N. 351 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 marzo 2010
Ordinanza del 19 marzo 2010 emessa dalla Corte d'appello di Napoli nel procedimento civile promosso da Fiore Naina Wanda contro Comune di Montoro Superiore . Espropriazione per pubblica utilita' - Aree esterne ed interne ai centri edificati, di cui all'art. 18 - Indennita' di espropriazione - Determinazione con riferimento rispettivamente al valore agricolo medio e al valore agricolo medio della coltura piu' redditizia tra quelle che, nella regione agraria in cui ricade l'area da espropriare, coprono una superficie superiore al 5 per cento di quella coltivata della regione agraria stessa - Conseguente determinazione dell'indennita' stessa in misura irrisoria o comunque molto inferiore al valore di mercato del bene - Irrazionalita' - Violazione del principio del giusto indennizzo - Lesione dei vincoli derivanti dalla CEDU nell'interpretazione datane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. - Decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis, comma 4, convertito, con modificazioni, nella legge 8 agosto 1992, n. 359; legge 22 ottobre 1971, n. 865, art. 16, commi quinto e sesto, come sostituiti dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10. - Costituzione, artt. 3, 42, comma terzo, e 117, primo comma, in relazione all'art. 1 del Primo Protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e liberta' fondamentali.(GU n.47 del 24-11-2010 )
LA CORTE D'APPELLO Nella causa civile iscritta al numero di ruolo generale 1584/99, promossa da Fiore Naina Wanda, elettivamente domiciliata in Napoli, alla via Carlo De Cesare n. 64, presso lo studio dell'avv. Vittorio Villa, rappresentata e difesa dall'avv. Carlo La Sala, come da mandato a margine dell'atto di riassunzione, appellante; Contro comune di Montoro Superiore, in persona del Sindaco pro tempore elettivamente domiciliato in Napoli, alla via S. Lucia n. 29, presso lo studio dell'avv. Ilaria Rocco, rappresentato e difeso dall'avv. Matteo Anzuoni, come da procura a margine della comparsa di costituzione e risposta, appellato. Ha emesso la seguente ordinanza. La Corte, letti gli atti, osserva. In fatto Naina Wanda Fiore era proprietaria di un terreno sito nel territorio del Comune di Montoro Superiore, censito al catasto al f. 13, p.lla 34, esteso mq. 1321. Il Commissario Straordinario di Governo per le zone della Campania e della Basilicata colpite dal sisma del 1980, con decreto dell'11 aprile 1981, emesso ai sensi dell'art. 3 della legge n. 874/80, dispose l'occupazione per due anni di una porzione di mq. 1190 di tale terreno in favore del Comune, per consentirvi l'insediamento provvisorio di prefabbricati mobili per i terremotati. L'ente territoriale procedette alla presa di possesso del suolo il 25 aprile 1981. Con citazione notificata il 27 gennaio 1990, la Fiore convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Avellino il comune di Montoro Superiore. L'attrice espose che, a seguito dell'entrata in vigore della legge n. 80/84, il Commissario prefettizio del comune aveva deliberato di procedere all'esproprio del suolo occupato e che tuttavia la procedura, arrivata alla fase della determinazione ed offerta delle indennita' provvisorie, si era arrestata; che inoltre nel 1986 il Comune si era appropriato di fatto di altra porzione del medesimo terreno, che era stata utilizzata per la costruzione di una strada. Su tali premesse, chiese che il Tribunale adito, accertata l'esatta estensione di ciascuna delle due superfici occupate, condannasse l'ente territoriale convenuto: 1) al pagamento dell'indennita' di occupazione; 2) al risarcimento dei danni subiti per l'irreversibile trasformazione della porzione legittimamente occupata ma non espropriata; 3) al risarcimento dei danni per la perdita della porzione illegittimamente occupata. In subordine, per l'ipotesi di rigetto della domanda svolta sub. 2), chiese la condanna del Comune al pagamento dell'indennita' di esproprio. Il Comune di' Montoro Superiore, costituitosi in giudizio, chiese il rigetto delle domande risarcitorie. Dedusse a sua difesa che l'area legittimamente occupata era stata espropriata dal Commissario Prefettizio il 20 marzo 1985 e nego' di aver proceduto all'occupazione sine titulo di un'ulteriore porzione del terreno; eccepi' inoltre la prescrizione del diritto della Fiore al risarcimento dei danni. In corso di causa fu disposta ed espletata una ctu, volta, fra l'altro, ad accertare il valore di mercato del fondo alla data di scadenza del periodo di legittima occupazione. Il