: n. 338) del 2008: l'applicazione della misura consegue ad  un
giudizio di  piena  affidabilita'  dell'interessato,  e  non  avrebbe
quindi senso una  preclusione  fondata  sulla  recidiva,  che  invece
sarebbe ragionevole riguardo a misure per  l'accesso  alle  quali  e'
richiesto un sindacato meno significativo. La stessa logica del resto
- prosegue il rimettente - aveva parzialmente  escluso  l'affidamento
in prova dalla precedente riforma di segno restrittivo,  fondata  sul
titolo  del  reato  commesso  dal  condannato,  ove   la   detenzione
domiciliare era stata  preclusa  con  riguardo  ai  delitti  indicati
all'art. 4-bis ord. pen. (comma 1-bis dell'art. 47-ter ord. pen.),  e
forti limiti erano stati introdotti per  la  semiliberta'  (art.  50,
comma 2, ord. pen.); nel caso dell'affidamento in prova,  invece,  la
preclusione  aveva  riguardato  i  soli  delitti  «di  prima  fascia»
dell'art.   4-bis,   con   l'ulteriore   esclusione   dei    soggetti
collaboratori di giustizia o condannati in  situazione  di  obiettiva
inesigibilita' della collaborazione. 
    1.3. - Una siffatta  logica  del  sistema  sarebbe  contraddetta,
secondo il rimettente,  dalla  norma  censurata,  che  introduce  una
preclusione  assoluta,  e  dunque  determina,  a  suo   avviso,   una
violazione  del  principio  di   ragionevolezza   e   del   principio
costituzionale di necessaria finalizzazione rieducativa della pena. 
    Sarebbe  irragionevole,  in  particolare,  il  valore  preclusivo
assegnato  ad  una  condizione,  quella  di  recidivo,  che  non   e'
necessariamente sintomatica sul piano della pericolosita' attuale. Il
fenomeno sarebbe evidente nel  caso  di  condanne  sopravvenute,  per
fatti   antecedenti,   ad   una   prima   positiva    sperimentazione
dell'affidamento  in   prova:   durante   la   relativa   esecuzione,
l'interessato non potrebbe  giovarsi  nuovamente  della  misura,  pur
essendo il fatto antecedente ad una sua  accertata  risocializzazione
(unica eccezione, fondata per altro su sequenze  del  tutto  casuali,
sarebbe data  dall'innesto  della  nuova  esecuzione  nell'attualita'
della prima misura di affidamento, la quale potrebbe essere estesa al
nuovo titolo). Inoltre - prosegue il Tribunale - anche  nel  caso  di
reati  commessi  dopo  una   prima   sperimentazione   della   misura
alternativa  potrebbe  mancare,  nella  fattispecie   concreta,   una
pericolosita' sociale  tale  da  giustificare  il  divieto  di  nuova
concessione del beneficio. 
    Proprio la preclusione in ordine a qualsiasi valutazione concreta
della pericolosita' sociale del condannato e della possibilita' di un
suo  proficuo  reinserimento  nel   tessuto   sociale,   secondo   il
rimettente, pone la norma censurata in diretto contrasto con il terzo
comma  dell'art.  27  Cost.,  privando  l'esecuzione   di   strumenti
imprescindibili in una prospettiva di rieducazione del reo. 
    Il vulnus denunciato non potrebbe essere  escluso  attraverso  la
sperimentazione di soluzioni  interpretative  «adeguatrici»,  essendo
chiaro ed evidente, in base alla lettera della legge,  il  regime  di
preclusione  generalizzata  introdotto  sul  solo  presupposto  della
condizione di recidivo reiterato in capo al condannato. 
    1.4. - La questione,  oltre  che  non  manifestamente  infondata,
sarebbe rilevante: secondo il Tribunale, infatti, nel caso di  specie
sussisterebbero sia le condizioni di fatto per l'affidamento in prova
dell'interessato, sia gli ulteriori presupposti per l'adozione  della
misura, la quale dunque risulterebbe preclusa solo in  ragione  della
norma censurata. 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio mediante atto depositato in data 1° giugno  2010,  chiedendo
che sia dichiarata la  «manifesta  inammissibilita'  e  infondatezza»
della questione sollevata. 
    La  denunciata   inammissibilita'   deriverebbe   dalla   carente
descrizione della fattispecie concreta, avuto riguardo a  circostanze
che  potrebbero  rendere  inapplicabile,  nel  caso  di  specie,   la
disposizione censurata. 
