N. 379 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 marzo 2010
Ordinanza del 12 aprile 2010 emessa dal Tribunale di Rossano nei procedimenti civili riuniti promossi da Pometti Rosina ed altri contro I.N.P.S.. Previdenza - Braccianti agricoli a tempo determinato - Calcolo della retribuzione media convenzionale giornaliera ai fini della determinazione delle prestazioni pensionistiche - Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica, che il termine del 30 ottobre previsto dal terzo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, e' lo stesso di quello previsto dal secondo comma dell'art. 3 della stessa legge, per gli operai agricoli a tempo indeterminato - Violazione del principio di uguaglianza - Lesione delle garanzie previdenziali - Violazione del principio di capacita' contributiva - Lesione del principio del giusto processo - Violazione degli obblighi internazionali determinati dalla CEDU. - Legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 5. - Costituzione artt. 3, 38, comma secondo, 53, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma, in relazione agli artt. 6 e 14 della Convenzione per la salvaguardia diritti dell'uomo e liberta' fondamentali.(GU n.50 del 15-12-2010 )
IL TRIBUNALE Il Giudice di Rossano dott. Paolo Coppola, definitivamente sciogliendo la riserva posta alla udienza del 23 febbraio 2010 ha pronunciato la seguente ordinanza, nel procedimento n. 1438/09 R.G.A.C., ivi riunito il n. 1524/09 R.G.A.C. tra Pometti Rosina, nata a Longobucco (Cosenza) il 22 giugno 1939, rapp.ta e difesa in forza di procura a margine del ricorso introduttivo dall'avv. Roberto Parise ed elett.te dom.ta presso lo studio di questi in Cariati (Cosenza), via Salvo D'Acquisto, ricorrente e Zanfino Ada, nata a San Giorgio Albanese (Cosenza) il 30 luglio 1949, rapp.ta e difesa in forza di procura a margine del ricorso introduttivo dall'avv. Patrizia Pistola ed elett.te dom.ta presso lo studio della stessa in Corigliano Calabro (Cosenza), via Nazionale n. 59, ricorrente. Contro Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, in persona del Presidente pro tempore, rapp.to e difeso dall'avv. Marcello Camovale ed elett.te dom.to presso la sede di Rossano in via Acqua di Vale resistente. Per il riconoscimento del diritto al ricalcolo dei contributi accreditati quali operai agricoli a tempo determinato. Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue. F a t t o Con analoghi ricorsi, depositati rispettivamente in data 23 aprile 2009 ed in data 4 maggio 2009, gli istanti convenivano in giudizio l'INPS esponendo: che erano titolari di pensione categoria VO dopo avere lavorato come operai agricoli a tempo determinato; che l'INPS, nel determinare la pensione, aveva applicato erroneamente l'art. 28 del d.P.R. n. 488/1968; che infatti, nel calcolare la pensione dovuta agli istanti, l'istituto aveva fatto riferimento al salario medio convenzionale non gia' dell'anno in cui il lavoro era stato prestato, ma di quello antecedente. Tanto Premesso convenivano in giudizio l'I.N.P.S. chiedendo la declaratoria del loro diritto ad ottenere la riliquidazione della pensione di vecchiaia in godimento sulla base del salario medio convenzionale vigente per l'anno in cui il lavoro era stato prestato, nonche' la condanna dell'INPS alla ricostruzione della pensione ed alla corresponsione delle differenze mensili. Instauratosi il contraddittorio, l'istituto, si costituiva in giudizio allegando nel merito la correttezza del proprio operato in applicazione dell'art. 4 d.lgs. n. 146/1997. Tanto Premesso concludeva per l'accoglimento delle eccezioni preliminari e, nel merito, per il rigetto della domanda, con vittoria spese. Questo giudice, riuniva i ricorsi per identita' di materia. D i r i t t o Questo giudice dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 che ha previsto che il terzo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche e per il calcolo della contribuzione degli operai agricoli a tempo determinato