N. 353 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 luglio 2010

Ordinanza del 28 luglio  2010  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per la Sicilia sul ricorso proposto da De Gregorio  Ascanio
Calogero in proprio e n.q. di Presidente dell'Associazione  Siciliana
Nefrologi Ospedalieri - A.S.N.E. ed altri  contro  Assessorato  della
Sanita' della Regione Sicilia . 
 
Sanita'  pubblica  -  Possibilita'  per  le  Regioni  di  individuare
  prestazioni (nella specie: dialisi) o gruppi di prestazioni  per  i
  quali stabilire la preventiva autorizzazione, da parte dell'azienda
  sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture o i
  professionisti accreditati - Limitazione territoriale all'esercizio
  del diritto fondamentale ai  livelli  essenziali  di  assistenza  -
  Violazione  del  diritto  di  azione  e  del  principio  di  tutela
  giurisdizionale - Lesione del diritto alla salute -  Incidenza  sui
  principi  di  imparzialita'  e  buon   andamento   della   pubblica
  amministrazione. 
- Decreto legislativo 30 dicembre 1992,  n.  502,  art.  8-quinquies,
  comma 2, lett. b), ultimo periodo, introdotto dall'art.  79,  comma
  1-quinquies, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112,  convertito,
  con modificazioni, nella legge 6 agosto 2008, n. 133. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 32, 97, 113 e 117, comma secondo,  lett.
  m). 
(GU n.47 del 24-11-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  1564  del  2009,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto dai dottori Ascanio Calogero De Gregorio, in proprio e nella
qualita'  di   Presidente   dell'Associazione   Siciliana   Nefrologi
Ospedalieri A.S.N.E., Antonino Gallone, Giovanni Mezzatesta,  Fabiola
Cuzzupoli, Armida Lo Cascio,  rappresentati  e  difesi  dagli  avv.ti
Giovanni Immordino e Alessandro Scalia, con domicilio  eletto  presso
l'avv. Giovanni Immordino in Palermo, via Liberta', n. 171; 
    Contro  Assessorato  della  Sanita'  della  Regione  Sicilia,  in
persona  dell'Assessore   pro   tempore,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di  Palermo,  presso  i  cui
uffici, in Palermo, via A. De  Gasperi  n.  81,  e'  domiciliata  per
legge. 
    Per l'annullamento, previa sospensione dell'efficacia: 
        del decreto dell'Assessorato regionale della Sanita'  del  20
agosto 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Regione  Sicilia  n.
42  dell'  11  settembre  2009   riguardante   «interventi   per   la
riorganizzazione, la riqualificazione  e  il  riequilibrio  economico
dell'assistenza sanitaria ai pazienti con  uremia  terminale»  e  dei
relativi allegati; 
        ove occorra, del decreto assessoriale  del  12  giugno  2009,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia  n.  33,  del  17
luglio 2009, avente il medesimo oggetto, e del  decreto  assessoriale
n. 1436, del 20 luglio 2009, recante «identificazione delle  UU.  OO.
di nefrologia e dialisi di cui al decreto  n.  1130,  del  12  giugno
2009»... 
    Con ricorso per motivi aggiunti: 
        del decreto dell'Assessorato Regionale della Sanita'  del  17
dicembre 2009, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia n.
4, del 29 gennaio 2010, avente ad oggetto «modifica dei  decreto  del
20 agosto 2009, concernente interventi per  la  riorganizzazione,  la
riqualificazione  e  il  riequilibrio  economico   dell   'assistenza
sanitaria ai pazienti con uremia terminale»: 
        del succitato decreto del 20 agosto  2009,  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia n. 42. dell'  11  settembre  2009.
con i relativi allegati: 
          ove occorra, del decreto del 18 settembre 2009.  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale Regione Sicilia n. 47, del 9  ottobre  2009,
avente ad oggetto «identificazione delle unita' operative ospedaliere
di nefrologia e dialisi di cui a! decreto 20 agosto 2009». 
    Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Assessorato Regionale
della Sanita'; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 4 giugno 2010 il  dott.
Giovanni Tulumello e uditi per le parti i difensori come  specificato
nel verbale; 
    Il ricorso in esame ha ad oggetto il Decreto 20 agosto  2009,  n.
1676, dell'Assessore per la Sanita' della regione Sicilia. 
    Con le ordinanze cautelare nn. 965, 966 e 967, rese a seguito  di
impugnazione del predetto Decreto, questa Sezione ha ritenuto fondato
il profilo di censura dedotto in  ordine  alla  violazione  dell'art.
8-quinques del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502 (introdotto  dall'art.
8, comma 4, d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229). 
    In particolare, si e' osservato nelle  citate  ordinanza  che  ai
sensi  della  predetta  disposizione  normativa,   «l'Amministrazione
competente deve essere individuata unicamente nelle  singole  Aziende
Sanitarie Locali, cui corrispondono in Sicilia (ai sensi  della  L.R.
n. 5/09) le neoistitutite Aziende Sanitarie Provinciali». 
    Successivamente a tali provvedimenti,  con  Decreto  17  dicembre
2009 e' stato modificato l'art. 1, comma 1,  del  Decreto  20  agosto
2009, nel senso che  «l'ammissione  alla  fruizione  del  trattamento
sostitutivo della funzione renale presso centri  di  dialisi  privati
accreditati  deve  essere  preventivamente  autorizzata  dall'azienda
sanitaria  provinciale   di   appartenenza,   sulla   base   di   una
certificazione rilasciata da un medico specialista nefrologo da  essa
dipendente  o  convenzionato,  che  attesti  l'insufficienza   renale
cronica terminale e la necessita' del trattamento sostitutivo». 
    Il decreto 17 dicembre 2009 precisa poi che risultano  confermate
«tutte le altre disposizioni del decreto n.1676/09». 
    Vengono pertanto ora all'esame del collegio  le  censure  rivolte
avverso il contenuto dispositivo del Decreto  impugnato,  superata  -
con l'anzidetta modifica - quella relativa alla competenza. 
    Il  Decreto  in  esame   ha,   in   particolare,   previsto   che
«L'ammissione  alla  fruizione  del  trattamento  sostitutivo   della
funzione renale presso centri di  dialisi  privati  accreditati  deve
essere preventivamente autorizzata dall'azienda sanitaria provinciale
di appartenenza, sulla base di una certificazione  rilasciata  da  un
medico specialista nefrologo da essa dipendente o convenzionato,  che
attesti l'insufficienza renale cronica terminale e la necessita'  del
trattamento sostitutivo». 
    Nel preambolo del Decreto impugnato  viene  indicato,  come  base
normativa dello stesso, l'art. 8-quinquies, comma 2, lett. b), ultimo
periodo, del predetto decreto  legislativo  n.  502/1992,  introdotto
dall'art. 79, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25 giugno 2008, n.
112 (aggiunto dalla relativa legge  di  conversione),  ai  sensi  del
quale  «le  regioni  possono  individuare  prestazioni  o  gruppi  di
prestazioni per i quali stabilire la  preventiva  autorizzazione,  da
parte dell'azienda sanitaria locale competente, alla fruizione presso
le strutture o i professionisti accreditati». 
    La predetta norma attributiva del potere e'  stata  inserita  nel
corpo di una disposizione (il citato art. 8-quinquies,  comma  2,  d.
lgs. n. 502/1992) che disciplina: 
        a) gli obiettivi di salute e i programmi di integrazione  dei
servizi; 
        b) il volume massimo di prestazioni che le strutture presenti
nell'ambito territoriale della medesima unita' sanitaria  locale,  si
impegnano ad assicurare, distinto per tipologia e  per  modalita'  di
assistenza. 
    In entrambi i casi, si tratta di dati ed obiettivi  da  stabilire
con accordi e con contratti fra le regioni e gli operatori pubblici e
privati della sanita', e non con atti unilaterali. 
    In questo contesto, relativo alla disciplina di  un'attivita'  di
definizione concordata dei predetti obiettivi, il  comma  1-quinquies
dell'art. 79, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, ha introdotto
la previsione di un potere  autorizzatorio  che  le  regioni  possono
prevedere in relazione ad alcune tipologie di prestazioni. 
    Detto potere e' stato esercitato dalla  Regione  Sicilia  con  il
Decreto impugnato. 