tecnico incaricato dell'indagine, rilevato che il suolo, pur se classificato come agricolo nel piano di fabbricazione adottato dal Comune di Montoro Superiore, era ubicato a ridosso del centro cittadino, in una zona che possedeva tutte le caratteristiche intrinseche ed estrinseche dei suoli edificatori, e che era sicuramente appetibile anche in vista di un suo possibile sfruttamento per fini diversi dall'edificazione, lo valuto' in L. 55.851 al mq. alla data del dicembre 1982. Con sentenza del 6 maggio 1998, il Tribunale di Avellino: 1) dichiaro' che il Comune convenuto non era il soggetto titolare dal lato passivo dell'obbligazione di pagamento dell'indennita' di occupazione legittima; 2) affermo' che il decreto di esproprio del Commissario prefettizio, emesso in relazione alla porzione di terreno legittimamente occupata, era intervenuto dopo la scadenza del termine biennale previsto nel decreto di occupazione, sicche' non essendo invocabili le proroghe di legge, il suolo era stato acquisito al patrimonio comunale, in via di accessione invertita, a far data dal 24 aprile 1983; 3) in parziale accoglimento dell'eccezione svolta dal convenuto, rigetto' tuttavia la domanda di risarcimento del danno derivante dalla perdita per c.d. accessione invertita della ridetta porzione, in quanto prescritta; 4) ritenne provata l'avvenuta occupazione usurpativa da parte del Comune di una porzione del suolo, estesa mq. 175, della quale era stata disposta, ma non effettuata, la restituzione alla Fiore e che era stata utilizzata per la costruzione di una strada; 5) accolse per tale parte la domanda risarcitoria e, rivalutato al gennaio del 1986 (data dell'illecito), il valore del terreno stimato dal ctu (in tal modo determinandolo in L. 65.000 a mq.), condanno' il Comune a pagare alla Fiore per tale titolo la somma di L. 38.719.750, comprensiva degli interessi legali e della rivalutazione monetaria sino alla pronuncia, oltre agli interessi legali sull'intera somma dal 6 maggio 1998 sino all'effettivo pagamento. La sentenza, non notificata, fu tempestivamente impugnata da Naina Wanda Fiore, che con l'atto d'appello domando' l'accoglimento di tutte le domande formulate in via principale contro il Comune od almeno di quella svolta in via subordinata. Il Comune di Montoro Superiore, costituitosi in giudizio, chiese il rigetto del gravame ed, in via di appello incidentale, domando' che venisse dichiarata prescritta anche la domanda risarcitoria accolta dal primo giudice o, in subordine, che il danno subito dall'appellante venisse liquidato ai sensi dell'art. 5-bis, comma 7-bis, del d.l. n. 333/92 convertito nella legge n. 352/92. Con sentenza non definitiva del 1° marzo 2002 questa Corte, in composizione collegiale diversa da quella odierna: 1) respinse integralmente l'appello incidentale del Comune di Montoro Superiore; 2) in parziale accoglimento dell'appello principale ed in riforma della sentenza di I grado: 2.a) condanno' il Comune al pagamento della somma di L. 15.975.000 - comprensiva della rivalutazione monetaria e degli interessi legali sino alla data della decisione - a titolo di risarcimento del danno subito dalla Fiore per la perdita di ulteriori mq. 131 di terreno, anch'essi occupati sine titulo dall'ente territoriale ed utilizzati per la realizzazione della strada, ponendo a base della liquidazione il medesimo valore del suolo - di L. 65.000 a mq. al gennaio del 1986 - assunto dal primo giudice; 2.b) osservo' che, per effetto dell'art. 6 della legge n. 80 del 1984, le originarie occupazioni provvisorie per requisizione gia' scadute erano state prorogate e trasformate in occupazioni finalizzate all'esproprio in favore degli enti territoriali; 2.c) affermo' che, ai sensi dell'articolo citato, il decreto di esproprio della porzione di suolo legittimamente occupata era intervenuto tempestivamente e che il Comune di Montoro Superiore era tenuto al pagamento sia dell'indennita' di espropriazione sia dell'indennita' di occupazione legittima - quest'ultima per il solo periodo intercorso dalla data di entrata in vigore della legge (19 aprile 1984) alla data di emissione del decreto (20 marzo 1985) - e che entro tali termini andava accolta la domanda di condanna svolta in via subordinata della Fiore. Con contestuale ordinanza, il collegio decidente rimise la causa sul ruolo per l'espletamento di una seconda ctu, volta a verificare se, alla data del decreto di esproprio, il fondo della Fiore avesse natura agricola o edificatoria ed a determinare l'ammontare dell'indennita' di esproprio (nonche' dell'indennita' di occupazione legittima), merce' applicazione, nel primo caso, dell'art. 5-bis della legge n. 359/92 e, nel secondo caso, della legge n. 865/71. Il ctu accerto' che il suolo espropriato era classificato al catasto terreni del Comune di Montoro Superiore come «seminativo arborato» e che, secondo il Programma di fabbricazione in vigore nel Comune dal 30 ottobre 1972 al 12 maggio 1997 (data di' approvazione del PRG tuttora vigente) era, per la sua maggiore estensione, destinato ad uso pubblico per servizi vari, per una parte di minore estensione (pari a circa 200 mq.) inserito in zona B di completamento e per una terza parte interessato alla realizzazione di una strada; che, tuttavia, in base alle prescrizioni del Programma di fabbricazione, nella zona B dell'area espropriata era comunque precluso ogni tipo di edificazione e non era consentita neppure la costruzione in aderenza con l'edificio di proprieta' della Fiore con essa confinante, soggetto, nel Piano di Recupero del Comune, unicamente ad interventi di restauro e di risanamento conservativo. Una volta accertata l'inedificabilita' dell'area, il consulente applico' i criteri di liquidazione delle indennita' stabiliti dagli artt. 16 e 20 della legge n. 865/71, cui rinvia l'art. 5-bis, comma 4 della legge n. 359/92, e, rilevato che il comune di Montoro Superiore ricadeva nella Regione Agraria n. 8 della provincia di Avellino e che nel 1985, in tale Regione il valore agricolo medio di un terreno seminativo arborato era di L. 1.200 a mq., determino' I' indennita' di esproprio spettante alla Fiore in complessivi € 588,76 (L. 1.140.000) e quella di occupazione in complessivi € 49,06. Il processo, dopo l'espletamento della ctu, fu sospeso, su concorde richiesta delle parti, in attesa della pronuncia della S.C. sull' impugnazione principale proposta dal Comune di Montoro Superiore e su quella incidentale proposta dalla Fiore avverso la sentenza non definitiva. Respinte dalla Cassazione entrambe le impugnazioni, e passata percio' in giudicato la sentenza del 1° marzo 2002, la causa e' stata ritualmente riassunta da Naina Wanda Fiore e, dopo due rinvii dovuti ad una (non accolta) richiesta di riunione ad altro giudizio pendente fra le stesse parti, e' stata trattenuta in decisione all'udienza collegiale del 15 gennaio 2010. In diritto Questa Corte, chiamata a decidere unicamente della misura delle indennita' di esproprio e di occupazione spettanti alla Fiore, dubita della legittimita' costituzionale del comma 4 dell'art. 5-bis del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 - applicabile ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge che lo ha introdotto - secondo il quale per le aree agricole e per quelle che... non sono classificabili come edificabili, si applicano le norme di cui al titolo II della legge 22 ottobre 1971, n. 865 e successive modificazioni e integrazioni, nonche' della legittimita' costituzionale dei commi quinto e sesto dell'art. 16 di tale ultima legge, cosi' come sostituiti dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (che, secondo il diritto vivente, sono tuttora in vigore esclusivamente con riguardo alle aree non aventi destinazione edilizia) che a loro volta prevedono che l'indennita' di espropriazione ... per le aree esterne ai centri edificati, e' commisurata al valore agricolo medio... corrispondente al tipo di coltura in atto nell'area da espropriare e che nelle aree comprese nei centri edificati, l'indennita' e' commisurata al valore agricolo medio della coltura piu' redditizia tra quelle che, nella regione agraria da espropriare, coprono una superficie superiore al 5% di quella coltivata nella regione stessa. Le predette disposizioni normative, che all'evidenza non appaiono suscettibili di un'interpretazione diversa da quella letterale, stabiliscono un criterio di determinazione delle indennita' dei suoli agricoli e dei suoli non edificabili del tutto disancorato dal loro effettivo valore di mercato. Invero, ancorche' non possa escludersi che valore di mercato e valore agricolo medio (V.A.M.) di tali categorie di immobili siano talvolta, in concreto, coincidenti, non v'e' dubbio che assai spesso il primo valore risulti (anche notevolmente) superiore al secondo, in quanto l'appetibilita' di un terreno sul mercato non dipende solo dalla sua edificabilita', ma da molteplici altri fattori, primi fra tutti la sua posizione e le concrete possibilita' di suo sfruttamento per fini diversi dalla coltivazione. Cosi', per fare solo degli esempi, un suolo agricolo puo' costituire area di pertinenza, adibita a giardino o ad orto, di una villa situata in zona turistica o costituire area sulla quale insiste un c.d. «comodo rurale» del quale e' consentita la ristrutturazione od essere acquistato per poter aumentare la volumetria dell'immobile da realizzare sull'annessa area edificabile; analogamente, un suolo non edificabile sito all'interno di un centro abitato puo' essere adibito a giardino pertinenziale, a parcheggio scoperto, o sfruttato per il completamento di un'area edificabile: in tutti questi casi (e nei molteplici altri che si potrebbero immaginare), in una libera contrattazione fra parti private il suolo verrebbe venduto ad un prezzo non solo assai maggiore del suo ipotetico «valore agricolo medio», ma che (come forse ancor piu' conta) verrebbe stabilito prescindendo del tutto da tale valore. La questione e' rilevante nel presente giudizio. Con sentenza passata in giudicato, il valore di mercato del terreno di' proprieta' della Fiore e' stato determinato in L. 65.000 a mq. al gennaio del 1986 (previa rivalutazione a tale data del valore di L. 55.851 a mq. riferito al dicembre del 1982). Per contro, secondo quanto accertato dal ctu nominato in grado di appello, il valore agricolo medio della coltura in atto sul terreno era, nel 1985, di appena L. 1.200 al mq. Va qui, per completezza, rilevato che il ctu potrebbe aver errato nell'identificazione del dato di riferimento, in quanto, essendo il suolo della Fiore compreso in un centro edificato, l'indennita' avrebbe dovuto essere commisurata al valore agricolo medio della coltura piu' redditizia tra quelle che, nella regione agraria da espropriare, coprivano una superficie superiore al 5% di quella coltivata nella regione stessa. Tuttavia, come emerge dal B.U.R. della Regione Campania 18 marzo 1985 allegato alla consulenza, anche nell'ipotesi piu' favorevole all'appellante - ovvero supponendo che nel 1985, nella regione agraria n. 8 della provincia di' Avellino, la coltura piu' redditizia (che e' quella ad «orto irriguo») coprisse piu' del 5% dei terreni coltivati - il valore agricolo medio del quale tener conto risulterebbe di appena L. 6.200 a mq. Il suolo di proprieta' di Naina Wanda Fiore, alla data dell'esproprio, era sicuramente inedificabile. Secondo l'accertamento, non piu' soggetto a gravame, contenuto nella sentenza non definitiva passata in giudicato fra le parti, il provvedimento ablativo va nella specie identificato nel decreto emesso dal Commissario Prefettizio il 20 marzo 1985, ai sensi dell'art. 6, quarto e quinto comma della legge n. 80 del 1984, per consentire la definitiva acquisizione in favore dei comuni delle aree gia' individuate e destinate ad ospitare gli insediamenti provvisori. Non puo' pertanto condividersi l'assunto dell'appellante che, pur non contestando la correttezza dell'accertamento compiuto dal ctu in ordine all'inedificabilita' del terreno alla data di emissione del decreto, sostiene che, ai fini del calcolo dell'indennita', si dovrebbe tener conto della situazione di fatto anteriore all'approvazione del piano di fabbricazione (30 ottobre 1972), con il quale sarebbero stati apposti i vincoli preordinati all'esproprio. Costituisce infatti principio consolidato in giurisprudenza che le destinazioni d'uso di porzioni del territorio comunale identificate in base a criteri generali e predeterminati, quali quelli previsti dal Piano regolatore generale o dal Programma di fabbricazione, non caratterizzano un vincolo a contenuto espropriativo, in quanto rispondono all'esigenza di conformare il diritto di proprieta' attraverso la definizione dell'utilizzazione del suolo consentita al proprietario, sicche' incidono sulla determinazione del valore dell'area agli effetti dell'indennita' (fra molte: Cass. nn. 12293/08, 8218/07, 3146/06). Va, altresi', escluso che sia passato in giudicato un preteso accertamento in ordine all'edificabilita' di fatto del suolo, che non costituiva (ne' avrebbe potuto costituire) questione oggetto di pronuncia e che non puo' essere confuso col diverso accertamento (esso si' coperto da giudicato) inerente all'effettivo valore di mercato del terreno di proprieta' della Fiore. Va sul punto richiamata la costante e consolidata giurisprudenza della S.C., che costituisce vero e proprio diritto vivente, alla cui stregua il sistema introdotto dall'art. 5-bis legge n. 359 del 1992 si caratterizza per una rigida dicotomia, con esclusione di un tertiurn genus tra «aree edificabili» ed «aree agricole» o «non classificabili come edificabili» (cfr., fra molte, Cass. nn. 17672/09, 16531/09, 4513/04 nonche' Cass. n.13199/06, che precisa, altresi', come, riguardo al criterio del valore agricolo medio applicabile alle aree non edificabili, non hanno rilievo i correttivi concepiti, nell'originario meccanismo dell'art. 16 della legge n. 865 del 1971, per i suoli compresi all'interno dei centri edificati, essendo incompatibili con il nuovo sistema figure intermedie miranti ad assicurare una valutazione migliore dei terreni inedificabili, o qualsiasi altro tipo di correttivo). Al criterio dell'edificabilita' di fatto puo' dunque farsi riferimento in via complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell'area espropriata, solo nelle ipotesi (entrambe estranee alla fattispecie in esame) in cui sussistano cause che riducano od escludano le possibilita' reali di edificazione - incidendo cosi' sulla liquidazione dell'indennita' di esproprio ma non gia' sulla natura dell'area, che rimane edificabile se tale e' considerata dallo strumento urbanistico - o in cui difetti una classificazione del suolo da parte delle pianificazione urbanistica (in termini: Cass. n. 4513/2004). Deve pertanto concludersi che, essendo il giudizio in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 359/92, l'indennita' di esproprio andrebbe liquidata alla stregua dei criteri dettati dalle norme della cui legittimita' costituzionale si dubita, con la conseguenza che la somma spettante alla Fiore per tale titolo risulterebbe irrisoria. Non appare, allora, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme in esame per violazione dell'art. 117 primo comma Cost., nel testo introdotto dalla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3, per il loro contrasto con le norme internazionali convenzionali ed, in particolare, con l'art. 1 del Primo protocollo addizionale della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificato, unitamente alla Convenzione, dalla legge n. 848/55. Va premesso che, come ampiamente chiarito dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 348 e 349 del 2006, il giudice comune non puo' procedere alla diretta disapplicazione della norma interna in contrasto con la norma CEDU. Le norme CEDU, in quanto di origine pattizia, sono infatti escluse dall'ambito di operativita' dell'art. 10 primo comma Cost., - che con l'espressione «norme del diritto internazionale generalmente riconosciute» si riferisce soltanto alle norme consuetudinarie, disponendo l'adattamento automatico alle stesse dell'ordinamento giuridico italiano - sicche' non possono di per se' stesse essere assunte quali parametri del giudizio di legittimita' costituzionale (C. cost. sent n. 188/80) ovvero come norme interposte ex art. 10 Cost.(C. cost. ordinanza n. 143 del 1993), e non rientrano neppure fra le norme che, come quelle comunitarie, hanno piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione nello Stato, senza necessita' di leggi di ricezione e adattamento, in considerazione delle limitazioni alla sovranita' nazionale che l'art. 11 Cost. consente quando siano necessarie per promuovere e favorire le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni (C. cost. sent. n. 188/80 cit.). In sostanza, la CEDU non crea un ordinamento giuridico sovranazionale e non produce quindi norme direttamente applicabili negli Stati contraenti, ma e' configurabile come un trattato internazionale multilaterale da cui derivano obblighi per gli Stati contraenti, ma non l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano in un sistema piu' vasto, dai cui organi deliberativi possano promanare norme vincolanti - omisso medio - per tutte le autorita' interne degli Stati (C. cost sent. n. 348/06 cit.). L'art. 117 primo comma Cost. condiziona pero' l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e delle Regioni al rispetto degli obblighi internazionali, trai quali indubbiamente rientrano quelli derivanti dalla CEDU. Vanno qui brevemente richiamati i principi interpretativi enunciati nella sentenza n. 348/06 cit. 1) E' escluso che l'articolo sia operante solo nei rapporti interni fra Stato e Regioni, in quanto il dovere di' rispettare gli obblighi internazionali incide globalmente e univocamente sul contenuto della legge statale, la cui validita' non puo' mutare a seconda che la si consideri ai fini della delimitazione delle sfere di competenza legislativa di stato e regioni o che invece la si prenda in esame nella sua potenzialita' normativa generale: la legge e' sempre la stessa e deve ricevere un'interpretazione uniforme, nei limiti in cui gli strumenti istituzionali predisposti per l'applicazione del diritto consentono di raggiungere tale obiettivo. 2) Anche se si restringesse la portata normativa dell'art. 117 primo comma Cost. esclusivamente all'interno del sistema dei rapporti fra potesta' legislativa statale e regionale configurato dal titolo V della parte seconda della Costituzione, non si potrebbe negare che esso vale comunque a vincolare la potesta' legislativa dello Stato sia nelle materie indicate dal comma 2 del medesimo articolo, di esclusiva competenza statale, sia in quelle indicate dal comma 3, di competenza concorrente. 3) La struttura della norma costituzionale in esame e' simile a quella di altre norme della Carta fondamentale, che sviluppano la loro concreta operativita' solo se poste in stretto collegamento con altre norme, di rango subcostituzionale, destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualita' che le leggi in esso richiamate devono possedere: si deve cioe' riconoscere che il parametro di cui all'art. 117 primo comma Cost. diventa concretamente operativo solo se vengono determinati gli «obblighi internazionali» che vincolano la potesta' legislativa dello Stato e delle regioni. 4) Fra tali obblighi rientra quello assunto dall'Italia, con la sottoscrizione e la ratifica della CEDU, di adeguare la propria legislazione alle norme di tale trattato. 5) Poiche' la CEDU presenta, rispetto agli altri trattati internazionali, la caratteristica peculiare di aver istituito un organo giurisdizionale, la Corte europea dei diritti dell'uomo, cui e' affidata la funzione di interpretare le norme della convenzione stessa, la legislazione italiana va adeguata alle predette norme nel significato loro attribuito dalla Corte. 6) Le norme CEDU, nell'interpretazione che viene loro data dalla Corte di Strasburgo, per poter integrare il parametro di costituzionalita' di cui all'art. 117 primo comma Cost., devono superare il vaglio della loro compatibilita' con l'ordinamento costituzionale italiano, che non puo' essere modificato da fonti esterne se non nei limiti indicati dall'art. 111 Cost. L'art. 1 del Primo protocollo addizionale della CEDU stabilisce che «Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di utilita' pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e da principi generali del diritto internazionale». La Corte europea dei diritti dell'uomo ha interpretato tale norma in numerose sentenze, dando vita ad un orientamento ormai consolidato, formatosi anche in processi concernenti la disciplina ordinaria dell'indennita' di espropriazione, secondo il quale una misura che costituisce un'ingerenza nel diritto al rispetto dei beni di una persona fisica o giuridica, deve realizzare «un giusto equilibrio» tra le esigenze di interesse generale della comunita' ed il principio delta salvaguardia dei diritti e delle liberta' fondamentali. La necessita' di assicurare siffatto equilibrio, secondo la Corte, concerne tutto il contenuto dell'art. 1 del primo Protocollo: anche la disposizione che prevede che nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa di pubblica utilita' e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale va pertanto letta alla luce del primo principio (C. eur., sez. I, 9 marzo 2006, n. 10162). Al fine di stabilire se le misure adottate da uno stato nell'interesse generate garantiscono un giusto equilibrio e non riversano sul proprietario un peso sproporzionato, occorre prendere in considerazione le modalita' di indennizzo previste dalla leggi interne. A questo proposito la Corte di Strasburgo ha osservato che, senza il versamento di una somma ragionevole in rapporto al valore del bene, la privazione della proprieta' che si realizza attraverso l'esproprio costituisce normalmente un'ingerenza eccessiva e viola l'art. 1 del Primo protocollo e che, in caso di espropriazione isolata di un terreno, soltanto un indennizzo integrale puo' essere considerato ragionevole, mentre la mancanza di un indennizzo integrale, ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1, puo' giustificarsi soltanto in presenza di obiettivi legittimi di pubblica utilita' che perseguono misure di riforma economica o di giustizia sociale (C. eur. sez. I, 29 luglio 2004 nonche' n. 10162 cit.). Ad avviso di questo giudice, l'art. 5-bis comma 4 della legge n. 359/92 e l'art. 16, commi 4 e 5 della legge n. 865/71, prevedendo un criterio di determinazione dell'indennita' di esproprio dei suoli agricoli e di quelli non edificabili astratto e predeterminato (quale e' quello del valore agricolo medio della coltura in atto o di quella piu' redditizia nella regione agraria di appartenenza dell'area da espropriare), che e' del tutto svincolato dalla considerazione dell'effettivo valore di mercato dei suoli medesimi e che, per quanto sopra si e' detto, non assicura il versamento all'avente diritto di un indennizzo integrale o quantomeno «ragionevole», si pongono in evidente contrasto con l'art. 1 del primo protocollo addizionale nell'interpretazione datane dalla Corte CEDU. Va escluso, poi, che tale interpretazione confligga con la tutela di interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione, posto che anche l'art. 42 terzo comma Cost. e' stato costantemente interpretato dalla Corte costituzionale nel senso che, pur non essendo il legislatore tenuto ad individuare un unico criterio di determinazione dell'indennita', valido in ogni fattispecie espropriativa ad assicurare l'integrale riparazione della perdita subita dal proprietario espropriato, l'indennita' medesima non puo' mai essere meramente simbolica o irrisoria, ma deve rappresentare un serio ristoro (cfr. C. cost. n. 5/1980). Vero e' che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 261 del 1997, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 4 della legge n. 359/92 e dell'art. 16 commi 4 e 5 della legge n. 865/71, sollevata in riferimento agli artt. 42, terzo comma, 24 e 3, primo comma Cost. La questione era stata pero' affrontata dai giudici remittenti in base ai diversi rilievi dell'ingiustificata equiparazione, ai fini della determinazione delle indennita', fra terreni agricoli (per i quali si presupponeva la correttezza del criterio tabellare previsto dalle norme censurate) e terreni non edificabili, sostenendosi, in pratica, la necessita' di introduzione di un tertium genus fra le due categorie di suoli individuate dal legislatore, e dell'altrettanto ingiustificato affidamento della quantificazione degli indennizzi all'insindacabile determinazione della P.A., cui spetta, attraverso apposite commissioni, stabilire i V.A.M. dei diversi tipi di coltura nell'ambito di ciascuna regione agraria. La Corte Costituzionale si limito' allora ad osservare che la soluzione adottata dal legislatore per semplificare il calcolo indennitario, ancorche' non obbligata, non presentava caratteri di irragionevolezza o di arbitrarieta' tali da far riscontrare un vizio sotto il profilo denunciato, in quanto di per se' non pregiudicava il serio ed effettivo ristoro del proprietario espropriato, tenuto conto che anche nell'ambito delle aree la cui indennita' andava commisurata al V.A.M. operavano meccanismi differenziati che a loro volta tenevano conto di una serie di fattori e che, in ogni caso, le tabelle formate dalle commissioni amministrative e le relative applicazioni non restavano sottratte al sindacato giurisdizionale sugli atti dell'amministrazione. In questa sede, invece, si vuol sottolineare come, alla luce dell'interpretazione data dalla Corte di Strasburgo all'art. 1 del primo protocollo addizionale, non possa ritenersi ragionevole qualsivoglia criterio di determinazione dell'indennita' che prescinda dal dato di partenza del valore di mercato del bene espropriato, non dovendosi piu' valutare se la norma interna di per se' «non pregiudichi» il serio ed effettivo ristoro della perdita del bene ma, piuttosto, se essa sia in grado di assicurare tale ristoro in ogni fattispecie in cui debba trovare applicazione e non solo in via occasionale, in virtu' di fattori casuali e contingenti, legati alla specifica situazione del terreno ablato. In tale ottica, e' la stessa dicotomia immaginata dal legislatore al fine di semplificare il calcolo dell'indennizzo - e non gia' la mancata previsione di una terza tipologia di aree, intermedia fra quelle agricole e quelle edificabili - che appare priva di giustificazione. La considerazione, del resto, risulta in linea con cio' che e' stato affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 5180 cit. e ribadito nella sent. n. 348/07 cit., ovvero che, perche' possa realizzarsi un serio ristoro, «occorre far riferimento, per la determinazione dell'indennizzo, al valore del bene in relazione alle sue caratteristiche essenziali, fatte palesi dalla potenziale utilizzazione economica di esso, secondo legge» e che «il principio del serio ristoro e' violato quando per la determinazione non si considerino le caratteristiche del bene da espropriare, ma si adotti un diverso criterio che prescinda dal valore di esso». I suddetti principi, ancorche' enunciati dalla Corte costituzionale solo con riguardo ai terreni edificabili, devono ritenersi validi ed operanti anche in relazione