N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2010

Ordinanza del 19 marzo 2010 emessa dalla Corte  d'appello  di  Napoli
nel procedimento civile promosso da Fiore Naina Wanda  contro  Comune
di Montoro Superiore . 
 
Espropriazione per pubblica utilita' - Aree  esterne  ed  interne  ai
  centri edificati, di cui all'art. 18 - Indennita' di espropriazione
  - Determinazione con riferimento rispettivamente al valore agricolo
  medio e al valore agricolo medio della coltura piu' redditizia  tra
  quelle  che,  nella  regione  agraria  in  cui  ricade  l'area   da
  espropriare, coprono una superficie superiore al  5  per  cento  di
  quella  coltivata  della  regione  agraria  stessa  -   Conseguente
  determinazione  dell'indennita'  stessa  in  misura   irrisoria   o
  comunque  molto  inferiore  al  valore  di  mercato  del   bene   -
  Irrazionalita' - Violazione del principio del giusto  indennizzo  -
  Lesione  dei  vincoli  derivanti  dalla  CEDU  nell'interpretazione
  datane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. 
- Decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333,  art.  5-bis,  comma  4,
  convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992,  n.  359;
  legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi quinto e sesto,  come
  sostituiti dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 42, comma terzo,  e  117,  primo  comma,  in
  relazione  all'art.  1  del  Primo  Protocollo  addizionale   della
  Convenzione  per  la  salvaguardia  diritti  dell'uomo  e  liberta'
  fondamentali. 
(GU n.47 del 24-11-2010 )
 
                         LA CORTE D'APPELLO 
 
    Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale  1584/99,
promossa da Fiore Naina Wanda, elettivamente domiciliata  in  Napoli,
alla via Carlo De Cesare n. 64, presso lo studio  dell'avv.  Vittorio
Villa, rappresentata e  difesa  dall'avv.  Carlo  La  Sala,  come  da
mandato a margine dell'atto di riassunzione, appellante; 
    Contro comune di Montoro Superiore, in persona  del  Sindaco  pro
tempore elettivamente domiciliato in Napoli, alla via S. Lucia n. 29,
presso lo studio  dell'avv.  Ilaria  Rocco,  rappresentato  e  difeso
dall'avv. Matteo Anzuoni, come da procura a margine della comparsa di
costituzione e risposta, appellato. 
    Ha emesso la seguente ordinanza. 
    La Corte, letti gli atti, osserva. 
 
                              In fatto 
 
    Naina Wanda  Fiore  era  proprietaria  di  un  terreno  sito  nel
territorio del Comune di Montoro Superiore, censito al catasto al  f.
13, p.lla 34, esteso mq. 1321. 
    Il  Commissario  Straordinario  di  Governo  per  le  zone  della
Campania e della Basilicata colpite dal sisma del 1980,  con  decreto
dell'11 aprile 1981, emesso ai  sensi  dell'art.  3  della  legge  n.
874/80, dispose l'occupazione per due anni di  una  porzione  di  mq.
1190  di  tale  terreno  in  favore  del  Comune,   per   consentirvi
l'insediamento provvisorio di prefabbricati mobili per i terremotati. 
    L'ente territoriale procedette alla presa di possesso  del  suolo
il 25 aprile 1981. 
    Con citazione notificata il 27 gennaio 1990, la Fiore convenne in
giudizio dinanzi al  Tribunale  di  Avellino  il  comune  di  Montoro
Superiore. 
    L'attrice espose che, a  seguito  dell'entrata  in  vigore  della
legge  n.  80/84,  il  Commissario  prefettizio  del   comune   aveva
deliberato di  procedere  all'esproprio  del  suolo  occupato  e  che
tuttavia la procedura, arrivata alla  fase  della  determinazione  ed
offerta delle indennita' provvisorie, si era arrestata;  che  inoltre
nel 1986 il Comune si era appropriato di fatto di altra porzione  del
medesimo terreno, che era stata utilizzata per la costruzione di  una
strada. Su tali premesse, chiese che il  Tribunale  adito,  accertata
l'esatta  estensione  di  ciascuna  delle  due  superfici   occupate,
condannasse  l'ente   territoriale   convenuto:   1)   al   pagamento
dell'indennita' di occupazione; 2) al risarcimento dei  danni  subiti
per  l'irreversibile  trasformazione  della  porzione  legittimamente
occupata ma non espropriata; 3) al  risarcimento  dei  danni  per  la
perdita della porzione illegittimamente occupata. In  subordine,  per
l'ipotesi di rigetto della domanda svolta sub. 2), chiese la condanna
del Comune al pagamento dell'indennita' di esproprio. 
    Il Comune di' Montoro Superiore, costituitosi in giudizio, chiese
il rigetto delle domande  risarcitorie.  Dedusse  a  sua  difesa  che
l'area legittimamente occupata era stata espropriata dal  Commissario
Prefettizio  il  20  marzo   1985   e   nego'   di   aver   proceduto
all'occupazione sine titulo di  un'ulteriore  porzione  del  terreno;
eccepi'  inoltre  la  prescrizione  del  diritto   della   Fiore   al
risarcimento dei danni. 