    Preliminarmente, osserva il collegio che la disposizione in esame
e'  assolutamente  chiara  nell'impedire  una   interpretazione   che
consenta di ricondurre l'individuazione dei gruppi di prestazioni  da
sottoporre ad autorizzazione ad un'attivita'  consensuale  (nel  qual
caso il decreto impugnato sarebbe senz'altro illegittimo, per il  sol
fatto di aver provveduto in via unilaterale): sotto questo profilo il
soggetto ed il verbo utilizzati dal legislatore («Le regioni  possono
individuare....») si differenziano nettamente, al punto  da  proporsi
in   chiave   necessariamente   derogatoria,   rispetto   all'analoga
previsione di  portata  generale  contenuta  nella  prima  parte  del
secondo comma («La regione  e  le  unita'  sanitarie  locali  (.....)
definiscono accordi (.....) e stipulano contratti (....)». 
    Data  la  superiore  premessa  interpretativa,  ad   avviso   del
collegio,  non  appare  manifestamente   infondato   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale di tale disposizione  (art.  8-quinquies,
comma 2, lett. b), ultimo periodo, del d. lgs. 30 dicembre  1992,  n.
502) per violazione del principio di legalita'  sostanziale  (il  cui
fondamento costituzionale e' ricondotto agli artt. 24, 97 e 113 della
Costituzione). 
    Non si contesta, ovviamente, la previsione dell'attribuzione alle
regioni del potere di introdurre  una  procedura  autorizzatoria  nel
contesto della disciplina dell'accesso alla fruizione di  prestazioni
sanitarie presso strutture private accreditate (se non per  il  fatto
che detta individuazione avvenga  per  atto  unilaterale):  cio'  che
appare non conforme al  principio  di  legalita'  sostanziale  e'  la
mancata previsione dei criteri alla stregua dei  quali  detto  potere
dovrebbe essere disciplinato su base  regionale,  e  conseguentemente
esercitato dalle aziende sanitarie locali (trattandosi peraltro di un
potere autorizzatorio il cui esercizio  condiziona  la  fruizione  di
prestazioni salvavita). 
    Nei motivi di ricorso si deduce anzitutto la violazione dell'art.
32  della  Costituzione,  e  del  principio  generale  dell'autonomia
professionale   del   medico:   l'atto    amministrativo    impugnato
affermerebbe, secondo  questa  censura,  la  supremazia  culturale  e
professionale del medico  dipendente  dall'azienda  sanitaria  locale
rispetto ad ogni altro medico  estraneo  ad  essa,  indipendentemente
dall'anzianita'  di  servizio,  dai  titoli   scientifici   e   dalle
esperienze maturate. 
    In  effetti  non  e'  dato  comprendere  quale  sia  la  funzione
dell'esercizio del potere autorizzatorio in esame: se di accertamento
della sussistenza della patologia, e di necessarieta' della  terapia,
quali presupposti per l'accesso  alla  fruizione  della  prestazione;
ovvero di contenimento del ricorso a strutture private,  per  ragioni
legate  alla  finanza  regionale   (profili,   entrambi,   che   gia'
costituiscono  oggetto  di  altri  e  distinti  momenti  di  verifica
pubblicistica). 
    Lo  scrutinio  di  dette  censure,  alla  stregua  del  parametro
normativo invocato dalla parte ricorrente (la norma  attributiva  del
potere autorizzatorio), suppone  la  valutazione  dell'esercizio  del
potere in conformita' o meno con i criteri che la norma stessa  detta
per l'esercizio del potere autorizzatorio. 
    L'ampiezza e l'indeterminatezza di quest'ultima, tuttavia, fa si'
che detti criteri non siano indicati - ne' sono  ricavabili  aliunde,
ricorrendo  ad  uno  dei  tradizionali  criteri  di   interpretazione
giuridica - dalla citata disposizione normativa. 
    Ritiene il collegio che nel caso in esame  ricorra  la  «assoluta
indeterminatezza» del potere demandato alla pubblica  amministrazione
«senza l'indicazione di alcun  criterio  da  parte  della  legge»  in
violazione del principio di legalita' sostanziale  (sentenze  n.  307
del 2003, 32 del 2009, 200 del 2009, della Corte costituzionale). 
    Come accennato, non possono trarsi elementi - se non  nel  senso,
come  si  dira',  di   un   ulteriore   profilo   di   illegittimita'
costituzionale   -   dalla    interpretazione    sistematica    della
disposizione, giacche' essa e' stata calata ex abrupto  nel  contesto
della  disciplina  della  definizione  concordata  (e,  dunque,   non
unilaterale,  ex  latere  auctoritatis)  delle  prestazioni  fruibili
presso strutture private. 
    L'inserimento della previsione di  un  potere  autoritativo,  non
altrimenti disciplinato quanto ai presupposti e ai  criteri  del  suo
esercizio, nel contesto  di  una  fattispecie  consensuale,  oltre  a
vanificare i risultati di quest'ultima, non soltanto non consente  di
individuare  al  di  fuori  dell'enunciato  normativo  gli  eventuali
criteri implicitamente regolanti  l'esercizio  di  detto  potere,  ma
rappresenta altresi' un elemento di irragionevolezza della disciplina
introdotta, con  conseguente  violazione  anche  dell'art.  3,  primo
comma, della Costituzione. 
    Come rilevato alle pagg. 17 e 18 del ricorso in esame, «Solo  nel
contesto di tali accordi con gli erogatori privati del servizio o con
le loro organizzazioni rappresentative,  che  si  collocano  a  monte
dell'accreditamento,  e  non  gia'  mediante  un  autarchico  decreto
assessoriale, la Regione potrebbe individuare (.....)  prestazioni  o
gruppi  di  prestazioni  suscettibili   di   essere   preventivamente
autorizzati dalle unita' sanitarie locali». 
    A  fronte  della  esistenza  nel  sistema  di  altri  momenti  di
verifica,  in  chiave  autorizzatoria,  dell'accesso  alla  fruizione
presso strutture  private  (autorizzazione  per  la  realizzazione  e
l'esercizio della struttura sanitaria;  procedura  di  accreditamento
istituzionale;  stipulazione  degli  accordi  contrattuali   di   cui
all'art. 8-quinquies cit.; fissazione del limite  massimo  di  budget
per ciascuna struttura), funzionali alla tutela dei diversi interessi
pubblici che legittimamente limitano  il  principio  di  parita'  fra
pubblico e privato ed il  principio  di  libera  scelta  del  medico,
l'inserimento di un ulteriore condizionamento autorizzatorio, la  cui
connotazione funzionale non e' affatto chiara, privo di una  adeguata
disciplina dei presupposti e dei  criteri  di  esercizio,  come  tale
irragionevolmente limitativo dei principi sopra richiamati, non  pare
conforme al parametro costituzionale della ragionevolezza. 
    Una cosi' ampia e generica prescrizione normativa, ha  del  resto
prodotto, in sede applicativa, una previsione altrettanto generica  e
poco perspicua: nel preambolo del Decreto impugnato si legge  infatti
che «Visto, in particolare, l'art. 8-quinquies, comma  2,  lett.  b),
del predetto decreto  legislativo  n.  502/92,  come  modificato,  in
ultimo, dall'art. 79 del D.L. n. 112/2008, ai  sensi  del  quale  «le
regioni possono individuare prestazioni o gruppi di prestazioni per i
quali stabilire la preventiva autorizzazione, da  parte  dell'azienda
sanitaria locale competente, alla fruizione presso le strutture  o  i
professionisti accreditati», e  ritenuto,  conseguentemente,  che  le
prescrizioni mediche  ben  possono  essere  sottoposte  a  controllo,
indirizzo e verifica da parte della  competente  struttura  sanitaria
pubblica». 
    In argomento e' appena il caso di osservare  che  non  e'  lecito
revocare in dubbio il  fatto  che  le  prescrizioni  mediche  possano
«essere sottoposte a controllo, indirizzo e verifica da  parte  della
competente  struttura  sanitaria  pubblica»  (con  qualche   riserva,
peraltro, sul preteso potere di «indirizzo»): ma,  a  fronte  di  una
serie articolata di momenti di verifica e di controllo - propedeutici
alla fruizione della prestazione - gia'  determinati,  funzionali  ad
altrettanti  interessi  pubblici,  l'introduzione  di  un   ulteriore
controllo preventivo, condizionante la fruizione di  una  prestazione
salvavita, presenta un  elevato  livello  di  conflittualita'  con  i
valori  e  gl'interessi  antagonisti,  anch'essi  dotati   di   rango
costituzionale, che non appare  giustificato  da  alcuna  ragionevole
esigenza. 
