N. 354 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 giugno 2010

Ordinanza del 9  agosto  2010  emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da Citro Emanuele  contro
Ministero della giustizia ed altra. 
 
Magistratura - Concorso  per  uditore  giudiziario  -  Ammissione  al
  concorso per  gli  abilitati  all'esercizio  della  professione  di
  avvocato iscritti al relativo Albo professionale - Irragionevolezza
  del richiesto requisito dell'iscrizione all'Albo  -  Ingiustificato
  deteriore   trattamento   degli   abilitati   all'esercizio   della
  professione  di   avvocato   impossibilitati   all'iscrizione   per
  incompatibilita' in quanto  dipendenti  pubblici  o  dipendenti  di
  banca - Incidenza sul diritto di accesso  ai  pubblici  impieghi  e
  sull'autonomia ed indipendenza dell'ordine giudiziario. 
- Decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, art. 2, comma  1,  lett.
  f), sostituito dall'art. 1, comma  3,  lett.  b),  della  legge  30
  luglio 2007, n. 111. 
- Costituzione, artt. 3, 51 e 104. 
(GU n.47 del 24-11-2010 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato la  presente  ordinanza,  sul  ricorso  numero  di
registro generale  2466  del  2010,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto  da:  Emanuele  Citro,  rappresentato  e  difeso   dall'avv.
Francesco Lanata' presso il cui studio e'  elettivamente  domiciliato
in Roma, via Primo Acciaresi, 15, contro Ministero della giustizia  -
Consiglio  Superiore  della  Magistratura,  rappresentati  e   difesi
dall'Avvocatura Generale dello Stato presso cui ope legis domiciliano
in Roma, via dei Portoghesi, 12 nei confronti di Cristina Mirti,  non
costituita per l'annullamento  quanto  al  ricorso  introduttivo  del
giudizio  del  bando  di  concorso,  per  esami,  per  350  posti  di
magistrato ordinario, indetto con d.m. del Ministro  della  giustizia
del 15 dicembre 2009 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99  del
29 dicembre 2009 - 4ª serie speciale -  «Concorsi  ed  esami»,  nella
parte in cui, all'art. 2, non prevede l'ammissione  al  concorso  per
coloro  che  hanno  conseguito  l'abilitazione  all'esercizio   della
professione forense ma non si sono iscritti all'albo  degli  avvocati
per ragioni di incompatibilita'; 
    Di   ogni   altro   provvedimento   presupposto,    connesso    o
consequenziale quanto ai motivi aggiunti della delibera del Consiglio
Superiore della Magistratura del 12 maggio 2010, nella parte  in  cui
ha disposto «di non ammettere al concorso il dott. Emanuele Citro, in
quanto benche' avvocato, dichiara di  non  essere  iscritto  all'albo
professionale come richiesto dal requisito di cui al punto  6,  lett.
g), dell'art. 2 del bando, comunicata al ricorrente con nota  del  19
maggio  2010  prot.  n.  1917g/766  del  Ministero  della  giustizia,
notificata in data 29 maggio 2010; 
    Di   ogni   altro   provvedimento   presupposto,    connesso    o
consequenziale; 
    Visto il ricorso ed i motivi aggiunti, con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Avvocatura Generale
dello Stato; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 30 giugno  2010  il
dott. Roberto Caponigro  e  uditi  per  le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: 
    1. - Il ricorrente ha chiesto  di  partecipare  al  concorso  per
esami  a  350  posti  di  magistrato  ordinario,  indetto  con  bando
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 99 del 29 dicembre 2009. 
    Nella domanda di  partecipazione  ha  fatto  presente  di  essere
abilitato all'esercizio della professione forense, ma di  non  essere
iscritto  all'albo   in   quanto   giurista   d'impresa   (lavoratore
subordinato). 