    L'Avvocatura   generale   richiama,   a   tale   proposito,    la
giurisprudenza  secondo  cui  la   recidiva   potrebbe   considerarsi
«applicata» nel giudizio di  cognizione,  con  l'effetto  di  inibire
l'accesso all'affidamento in prova, solo  quando  abbia  prodotto  un
concreto effetto nella  determinazione  della  pena,  di  talche'  la
preclusione non varrebbe nei casi di dichiarata prevalenza,  in  sede
di bilanciamento, delle circostanze di segno opposto (sono citate  le
sentenze della Corte di cassazione n. 33634 e n. 33923 del 2006).  Il
difetto di indicazioni sul punto, da parte  del  rimettente,  sarebbe
d'ostacolo al sindacato preliminare della Corte  circa  la  rilevanza
della questione sollevata. 
    Sul piano della non manifesta infondatezza, si osserva  in  primo
luogo che la rieducazione del condannato  non  e'  l'unica  finalita'
della pena, la quale deve pure assicurare la prevenzione  speciale  e
generale e la difesa sociale (sono citate  le  sentenze  della  Corte
costituzionale n. 107 del 1980  e  n.  264  del  1974).  Spetta  alla
discrezionalita'  legislativa  la   determinazione   del   punto   di
equilibrio tra le varie esigenze assicurate mediante  il  trattamento
sanzionatorio, purche' nessuna  di  tali  esigenze  resti  del  tutto
obliterata (sono citate le ulteriori sentenze n. 78 del 2007, n.  257
del 2006 e n. 306 del 1993). 
    La norma censurata - secondo la  difesa  dello  Stato  -  sarebbe
pienamente  compatibile  con  il  principio   indicato,   affiancando
l'esigenza della difesa sociale,  particolarmente  significativa  nel
caso  di  delinquenti  recidivi,  a  quella  della  rieducazione  del
condannato. In effetti, la sola condizione di  recidiva  non  e'  mai
sufficiente a precludere l'affidamento in  prova,  neppure  nei  casi
piu' gravi di recidiva reiterata. L'effetto  preclusivo  si  connette
unicamente, e per  il  solo  recidivo  reiterato,  ad  una  pregressa
concessione del medesimo beneficio. In questi casi,  ragionevolmente,
sarebbe fatta applicazione di  un  criterio  di  «prognosi  postuma»,
escludendo che il condannato possa utilmente  prestarsi  a  tentativi
ulteriori di risocializzazione. Andrebbe considerato, d'altra  parte,
come la Corte costituzionale abbia sempre misurato la  finalizzazione
rieducativa della pena in base al trattamento  penitenziario  che  ne
concreta l'esecuzione, e che varia da caso a caso, con efficacia  che
«sfugge, comunque, al sindacato di legittimita' della Corte» medesima
(sono citate le sentenze n. 1023 del 1988, n. 237 del 1984 e  n.  137
del 1983). 
    Il valore sintomatico  della  recidiva  varrebbe  anche,  secondo
l'Avvocatura generale, ad  escludere  la  denunciata  violazione  del
principio di ragionevolezza. Dopo  un  richiamo  alla  giurisprudenza
costituzionale che riserva alla discrezionalita' legislativa, con  il
solo limite della palese  irrazionalita',  le  scelte  in  merito  al
trattamento sanzionatorio,  si  afferma  che  proprio  il  fallimento
sperimentato di precedenti esperienze  rieducative  consentirebbe  di
istituire un trattamento  diversificato  per  i  recidivi  reiterati,
specie nei casi in cui il reato e' commesso dopo l'esaurimento  della
prima misura di affidamento in prova (situazione che,  probabilmente,
ricorre anche nella fattispecie concreta). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di sorveglianza di Genova, con ordinanza del 25
novembre 2009, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 27, terzo
comma, della Costituzione - questioni di legittimita'  costituzionale
dell'art. 58-quater, comma 7-bis, della legge 26 luglio 1975, n.  354
(Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle  misure
privative e limitative della liberta'), nella parte  in  cui  esclude
che la misura dell'affidamento in prova  al  servizio  sociale  possa
essere disposta per piu' di una volta in favore  del  condannato  nei
cui confronti sia stata applicata la recidiva  di  cui  all'art.  99,
quarto comma, del codice penale. 
    La  disposizione  censurata  e'  stata  introdotta,   nel   corpo
dell'art.  58-quater  dell'ordinamento  penitenziario,  dall'art.  7,
comma 7, della legge 7 dicembre 2005, n.  251  (Modifiche  al  codice
penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di  attenuanti
generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione). 