    In corso di causa fu disposta ed espletata una  ctu,  volta,  fra
l'altro, ad accertare il valore di mercato del  fondo  alla  data  di
scadenza del periodo di legittima occupazione. Il tecnico  incaricato
dell'indagine, rilevato  che  il  suolo,  pur  se  classificato  come
agricolo nel piano di fabbricazione adottato dal  Comune  di  Montoro
Superiore, era ubicato a ridosso del centro cittadino,  in  una  zona
che possedeva tutte le caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei
suoli edificatori, e che era sicuramente appetibile anche in vista di
un suo possibile sfruttamento per fini diversi dall'edificazione,  lo
valuto' in L. 55.851 al mq. alla data del dicembre 1982. 
    Con sentenza del 6 maggio 1998,  il  Tribunale  di  Avellino:  1)
dichiaro' che il Comune convenuto non era il  soggetto  titolare  dal
lato  passivo  dell'obbligazione  di  pagamento  dell'indennita'   di
occupazione legittima; 2) affermo' che il decreto  di  esproprio  del
Commissario prefettizio, emesso in relazione alla porzione di terreno
legittimamente occupata, era intervenuto dopo la scadenza del termine
biennale previsto nel decreto di  occupazione,  sicche'  non  essendo
invocabili le proroghe di legge, il  suolo  era  stato  acquisito  al
patrimonio comunale, in via di accessione invertita, a far  data  dal
24 aprile 1983; 3) in parziale accoglimento dell'eccezione svolta dal
convenuto, rigetto' tuttavia la domanda  di  risarcimento  del  danno
derivante dalla perdita per c.d. accessione invertita  della  ridetta
porzione,  in  quanto  prescritta;  4)  ritenne  provata   l'avvenuta
occupazione usurpativa da parte del Comune di una porzione del suolo,
estesa mq. 175, della quale era stata disposta, ma non effettuata, la
restituzione alla Fiore e che era stata utilizzata per la costruzione
di una strada; 5) accolse per tale parte la domanda  risarcitoria  e,
rivalutato al gennaio del 1986 (data dell'illecito),  il  valore  del
terreno stimato dal ctu (in tal modo determinandolo in  L.  65.000  a
mq.), condanno' il Comune a pagare alla  Fiore  per  tale  titolo  la
somma di L. 38.719.750, comprensiva degli interessi  legali  e  della
rivalutazione monetaria sino alla  pronuncia,  oltre  agli  interessi
legali  sull'intera  somma  dal  6  maggio  1998  sino  all'effettivo
pagamento. 
    La sentenza, non  notificata,  fu  tempestivamente  impugnata  da
Naina Wanda Fiore, che con l'atto d'appello  domando'  l'accoglimento
di tutte le domande formulate in via principale contro il  Comune  od
almeno di quella svolta in via subordinata. 
    Il Comune di Montoro Superiore, costituitosi in giudizio,  chiese
il rigetto del gravame ed, in via di  appello  incidentale,  domando'
che venisse  dichiarata  prescritta  anche  la  domanda  risarcitoria
accolta dal primo giudice  o,  in  subordine,  che  il  danno  subito
dall'appellante venisse liquidato ai  sensi  dell'art.  5-bis,  comma
7-bis, del d.l. n. 333/92 convertito nella legge n. 352/92. 
    Con sentenza non definitiva del 1° marzo 2002  questa  Corte,  in
composizione  collegiale  diversa  da  quella  odierna:  1)  respinse
integralmente l'appello incidentale del Comune di Montoro  Superiore;
2) in parziale accoglimento dell'appello  principale  ed  in  riforma
della sentenza di I grado: 2.a)  condanno'  il  Comune  al  pagamento
della somma  di  L.  15.975.000  -  comprensiva  della  rivalutazione
monetaria e degli interessi legali sino alla data della decisione - a
titolo di risarcimento del danno subito dalla Fiore per la perdita di
ulteriori  mq.  131  di  terreno,  anch'essi   occupati sine   titulo
dall'ente territoriale  ed  utilizzati  per  la  realizzazione  della
strada, ponendo a base della  liquidazione  il  medesimo  valore  del
suolo - di L. 65.000 a mq. al gennaio del 1986 -  assunto  dal  primo
giudice; 2.b) osservo' che, per effetto dell'art. 6 della legge n. 80
del 1984, le originarie occupazioni provvisorie per requisizione gia'
scadute  erano  state  prorogate   e   trasformate   in   occupazioni
finalizzate all'esproprio in favore  degli  enti  territoriali;  2.c)
affermo' che, ai sensi dell'articolo citato, il decreto di  esproprio
della porzione  di  suolo  legittimamente  occupata  era  intervenuto
tempestivamente e che il Comune di Montoro Superiore  era  tenuto  al
pagamento sia dell'indennita' di espropriazione  sia  dell'indennita'
di  occupazione  legittima  -  quest'ultima  per  il   solo   periodo
intercorso dalla data di entrata in vigore  della  legge  (19  aprile
1984) alla data di emissione del decreto (20  marzo  1985)  -  e  che
entro tali termini andava accolta la domanda di  condanna  svolta  in
via subordinata della Fiore. 