    Sostiene che l'art. 2 del bando, nella parte in cui  non  ammette
al concorso coloro che hanno conseguito l'abilitazione  all'esercizio
della professione forense, gli causerebbe un ingiusto pregiudizio  in
quanto non gli consentirebbe di partecipare al predetto concorso. 
    Di talche', ha  proposto  il  presente  ricorso,  articolato  nei
seguenti motivi: illegittimita' del bando di concorso  impugnato  per
violazione di legge e per  eccesso  di  potere.  Violazione  e  falsa
applicazione dell'art. 2 del d.lgs. n. 160/2006 come modificato dalla
1egge n. 111/2007. Illegittimita' costituzionale dell'art.  2  d.lgs.
n. 160/2006, come modificato dalla legge n. 111/2007. 
    L'art. 2 del bando di concorso sarebbe illegittimo nella parte in
cui non avrebbe previsto l'ammissione al concorso di coloro che, dopo
avere  conseguito  l'abilitazione  all'esercizio  della   professione
forense, non si sono potuti iscrivere all'ordine degli  avvocati  per
ragioni  di  incompatibilita'.  L'amministrazione,  nel  redigere  il
bando,  avrebbe  dovuto  dare  un'interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 2 d.lgs. n. 160/2006 come modificato dall'art. 1,
legge n. 111/2007. 
    Laddove il bando fosse ritenuto  coerente  con  la  normativa  di
riferimento, tale norma sarebbe incostituzionale per violazione degli
artt. 3 e 51 Cost. 
    Il Consiglio Superiore della Magistratura, nella  seduta  del  12
maggio 2010, ha  deliberato  di  non  ammettere  al  concorso  alcuni
candidati, tra  cui  il  ricorrente,  in  quanto  «benche'  avvocati,
dichiarano  di  non  essere  iscritti  all'Albo  professionale   come
richiesto dal requisito di cui al n.  6,  lettera  g),  art.  2,  del
bando». 
    Il dott. Citro, pertanto, ha  impugnato  tale  provvedimento  con
motivi aggiunti sostanzialmente reiterativi delle censure dedotte con
il ricorso introduttivo del giudizio nonche' per eccesso  di  potere,
difetto di motivazione e carenza di istruttoria in quanto il  C.S.M.,
nel non ammetterlo al concorso, non avrebbe considerato gli argomenti
e le deduzioni esposte nella domanda di partecipazione al concorso. 
    L'Avvocatura Generale dello Stato  ha  contestato  la  fondatezza
delle censure dedotte concludendo per il rigetto del ricorso. 
    Con ordinanza n. 2903 pronunciata da questa sezione nella  camera
di consiglio del 30 giugno 2010, l'istanza cautelare e' stata accolta
e, per l'effetto, il ricorrente  e'  stato  ammesso  con  riserva  al
concorso. 
    2. - La controversia in esame e'  del  tutto  analoga  ad  altra,
concernente  l'impugnativa  del  precedente  bando  di  concorso  per
l'ammissione in magistratura ordinaria, ed in relazione alla quale la
sezione ha gia' sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art.  2,  comma  1,  lett.  f)  del  d.1gs.  n.  160/2006,  come
modificato dalla legge n. 111/2007 (ordinanza n. 20 dell'11  novembre
2008). 
    La questione, allo stato, non risulta ancora definita dalla Corte
costituzionale. 
    Cio' Premesso,  deve  anzitutto  rilevarsi  che  anche  il  bando
impugnato con il presente  ricorso  rappresenta,  in  parte  qua,  la
pedissequa riproduzione delle disposizioni di cui all'art.  2,  comma
1, lett. f), del d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, cosi' come  modificato
dall'art. 1 della legge n. 111 del 30 luglio 2007. 
    Esso  non  rappresenta,  pertanto,  il  frutto  di   una   scelta
discrezionale dell'amministrazione, ma il risultato dell'applicazione
di puntuali previsioni legislative, sicche' la sostanza delle censure
dedotte si risolve nella  questione  di  legittimita'  costituzionale
della norma citata, nella parte in cui richiede, per l'ammissione  al
concorso, che gli abilitati all'esercizio delle  professione  forense
siano anche iscritti all'Albo professionale. 