    Il collegio rileva infine l'esistenza  di  un  terzo  profilo  di
contrasto fra la disposizione in esame e gli articoli 3 e 117,  comma
2, lett. m) della Costituzione. 
    La disposizione in  esame  non  avrebbe  potuto  consentire  alle
singole regioni di «individuare prestazioni o gruppi  di  prestazioni
per  i  quali  stabilire  la  preventiva  autorizzazione,  da   parte
dell'azienda sanitaria locale competente, alla  fruizione  presso  le
strutture o  i  professionisti  accreditati»,  quando  si  tratti  di
prestazioni o gruppi di prestazioni afferenti i livelli essenziali di
assistenza, stabiliti con d.P.C.M.  29  novembre  2001,  alt  1  (che
include  le  prestazioni  da  fornire  ai  «nefropatici  cronici   in
trattamento dialitico», e ai «pazienti nella fase terminale»). 
    La disposizione in esame  contrasta  pertanto  con  i  richiamati
parametri costituzionali, nella parte in cui non esclude  i  predetti
livelli dal suo  altrimenti  indiscriminato  ambito  di  operativita'
(derivante dalla sua formulazione attuale). 
    Attraverso la previsione di un simile  potere  si  rende  infatti
maggiormente  difficoltoso,  su  base  regionale,  l'accesso  ad  una
prestazione  inclusa  fra  i  livelli  essenziali  delle  prestazioni
sanitarie  che  invece  non  devono   patire   una   differenziazione
territoriale. 
    Del resto, anche laddove le prestazioni da fornire ai nefropatici
cronici in trattamento  dialitico  non  rientrassero  fra  i  livelli
essenziali di assistenza,  la  previsione  del  potere  regionale  in
parola violerebbe gli artt. 3 e 32 della  Costituzione,  ponendo  una
limitazione ulteriore, differenziata territorialmente,  all'esercizio
di un diritto fondamentale. E' appena il caso di  aggiungere  che  la
rilevanza della questione discende dal fatto che il vizio si  appunta
non sulla modalita' con cui il potere e' stato esercitato dal Decreto
impugnato (il cui oggetto  specifico  e'  peraltro  costituito  dalla
«assistenza sanitaria ai pazienti con uremia terminale»,  ed  il  cui
articolo 1 disciplina  l'erogazione  di  prestazioni  in  materia  di
«insufficienza renale cronica terminale»), ma sulla norma attributiva
del potere medesimo,  alla  cui  stregua  dovrebbero  scrutinarsi  le
censure rivolte contro il ridetto Decreto. 
    In sede di esame di tali censure, pertanto, il collegio  dovrebbe
utilizzare come parametro di legittimita' una disposizione  normativa
della cui legittimita' costituzionale dubita (e  che  per  l'ampiezza
della sua previsione, e'  tale  da  fornire,  allo  stato,  copertura
legale al Decreto impugnato). 
    Come gia' osservato, in conseguenza della  formulazione  di  tale
disposizione,  non  appare  al  collegio  possibile   praticare   una
interpretazione della stessa che consenta di  superare  i  denunciati
profili di illegittimita' costituzionale. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Visti gli artt. 134 Cost.; 1 legge cost. 9 febbraio 1948,  n.  1;
23 legge 11 marzo 1953, n. 87: 
        dichiara  rilevante  e  non   manifestamente   infondata   la
questione di legittimita' costituzionale - in relazione agli art.  3,
24, 32, 97, 113 e 117 della  Costituzione  -  dell'art.  8-quinquies,
comma 2, lett. b), ultimo periodo, del d.lgs. 30  dicembre  1992,  n.
502, introdotto dall'art. 79, comma 1-quinquies, del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112 (aggiunto dalla relativa legge di conversione); 
        dispone la sospensione del presente giudizio; 
        ordina  l'immediata  trasmissione  degli  atti   alla   Corte
costituzionale; 
        ordina che a cura della Segreteria della Sezione la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in  causa  e  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera
dei Deputati e del Senato della Repubblica, ed  ai  Presidenti  della
Regione Siciliana e dell'Assemblea regionale Siciliana. 
    Cosi' deciso in Palermo nelle camere di consiglio del 4 giugno  e
del 18 giugno 2010. 
 
                     Il Presidente: Giallombardo 
 
 
                          L'estensore - Primo referendario: Tulumello