    2.  -  Preliminarmente  deve  essere  rigettata  l'eccezione   di
inammissibilita', proposta dall'Avvocatura dello Stato, per  asserita
carente descrizione  della  fattispecie,  che  non  consentirebbe  il
controllo sulla rilevanza della questione nel giudizio principale. 
    Sostiene  la  difesa  dello  Stato  che  la   recidiva   potrebbe
considerarsi  «applicata»  nel  giudizio  di  cognizione  -  con   la
conseguenza di inibire l'accesso  all'affidamento  in  prova  -  solo
quando abbia prodotto un concreto effetto sulla quantificazione della
pena. La preclusione non  varrebbe  quindi  nei  casi  di  dichiarata
prevalenza, in sede di bilanciamento, delle circostanze attenuanti in
eventuale concorso con la recidiva, ed in tal senso viene  citato  un
conforme  orientamento  della  giurisprudenza  di  legittimita'.   Il
difetto di indicazioni sul punto, da parte  del  rimettente,  sarebbe
pertanto di ostacolo al sindacato preliminare di questa  Corte  sulla
rilevanza della questione. 
    Occorre precisare che la giurisprudenza  evocata  dall'Avvocatura
dello Stato risale in prevalenza ai primi mesi di applicazione  della
legge n. 251 del 2005, quando  erano  poste  in  esecuzione  sentenze
deliberate  prima  dell'entrata  in  vigore  del  quarto  comma   del
novellato art.  69  cod.  pen.,  che  inibisce  la  dichiarazione  di
subvalenza  della  recidiva  rispetto  alle  circostanze  attenuanti.
Richiedere  al  rimettente   una   esplicita   esclusione   di   tale
eventualita', con riguardo ad  una  sentenza  pronunciata  nel  2009,
significherebbe  sollecitarlo  a  specificare  se  il  giudice  della
cognizione non abbia  per  caso  violato  la  legge,  in  assenza  di
elementi che possano far sorgere un simile dubbio. 
    Non era necessario neppure che il giudice a quo chiarisse se, nel
caso di specie, vi fosse  stato  un  effettivo  aumento  della  pena,
giacche' l'aggravante deve ritenersi applicata anche quando sia stata
considerata equivalente rispetto  alle  attenuanti.  Il  giudizio  di
equivalenza implica infatti che un'aggravante spieghi pur  sempre  un
effetto  concreto,  che  e'  quello  di  paralizzare   un'attenuante,
impedendo che  quest'ultima  determini  una  diminuzione  della  pena
(Cassazione, Sez. Un., sentenza 18 giugno 1991, n. 17). 
    Sulla base delle precedenti considerazioni,  si  deve  concludere
che l'affermazione del rimettente, secondo cui «e' stata applicata la
recidiva reiterata ex art. 99, comma 4, c.p.», e' sufficiente  a  far
ritenere plausibile la  prospettata  rilevanza  della  questione  nel
giudizio principale. 
    3. - Le questioni sono tuttavia inammissibili per altri motivi. 
    3.1. - Il  giudice  a  quo  non  ha  approfondito,  nella  misura
necessaria, la possibilita' che della  disposizione  censurata  venga
data una interpretazione conforme ai precetti costituzionali. 
    E'  necessario  innanzitutto  rilevare  che  non  esiste,   nella
fattispecie, un orientamento giurisprudenziale consolidato, in  senso
«adeguatore», cosi' come nella questione risolta con la  sentenza  di
questa Corte n. 189 del 2010, concernente la disciplina  dell'accesso
ai  benefici  penitenziari  da  parte  di  coloro  che  siano   stati
condannati per evasione. Cio' non esime questa Corte  dal  dovere  di
verificare se esista una  possibilita'  di  dare  della  disposizione
censurata una lettura  tale  da  escludere  i  vizi  di  legittimita'
denunciati. 
    3.2. - Anche nel presente giudizio si deve partire  dal  costante
orientamento di questa Corte, che esclude, nella materia dei benefici
penitenziari, rigidi automatismi e richiede invece che vi sia  sempre
una valutazione individualizzata, cosi' da collegare la concessione o
non del beneficio ad una prognosi ragionevole sulla  sua  utilita'  a
far procedere il condannato sulla via dell'emenda e del reinserimento
sociale (ex plurimis, sentenze n. 189 del 2010, n. 255 del  2006,  n.
436 del 1999). 
