N. 337 ORDINANZA 15 - 24 novembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Imposte e tasse - Imposte sui redditi - Recupero di base imponibile -
  Tassabilita' come "redditi diversi" dei proventi illeciti  indicati
  nell'art. 14, comma 4, della legge n. 537  del  1993,  qualora  non
  siano classificabili nelle categorie di reddito di cui all'art.  6,
  comma 1, del d.P.R. n. 917 del  1986  -  Denunciata  violazione  di
  numerosi parametri costituzionali - Difetto  di  motivazione  sulla
  rilevanza - Omessa motivazione sulla non manifesta infondatezza  in
  riferimento a  gran  parte  degli  evocati  parametri  -  Manifesta
  inammissibilita' delle questioni. 
- D.l. 4 luglio 2006, n. 223 (convertito,  con  modificazioni,  dalla
  legge 4 agosto 2006, n. 248), art. 36, comma 34-bis. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 24, 97, 101, 104 e 136. 
(GU n.48 del 1-12-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Sabino CASSESE, Maria Rita SAULLE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  36,  comma
34-bis, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 (Disposizioni urgenti
per il rilancio  economico  e  sociale,  per  il  contenimento  e  la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto  2006,  n.  248,  promosso  dalla
Commissione tributaria  regionale  della  Toscana,  nel  procedimento
vertente tra Podere La Cantina s.r.l. e  l'Agenzia  delle  Entrate  -
Ufficio di Empoli, con ordinanza del 28 settembre 2009 iscritta al n.
127 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 18, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre  2010  il  giudice
relatore Franco Gallo. 
    Ritenuto che la Commissione tributaria regionale  della  Toscana,
nel corso di un giudizio di  appello  promosso  da  una  societa'  di
capitali avverso la sentenza con cui il giudice di primo grado  aveva
rigettato il ricorso proposto contro alcuni  avvisi  di  accertamento
aventi ad oggetto la ripresa a tassazione di  proventi  illeciti,  ha
sollevato, con ordinanza del 28 settembre 2009, in  riferimento  agli
artt. 3, 23, 24, 97, 101, 104 e 136 della Costituzione, questioni  di
legittimita' dell'art. 36, comma 34-bis, del decreto-legge  4  luglio
2006 n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il  rilancio  economico  e
sociale, per il  contenimento  e  la  razionalizzazione  della  spesa
pubblica, nonche' interventi in materia di  entrate  e  di  contrasto
all'evasione fiscale), convertito, con modificazioni, dalla  legge  4
agosto 2006, n. 248, «nella parte in  cui  tale  norma  si  qualifica
indebitamente interpretativa, e quindi con efficacia retroattiva»; 
        che, secondo quanto premesso in punto di  fatto  dal  giudice
rimettente: a) una societa' di capitali aveva impugnato, davanti alla
Commissione  tributaria  provinciale  di  Firenze,  gli   avvisi   di
accertamento emessi dall'Agenzia delle entrate di Empoli, con i quali
erano stati riprese a tassazione, ai  fini  dell'IRPEG,  dell'IRAP  e
dell'IVA relative agli anni 2001 e 2002, alcune  somme  illecitamente
distratte in favore di tale societa' dal suo amministratore, il quale
aveva agito a danno di altra societa' di capitali  della  quale  egli
aveva, parimenti, «poteri di rappresentanza e delega»; b) il  giudice
di primo grado aveva  rigettato  il  ricorso,  affermando  che  detti
proventi illeciti erano classificabili  come  «redditi  diversi»,  ai
sensi dell'art. 6, comma 1, del  d.P.R.  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo unico  delle  imposte  sui  redditi)  e  che,
pertanto, erano tassabili in forza  della  norma  di  interpretazione
autentica introdotta dal comma 4 dell'art. 14 della legge 24 dicembre
1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), in base  al
quale, «Nelle categorie di reddito di cui all'art. 6,  comma  1,  del
testo unico delle  imposte  sui  redditi,  approvato  con  d.P.R.  22
dicembre 1986, n. 917,  devono  intendersi  ricompresi,  se  in  esse
classificabili, i proventi  derivanti  da  fatti,  atti  o  attivita'
qualificabili come illecito civile, penale o  amministrativo  se  non
gia'  sottoposti  a  sequestro  o  confisca  penale  [...]»;  c)   la
contribuente aveva proposto appello deducendo che i suddetti proventi
illeciti non erano classificabili in alcuna delle categorie  previste
dal citato art. 6, comma  1,  del  d.P.R.  n.  917  del  1986  e,  in
particolare, non erano  classificabili  come  «redditi  diversi»,  ai
sensi dell'art. 67 dello stesso decreto; 
        che, secondo quanto premesso in punto di diritto dallo stesso
giudice rimettente: a) i proventi  illeciti  di  cui  agli  impugnati
avvisi di  accertamento  non  rientrano  nelle  ipotesi  di  «redditi
diversi» elencate dal combinato disposto dei citati artt. 6, comma 1,
e 67 del d.P.R. n. 917 del 1986; b) tuttavia, il denunciato art.  36,
comma 34-bis, del decreto-legge n. 223 del 2006  stabilisce  che  «In
deroga all'articolo  3  della  legge  27  luglio  2000,  n.  212,  la
disposizione di cui al comma 4 dell'art. 14 della legge  24  dicembre
1993, n. 537, si interpreta nel senso che  i  proventi  illeciti  ivi
indicati, qualora non siano classificabili nelle categorie di reddito
di cui all'articolo 6, comma 1, del testo  unico  delle  imposte  sui
redditi, di  cui  al  decreto  del  Presidente  della  Repubblica  22
dicembre  1986,  n.  917,  sono  comunque  considerati  come  redditi
diversi»;  c)  il  menzionato   comma   34-bis   dell'art.   36   del
decreto-legge n. 223 del 2006 costituisce una norma innovativa e  non
meramente interpretativa rispetto al comma 4 dell'art. 14 della legge
n. 537 del 1993, perche' - a differenza di quest'ultima  disposizione
- sottopone a tassazione,  classificandoli  ex  novo  quali  «redditi
diversi», anche i proventi illeciti che non rientrano  nelle  ipotesi
di «redditi diversi» elencate dal combinato disposto degli  artt.  6,
comma 1, e 67 del d.P.R. n. 917 del 1986; 
        che, poste tali premesse, il giudice a  quo  afferma  che  la
norma censurata, in quanto di  natura  innovativa,  si  autoqualifica
indebitamente come norma di interpretazione  autentica  del  comma  4
dell'art. 14 della legge n. 537 del 1993 e pertanto,  nel  sottoporre
retroattivamente a  tassazione  i  proventi  illeciti  oggetto  della
controversia,  viola  l'art.  3  Cost.,  sotto  il  profilo  sia  dei
«principi di ragionevolezza, razionalita' e non contraddizione»,  sia
del «divieto di introdurre ingiustificate disparita' di trattamento»,
sia  della  «tutela   dell'affidamento   legittimamente   sorto   nei
soggetti»,  sia  -  infine  -  della  «coerenza  e   [...]   certezza
dell'ordinamento giuridico», nonche' gli artt. 23, 24, 97, 101, 104 e
136 Cost.; 
        che, in punto di rilevanza, il medesimo giudice si limita  ad
affermare  che  la  «questione  [...]  appare  [...],   all'evidenza,
rilevante»; 
        che e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto
di rilevanza o, in subordine, manifestamente infondate; 
        che  la  difesa  dello  Stato,  a  sostegno   della   dedotta
inammissibilita',  osserva  che:  a)  il   reddito   delle   societa'
commerciali e' considerato d'impresa «da qualsiasi  fonte  provenga»,
secondo quanto disposto dall'art. 95 del d.P.R. n. 917 del 1986  (nel
testo applicabile ratione temporis); b) conseguentemente, i  proventi
illeciti percepiti dalle suddette societa' debbono classificarsi come
«redditi d'impresa», i quali sono ricompresi in una  delle  categorie
di redditi indicate nell'art. 6 del citato d.P.R. n. 917 del  1986  e
sono, pertanto, assoggettabili a tassazione  ai  sensi  del  comma  4
dell'art.  14  della  legge  n.  537  del   1993,   indipendentemente
dall'applicazione della disposizione denunciata; c) nella specie,  la
contribuente e' una societa'  commerciale  e,  pertanto,  i  proventi
illeciti da essa percepiti vanno classificati come redditi  d'impresa
e sono assoggettabili a tassazione a prescindere dalla norma  oggetto
di censura e dalla sua efficacia retroattiva; d)  per  l'effetto,  le
questioni, avendo ad oggetto una  disposizione  non  applicabile  nel
giudizio   principale,   sono   prive   di   rilevanza   e,   dunque,
inammissibili; 
        che, inoltre, l'Avvocatura dello Stato deduce che, gia' prima
dell'entrata    in    vigore    della    disposizione     denunciata,
l'interpretazione data dalla giurisprudenza al comma 4  dell'art.  14
della legge n. 537 del 1993 consentiva di ricomprendere tra i redditi
diversi anche le somme indebitamente acquisite  dalla  societa',  con
conseguente inammissibilita', per irrilevanza, delle questioni; 
        che, sempre in ordine ai profili preliminari delle  questioni
prospettate,  la  medesima  Avvocatura  eccepisce  l'inammissibilita'
delle questioni sollevate con riferimento agli artt. 23, 24, 97, 101,
104 e 136 Cost., per  difetto  di  motivazione  in  ordine  alla  non
manifesta infondatezza; 
        che, a sostegno della richiesta subordinata di  dichiarazione
di manifesta infondatezza delle  questioni,  la  difesa  dello  Stato
rileva che: a)  la  disposizione  censurata  ha  natura  genuinamente
interpretativa, perche',  prima  della  sua  entrata  in  vigore,  la
giurisprudenza della  Corte  di  cassazione,  «quantomeno  in  alcune
pronunce», aveva ritenuto tassabile ogni  provento  illecito  ed  era
quindi incerto il significato attribuibile al comma  4  dell'art.  14
della legge n. 537 del 1993, cosi' da legittimare l'emanazione di una
norma interpretativa; b) anche nel caso in cui il  suddetto  comma  4
potesse interpretarsi nel senso che alcuni proventi illeciti non sono
tassabili (in quanto non rientranti  in  alcuna  delle  categorie  di
reddito  di  cui  all'art.  6  del  d.P.R.  n.  917  del  1986),   la
disposizione censurata sarebbe ugualmente  legittima  e  ragionevole,
proprio perche' diretta ad eliminare  retroattivamente  -  cioe'  con
«effetto   sostanzialmente   equivalente   ad   una   pronuncia    di
incostituzionalita'» -  una  lacuna  legislativa  produttiva  di  una
ingiustificata disparita' di trattamento fiscale di diversi  tipi  di
proventi illeciti. 
    Considerato che la Commissione tributaria regionale della Toscana
dubita, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 97, 101, 104 e 136 della
Costituzione, della legittimita'  dell'art.  36,  comma  34-bis,  del
decreto-legge 4 luglio 2006  n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248; 
        che,  ad  avviso  del  giudice  rimettente,  la  disposizione
denunciata - stabilendo che il comma 4 dell'art. 14  della  legge  24
dicembre 1993, n. 537 (Interventi correttivi di finanza pubblica), si
interpreta nel senso  che  i  proventi  illeciti  in  esso  indicati,
qualora non siano classificabili nelle categorie di  reddito  di  cui
all'articolo 6,  comma  1,  del  d.P.R.  22  dicembre  1986,  n.  917
(Approvazione del testo  unico  delle  imposte  sui  redditi),  «sono
comunque considerati come redditi  diversi»  −  ha  natura  di  norma
innovativa e, pertanto, si autoqualifica indebitamente come norma  di
interpretazione autentica, perche'  sottopone  a  tassazione  in  via
retroattiva, quali «redditi diversi», anche i proventi illeciti  che,
in base al disposto degli artt. 6, comma 1, e 67 del  d.P.R.  n.  917
del 1986, non rientrano in detta categoria di redditi; 
        che, per la Commissione  tributaria  regionale,  la  suddetta
disposizione denunciata viola, pertanto: a) l'art. 3 Cost., sotto  il
profilo sia dei  «principi  di  ragionevolezza,  razionalita'  e  non
contraddizione»,  sia  del  «divieto  di  introdurre   ingiustificate
disparita'  di  trattamento»,  sia  della  «tutela   dell'affidamento
legittimamente sorto nei soggetti», sia, infine,  della  «coerenza  e
[...] certezza dell'ordinamento giuridico», b) gli artt. 23, 24,  97,
101, 104 e 136 Cost.; 
        che  le  questioni  sono  manifestamente  inammissibili   per
difetto di motivazione sulla rilevanza; 
        che  il  rimettente  muove  dal  duplice  presupposto  che  i
proventi ripresi a tassazione -  costituiti  da  somme  illecitamente
distratte,  in  favore  della  societa'  di  capitali   contribuente,
dall'amministratore di quest'ultima, il quale aveva agito a danno  di
altra societa' di capitali della quale egli aveva, parimenti, «poteri
di  rappresentanza  e  delega»  -  siano   illeciti   e   non   siano
classificabili in alcuna delle categorie di reddito di  cui  all'art.
6, comma 1, del d.P.R. n. 917 del  1986,  e,  in  particolare,  nella
categoria dei «redditi diversi»; 
        che, tuttavia, lo stesso rimettente, in ordine alla  asserita
non riconducibilita' di detti proventi alle menzionate  categorie  di
reddito (cioe' redditi fondiari; di capitale; di  lavoro  dipendente;
di lavoro autonomo; di impresa; diversi), si limita ad affermare  che
essi non rientrano in  alcuna  delle  ipotesi  di  «redditi  diversi»
elencate dall'art. 67 del citato d.P.R. n. 917 del 1986 ed omette  di
prendere in considerazione le altre categorie reddituali; 
        che, in particolare, la Commissione tributaria regionale  non
fornisce alcuna motivazione sulle ragioni per cui i proventi illeciti
ripresi a tassazione  non  siano  riconducibili  alla  categoria  dei
«redditi  d'impresa»  (menzionata  negli   avvisi   di   accertamento
impugnati dalla contribuente), motivazione tanto piu'  necessaria  in
quanto l'art. 95 del citato testo unico delle imposte sui  redditi  -
corrispondente  all'attuale  art.  81  -  qualifica   come   «reddito
d'impresa»,  in  forza  di  una  specifica  presunzione,  il  reddito
complessivo  delle  societa'  di  capitali,  indipendentemente  dalla
natura della fonte dalla quale esso derivi («Il  reddito  complessivo
delle societa' e degli enti commerciali di cui alle lettere a)  e  b)
del comma 1 dell'art. 73, da qualsiasi fonte provenga, e' considerato
reddito d'impresa ed e' determinato secondo le disposizioni di questa
sezione»); 
        che tale lacuna motivazionale in ordine alla possibilita'  di
classificare i suddetti proventi illeciti  nella  categoria  «reddito
d'impresa» - prevista dal comma 1, lettera e), dell'art. 6 del d.P.R.
n.  917  del  1986  -  si  risolve  in  un  difetto  di   motivazione
sull'applicabilita',  nel  giudizio   a   quo,   della   disposizione
censurata, la quale, come riconosce lo stesso rimettente, si  applica
solo «qualora» i proventi illeciti «non  siano  classificabili  nelle
categorie di reddito di cui all'articolo 6, comma 1,» citato; 
        che  tale  profilo  di  inammissibilita'   per   difetto   di
motivazione  sulla  rilevanza  delle  questioni,  risulta  assorbente
rispetto a quello ulteriore della totale assenza  di  motivazione  in
ordine alla non manifesta infondatezza delle questioni sollevate  con
riferimento ai parametri degli artt. 23, 24, 97, 101, 104 e 136 Cost. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita'  costituzionale  dell'art.   36,   comma   34-bis,   del
decreto-legge 4 luglio 2006  n.  223  (Disposizioni  urgenti  per  il
rilancio  economico   e   sociale,   per   il   contenimento   e   la
razionalizzazione della spesa pubblica, nonche' interventi in materia
di entrate e di  contrasto  all'evasione  fiscale),  convertito,  con
modificazioni, dalla legge 4  agosto  2006,  n.  248,  sollevate,  in
relazione  agli  artt.  3,  23,  24,  97,  101,  104  e   136   della
Costituzione, dalla Commissione tributaria  regionale  della  Toscana
con l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 15 novembre 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                         Il redattore: Gallo 
 
 
                      Il cancelliere: Di Paola 
 
    Depositata in cancelleria il 24 novembre 2010. 
 
              Il direttore della cancelleria: Di Paola