ai terreni agricoli ed, a maggior ragione, a quelli privi di possibilita' legali ed effettive di edificazione ad essi equiparati dalla legge n. 352/92, posto che nell'attuale contesto storico, economico e finanziario (in cui si e' assistito alla progressiva scomparsa del latifondo privato e dei contratti agrari, alla parcellizzazione dei suoli, all'allargamento delle aree urbane in danno delle campagne, anche attraverso fenomeni di abusivismo sempre tollerati dalle amministrazioni locali e spesso condonati in via legislativa, e, per converso, alla valorizzazione delle zone scarsamente edificate, con l'istituzione di parchi nazionali e regionali volti alla salvaguardia del territorio, all'interno dei quali e' peraltro molto sviluppata l'attivita' turistica ed ampiamente autorizzata la ristrutturazione di comodi rurali e l'apertura di aziende agrituristiche) l'interesse del privato all'acquisto di tali categorie di terreni e' determinato dalle possibilita' di sfruttarli economicamente per fini diversi da quello mero di impiantarvi una coltivazione, sicche' non e' piu' predicabile una corrispondenza fra il loro valore agricolo medio ed il loro valore di mercato. Per le medesime ragioni, non appare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale delle norme censurate per violazione dell'art. 42 terzo comma Cost. Non appare, infine, manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis comma 4 della legge n. 359/92 e dell'art. 16, quinto e sesto comma della legge n. 865/71 per violazione dell'art. 3 Cost. Con la piu' volte citata sentenza n. 348/07, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 1 e 2 del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359, nonche', in via consequenziale, dell'art. 37, commi 1 e 2 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. A seguito di tale pronuncia risultano definitivamente espunte dall'ordinamento le disposizioni che prevedevano che l'indennita' di esproprio dei terreni edificabili andasse determinata in misura pari alla media fra il loro valore venale ed il reddito dominicale rivalutato degli ultimi dieci anni. Per le espropriazioni ancora in corso (e per quelle future) e' poi intervenuto l'art. 2 della legge 24 dicembre 2007 n. 244, il cui comma 89, lettera a) ha sostituito l'art. 37, comma 1 della legge n. 327/2001, stabilendo che l'indennita' di espropriazione di un'area edificabile e' determinata in misura pari al valore venale del bene e che quando l'espropriazione e' finalizzata ad attuare interventi di riforma economico-sociale l'indennita' e' ridotta del 25%. Per i giudizi ancora in corso in cui e' in contestazione la misura dell'indennita' di esproprio trova invece applicazione il criterio del valore venale del bene previsto dall'art. 39 della legge n. 2359 del 1865 (cfr. Cass. n. 8731/09). In sostanza, fatta salva l'ipotesi di espropriazione finalizzata all'attuazione di interventi di riforma economico-sociale (per i quali e' comunque prevista una riduzione dell'indennita' del solo 25%) l'indennita' di esproprio per i suoli edificabili e' oggi corrispondente al valore di mercato del bene. L'adozione del diverso criterio - astratto e predeterminato - dettato, per i suoli agricoli e per i suoli non edificabili, dalle norme della cui legittimita' costituzionale si dubita crea allora un'ingiustificata disparita' di trattamento fra proprietari, non scorgendosi alcuna plausibile ragione in base alla quale il diritto a percepire un indennizzo commisurato al valore venale dell'area ablata non debba essere riconosciuto anche a coloro che possiedono un terreno che non ha vocazione edilizia.
P.Q.M. Dichiara rilevante per il giudizio e non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 117, primo comma 1, 42 terzo comma e 3 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 5-bis, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni dalla legge 8 agosto 1992, n. 359 e dell'art. 16, quarto e quinto comma della legge 22 ottobre 1971, n. 865, cosi' come sostituiti dall'art. 14 della legge 28 gennaio 1977, n. 10; Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione al presidente del Senato della Repubblica ed al presidente della Camera dei deputati ed alle parti del presente giudizio; Dispone l'immediata trasmissione degli atti, comprensivi della documentazione attestante il perfezionamento delle prescritte comunicazioni e notificazioni, alla Corte costituzionale; Sospende il giudizio in corso. Si comunichi a cura della cancelleria. Napoli, addi' 22 gennaio 2010 Il Presidente: Annunziata Il consigliere est.: Magda