    Con contestuale ordinanza, il collegio decidente rimise la  causa
sul ruolo per l'espletamento di una seconda ctu, volta  a  verificare
se, alla data del decreto di esproprio, il fondo della  Fiore  avesse
natura  agricola  o  edificatoria  ed   a   determinare   l'ammontare
dell'indennita' di esproprio (nonche' dell'indennita' di  occupazione
legittima), merce' applicazione,  nel  primo  caso,  dell'art.  5-bis
della legge n. 359/92 e, nel secondo caso, della legge n. 865/71. 
    Il ctu accerto' che il  suolo  espropriato  era  classificato  al
catasto terreni del Comune  di  Montoro  Superiore  come  «seminativo
arborato» e che, secondo il Programma di fabbricazione in vigore  nel
Comune dal 30 ottobre 1972 al 12 maggio 1997 (data  di'  approvazione
del PRG  tuttora  vigente)  era,  per  la  sua  maggiore  estensione,
destinato ad uso pubblico per servizi vari, per una parte  di  minore
estensione (pari a circa 200 mq.) inserito in zona B di completamento
e per una terza parte interessato alla realizzazione di  una  strada;
che,  tuttavia,  in  base  alle   prescrizioni   del   Programma   di
fabbricazione,  nella  zona  B  dell'area  espropriata  era  comunque
precluso ogni tipo di edificazione e non era  consentita  neppure  la
costruzione in aderenza con l'edificio di proprieta' della Fiore  con
essa  confinante,  soggetto,  nel  Piano  di  Recupero  del   Comune,
unicamente ad interventi di restauro e di risanamento conservativo. 
    Una volta accertata l'inedificabilita' dell'area,  il  consulente
applico' i criteri di liquidazione delle indennita'  stabiliti  dagli
artt. 16 e 20 della legge n. 865/71, cui rinvia l'art. 5-bis, comma 4
della legge n. 359/92, e, rilevato che il comune di Montoro Superiore
ricadeva nella Regione Agraria n. 8 della provincia di Avellino e che
nel 1985, in tale Regione il valore  agricolo  medio  di  un  terreno
seminativo arborato era di L. 1.200 a mq., determino'  I'  indennita'
di  esproprio  spettante  alla  Fiore  in  complessivi  € 588,76  (L.
1.140.000) e quella di occupazione in complessivi € 49,06. 
    Il processo,  dopo  l'espletamento  della  ctu,  fu  sospeso,  su
concorde richiesta delle parti, in attesa della pronuncia della  S.C.
sull'  impugnazione  principale  proposta  dal  Comune   di   Montoro
Superiore e su quella incidentale proposta  dalla  Fiore  avverso  la
sentenza non definitiva. 
    Respinte dalla Cassazione entrambe  le  impugnazioni,  e  passata
percio' in giudicato la sentenza del 1° marzo 2002, la causa e' stata
ritualmente riassunta da Naina Wanda Fiore e, dopo due rinvii  dovuti
ad una (non accolta) richiesta di riunione ad altro giudizio pendente
fra le stesse parti, e' stata  trattenuta  in  decisione  all'udienza
collegiale del 15 gennaio 2010. 
 
                             In diritto 
 
    Questa Corte, chiamata a decidere unicamente della  misura  delle
indennita' di esproprio e di occupazione spettanti alla Fiore, dubita
della legittimita' costituzionale del comma  4  dell'art.  5-bis  del
d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge
8 agosto 1992, n. 359 - applicabile ai giudizi in corso alla data  di
entrata in vigore della legge che lo ha introdotto - secondo il quale
per le aree agricole e per quelle che... non sono classificabili come
edificabili, si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22
ottobre 1971, n.  865  e  successive  modificazioni  e  integrazioni,
nonche' della legittimita' costituzionale dei  commi quinto  e  sesto
dell'art. 16 di tale ultima legge, cosi' come sostituiti dall'art. 14
della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, secondo il diritto  vivente,
sono tuttora in vigore esclusivamente  con  riguardo  alle  aree  non
aventi  destinazione  edilizia)  che  a  loro  volta  prevedono   che
l'indennita' di espropriazione ... per  le  aree  esterne  ai  centri
edificati, e' commisurata al valore agricolo medio...  corrispondente
al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare e che nelle  aree
comprese nei centri edificati, l'indennita' e' commisurata al  valore
agricolo medio della coltura piu' redditizia tra  quelle  che,  nella
regione agraria da espropriare, coprono una superficie  superiore  al
5% di quella coltivata nella regione stessa. 
    Le predette disposizioni normative, che all'evidenza non appaiono
suscettibili  di  un'interpretazione  diversa  da  quella  letterale,
stabiliscono un criterio di determinazione delle indennita' dei suoli
agricoli e dei suoli non edificabili del tutto disancorato  dal  loro
effettivo valore di mercato. 
    Invero, ancorche' non possa escludersi che valore  di  mercato  e
valore agricolo medio (V.A.M.) di tali categorie  di  immobili  siano
talvolta, in concreto, coincidenti, non v'e' dubbio che assai  spesso
il primo valore risulti (anche notevolmente) superiore al secondo, in
quanto l'appetibilita' di un terreno sul  mercato  non  dipende  solo
dalla sua edificabilita', ma da molteplici altri fattori,  primi  fra
tutti la sua posizione e le concrete possibilita' di suo sfruttamento
per fini diversi dalla coltivazione. 