    Giova, al riguardo, premettere il complessivo quadro normativo in
cui si inserisce il ricorso in esame. 
    Con il d.lgs. 5 aprile 2006, n. 160, in attuazione  della  delega
di cui dell'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio  2005,
n. 150, e' stata introdotta  la  «nuova  disciplina  dell'accesso  in
magistratura, nonche' in  materia  di  progressione  economica  e  di
funzioni dei magistrati». 
    Per quanto qui interessa, il vigente art. 2, comma 1,  d.lgs.  n.
160/2006 prevede l'ammissione al concorso delle seguenti categorie: 
    a) magistrati amministrativi e contabili; 
    b) procuratori dello Stato  che  non  sono  incorsi  in  sanzioni
disciplinari; 
    c)  dipendenti  dello  Stato,  con   qualifica   dirigenziale   o
appartenenti ad una delle posizioni dell'area C prevista dal  vigente
contratto collettivo nazionale di  lavoro,  comparto  Ministeri,  con
almeno  cinque  anni  di  anzianita'  nella  qualifica,  che  abbiano
costituito il rapporto di lavoro a seguito di concorso per  il  quale
era richiesto il possesso del diploma  di  laurea  in  giurisprudenza
conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine  di
un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni  e  che
non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
    d) appartenenti al personale universitario di  ruolo  docente  di
materie  giuridiche  in   possesso   del   diploma   di   laurea   in
giurisprudenza che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
    e) dipendenti, con qualifica dirigenziale o appartenenti alla  ex
area direttiva, della pubblica amministrazione, degli enti pubblici a
carattere nazionale e degli enti locali, che  abbiano  costituito  il
rapporto di lavoro a seguito di concorso per il quale  era  richiesto
il possesso del diploma di laurea in giurisprudenza conseguito, salvo
che non  si  tratti  di  seconda  laurea,  al  termine  di  un  corso
universitario di durata non inferiore  a  quattro  anni,  con  almeno
cinque anni di anzianita' nella qualifica o, comunque, nelle predette
carriere e che non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
    f) avvocati iscritti all'albo che non sono  incorsi  in  sanzioni
disciplinari; 
    g) coloro i quali hanno svolto le funzioni di magistrato onorario
per almeno sei anni senza demerito, senza essere stati revocati e che
non sono incorsi in sanzioni disciplinari; 
    h) laureati in possesso del diploma di laurea  in  giurisprudenza
conseguito, salvo che non si tratti di seconda laurea, al termine  di
un corso universitario di durata non inferiore a quattro anni  e  del
diploma conseguito  presso  le  scuole  di  specializzazione  per  le
professioni legali previste dall'art. 16 del decreto  legislativo  17
novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni; 
    i) laureati che hanno conseguito la laurea in  giurisprudenza  al
termine di un corso universitario di durata non inferiore  a  quattro
anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno  conseguito
il dottorato di ricerca in materie giuridiche; 
    l) laureati che hanno conseguito la laurea  in  giurisprudenza  a
seguito di un corso universitario di durata non inferiore  a  quattro
anni, salvo che non si tratti di seconda laurea, ed hanno  conseguito
il diploma  di  specializzazione  in  una  disciplina  giuridica,  al
termine di un corso di studi della durata non inferiore  a  due  anni
presso le scuole di specializzazione di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 10s marzo 1982, n. 162. 
    Ai sensi del comma 5 della  medesima  disposizione,  inoltre,  ai
concorsi per l'accesso in magistratura indetti fino  al  quinto  anno
successivo alla data di acquisto di efficacia del primo  dei  decreti
legislativi emanati nell'esercizio della delega di  cui  all'art.  1,
comma 1, lettera a),  della  legge  25  luglio  2005,  n.  150,  sono
ammessi, oltre a coloro  che  sono  in  possesso  dei  requisiti  per
l'ammissione al concorso di cui al presente  articolo,  anche  coloro
che hanno conseguito la laurea in giurisprudenza a seguito  di  corso
universitario di durata  non  inferiore  a  quattro  anni,  essendosi
iscritti  al  relativo  corso  di   laurea   anteriormente   all'anno
accademico 1998-1999. 
    Il raffronto tra le disposizioni teste' riportate evidenzia  che,
anche con le modifiche apportate dalla legge n.  111/2007,  e'  stato
mantenuto l'impianto di fondo del sistema di  accesso  della  riforma
c.d. Castelli, ed in particolare l'opzione in favore del concorso  di
secondo grado, riservato quindi a soggetti aventi requisiti culturali
e professionali specifici. 
    Le origini di tale disegno  riformatore  risalgono  all'art.  17,
comma 113, della legge 15 maggio  1997,  n.  127,  con  la  quale  il
Governo e' stato delegato ad emanare uno o piu'  decreti  legislativi
per  modificare  la  disciplina  del  concorso  per  l'accesso   alla
magistratura ordinaria, sulla base dei seguenti  principi  e  criteri
direttivi:  «semplificazione  delle  modalita'  di  svolgimento   del
concorso e introduzione graduale, come condizione per l'ammissione al
concorso, dell'obbligo di conseguire un diploma esclusivamente presso
scuole di specializzazione istituite nelle  universita',  sedi  della
facolta' di giurisprudenza». 
    In attuazione della delega e' stato emanato il d.lgs. 17 novembre
1997, n. 398. Il decreto in questione  ha  previsto  -  relativamente
agli iscritti al  corso  di  laurea  in  giurisprudenza  a  decorrere
dall'anno accademico 1998/1999 - la subordinazione dell'ammissione al
concorso  per  uditore  giudiziario  al  possesso  del   diploma   di
specializzazione  per  le  professioni  legali;  esso   ha   previsto
altresi', in via residuale, la possibilita' di ammissione al concorso
di candidati in possesso della sola laurea in giurisprudenza (art. 6,
che ha novellato l'art. 124 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12). 
    In particolare, detto art. 124 e'  stato  cosi'  modificato:  «al
concorso sono ammessi  i  laureati  in  giurisprudenza  in  possesso,
relativamente agli iscritti al relativo corso di laurea  a  decorrere
dall'anno  accademico  1998/1999,  del  diploma  di  specializzazione
rilasciato da una delle scuole di cui all'art. 17, comma  114,  della
legge 15 maggio 1997, n. 127, che, alla data della pubblicazione  del
bando di concorso, risultino di eta' non inferiore agli anni  ventuno
e non superiore ai  quaranta,  soddisfino  alle  condizioni  previste
dall'art. 8 del presente ordinamento e abbiano  gli  altri  requisiti
previsti dalle leggi vigenti» (comma 1); il successivo terzo comma ha
previsto peraltro, qualora le domande di partecipazione  al  concorso
presentate dai candidati in possesso del diploma fossero inferiori  a
cinque volte il numero dei posti per i quali il concorso e'  bandito,
che fossero ammessi, «previo superamento della prova  preliminare  di
cui all'art. 123-bis ed in  misura  pari  al  numero  necessario  per
raggiungere il rapporto anzidetto,  anche  i  candidati  in  possesso
della sola laurea in giurisprudenza» (comma 3). 
    Con la legge 13 febbraio 2001, n. 48,  quest'ultima  disposizione
e' stata modificata eliminando -  in  armonia  con  la  sua  prevista
soppressione  e  con  l'introduzione  del  sistema  dei   «correttori
esterni» - il riferimento alla prova preliminare. 
    In  applicazione  della  previsione   relativa   all'introduzione
graduale  del  possesso  del  diploma   di   specializzazione   nelle
professioni legali come condizione per l'ammissione al  concorso,  e'
stata quindi prevista,  per  i  laureati  in  giurisprudenza  non  in
possesso del diploma di specializzazione  nelle  professioni  legali,
l'ammissione al concorso subordinatamente al superamento di una prova
preliminare da svolgersi con l'ausilio  di  strumenti  informatici  e
consistente nella risposta ad un questionario. 
    La prova in questione  e'  stata  disciplinata  dall'art.  2  del
d.lgs. n. 398/1997 che ha introdotto nel r.d. 30 gennaio 1941, n. 12,
l'art. 123-bis. 
    Il sistema e' stato nuovamente modificato per effetto della legge
13 febbraio 2001, n. 48,  in  particolare  con  l'eliminazione  della
prova  preliminare,  mentre  l'obiettivo  di  semplificazione  e   di
accelerazione dello svolgimento del concorso  e'  stato  affidato  ai
c.d. «correttori esterni». 
    Il sistema teste' delineato e' stato abrogato  dall'art.  54  del
d.lgs. n. 106/2006 e sostituito da  quello  di  cui  si  controverte,
nella versione derivante dalle modifiche introdotte  dalla  legge  n.
111/2007. 
    Nella nuova disciplina e' chiaramente venuta meno  la  preferenza
accordata, quale canale privilegiato di accesso alla selezione,  alla
frequenza delle scuole di specializzazione nelle professioni  legali,
le  quali  erano  state  in  origine  concepite  quale  strumento  di
formazione post universitaria comune a tutti i futuri  operatori  del
diritto. 
    Risulta poi di immediata evidenza - come si ammette  anche  nella
relazione di accompagnamento al d.d.l. poi divenuto legge n. 111/2007
- l'eterogeneita' dei titoli di ammissione al concorso rispetto  alla
qualificazione tecnico-professionale propria del magistrato  («si  e'
ritenuto opportuno riconoscere un valore di  ammissione  al  concorso
anche ad  esperienze,  se  pur  in  parte  eterogenee  rispetto  alla
professione di magistrato, comunque caratterizzate dall'esercizio  di
specifiche pubbliche funzioni, come per i funzionari  della  carriera
direttiva della p.a. e per i docenti in  materie  giuridiche  tra  il
personale di ruolo delle universita' [...]»). 
    Relativamente agli avvocati,  l'originario  progetto  governativo
richiedeva l'esercizio della professione per  almeno  tre  anni  («la
considerazione della presenza di un comune humus culturale  e'  stata
ritenuta condizione  necessaria  e  sufficiente  per  una  previsione
analoga in favore degli avvocati con almeno tre  anni  di  iscrizione
all'albo professionale»), in adesione alle  osservazioni  svolte  dal
C.S.M., nel parere reso, ai sensi dell'art. 10, comma 2, della  legge
n. 195 del 1958, in data 31 maggio 2007. 
    Nel  corso  dell'iter   parlamentare,   il   requisito   relativo
all'esercizio  della  professione  per  almeno  tre  anni  e'   stato
soppresso in quanto ritenuto non coerente con l'ampio  ventaglio  dei
titoli di accesso contestualmente previsti, tra i quali  ve  ne  sono
alcuni  che  rappresentano  indubbiamente  un  quid  minus   rispetto
all'abilitazione all'esercizio della professione di avvocato. 
    Nel testo definitivamente licenziato e' stato pero'  inserito  il
requisito  dell'iscrizione  all'Albo,  del  quale  e'  invero   arduo
comprendere la finalita', avendo esso valenza puramente formale. 
    La mera iscrizione all'Albo, infatti, non aggiunge alcunche' alla
particolare qualificazione  o  esperienza  richiesta  agli  aspiranti
magistrati ordinari che hanno conseguito l'abilitazione,  atteso  che
l'iscrizione medesima  non  e'  subordinata  all'effettivo  esercizio
della  professione  di  avvocato  e  non  postula,  quindi,   nemmeno
l'attualita' dell'esperienza dalla stessa derivante. 
    L'irragionevolezza di siffatta previsione  emerge  anche  ove  si
consideri che  la  peculiare  formazione  giuridica  degli  abilitati
all'esercizio della professione forense e' omogenea o comunque affine
a quella richiesta al magistrato, laddove,  viceversa,  l'accesso  al
concorso  e'  consentito  anche  ai  possessori  di  titoli  che  non
necessariamente denotano il possesso di peculiari competenze tecniche
(come i funzionari e  dirigenti  amministrativi  aventi  l'anzianita'
prescritta) ovvero ancora hanno natura prettamente scientifica  (come
i dottori di ricerca). 
    Se, quindi, il criterio ispiratore della  riforma  e'  di  stampo
pluralistico, al punto da valorizzare anche il possesso di esperienze
pregresse  sicuramente  «eterogenee  rispetto  alla  professione   di
magistrato»,  l'estromissione  degli  abilitati  all'esercizio  della
professione forense  che  non  possono  iscriversi  all'Albo,  appare
irrazionale ed arbitraria. 
    Significativo, al riguardo, risulta il  raffronto  con  l'accesso
consentito ai diplomati presso le scuole  di  specializzazione  delle
professioni legali. 
    E' sufficiente richiamare in proposito quanto gia'  osservato  da
questa stessa sezione, in relazione al precedente sistema di  accesso
introdotto con la legge n. 48/2001, la cui  originaria  formulazione,
come noto, non prevedeva  l'esonero  dal  test  preliminare  per  gli
abilitati all'esercizio della professione forense. 
    In tale occasione, il  Tribunale  ha  rilevato  che,  secondo  la
previsione del d.m. 11 dicembre 2001, n. 475  (tuttora  vigente),  il
diploma  rilasciato  dalle  scuole   di   specializzazione   per   le
professioni legali e' valutato ai fini del compimento  della  pratica
per l'accesso alla professione (oltre che di notaio) per  il  periodo
di un anno. 
    La circostanza che i diplomati in questione accedano direttamente
al concorso di uditore giudiziario, mentre  sono  comunque  tenuti  a
compiere un anno di tirocinio per l'ammissione all'esame di avvocato,
lascerebbe intendere che il superamento  dell'esame  di  abilitazione
all'esercizio della  professione  di  avvocato  costituisca  un  quid
pluris rispetto al diploma, con la conseguenza che appare irrazionale
che i diplomati siano ammessi direttamente  al  concorso  ad  uditore
giudiziario e che lo stesso non sia previsto per coloro  che  abbiano
conseguito l'abilitazione alla professione di avvocato (in tal senso,
le ordinanze di rimessione emanate tra il 30 luglio e  il  7  ottobre
2004). 
    La disposizione in  questione  attua,  del  resto,  la  specifica
previsione dell'art. 17, comma 114, della  legge  n.  127  del  1997,
secondo cui «anche  in  deroga  alle  vigenti  disposizioni  relative
all'accesso alla professione di avvocato  e  notaio,  il  diploma  di
specializzazione di cui al comma 113  costituisce,  nei  termini  che
saranno definiti con decreto del  Ministro  di  grazia  e  giustizia,
adottato di concerto con il Ministro dell'universita' e della ricerca
scientifica e tecnologica, titolo valutabile ai fini  del  compimento
del relativo periodo di pratica». 
    Le considerazioni allora svolte  (sulle  quali,  per  inciso,  la
Corte costituzionale non ha avuto modo di  esprimersi  in  quanto  il
legislatore con d.l. 7 settembre 2004, n. 234, convertito in legge  5
novembre 2004, n. 262, ha incluso, tra i  candidati  esonerati  dalla
prova preliminare, anche i laureati  in  giurisprudenza  in  possesso
dell'abilitazione all'esercizio della professione forense),  assumono
ben  maggiore  pregnanza  nel  mutato   sistema   di   accesso   alla
magistratura ordinaria, in cui il possesso dei titoli prescritti  non
esonera semplicemente  dalla  prova  preliminare  ma  condiziona,  in
quanto requisito di ammissione, la stessa possibilita'  di  competere
per assumere siffatta elevata e delicata funzione «in  condizioni  di
uguaglianza», secondo i canoni dettati dalla Carta fondamentale. 
    Non  deve,  altresi',  essere  dimenticato  che   la   disciplina
dell'accesso alla magistratura ordinaria  ha  incidenza  diretta  sui
valori costituzionali dell'autonomia e dell'indipendenza  dell'Ordine
giudiziario. 
    Il sistema  congegnato  dal  legislatore  appare  ispirato  dalla
necessita' di trovare un punto di equilibrio tra il perseguimento  di
una composizione pluralistica e paritaria del potere giudiziario e la
creazione  di  un  corpo  magistratuale   altamente   qualificato   e
professionale. 
    Alla ricerca di siffatto punto di equilibrio, nel  caso  oggi  in
rilievo, non sembra rispondere  la  previsione  di  un  requisito  di
ordine  meramente  formale  il  quale  costituisce,  in   definitiva,
soltanto  una  incomprensibile,  e  ingiusta,  barriera  frapposta  a
soggetti i quali posseggono una formazione tecnica omogenea a  quella
richiesta per l'esercizio della funzione cui aspirano. Ad essi  viene
cioe' preclusa in radice la chance di pianificare un  nuovo  percorso
di vita e professionale solo  perche',  allo  stato,  si  trovano  ad
esercitare attivita' per le quali e' stabilita l'incompatibilita' con
l'esercizio della professione di avvocato (cfr. l'art. 3  del  r.d.l.
n. 1578 del 1933) e cioe' per una ragione  del  tutto  estrinseca  al
concorso in magistratura. 
    3. - Le considerazioni esposte  giustificano  la  valutazione  di
rilevanza  e  non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale, in relazione agli  artt.  3,  51  e  104
della Costituzione, dell'art. 2, comma 1,  lett.  f)  del  d.lgs.  n.
160/2006, cosi' come modificato dalla legge n. 111/2007, nella  parte
in cui richiede, ai fini dell'ammissione al concorso  per  magistrato
ordinario, che  gli  abilitati  all'esercizio  della  professione  di
avvocato siano anche iscritti al relativo Albo professionale. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  -  Prima
sezione di Roma,  interlocutoriamente  pronunciando  sul  ricorso  in
epigrafe cosi' dispone: 
        a) dichiara rilevante  e  non  manifestamente  infondata,  in
relazione agli artt. 3, 51 e 104 della Costituzione, la questione  di
legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  1,  lett.  f),  del
d.lgs. n. 160/2006, cosi' come modificata dalla  legge  n.  111/2007,
nella parte in cui richiede, ai fini dell'ammissione al concorso  per
magistrato  ordinario,  che   gli   abilitati   all'esercizio   della
professione  di  avvocato  siano  anche  iscritti  al  relativo  Albo
professionale; 
        b) dispone la sospensione  del  presente  giudizio  e  ordina
l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; 
        c) ordina che, a cura  della  Segreteria  della  Sezione,  la
presente  ordinanza  sia  notificata  alle  parti  costituite  e   al
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  nonche'   comunicata   ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica. 
    Cosi' deciso in Roma nella camera  di  consiglio  del  giorno  30
giugno 2010 con  l'intervento  dei  magistrati:  Giorgio  Giovannini,
presidente;   Roberto   Politi,   consigliere;   Roberto   Caponigro,
consigliere-estensore. 
 
                      Il presidente: Giovannini 
 
 
                                               L'estensore: Caponigro