e' il medesimo di quello previsto al secondo comma dell'art. 3 della citata legge n. 457 del 1972 per gli operai a tempo indeterminato. Rilevanza. La questione e' rilevante, considerato che la disposizione indicata viene a disciplinare, con chiara efficacia sulla controversia in esame, il sistema di accredito contributivo ed il calcolo consequenziale della pensione. In particolare questo giudice ha costantemente ritenuto che la questione di cui e' causa e' stata oggetto di plurime pronunce da parte della Corte di cassazione, Sezione Lavoro, che costituivano orientamento costante (cfr. Seni. nn. 2377/07, 2378/07, 2643/07 3212/07, 3472/07); le conclusioni cui e' giunta con le sentenze indicate meritano integrale condivisione per la intrinseca logicita' della motivazione adottata. La pensione di vecchiaia degli operai agricoli a tempo determinato deve essere determinata, ex art. 28 d.P.R. n. 488 del 1968 («Aumento e nuovo sistema di calcolo delle pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria»), sulla base delle retribuzioni medie vigenti per ciascun anno, («in rapporto alle retribuzioni medie da determinarsi annualmente per provincia»), come peraltro confermato dall'art. 3, terzo comma, della legge n. 457 del 1972 che espressamente statuisce che «per i giornalieri di campagna l'ammontare della retribuzione.... ..... e' costituito dalla media tra le retribuzioni .... ..... vigenti al 30 ottobre di ogni anno» e non dell'anno precedente (disposizione la cui efficacia e' stata prorogata dal d.l. 1° luglio 1972, n. 287, come convertito dalla legge 8 agosto 1972, n. 459, art. 8. Detta disposizione costituisce applicazione della regola generale di cui all'art. 5, comma 6, che prevedeva che, «quando la contribuzione si effettua su salari medi o convenzionali, la retribuzione pensionabile si determina sulla base delle retribuzioni medie o convenzionali medesime» (Cass. Civ. sez. lav. n. 2377/07). «I decreti ministeriali di determinazione delle retribuzioni medie giornaliere, emanati annualmente e vincolanti per gli istituti previdenziali, hanno sempre fatto riferimento ai dati salariali relativi all'anno precedente alla loro emanazione per entrambe le categorie sopra indicate (dipendenti a tempo indeterminato e dipendenti a tempo determinato), adottando cosi', sostanzialmente, come criterio unico di rilevazione quello (meno favorevole al beneficiario) previsto per gli operai a tempo indeterminato, intendendo cosi' verosimilmente assicurare un trattamento omogeneo a soggetti operanti nell'ambito dello stesso settore lavorativo e realizzare una piu' semplice e rapida procedura di liquidazione, in via definitiva, dell'indennita' di malattia» (cosi' la cassazione nelle sentenze citate), ma detta prassi e' stata costantemente giudicata dalla cassazione illegittima, se non seguita da conguaglio per i salariati a tempo determinato (Cass. 14 gennaio 1978, n. 187, 15 maggio 1981, n. 3212 e 22 maggio 1980, n. 3394). Su detto disposto normativo e', in relazione alle indennita' di cui sopra, intervenuto l'art. 45, comma 21, legge n. 144/1999, che con norma di interpretazione autentica, ha parificato con efficacia retroattiva i due diversi metodi di calcolo delle indennita' temporanee. In ogni caso anche a valere ritenere detta disposizione operante per il calcolo della retribuzione utile per il diritto a pensione, deve rilevarsi che l'art. 3, terzo comma, della legge n. 457 del 1972 espressamente statuisce in relazione alle pensioni che «per i giornalieri di campagna l'ammontare della retribuzione..... .... e' costituito dalla media tra le retribuzioni ..... ..... vigenti al 30 ottobre di ogni anno» e non dell'anno precedente. Non e' di ostacolo alla operativita' dell'art. 3, comma 3, nel senso di cui alla indicata interpretazione, l'art. 45, comma 21 della legge n. 144/1999 che espressamente trova limitata la propria operativita' alla «determinazione della retribuzione media da porre a base per la liquidazione delle prestazioni temporanee» e non ad altri effetti........ Recentemente la Cassazione civile sezione lavoro e' intervenuta in subiecta materia con la Sentenza n. 2531/2009; la stessa ad avviso di questo giudice non e' condivisibile nelle sue conclusioni, opposte al precedente orientamento, perche' contiene un errore interpretativo nel seguente passo: «e' pacifico che i decreti ministeriali di determinazione delle retribuzioni medie giornaliere, emanati annualmente e vincolanti per gli istituti previdenziali, hanno sempre fatto riferimento ai dati dei salari relativi all'anno precedente alla loro emanazione. Il decreto ministeriale non puo' infatti che intervenire nell'anno successivo a quello della rilevazione delle retribuzioni stabilite dalla contrattazione collettiva di categoria a livello provinciale». Che sia pacifico che «i decreti ministeriali di determinazione delle retribuzioni medie giornaliere hanno sempre fatto riferimento ai dati dei salari relativi all'anno precedente alla loro emanazione» non comporta necessariamente la sua legittimita'. Non e' vero infatti che «il decreto ministeriale non puo' infatti che intervenire nell'anno successivo a quello della rilevazione delle retribuzioni stabilite dalla contrattazione collettiva di categoria a livello provinciale» perche' la contrattazione e' normalmente precedente il 30 ottobre, scadendo i contratti il 31 dicembre di ciascun anno. Al primo gennaio e' possibile nella ordinaria dinamica contrattuale, conoscere quale sara' la retribuzione media rilevabile al 30 ottobre successivo ed anzi detta rilevazione e' sovente possibile anche anni prima, come sara' dato vedere in prosieguo. Viene meno quindi l'argomento asseritamene dirimente della indicata Sentenza n. 2531/2009. L'art. 3, terzo comma, della legge n. 457 del 1972 espressamente statuisce, in relazione alle pensioni, che «per i giornalieri di campagna l'ammontare della retribuzione...... ..... e' costituito dalla media tra le retribuzioni ..... ..... vigenti al 30 ottobre di ogni anno»; considerato che quale sara' la retribuzione «vigente» e' possibile verificarlo da parte del Ministro preposto gia' ben prima, deve rilevarsi che, se del caso, si tratta di una tardiva rilevazione che non puo' riverberarsi in danno dell'istante, in mancanza di disposizione normativa in tal senso. La disposizione indicata, conclusivamente, pone il criterio della vigenza della retribuzione al 30 ottobre, la stessa si determina sulla base di un contratto di durata quadriennale, e che e' in vigore dal 1° gennaio dell'anno, per cui e' possibile determinare le retribuzioni vigenti al 30 ottobre da ben prima, non essendo necessarie complesse operazioni, ma solo effettuare una semplice media tra le retribuzioni basate su contratti che disciplinano anche la data del 30 ottobre. Si deve osservare che solitamente la retribuzione media di cui ai contratti provinciali, al 30 ottobre, e' rilevabile anche anni prima, visto il normale periodo di durata dei contratti integrativi provinciali. E' possibile quindi adottare il criterio in parola ed anzi lo stesso e' l'unico conforme al dettato normativo di cui all'art. 3, terzo comma, legge n. 457/1972. Inoltre deve darsi atto come il riferimento al 30 ottobre per il rilevamento delle retribuzioni depone chiaramente per l'accredito delle contribuzioni sulle retribuzioni effettive dell'anno in corso. Infatti il riferimento al 30 ottobre e' correlato al primo periodo di paga nel quale la occupazione agricola tocca l'apice (causa stagionalita'). Da qui la evidente conclusione che il legislatore ha voluto agganciare la retribuzione da considerare al dato reale annuale (reale perche' numericamente piu' imponente). Detta ovvia considerazione depone nel senso che appare non solo contro la lettera, ma anche contro le finalita' della norma il riferimento nell'accredito contributivo alle retribuzioni dell'anno precedente. Detto criterio e' altresi' conforme al disposto di cui all'art. 28 del d.P.R. n. 488/1968 che espressamente afferma (comma 1) che «i contributi base dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, sono dovuti rapporto alle retribuzioni medie da determinarsi annualmente per provincia, con decreto del Ministro per il lavoro e la previdenza sociale... .... sulla base delle retribuzioni risultanti dai contratti collettivi di lavoro stipulati per le suddette categorie di lavoratori dalle organizzazioni sindacali interessate». Le retribuzioni risultanti sono tali dalla data di stipula della contrattazione e tali rimangono per l'intero periodo di vigenza del contratto cui si riferiscono: ben possono essere «determinati annualmente.... ..... sulla base delle retribuzioni risultanti dai contratti collettivi di lavoro», dalla data di stipula degli stessi. Neppure e' di ostacolo a siffatta interpretazione la circostanza che potrebbe esservi una vacanza contrattuale piu' o meno lunga, considerata la ultra attivita' della contrattazione che determina che al 1° gennaio dell'anno in cui il contratto venga a scadere, sia ultra attivo questo, fino alla stipula del nuovo. Conclusivamente al 1° gennaio di ciascun anno e' possibile rilevare la retribuzione del 30 ottobre successivo sulla scorta del CCNL vigente o «naturalmente», perche' non scaduto, o in forza della sua ultra attivita'. Invero, proprio perche' si devono rilevare le retribuzioni da porre come base di calcolo dei contributi da accreditare e pagare, la rilevazione delle retribuzioni medie che saranno in vigore al 30 ottobre di ciascun anno dovrebbe essere effettuata appena possibile, considerato che il «rilevamento» in alcuni casi e' consentito addirittura da oltre tre anni. Nulla prova il punto 8 della Sentenza in esame che e' assiomatico («se cosi' non fosse il sistema non sarebbe in grado di funzionare....... non vi sarebbe la possibilita' di effettuare il rilevamento sulla base di un parametro non ancora rilevato, come la media delle retribuzioni contrattuali dell'anno in corso.... vi e' quindi simmetria tra pensioni e contributi da versare..... non sarebbe possibile differenziare....... condurrebbe sicuramente ad uno squilibrio economico»), perche' da un lato la mancata rilevazione del parametro e' una attivita' non espletata per ragioni, come detto, a-giuridiche e dall'altro che la divergenza potrebbe essere insita nel sistema, considerato che lo scostamento e' limitato. Inoltre ad avviso di questo giudicante non vi e' alcuna divergenza giuridica, ma la stessa e' il frutto di una mera mancata ed ingiustificata verifica tempestiva del disposto dei contratti e di effettuazione della media delle retribuzioni ivi stabilite (detta terminologia ad avviso dello scrivente meglio si adatta alla attivita' da effettuare rispetto a «rilevazione» che evoca una attivita' di chissa' quale complessita', non evincibile in concreto). Quanto al punto 9 della Sentenza della Corte di cassazione n. 2531/2009, deve semplicemente osservarsi che non sarebbe necessaria una liquidazione provvisoria ove le retribuzioni, la cui vigenza e' pattuita sin dalla data di firma della contrattazione, venissero indicate tempestivamente dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Sulla scora di queste argomentazioni e sostanzialmente della applicabilita' alla fattispecie de qua dell'art. 28 del d.P.R. n. 488/1968 le questioni sono state accolte. La c.d. «legge interpretativa», della cui legittimita' costituzionale questo giudice dubita, ha modificato la norma di riferimento, con efficacia retroattiva, quindi applicabile alle controversie di cui e' causa. Infatti nel prevedere che il terzo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, si interpreta nel senso che il termine ivi previsto del 30 ottobre per la rilevazione della media tra le retribuzioni per le diverse qualifiche previste dai contratti collettivi provinciali di lavoro ai fini della determinazione della retribuzione media convenzionale da porre a base per le prestazioni pensionistiche, impone di ritenere applicabile non l'art. 28 del d.P.R. n. 488/1968, ma il terzo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, come interpretato: detta disposizione impone il rigetto della domanda poiche' il secondo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457 si riferisce alle retribuzioni come rilevate l'anno precedente (media della retribuzione prevista per ciascuna qualifica dai contratti collettivi provinciali vigenti al 30 ottobre dell'anno precedente), ovvero come accreditate dall'INPS. Non manifesta infondatezza. Quanto alla non manifesta infondatezza deve rilevarsi quanto segue. Non vi era contrasto interpretativo circa il fatto che la disposizione interpretata disciplinasse solo le prestazioni temporanee in agricoltura e non l'accredito contributivo e, conseguenzialmente, la misura della pensione (Corte di cassazione, sez. Lavoro, Sent. nn. 2377/07, 2378/07, 2643/07, 3212/07, 3472/07 e nn. 2531/09, 2596/09, 4355/09). In particolare il primo orientamento ha rafforzato la opzione interpretativa a favore dei pensionati, anche alla luce della disposizione poi oggetto di asserita interpretazione autentica, ma la circostanza che la legge n. 257 del 1972, art. 3 si riferisce solo al calcolo delle prestazioni temporanee, costituisce argomento ultroneo, autonomo ed indipendente (La tesi e' fondata, in considerazione di una pluralita' di ragioni, che pur partendo da diversi presupposti interpretativi, convergono tutte in tal senso. In primo luogo, la legge n. 257 del 1972, art. 3 si presta ad una duplice interpretazione: o nel senso che esso si riferisca solo al calcolo delle prestazioni temporanee (come sembra piu' corretto), ovvero nel senso che esso si riferisca anche al calcolo della pensione. Con la prima opzione, ritenendo che esso si riferisce esclusivamente ai criteri di determinazione della retribuzione ai fini della indennita' di malattia, di maternita' e di disoccupazione, dovrebbe concludersi che invece nulla e' cambiato per il calcolo della pensione: la retribuzione pensionabile di ciascun anno si conferma quella di cui al d.P.R. n. 488 del 1968, art. 28, derivante dal calcolo delle «retribuzioni medie da determinarsi annualmente per provincia»; occorre quindi prendere come base pensionabile la media delle retribuzioni rilevate per ciascun anno e quindi, se i decreti ministeriali registrano la media delle retribuzioni dell'anno precedente alla loro emanazione, occorrera' prendere a base le medie di cui al decreto ministeriale dell'anno successivo). Detta tesi e' assolutamente riscontrata anche dal secondo orientamento (contrario agli istanti (cfr. in particolare punti 6 e 7 della Sentenza n. 2531/09: Si sottolinea con il ricorso di primo grado che, se questo e' il sistema, la retribuzione pensionabile da prendere in considerazione e' si quella fissata nei decreti ministeriali emanati ai sensi del d.P.R. n. 488 del 1968, art. 28, ma, per ogni anno, dovrebbe farsi riferimento al salario medio convenzionale risultante - non gia' del decreto emanato in quel medesimo anno, perche' questo determina il salario medio convenzionale dell'anno precedente - ma a quello risultante dal decreto ministeriale emanato nell'anno successivo, perche' solo in tal modo vi sarebbe la corrispondenza, per ciascun anno, tra retribuzione pensionabile e retribuzione riferita al lavoro prestato. La tesi non e' condivisibile. 7. Ed infatti il d.P.R. del 1968 rimanda direttamente, per la determinazione della retribuzione pensionabile, ai decreti ministeriali, i quali, inevitabilmente, non possono che rilevare le medie sulla base delle retribuzioni fissate dai contratti collettivi provinciali dell'anno precedente. Vi e' quindi sicuramente una discrasia tra i dati del decreto e quelli concernenti i dati retributivi provinciali, ma detta discrasia e' insita nel sistema e quindi la sua legittimita' e' presupposta. Se non e' possibile determinare, con sufficiente precisione e semplicita' di calcolo, la retribuzione pensionabile sulla base di quella effettivamente percepita o comunque dovuta - perche' non lo consente la frammentazione dei rapporti di lavoro degli operai agricoli a tempo determinato, che non percepiscono, nel corso di ciascun anno, retribuzioni in misura costante - e' giocoforza ricorrere ad un sistema di conteggio in qualche modo forfetizzato, che pero', al pari di quanto avviene per le altre categorie di lavoratori, sia commisurato alle retribuzioni spettanti e quindi percepite, dal momento che il parametro da usare e' pur sempre quello determinato dalla contrattazione collettiva provinciale. La impossibilita' di adottare un sistema di conteggio diverso giustifica invero la discrasia che sopra si e' rilevata tra il decreto e l'anno cui si riferisce la contrattazione collettiva provinciale). Ne deriva che il legislatore ha interpretato autenticamente una disposizione in relazione alla quale non sussisteva alcun contrasto interpretativo circa la sua inapplicabilita' al regime pensionistico/contributivo: non vi era alcun dubbio interpretativo circa il fatto che la disposizione poi interpretata non riguardasse la materia de qua. Il legislatore di contro, con norma asseritamente interpretativa, ha esteso l'ambito di operativita' dell'art. 3, comma 3, della legge n. 457/1970, cosi' innovando, con efficacia retroattiva, al sistema normativo preesistente, che vedeva l'accredito contributivo disciplinato esclusivamente dall'art. 28 del d.P.R. n. 488/1968, incidendo direttamente su crediti pensionistici gia' nel patrimonio degli istanti. Ne deriva che la disposizione in esame appare violare numerose disposizioni della Costituzione, quali gli artt. 3, 38, 53, 111 e 117. Art. 3 della Costituzione. Appaiono esservi dubbi di legittimita' costituzionale in ordine agli art. 3 della Costituzione apparendo la disposizione sospettata irragionevole ed in evidente contrasto con lo scopo manifestato. Sul punto deve darsi atto che il legislatore, con una disposizione asseritamente interpretativa, ha esteso la portata di una disposizione normativa, per quanto gia' detto, pacificamente inapplicabile alla fattispecie, al fine di non adeguare le pensioni degli operai agricoli a tempo determinato, cosi' evitando la condanna in un contenzioso seriale. Lo scopo reale della disposizione appare ancor piu' evidente, ove si osservi che la disposizione interpretativa avrebbe dovuto operare sull'unica disposizione disciplinante la materia, il predetto art. 28 del d.P.R. n. 488/1968. In tal modo il legislatore non si sarebbe pero' sottratto ad una chiara censura sub specie di violazione dell'art. 76 della Costituzione, visti gli evidenti limiti della delega sulla scorta della quale e' stato adottato il d.P.R. (art. 39 della legge 21 luglio 1965, n. 903). L'art. 2, comma 5, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 doveva quindi necessariamente operare sul terzo comma dell'art. 3 della legge 8 agosto 1972, n. 457, al fine di raggiungere lo scopo di evitare possibili condanne e sottrarsi a detta censura. Appare quindi evidente il sospetto di irragionevolezza della disposizione. Invero la irragionevolezza appare ancora piu' grave ove si osservi che in realta' la disposizione in esame determina una discriminazione basata sulle condizioni sociali degli istanti. E' fatto notorio che i braccianti agricoli solitamente provengono dalle categoria socialmente ed economicamente piu' basse della societa': considerato che solo per detta categoria di lavoratori si valuta, al fine della determinazione della base pensionabile, il piu' basso salario dell'anno precedente, appare evidente una discriminazione in sfavore di categorie deboli. Artt. 111 e 117, comma 1, della Costituzione. Sotto altro profilo sussistono dubbi di un contrasto diretto con l'art. 117 della Costituzione, per violazione degli obblighi internazionali ed in particolare dell'art 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 (infra CEDU), ratificata e resa esecutiva con la legge n. 848/1955. Infatti, con riferimento all'art 6 CEDU, Corte europea dei diritti dell'uomo ha costantemente affermato (Corte europea dei diritti dell'uomo quinta Sezione UNEDIC c. Francia, ricorso n. 20153/2004, Sentenza 18 dicembre 2008) che se, in principio, al potere legislativo non e' impedito regolamentare in materia civile, con nuove disposizioni a portata retroattiva, i diritti derivanti da leggi in vigore, il principio della prevalenza del diritto e la nozione del processo equo sanciti dall'art. 6 vengono si oppongono, salvo che nel caso di motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione nella giustizia allo scopo di influire sulla conclusione giudiziaria della causa (sentenze Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis c. Grecia, 9 dicembre 1994, § 49, serie A n. 301-B, National & Provincial Building Society, Leeds Permanent Building Society e Yorkshire Building Society c. Regno Unito, 23 ottobre 1997, § 112, Raccolta delle sentenze e decisioni 1997-VIL e Zielinski e Pradal e Gonzalez et c. Francia [GC], nn. 24846/94 e da 34165/96 a 34173/96, § 57, CEDH 1999-VIL). Nel caso di specie non appaiono sussistere motivi imperativi di interesse generale, all'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione nella giustizia allo scopo di influire sulla conclusione giudiziaria della presente causa, gia' pendente al momento della adozione della disposizione asseritamente interpretativa: l'unico motivo espressamente paventato, che invero in ogni caso non appare imperativo, come detto non sussiste. Inoltre, detta disposizione appare porsi in contrasto anche con l'art. 111, primo e secondo comma, Cost., interpretato alla luce dell'art. 6 della CEDU (Corte costituzionale, sentenza n. 505 del 1995, ordinanza n. 305 del 2001, sentenza n. 231 del 2004), poiche' la previsione della sua applicabilita' ai giudizi in corso viola il principio del giusto processo, in particolare sotto il profilo della parita' delle parti, da ritenersi leso da un intervento del legislatore diretto ad imporre una determinata soluzione ad una circoscritta e specifica categoria di controversie. Questo giudice conosce l'orientamento della Corte costituzionale in merito ai limiti della ingerenza del potere legislativo con riferimento agli artt. 24 della Costituzione, ma ritiene che non siano conferenti alla ratio della presente remissione, in quanto fondata anche sull'art. 117 della Costituzione in relazione alla portata precettiva della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, come interpretata dalla preposta Corte di Strasburgo (nello stesso senso Corte costituzionale, Sentenza n. 349/07). Ancora sussiste possibile violazione dell'art 117, comma 1 della Costituzione per violazione dell'art. 14 della CEDU che vieta discriminazioni per l'origine sociale e per la ricchezza nell'ambito di applicazione della convenzione. Si verte nell'ambito di applicazione della convenzione ed in particolare, come visto, dell'art. 6. La disposizione sospettata interviene nei confronti di (contro) una sola categoria di soggetti che si caratterizza in via generale (fatto notorio) per appartenere a settori della societa' socialmente (per estrazione sociale e culturale) ed economicamente deboli. Gli stessi sono peraltro addirittura lavoratori dipendenti precari, con contratti di lavoro non stabili ed anzi stagionali, quindi in situazione di sfavore da un punto di vista economico/lavorativo rispetto ad ogni altra categoria di lavoratori (precari con retribuzioni tra le piu' basse riscontrabili). Ai fini dell'art. 14, una differenza di trattamento tra persone che si trovano in situazioni analoghe o molto simili e' discriminatoria se non ha una giustificazione oggettiva e ragionevole, cioe' se non persegue uno scopo legittimo o se non esiste un ragionevole legame di proporzionalita' tra i mezzi impiegati e l'obiettivo che si vuole realizzare (Corte europea dei diritti dell'uomo quarta sezione ricorso n. 23800/06 John Shelley contro il Regno Unito). Nel caso che interessa appare una possibile doppia discriminazione: da un lato i precari della agricoltura rispetto al resto del precariato, che vede la propria contribuzione correlata alla retribuzione reale, e, dall'altro, gli operai agricoli rispetto agli altri lavoratori dipendenti, che vedono le loro contribuzioni correlate alla retribuzione reale (la contribuzione e' versata sulla base della retribuzione reale ex art. 12, legge n. 153/1969; la pensione e' calcolata sulla base dei contributi versati e/o della retribuzione percepita, ex legge n. 355/1995) e non a quello del'anno antecedente: ne deriva un possibile contrasto con l'art. 117 della Costituzione. Artt. 3, 38 e 53 della Costituzione. Ancora appaiono esservi dubbi di legittimita' costituzionale in ordine agli artt. 3, 38, comma 2, e 53 della Costituzione. La sentenza conclusiva dei procedimenti di cui e' causa e' sentenza di condanna che accerta un credito gia' nel patrimonio giuridico degli istanti e conseguenzialmente, eventualmente, condanna parte convenuta. Cosi' posta la questione, e' evidente che la disposizione sospettata incide su un rapporto di credito/debito. L'effetto determinato dall'art. 2, comma 5, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 e' quindi quello di determinare l'estinzione del diritto di credito del pensionato anche alle differenze dei ratei di pensione infratemporalmente maturati. A fronte di cio' l'estinzione del debito in forza di disposizione legislativa. La disposizione in esame priva una parte, ovvero il pensionato/assistito, anche di parte della pensione gia' maturata (differenze nei ratei), con violazione degli artt. 3 e 38, comma 2, della Costituzione, avendo il legislatore, con la disposizione sospettata, previsto l'elisione di questo diritto, gia' presente nel patrimonio delle posizioni giuridiche degli istanti, in assenza di apprezzabile giustificazione, essendo quella esplicitata dalla disposizione in esame, ovvero l'interpretazione di disposizione normativa, inesistente. La Carta costituzionale prevede poche e circoscritte ipotesi in cui una persona possa essere privata di diritti, ovvero obbligata a prestazioni e cio' sempre in favore dello Stato (art. 53, obbligo di concorrere alle spese pubbliche), ovvero anche di privati (artt. 42 e 43), ma sempre a fronte di specifici motivi d'interesse generale. Nel caso di specie invece la disposizione in esame, per determinati soggetti, in condizioni deboli (pensionati con redditi minimi, trattandosi di pensioni agricole) ha previsto che questi siano privati di diritti gia' entrati nel loro patrimonio. Si tratta quindi di una disposizione latu sensu ablatoria, adottata al di fuori delle ipotesi previste dalla Costituzione, che impone un sacrificio ad una sola categoria di soggetti, deboli, in favore dell'INPS. L'effetto e' quindi quello di una disposizione con efficacia retroattiva che viola un fondamentale valore di civilta' giuridica e principio generale dell'ordinamento, cui il legislatore deve, in linea di principio, attenersi, che, pur non elevato a dignita' costituzionale, salva la previsione dell'art. 25 Cost. relativo alla materia penale, consente al legislatore ordinario emanare norme retroattive solo ove esse trovino adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si pongano in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti cosi' da incidere arbitrariamente sulle situazioni sostanziali poste in essere da leggi precedenti (Corte costituzionale, sent. n. 229 del 1999, 432 del 1997, 153 e 6 del 1994, 283 del 1993, 419 del 2000). Tanto premesso gli atti vanno rimessi al Giudice delle leggi per le sue valutazioni in merito.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei termini di cui in motivazione, la questione di costituzionalita' dell'art. 2, comma 5, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 per violazione degli artt. 3, 38, 53, 111 e 117 della Costituzione. Sospende il giudizio in corso e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri ed alle parti in causa. Cosi' deciso in Rossano il 25 marzo 2010. Il Giudice: Coppola