    Cosi', per  fare  solo  degli  esempi,  un  suolo  agricolo  puo'
costituire area di pertinenza, adibita a giardino o ad orto,  di  una
villa situata in zona turistica o costituire area sulla quale insiste
un c.d. «comodo rurale» del quale e' consentita  la  ristrutturazione
od essere acquistato per poter aumentare la volumetria  dell'immobile
da realizzare sull'annessa area edificabile; analogamente,  un  suolo
non edificabile sito all'interno di un  centro  abitato  puo'  essere
adibito a giardino pertinenziale, a parcheggio scoperto, o  sfruttato
per il completamento di un'area edificabile: in tutti questi casi  (e
nei molteplici altri che si potrebbero  immaginare),  in  una  libera
contrattazione fra parti private il  suolo  verrebbe  venduto  ad  un
prezzo non solo assai maggiore del  suo  ipotetico  «valore  agricolo
medio», ma che (come  forse  ancor  piu'  conta)  verrebbe  stabilito
prescindendo del tutto da tale valore. 
    La questione e' rilevante nel presente giudizio. 
    Con sentenza passata in  giudicato,  il  valore  di  mercato  del
terreno di' proprieta' della Fiore e' stato determinato in L.  65.000
a mq. al gennaio del 1986  (previa  rivalutazione  a  tale  data  del
valore di L. 55.851 a mq. riferito al dicembre del 1982). 
    Per contro, secondo quanto accertato dal ctu nominato in grado di
appello, il valore agricolo medio della coltura in atto  sul  terreno
era, nel 1985, di appena L. 1.200 al mq. 
    Va qui, per completezza, rilevato che il ctu potrebbe aver errato
nell'identificazione del dato di riferimento, in quanto,  essendo  il
suolo della Fiore  compreso  in  un  centro  edificato,  l'indennita'
avrebbe dovuto essere commisurata  al  valore  agricolo  medio  della
coltura piu' redditizia tra quelle  che,  nella  regione  agraria  da
espropriare, coprivano una  superficie  superiore  al  5%  di  quella
coltivata nella regione stessa. 
    Tuttavia, come emerge dal B.U.R. della Regione Campania 18  marzo
1985 allegato alla consulenza,  anche  nell'ipotesi  piu'  favorevole
all'appellante -  ovvero  supponendo  che  nel  1985,  nella  regione
agraria n. 8 della provincia di' Avellino, la coltura piu' redditizia
(che e' quella ad «orto irriguo») coprisse piu' del  5%  dei  terreni
coltivati  -  il  valore  agricolo  medio  del  quale   tener   conto
risulterebbe di appena L. 6.200 a mq. 
    Il  suolo  di  proprieta'  di  Naina  Wanda  Fiore,   alla   data
dell'esproprio, era sicuramente inedificabile. 
    Secondo l'accertamento, non piu' soggetto  a  gravame,  contenuto
nella sentenza non definitiva passata in giudicato fra le  parti,  il
provvedimento ablativo  va  nella  specie  identificato  nel  decreto
emesso dal  Commissario  Prefettizio  il  20  marzo  1985,  ai  sensi
dell'art. 6, quarto e quinto comma della legge n. 80  del  1984,  per
consentire la definitiva acquisizione in favore dei comuni delle aree
gia' individuate e destinate ad ospitare gli insediamenti provvisori. 
    Non puo' pertanto condividersi l'assunto dell'appellante che, pur
non contestando la correttezza dell'accertamento compiuto dal ctu  in
ordine all'inedificabilita' del terreno alla data  di  emissione  del
decreto, sostiene  che,  ai  fini  del  calcolo  dell'indennita',  si
dovrebbe  tener   conto   della   situazione   di   fatto   anteriore
all'approvazione del piano di fabbricazione (30 ottobre 1972), con il
quale sarebbero stati apposti i vincoli preordinati all'esproprio. 
    Costituisce infatti principio consolidato in  giurisprudenza  che
le  destinazioni  d'uso   di   porzioni   del   territorio   comunale
identificate in base  a  criteri  generali  e  predeterminati,  quali
quelli previsti dal Piano regolatore  generale  o  dal  Programma  di
fabbricazione,   non   caratterizzano   un   vincolo   a    contenuto
espropriativo, in quanto rispondono  all'esigenza  di  conformare  il
diritto di proprieta' attraverso  la  definizione  dell'utilizzazione
del  suolo  consentita  al  proprietario,  sicche'   incidono   sulla
determinazione del valore dell'area agli effetti dell'indennita' (fra
molte: Cass. nn. 12293/08, 8218/07, 3146/06). 
    Va, altresi', escluso che sia passato  in  giudicato  un  preteso
accertamento in ordine all'edificabilita' di fatto del suolo, che non
costituiva (ne'  avrebbe  potuto  costituire)  questione  oggetto  di
pronuncia e che non puo'  essere  confuso  col  diverso  accertamento
(esso si' coperto da  giudicato)  inerente  all'effettivo  valore  di
mercato del terreno di proprieta' della Fiore. 
    Va sul punto richiamata la costante e consolidata  giurisprudenza
della S.C., che costituisce vero e proprio diritto vivente, alla  cui
stregua il sistema introdotto dall'art. 5-bis legge n. 359  del  1992
si  caratterizza  per  una  rigida  dicotomia,  con   esclusione   di
un tertiurn genus tra «aree edificabili» ed «aree  agricole»  o  «non
classificabili  come  edificabili»  (cfr.,  fra  molte,   Cass.   nn.
17672/09, 16531/09, 4513/04 nonche' Cass.  n.13199/06,  che  precisa,
altresi', come,  riguardo  al  criterio  del  valore  agricolo  medio
applicabile alle aree non edificabili, non hanno rilievo i correttivi
concepiti, nell'originario meccanismo dell'art. 16 della legge n. 865
del 1971, per i suoli  compresi  all'interno  dei  centri  edificati,
essendo incompatibili con il nuovo sistema figure intermedie  miranti
ad assicurare una valutazione migliore dei terreni  inedificabili,  o
qualsiasi altro tipo di correttivo). 
    Al  criterio  dell'edificabilita'  di  fatto  puo'  dunque  farsi
riferimento in via complementare ed integrativa, agli  effetti  della
determinazione del concreto valore di mercato dell'area  espropriata,
solo nelle ipotesi (entrambe estranee alla fattispecie in  esame)  in
cui sussistano cause che riducano od escludano le possibilita'  reali
di edificazione - incidendo cosi' sulla liquidazione  dell'indennita'
di  esproprio  ma  non  gia'  sulla  natura  dell'area,  che   rimane
edificabile se tale e' considerata dallo strumento urbanistico - o in
cui  difetti  una  classificazione   del   suolo   da   parte   delle
pianificazione urbanistica (in termini: Cass. n. 4513/2004). 
    Deve pertanto concludersi che, essendo il giudizio in corso  alla
data di entrata in vigore della  legge  n.  359/92,  l'indennita'  di
esproprio andrebbe liquidata alla stregua dei criteri  dettati  dalle
norme  della  cui  legittimita'  costituzionale  si  dubita,  con  la
conseguenza che  la  somma  spettante  alla  Fiore  per  tale  titolo
risulterebbe irrisoria. 
    Non appare, allora,  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale  delle  norme  in  esame  per  violazione
dell'art. 117 primo comma Cost., nel  testo  introdotto  dalla  legge
cost. 18 ottobre 2001, n. 3, per  il  loro  contrasto  con  le  norme
internazionali convenzionali ed, in particolare,  con  l'art.  1  del
Primo protocollo addizionale della Convenzione  per  la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  ratificato,
unitamente alla Convenzione, dalla legge n. 848/55. 
    Va  premesso  che,   come   ampiamente   chiarito   dalla   Corte
costituzionale nelle sentenze nn. 348 e  349  del  2006,  il  giudice
comune non puo' procedere alla diretta  disapplicazione  della  norma
interna in contrasto con la norma CEDU. 
    Le norme CEDU,  in  quanto  di  origine  pattizia,  sono  infatti
escluse dall'ambito di operativita' dell'art. 10 primo comma Cost., -
che con l'espressione «norme del diritto internazionale  generalmente
riconosciute»  si  riferisce  soltanto  alle  norme  consuetudinarie,
disponendo  l'adattamento  automatico  alle  stesse  dell'ordinamento
giuridico italiano - sicche' non possono di  per  se'  stesse  essere
assunte quali parametri del giudizio di  legittimita'  costituzionale
(C. cost. sent n. 188/80) ovvero come norme  interposte  ex  art.  10
Cost.(C. cost. ordinanza n. 143 del 1993), e  non  rientrano  neppure
fra le norme che, come  quelle  comunitarie,  hanno  piena  efficacia
obbligatoria e diretta applicazione nello Stato, senza necessita'  di
leggi di ricezione e adattamento, in considerazione delle limitazioni
alla sovranita' nazionale che l'art. 11 Cost. consente  quando  siano
necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali
rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni (C. cost.
sent. n. 188/80 cit.). 
    In  sostanza,  la  CEDU  non  crea   un   ordinamento   giuridico
sovranazionale e non produce quindi  norme  direttamente  applicabili
negli  Stati  contraenti,  ma  e'  configurabile  come  un   trattato
internazionale multilaterale da cui derivano obblighi per  gli  Stati
contraenti,  ma  non  l'incorporazione   dell'ordinamento   giuridico
italiano in un  sistema  piu'  vasto,  dai  cui  organi  deliberativi
possano promanare norme vincolanti - omisso  medio  -  per  tutte  le
autorita' interne degli Stati (C. cost sent. n. 348/06 cit.). 
    L'art. 117 primo comma Cost. condiziona pero'  l'esercizio  della
potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni  al  rispetto  degli
obblighi internazionali, trai quali  indubbiamente  rientrano  quelli
derivanti dalla CEDU. 
    Vanno  qui  brevemente  richiamati  i   principi   interpretativi
enunciati nella sentenza n. 348/06 cit. 
    1) E' escluso che  l'articolo  sia  operante  solo  nei  rapporti
interni fra Stato e Regioni, in quanto il dovere di'  rispettare  gli
obblighi  internazionali  incide  globalmente  e   univocamente   sul
contenuto della legge statale, la cui validita'  non  puo'  mutare  a
seconda che la si consideri ai fini della delimitazione  delle  sfere
di competenza legislativa di stato e  regioni  o  che  invece  la  si
prenda in esame nella sua potenzialita' normativa generale: la  legge
e' sempre la stessa e deve ricevere un'interpretazione uniforme,  nei
limiti  in  cui   gli   strumenti   istituzionali   predisposti   per
l'applicazione del diritto consentono di raggiungere tale obiettivo. 
    2) Anche se si restringesse la portata  normativa  dell'art.  117
primo comma Cost. esclusivamente all'interno del sistema dei rapporti
fra potesta' legislativa statale e regionale configurato dal titolo V
della parte seconda della Costituzione, non si  potrebbe  negare  che
esso vale comunque a vincolare la potesta'  legislativa  dello  Stato
sia nelle materie indicate dal comma  2  del  medesimo  articolo,  di
esclusiva competenza statale, sia in quelle indicate dal comma 3,  di
competenza concorrente. 
    3) La struttura della norma costituzionale in esame e'  simile  a
quella di altre norme della Carta  fondamentale,  che  sviluppano  la
loro concreta operativita' solo se poste in stretto collegamento  con
altre norme, di rango subcostituzionale, destinate a  dare  contenuti
ad un parametro che si  limita  ad  enunciare  in  via  generale  una
qualita' che le leggi in esso richiamate devono  possedere:  si  deve
cioe' riconoscere che il parametro di cui all'art.  117  primo  comma
Cost. diventa concretamente operativo solo se vengono determinati gli
«obblighi internazionali» che vincolano la potesta' legislativa dello
Stato e delle regioni. 
    4) Fra tali obblighi rientra quello assunto dall'Italia,  con  la
sottoscrizione e la ratifica  della  CEDU,  di  adeguare  la  propria
legislazione alle norme di tale trattato. 
    5)  Poiche'  la  CEDU  presenta,  rispetto  agli  altri  trattati
internazionali, la caratteristica  peculiare  di  aver  istituito  un
organo giurisdizionale, la Corte europea dei diritti  dell'uomo,  cui
e' affidata la funzione di interpretare le  norme  della  convenzione
stessa, la legislazione italiana va adeguata alle predette norme  nel
significato loro attribuito dalla Corte. 
    6) Le norme CEDU, nell'interpretazione che viene loro data  dalla
Corte  di  Strasburgo,  per   poter   integrare   il   parametro   di
costituzionalita' di cui  all'art.  117  primo  comma  Cost.,  devono
superare  il  vaglio  della  loro  compatibilita'  con  l'ordinamento
costituzionale italiano, che non  puo'  essere  modificato  da  fonti
esterne se non nei limiti indicati dall'art. 111 Cost. 
    L'art. 1 del Primo protocollo addizionale della  CEDU  stabilisce
che «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei  suoi
beni. Nessuno puo' essere privato della sua  proprieta'  se  non  per
causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge  e
da principi generali del diritto internazionale». 
    La Corte europea dei diritti dell'uomo ha interpretato tale norma
in  numerose  sentenze,  dando  vita   ad   un   orientamento   ormai
consolidato, formatosi anche in processi  concernenti  la  disciplina
ordinaria dell'indennita' di espropriazione,  secondo  il  quale  una
misura che costituisce un'ingerenza nel diritto al rispetto dei  beni
di una  persona  fisica  o  giuridica,  deve  realizzare  «un  giusto
equilibrio» tra le esigenze di interesse generale della comunita'  ed
il  principio  delta  salvaguardia  dei  diritti  e  delle   liberta'
fondamentali. 
    La necessita'  di  assicurare  siffatto  equilibrio,  secondo  la
Corte, concerne tutto il contenuto dell'art. 1 del primo  Protocollo:
anche la disposizione che prevede che  nessuno  puo'  essere  privato
della sua proprieta' se non per causa di pubblica  utilita'  e  nelle
condizioni previste dalla legge e dai principi generali  del  diritto
internazionale va pertanto letta alla luce del  primo  principio  (C.
eur., sez. I, 9 marzo 2006, n. 10162). 
    Al  fine  di  stabilire  se  le  misure  adottate  da  uno  stato
nell'interesse generate  garantiscono  un  giusto  equilibrio  e  non
riversano sul proprietario un peso sproporzionato,  occorre  prendere
in considerazione le modalita' di  indennizzo  previste  dalla  leggi
interne. 
    A questo proposito la Corte di Strasburgo ha osservato che, senza
il versamento di una somma ragionevole  in  rapporto  al  valore  del
bene, la privazione  della  proprieta'  che  si  realizza  attraverso
l'esproprio costituisce normalmente un'ingerenza  eccessiva  e  viola
l'art. 1 del Primo  protocollo  e  che,  in  caso  di  espropriazione
isolata di un terreno, soltanto un indennizzo integrale  puo'  essere
considerato  ragionevole,  mentre  la  mancanza  di   un   indennizzo
integrale,  ai  sensi  dell'art.  1  del  Protocollo   n.   1,   puo'
giustificarsi soltanto in presenza di obiettivi legittimi di pubblica
utilita' che perseguono misure di riforma economica  o  di  giustizia
sociale (C. eur. sez. I, 29 luglio 2004 nonche' n. 10162 cit.). 
    Ad avviso di questo giudice, l'art. 5-bis comma 4 della legge  n.
359/92 e l'art. 16, commi 4 e 5 della legge n. 865/71, prevedendo  un
criterio di determinazione dell'indennita'  di  esproprio  dei  suoli
agricoli e di quelli non edificabili astratto e predeterminato (quale
e' quello del valore agricolo medio della coltura in atto o di quella
piu' redditizia nella regione agraria di  appartenenza  dell'area  da
espropriare),  che  e'  del  tutto  svincolato  dalla  considerazione
dell'effettivo valore di mercato dei suoli medesimi e che, per quanto
sopra si e' detto, non assicura il versamento all'avente  diritto  di
un indennizzo integrale o quantomeno  «ragionevole»,  si  pongono  in
evidente contrasto con l'art.  1  del  primo  protocollo  addizionale
nell'interpretazione datane dalla Corte CEDU. 
    Va escluso, poi, che tale interpretazione confligga con la tutela
di interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri  articoli
della Costituzione, posto che anche l'art. 42 terzo  comma  Cost.  e'
stato costantemente interpretato dalla Corte costituzionale nel senso
che, pur non essendo il legislatore tenuto ad  individuare  un  unico
criterio  di   determinazione   dell'indennita',   valido   in   ogni
fattispecie espropriativa ad assicurare l'integrale riparazione della
perdita subita dal proprietario  espropriato,  l'indennita'  medesima
non  puo'  mai  essere  meramente  simbolica  o  irrisoria,  ma  deve
rappresentare un serio ristoro (cfr. C. cost. n. 5/1980). 
    Vero e' che la Corte costituzionale, con la sentenza n.  261  del
1997,  ha  dichiarato  manifestamente  infondata  la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 4  della  legge  n.
359/92 e dell'art. 16 commi 4 e 5 della legge n. 865/71, sollevata in
riferimento agli artt. 42, terzo comma, 24 e 3, primo comma Cost. 
    La questione era stata pero' affrontata dai giudici remittenti in
base ai diversi rilievi dell'ingiustificata  equiparazione,  ai  fini
della determinazione delle indennita', fra terreni  agricoli  (per  i
quali si presupponeva la correttezza del criterio tabellare  previsto
dalle norme censurate) e terreni non  edificabili,  sostenendosi,  in
pratica, la necessita' di introduzione di un tertium genus fra le due
categorie di suoli individuate dal  legislatore,  e  dell'altrettanto
ingiustificato affidamento  della  quantificazione  degli  indennizzi
all'insindacabile determinazione della P.A., cui  spetta,  attraverso
apposite commissioni, stabilire i V.A.M. dei diversi tipi di  coltura
nell'ambito di ciascuna regione agraria. 
    La Corte Costituzionale si limito' allora  ad  osservare  che  la
soluzione  adottata  dal  legislatore  per  semplificare  il  calcolo
indennitario, ancorche' non obbligata, non  presentava  caratteri  di
irragionevolezza o di arbitrarieta' tali da far riscontrare un  vizio
sotto il profilo denunciato, in quanto di per se' non pregiudicava il
serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato, tenuto conto
che anche nell'ambito delle aree la cui indennita' andava commisurata
al  V.A.M.  operavano  meccanismi  differenziati  che  a  loro  volta
tenevano conto di una serie di  fattori  e  che,  in  ogni  caso,  le
tabelle  formate  dalle  commissioni  amministrative  e  le  relative
applicazioni non restavano  sottratte  al  sindacato  giurisdizionale
sugli atti dell'amministrazione. 
    In questa sede, invece, si  vuol  sottolineare  come,  alla  luce
dell'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo  all'art.  1  del
primo  protocollo  addizionale,  non  possa   ritenersi   ragionevole
qualsivoglia criterio di determinazione dell'indennita' che prescinda
dal dato di partenza del valore di mercato del bene espropriato,  non
dovendosi  piu'  valutare  se  la  norma  interna  di  per  se'  «non
pregiudichi» il serio ed effettivo ristoro della perdita del bene ma,
piuttosto, se essa sia in grado di assicurare tale  ristoro  in  ogni
fattispecie in cui debba trovare  applicazione  e  non  solo  in  via
occasionale, in virtu' di fattori casuali e contingenti, legati  alla
specifica situazione del terreno ablato. 
    In tale ottica, e' la stessa dicotomia immaginata dal legislatore
al fine di semplificare il calcolo dell'indennizzo - e  non  gia'  la
mancata previsione di una terza tipologia  di  aree,  intermedia  fra
quelle  agricole  e  quelle  edificabili  -  che  appare   priva   di
giustificazione. La considerazione, del resto, risulta in  linea  con
cio' che e' stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza
n. 5180 cit. e ribadito nella  sent.  n.  348/07  cit.,  ovvero  che,
perche' possa realizzarsi un serio ristoro, «occorre far riferimento,
per  la  determinazione  dell'indennizzo,  al  valore  del  bene   in
relazione alle sue caratteristiche  essenziali,  fatte  palesi  dalla
potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge» e che  «il
principio del serio ristoro e' violato quando per  la  determinazione
non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare, ma  si
adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso». 
    I   suddetti   principi,   ancorche'   enunciati   dalla    Corte
costituzionale solo  con  riguardo  ai  terreni  edificabili,  devono
ritenersi validi ed operanti anche in relazione ai  terreni  agricoli
ed, a maggior ragione, a  quelli  privi  di  possibilita'  legali  ed
effettive di edificazione ad essi equiparati dalla legge  n.  352/92,
posto che nell'attuale contesto storico, economico e finanziario  (in
cui si e' assistito alla progressiva scomparsa del latifondo  privato
e  dei   contratti   agrari,   alla   parcellizzazione   dei   suoli,
all'allargamento delle aree urbane in  danno  delle  campagne,  anche
attraverso   fenomeni   di   abusivismo   sempre   tollerati    dalle
amministrazioni locali e spesso condonati in via legislativa, e,  per
converso, alla valorizzazione delle zone scarsamente  edificate,  con
l'istituzione di parchi nazionali e regionali volti alla salvaguardia
del territorio, all'interno dei quali e'  peraltro  molto  sviluppata
l'attivita' turistica ed ampiamente autorizzata  la  ristrutturazione
di comodi rurali e l'apertura di aziende agrituristiche)  l'interesse
del privato all'acquisto di tali categorie di terreni e'  determinato
dalle possibilita' di sfruttarli economicamente per fini  diversi  da
quello mero di impiantarvi una  coltivazione,  sicche'  non  e'  piu'
predicabile una corrispondenza fra il loro valore agricolo  medio  ed
il loro valore di mercato. 
    Per le medesime ragioni, non appare manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale delle  norme  censurate  per
violazione dell'art. 42 terzo comma Cost. 
    Non appare, infine,  manifestamente  infondata  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 4  della  legge  n.
359/92 e dell'art. 16, quinto e sesto comma della legge n. 865/71 per
violazione dell'art. 3 Cost. 
    Con  la  piu'  volte  citata  sentenza  n.   348/07,   la   Corte
costituzionale   ha   dichiarato   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art. 5-bis, comma 1 e  2  del  d.l.  11  luglio  1992,  n.  333,
convertito con modificazioni dalla  legge  8  agosto  1992,  n.  359,
nonche', in via consequenziale, dell'art. 37, commi 1 e 2 del  d.P.R.
8 giugno 2001, n. 327. 
    A seguito di tale  pronuncia  risultano  definitivamente  espunte
dall'ordinamento le disposizioni che prevedevano che l'indennita'  di
esproprio dei terreni edificabili andasse determinata in misura  pari
alla media fra  il  loro  valore  venale  ed  il  reddito  dominicale
rivalutato degli ultimi dieci anni. 
    Per le espropriazioni ancora in corso (e per  quelle  future)  e'
poi intervenuto l'art. 2 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, il  cui
comma 89, lettera a) ha sostituito l'art. 37, comma 1 della legge  n.
327/2001, stabilendo che l'indennita' di  espropriazione  di  un'area
edificabile e' determinata in misura pari al valore venale del bene e
che quando l'espropriazione e' finalizzata ad attuare  interventi  di
riforma economico-sociale l'indennita' e' ridotta del 25%. 
    Per i giudizi ancora in corso  in  cui  e'  in  contestazione  la
misura dell'indennita' di  esproprio  trova  invece  applicazione  il
criterio del valore venale del bene previsto dall'art. 39 della legge
n. 2359 del 1865 (cfr. Cass. n. 8731/09). 
    In sostanza, fatta salva l'ipotesi di espropriazione  finalizzata
all'attuazione di interventi  di  riforma  economico-sociale  (per  i
quali e' comunque prevista una  riduzione  dell'indennita'  del  solo
25%) l'indennita' di  esproprio  per  i  suoli  edificabili  e'  oggi
corrispondente al valore di mercato del bene. 
    L'adozione del diverso criterio  - astratto  e  predeterminato  -
dettato, per i suoli agricoli e per i suoli  non  edificabili,  dalle
norme della cui legittimita' costituzionale  si  dubita  crea  allora
un'ingiustificata disparita'  di  trattamento  fra  proprietari,  non
scorgendosi alcuna plausibile ragione in base alla quale il diritto a
percepire un indennizzo commisurato al valore venale dell'area ablata
non debba essere  riconosciuto  anche  a  coloro  che  possiedono  un
terreno che non ha vocazione edilizia. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara  rilevante  per  il  giudizio   e   non   manifestamente
infondata, in relazione agli artt. 117, primo comma 1, 42 terzo comma
e 3 della Costituzione, la questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito
con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 e  dell'art.  16,
quarto e quinto comma della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come
sostituiti dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10; 
    Manda alla cancelleria di notificare  la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al presidente del Senato della  Repubblica  ed  al  presidente  della
Camera dei deputati ed alle parti del presente giudizio; 
    Dispone l'immediata trasmissione degli  atti,  comprensivi  della
documentazione  attestante  il   perfezionamento   delle   prescritte
comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale; 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi a cura della cancelleria. 
        Napoli, addi' 22 gennaio 2010 
 
                      Il Presidente: Annunziata 
 
 
                                           Il consigliere est.: Magda