    Occorre inoltre ricordare la giurisprudenza secondo cui «[...] le
presunzioni assolute, specie quando limitano un diritto  fondamentale
della  persona,  violano  il  principio  di  eguaglianza,   se   sono
arbitrarie  e  irrazionali,  cioe'  se  non  rispondono  a  dati   di
esperienza  generalizzati,  riassunti  nella  formula  dell'id   quod
plerumque accidit» (sentenza n. 265 del 2010).  Piu'  specificamente,
«l'irragionevolezza della presunzione assoluta si puo' cogliere tutte
le volte in cui sia "agevole" formulare ipotesi di accadimenti  reali
contrari alla generalizzazione posta a base della presunzione stessa»
(sentenza n. 139 del 2010, in conformita' alla  sentenza  n.  41  del
1999). Proprio con riferimento  alla  presunzione  di  pericolosita',
questa Corte ha avuto modo di affermare che la stessa non deve essere
totalmente  esclusa  dall'ordinamento,   ma   e'   costituzionalmente
incompatibile  se  «non  abbia  fondamento  nell'id  quod   plerumque
accidit» (sentenza n. 139 del 1982). 
    4. - Muovendo da tali premesse generali, questa Corte osserva che
il giudice rimettente non ha preso in considerazione la  possibilita'
di dare alla disposizione censurata  un'interpretazione  restrittiva,
nel senso che l'esclusione dal beneficio operi in modo assoluto  solo
quando  il  reato  espressivo  della  recidiva  reiterata  sia  stato
commesso dopo la sperimentazione della misura  alternativa,  avvenuta
in sede  di  esecuzione  di  una  pena,  a  sua  volta  irrogata  con
applicazione della  medesima  aggravante.  Una  conforme  indicazione
ermeneutica, per quanto in particolare  concerne  la  pertinenza  del
divieto ad una seconda sperimentazione del beneficio nella  specifica
condizione di recidivo reiterato, proviene  dai  lavori  parlamentari
propedeutici all'approvazione della legge di riforma. 
    L'interpretazione prospettata farebbe venir meno  il  rischio  di
una irragionevole preclusione in danno del soggetto che, pur  essendo
stato condannato con applicazione della predetta aggravante, si trovi
nelle condizioni di poter essere valutato dal giudice come meritevole
della sperimentazione  di  un  percorso  rieducativo,  che  non  puo'
ritenersi escluso a priori, per effetto di  una  astratta  previsione
normativa. 
    Diversa e' peraltro l'ipotesi in cui lo stesso  condannato,  dopo
aver fruito di un primo affidamento in prova,  concesso  quando  gia'
era stato dichiarato recidivo reiterato, commetta  un  nuovo  delitto
(almeno il quarto), per il quale il  giudice  della  cognizione,  nel
caso piu' ricorrente della recidiva cosiddetta facoltativa, ritenga i
precedenti del reo concretamente significativi in punto  di  gravita'
del reato. In casi del genere non e' agevole prevedere che  un  nuovo
beneficio dello stesso tipo possa sortire effetti diversi  da  quello
precedente, mentre  e'  agevole  prefigurare  il  contrario,  con  la
conseguenza che la scelta del  legislatore  di  esigere  l'espiazione
della pena, senza possibilita' di accesso alle misure  specificamente
escluse   dalla   norma   censurata,   non   puo'   essere   ritenuta
manifestamente irragionevole o arbitraria. 
    Le funzioni di tutela della sicurezza pubblica e  di  prevenzione
dei reati, proprie della pena unitamente alla finalita'  rieducativa,
sarebbero  fortemente  compromesse  se  si  continuasse  a  far  leva
esclusivamente su una misura alternativa alla detenzione in  carcere,
che, nel concreto, ha dimostrato la sua inefficacia rispetto al  fine
di impedire la commissione di nuovi delitti non colposi. Peraltro, il
vigente ordinamento penitenziario prevede  altri  strumenti,  diversi
dall'affidamento in prova, che possono essere utilmente  sperimentati
per un percorso rieducativo di emenda, sia intra che extra moenia. 
    5. - In definitiva,  e  secondo  la  costante  giurisprudenza  di
questa Corte (ex multis, e da  ultimo,  ordinanza  n.  5  del  2010),
l'omessa ricerca di una  interpretazione  adeguatrice  da  parte  del
rimettente e' causa di inammissibilita' della questione sollevata. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  l'inammissibilita'  delle  questioni  di   legittimita'
costituzionale dell'art.  58-quater,  comma  7-bis,  della  legge  26
luglio  1975,  n.  354  (Norme   sull'ordinamento   penitenziario   e
sull'esecuzione delle misure privative e limitative della  liberta'),
sollevate, in riferimento agli artt.  3  e  27,  terzo  comma,  della
Costituzione,  dal  Tribunale  di   sorveglianza   di   Genova,   con
l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 4 ottobre 2010. 
 
                       Il Presidente: Amirante 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria l'8 ottobre 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola