N. 359 SENTENZA 13 - 17 dicembre 2010

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Configurazione come reato della condotta dello  straniero
  che, gia' destinatario del provvedimento  di  espulsione  e  di  un
  nuovo ordine di allontanamento ai sensi dei  commi  5-bis  e  5-ter
  dell'art. 14 del d.lgs. n.  286  del  1998,  continua  a  permanere
  illegalmente   nel   territorio   dello   Stato    -    Punibilita'
  dell'inottemperanza all'ordine di allontanamento nel solo caso  che
  abbia  luogo  «senza  giustificato  motivo»,  secondo  quanto  gia'
  previsto per la condotta di cui al suddetto comma 5-ter  -  Mancata
  previsione - Irragionevole differenziazione normativa di situazioni
  identiche   -   Violazione   del   principio   di   uguaglianza   -
  Illegittimita' costituzionale in parte  qua  -  Assorbimento  delle
  ulteriori censure. 
- D.lgs. 25 luglio 1998,  n.  286,  art.  14,  comma  5-quater,  come
  modificato dall'art. 1, comma 22, lett. m), della legge  15  luglio
  2009, n. 94. 
- Costituzione, art. 3, primo comma (artt. 2, 25,  secondo  comma,  e
  27). 
(GU n.51 del 22-12-2010 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma
5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 1,
comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica), promosso dal Tribunale di  Voghera
con ordinanza dell'8 gennaio 2010, iscritta al n.  107  del  registro
ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010  il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Voghera  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza dell'8 gennaio 2010, ha sollevato  -  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione -
questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   14,   comma
5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 1,
comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica), nella parte in  cui  non  esclude,
quando  ricorra  un  «giustificato  motivo»,  la  punibilita'   dello
straniero che, gia' destinatario di un provvedimento di espulsione  e
di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi  5-ter  e
5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato. 
    Il rimettente procede nei confronti di  una  cittadina  straniera
destinataria, per la quarta volta, di una intimazione del questore  a
lasciare  il  territorio  nazionale,  dopo  che   aveva   omesso   di
ottemperare ai tre precedenti provvedimenti, riportando tre  distinte
condanne per il delitto di cui all'art. 14, comma 5-ter,  del  d.lgs.
n. 286 del 1998. L'interessata e' stata reperita e tratta in  arresto
il 3 gennaio 2010, dopo la scadenza del  nuovo  termine  assegnatole,
mentre soggiornava nel sottoscala di uno stabile  abbandonato,  privo
di ogni servizio  essenziale  e  di  riscaldamento,  pur  essendo  la
temperatura dell'ambiente di molto inferiore allo zero. 
    Proprio le  condizioni  di  estrema  indigenza  dell'interessata,
secondo il Tribunale, le avrebbero impedito di lasciare il territorio
nazionale con i propri mezzi, dando vita ad un «giustificato  motivo»
nell'accezione che l'espressione avrebbe assunto, anche a seguito del
lavoro  interpretativo  della  giurisprudenza,   in   rapporto   alla
fattispecie di inottemperanza prevista al comma 5-ter del citato art.
14. Sennonche' - osserva il rimettente - la condotta dell'imputata e'
ormai qualificabile secondo il testo novellato  del  comma  5-quater,
che sanziona appunto l'inottemperanza dello straniero raggiunto da un
decreto di espulsione emesso a norma del precedente comma 5-ter. E la
nuova previsione non subordina la  punibilita'  della  condotta  alla
carenza di un «giustificato motivo» per l'inadempimento. 
    1.1. - In via  preliminare,  il  giudice  a  quo  rileva  che  la
disciplina del fenomeno migratorio spetta ovviamente al  legislatore,
la cui discrezionalita', tuttavia, non  legittima  norme  in  diretto
contrasto con i precetti costituzionali. 
    Sarebbe  questo  il  caso  della  disposizione  censurata,   che,
anzitutto,  violerebbe  l'art.  3  Cost.,  per  la   difformita'   di
trattamento introdotta rispetto al fatto di inottemperanza sanzionato
dal comma 5-ter dell'art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, punito  solo
quando sia commesso «senza giustificato motivo». 
    La  giurisprudenza  costituzionale  avrebbe  chiarito   come   la
previsione di non  punibilita'  valga  ad  evitare  il  sanzionamento
dell'omissione di adempimenti sostanzialmente inesigibili,  anche  in
forza di una  condizione  di  assoluta  impossidenza  (e'  citata  la
sentenza n. 5 del 2004). D'altra parte,  secondo  il  rimettente,  la
mancanza della «clausola di salvezza» non sarebbe  giustificabile  in
base  alla  specifica  esigenza  che,  con  la  riforma  della  norma
censurata, il legislatore avrebbe inteso assicurare. 
    L'intervento riformatore del 2009 sarebbe dovuto, in particolare,
ad una situazione di  concreta  paralisi  dei  meccanismi  espulsivi,
determinata dal raccordo tra i commi 5-ter e 5-quater  dell'art.  14,
nel testo antecedente alla novella. La prima  disposizione  stabiliva
che, nei  confronti  dello  straniero  inottemperante  all'ordine  di
allontanamento, si procedesse «in ogni caso [...] all'adozione di  un
nuovo provvedimento di espulsione con accompagnamento alla  frontiera
a mezzo della forza pubblica».  L'ipotesi  che  lo  stesso  straniero
venisse successivamente «trovato» nel territorio  nazionale  sembrava
atteggiarsi,  di  conseguenza,  a  fattispecie  sanzionatoria  di  un
indebito reingresso dell'interessato (comma 5-quater). 
    Una parte della giurisprudenza, in tale contesto,  aveva  escluso
la  rilevanza  penale  dell'inottemperanza   al   nuovo   ordine   di
allontanamento impartito dopo il decreto di espulsione  ex  art.  14,
comma 5-ter, considerando il  ricorso  all'intimazione  del  questore
illegittimo  in  forza  della  norma  che  impone,  «in  ogni  caso»,
l'accompagnamento per mezzo della forza pubblica fino alla  frontiera
dello Stato (e' citata la sentenza della Corte di cassazione n. 17878
del 2004). 
    E' vero  -  prosegue  il  rimettente  -  che  secondo  una  parte
ulteriore della giurisprudenza la prescritta  adozione  di  un  nuovo
provvedimento espulsivo comportava una  sorta  di  azzeramento  della
procedura, e dunque la possibilita'  di  eseguire  il  nuovo  decreto
anche  mediante  intimazione,  con  l'effetto  di   interrompere   la
permanenza del primo reato di inottemperanza,  e  di  determinare  la
responsabilita' dello straniero per un nuovo ed autonomo reato  dello
stesso genere (e' citata la sentenza della  Corte  di  cassazione  n.
2022 - recte: n. 24148 - del 2004). La soluzione,  tuttavia,  sarebbe
stata incompatibile con la ratio della  speciale  disciplina  dettata
per  il  «recidivo»,  ed  anche  con  le  indicazioni   letterali   e
sistematiche desumibili dai commi 5-ter, 5-quater e 5-quinquies dello
stesso art. 14. 
    L'affermazione dell'indirizzo contrario alla configurabilita' del
reato di indebito trattenimento dopo una «reiterata» intimazione  del
questore - sempre a parere del Tribunale -  avrebbe  determinato  una
«paralisi  del  sistema».  Con  la  novella  del  2009,  quindi,   il
legislatore avrebbe inteso reintrodurre la possibilita'  di  eseguire
il  provvedimento  espulsivo  mediante  intimazione,   nel   contempo
regolando  nel  senso  dell'autonoma  rilevanza  penale   l'eventuale
inottemperanza dello straniero all'ordine di lasciare, con  i  propri
mezzi, il territorio dello Stato. 
    Il rimettente assume che la soluzione del quesito circa  l'omessa
valorizzazione del «giustificato  motivo»  non  sarebbe  pregiudicata
dall'ordinanza  della  Corte   costituzionale   n.   41   del   2009,
dichiarativa della infondatezza di  analoga  questione  proposta  con
riguardo al testo allora vigente del comma 5-quater dell'art. 14.  La
decisione della Corte era stata motivata in base alla  disomogeneita'
della fattispecie rispetto a quella regolata dal comma 5-ter: in quel
contesto normativo, infatti, la norma censurata  sanzionava  condotte
«commissive»  di  reingresso  nel   territorio   dello   Stato   dopo
l'espulsione, mentre quella evocata  in  comparazione  riguardava,  e
riguarda, l'omissione degli adempimenti necessari ad interrompere  la
permanenza illegale. Una  analogia  strutturale  tra  le  condotte  -
osserva il rimettente - che non fa invece difetto per la nuova figura
di reato delineata al comma 5-quater, la quale a sua  volta  consiste
nella mancata attivazione dello straniero al fine di interrompere  la
propria situazione di soggiorno irregolare. 
    1.2. - La disposizione censurata -  secondo  il  Tribunale  -  si
troverebbe in contrasto anche con il secondo comma dell'art. 25 e con
l'art. 27 della  Costituzione,  in  quanto  lesiva  dei  principi  di
offensivita' e di personalita' della responsabilita' penale. 
    Il nuovo «sistema» darebbe  vita  ad  una  catena  potenzialmente
indefinita di provvedimenti espulsivi e  di  comportamenti  omissivi,
con il cumulo di condanne sempre piu' rilevanti,  in  quanto  segnate
dall'aggravante della recidiva. Cio' si considera, dal rimettente, in
specifica connessione con l'irrilevanza dei «giustificati motivi» che
ben possono ostare, in concreto, all'osservanza del nuovo  ordine  di
allontanamento. Nei casi  in  questione,  infatti,  sarebbero  punite
condotte prive di significato effettivo  in  punto  di  pericolosita'
sociale (e' citata la sentenza della Corte costituzionale n.  78  del
2007) e difficilmente riconducibili  ad  una  condotta  volontaria  e
consapevole dello straniero migrante. 
    1.3. - Ulteriore profilo di illegittimita' della norma  censurata
sussisterebbe, a parere del Tribunale, in rapporto all'art. 2  Cost.,
avuto riguardo al principio di solidarieta' (e'  citata  la  sentenza
della Corte  costituzionale  n.  519  del  1995,  dichiarativa  della
illegittimita' parziale dell'art. 670 del codice penale,  in  materia
di  mendicita').  In  sostanza,  nell'assetto  denunciato,  la  nuova
incriminazione  colpirebbe   la   «condizione   sociale   dell'essere
cittadino straniero migrante». 
    1.4. In punto di rilevanza della questione, il rimettente pone in
specifica evidenza il fatto che, per altre tre volte, l'imputata  non
ha dato ottemperanza ad intimazioni del questore ed e' stata per  tre
volte condannata. Le condizioni di  indigenza  dell'interessata  sono
tanto  estreme,  secondo  il  Tribunale,  da  giustificare   la   sua
perdurante inerzia e da imporre la sua assoluzione, nell'eventualita'
dell'accoglimento della questione sollevata. 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio mediante atto depositato in data 11 maggio  2010,  chiedendo
che la questione sollevata sia dichiarata infondata. 
    2.1. - La difesa dello Stato ricorda come  piu'  volte  la  Corte
costituzionale abbia riconosciuto che  spetta  alla  discrezionalita'
legislativa la regolazione complessiva del fenomeno migratorio  e  la
valutazione di gravita' delle  pertinenti  condotte  criminose  (sono
citate la sentenza n. 22 del 2007 e l'ordinanza n. 41 del 2009). 
    Sarebbe inoltre giustificato il maggior rigore  che  caratterizza
la fattispecie del comma 5-quater rispetto a quella del comma  5-ter.
Quest'ultima, infatti, sanziona  il  primo  fatto  di  inottemperanza
all'ordine di allontanamento, mentre la previsione oggetto di censura
concerne la reiterazione del comportamento omissivo (o  l'attivazione
per un indebito rientro). La norma  censurata,  secondo  l'Avvocatura
generale, concerne quindi «una sorta di progressione criminosa»,  che
esprime la maggior determinazione dell'interessato  e  giustifica  la
piu'  spiccata  severita'  del  suo  trattamento.  E  del  resto,  si
aggiunge, nei casi di  effettiva  inesigibilita'  della  condotta  la
responsabilita'  andrebbe   comunque   valutata   sul   piano   della
colpevolezza e, «in primis», mediante la verifica di sussistenza  del
dolo punibile. 
    La giurisprudenza costituzionale, per altro verso,  avrebbe  gia'
posto in evidenza il rilievo dell'interesse statuale al controllo dei
flussi migratori, chiarendo come le ragioni  della  solidarieta'  non
possano essere affermate al di fuori di un corretto bilanciamento con
tale interesse (sono citate le sentenze n. 353 del 1997, n. 5 e n. 80
del 2004, nonche' l'ordinanza n. 146 del 2002). 
    2.2. - Secondo  l'Avvocatura  generale  -  che  compie  un  ampio
excursus a proposito  del  principio  di  offensivita'  e  della  sua
rilevanza sul piano costituzionale - l'incriminazione operata con  la
norma oggetto di censura vale a garantire l'interesse dello Stato  ad
un presidio delle proprie frontiere. Tale interesse, si ammette,  non
comporta necessariamente la rilevanza penale di ogni violazione delle
norme sull'immigrazione, ed infatti l'inosservanza del  primo  ordine
di allontanamento, quando connessa ad  un  giustificato  motivo,  non
comporta  la  punizione  dell'interessato.  La  sanzione  penale   e'
disposta per i soli casi di reiterazione della condotta omissiva,  ai
quali si  connetterebbe,  tra  l'altro,  un  particolare  ed  intenso
allarme sociale. 
    Sul piano  soggettivo,  sarebbe  inconferente  il  richiamo  alla
sentenza della Corte costituzionale n. 78 del 2007,  la  quale  aveva
solo escluso che la  mancanza  di  un  titolo  di  legittimazione  al
soggiorno sul territorio nazionale esprimesse una pericolosita'  tale
da precludere, per gli stranieri, l'accesso ai benefici penitenziari. 
    Non  sarebbe  comprensibile,  infine,  la  censura  espressa  dal
rimettente  a  proposito  del   principio   di   personalita'   della
responsabilita' penale, posto che la norma  interessata  riguarda  un
comportamento cosciente e volontario, e che le eventuali  circostanze
di esclusione della  colpevolezza  produrrebbero  effetto,  comunque,
secondo le regole generali. 
    2.3. - La difesa dello Stato ribadisce, da ultimo, che le ragioni
della solidarieta' sociale (art. 2 Cost.)  devono  essere  bilanciate
con la necessita' di governo dei flussi migratori  (sono  citate,  al
proposito, le sentenze della Corte costituzionale n. 146 del 2002, n.
5 e n. 80 del 2004). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Voghera  in  composizione  monocratica,  con
ordinanza dell'8 gennaio 2010, ha sollevato  -  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, primo comma, 25, secondo comma, e 27 della Costituzione -
questione  di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   14,   comma
5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 1,
comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica), nella parte in  cui  non  esclude,
quando  ricorra  un  «giustificato  motivo»,  la  punibilita'   dello
straniero che, gia' destinatario di un provvedimento di espulsione  e
di un ordine di allontanamento a norma dei precedenti commi  5-ter  e
5-bis, continui a permanere nel territorio dello Stato. 
    La norma censurata contrasterebbe anzitutto con il  principio  di
solidarieta', di cui all'art. 2 Cost., perche' la relativa previsione
incriminatrice,   nell'attuale    configurazione,    colpirebbe    la
«condizione sociale dell'essere cittadino straniero migrante». 
    Il riformato comma 5-quater dell'art. 14 del d.lgs.  n.  286  del
1998  violerebbe  anche  l'art.   3   Cost.,   per   l'ingiustificata
difformita' di trattamento introdotta rispetto alla previsione di cui
al precedente comma 5-ter,  ove  la  punibilita'  dell'inottemperanza
all'ordine  di  allontanamento   e'   esclusa   quando   ricorra   un
«giustificato motivo». 
    E' prospettato infine un contrasto della norma censurata con  gli
artt. 25, secondo comma, e 27 Cost., in quanto  il  sanzionamento  di
fatti commessi in presenza di un «giustificato motivo» contrasterebbe
con il principio di offensivita' e con il principio  di  personalita'
della responsabilita' penale. 
    2. - La questione e' fondata. 
    2.1.  -  La  disposizione  censurata  prevede  che  lo  straniero
destinatario di un ordine di allontanamento  emesso  in  applicazione
dell'ultima parte del precedente comma 5-ter -  cioe'  in  esecuzione
del decreto  di  espulsione  adottato  dopo  l'inottemperanza  ad  un
precedente ordine di allontanamento - sia punito con la reclusione da
uno a cinque anni. Rispetto  al  citato  comma  5-ter,  che  sanziona
l'ipotesi di inosservanza del  primo  ordine  di  allontanamento,  la
norma in oggetto, introdotta dalla legge n. 94 del 2009, presenta due
elementi di differenziazione. Da una parte la pena e'  aumentata  nel
suo valore massimo  (cinque  anni  di  reclusione,  in  confronto  ai
quattro previsti dal comma precedente), dall'altra non e'  riprodotta
l'espressione «senza  giustificato  motivo»,  presente  invece  nella
norma incriminatrice contenuta nello stesso comma 5-ter. 
    2.2. - Questa Corte ha inquadrato la clausola  del  «giustificato
motivo» tra quelle «destinate  in  linea  di  massima  a  fungere  da
"valvola di sicurezza" del meccanismo  repressivo,  evitando  che  la
sanzione penale scatti allorche' - anche al di fuori  della  presenza
di vere  e  proprie  cause  di  giustificazione  -  l'osservanza  del
precetto appaia concretamente "inesigibile" in ragione, a seconda dei
casi, di situazioni ostative a carattere  soggettivo  od  oggettivo».
Tale clausola, pertanto, nella ricorrenza di diverse eventualita'  di
fatto (estrema indigenza, indisponibilita' di un vettore o  di  altro
mezzo di trasporto idoneo, difficolta' nell'ottenimento dei titoli di
viaggio, etc.), «esclude la configurabilita' del reato» (sentenza  n.
5 del 2004). 
    3. - Occorre chiedersi - per decidere la questione sollevata  dal
giudice rimettente - se, nell'ipotesi di inottemperanza all'ordine di
allontanamento emesso dopo un analogo provvedimento, a sua volta  non
osservato, si profili una situazione sostanzialmente diversa, tale da
giustificare un differente trattamento  dello  straniero  colpito  da
provvedimento di espulsione. 
    3.1. - Una prima, necessaria osservazione riguarda  la  struttura
della condotta incriminata. Si deve  rilevare  che  essa,  nelle  due
ipotesi previste dai commi 5-ter e 5-quater dell'art. 14  del  d.lgs.
n. 286 del 1998, e' sostanzialmente identica, giacche' consiste, allo
stesso modo, nella permanenza nel territorio  dello  Stato  da  parte
dello straniero al quale sia stato impartito dal questore l'ordine di
allontanarsi. Il fatto che l'omissione  cui  si  riferisce  la  norma
censurata faccia seguito ad altra omissione dello stesso  genere  non
incide sul nucleo  essenziale  della  descrizione  legislativa  della
condotta illecita, che resta  uguale  nella  prima  e  nella  seconda
ipotesi. Nel contempo, le ragioni, di natura  sociale  e  umanitaria,
che sostengono la scelta del legislatore di prevedere la «clausola di
salvezza» prima ricordata, si attagliano al caso in cui lo  straniero
continui a permanere nel  territorio  nazionale,  dopo  un  ulteriore
ordine di allontanamento. 
    Come questa Corte ha gia' rilevato, il legislatore ha ritenuto di
assegnare rilievo  a  difficolta'  che  comunemente  accompagnano  la
necessita' per lo straniero di dare esecuzione in tempi ristretti  ad
un ordine che sostituisce la forma ordinaria  di  esecuzione  forzata
del  decreto  espulsivo.   Tali   difficolta'   non   si   atteggiano
diversamente  nei  casi  regolati  dalle  due  fattispecie  poste   a
raffronto. 
    3.2.  -  E'  manifestamente  irragionevole  che  una   situazione
ritenuta   dalla   legge   idonea   ad   escludere   la   punibilita'
dell'omissione, in occasione del primo inadempimento, perda validita'
se permane nel tempo, senza responsabilita' del soggetto destinatario
dell'ordine di allontanamento, o che  il  verificarsi  di  una  nuova
situazione ostativa, in se' e per se' idonea ad  integrare  l'ipotesi
di un «giustificato motivo», sol perche' intervenuta  in  un  secondo
momento, non abbia rilevanza ai  fini  del  suo  riconoscimento  come
elemento negativo  del  fatto  di  reato.  Il  punto  centrale  della
disciplina,  nella  prospettiva  in  cui   si   colloca   lo   stesso
legislatore, e' la possibilita', in concreto, di giudicare  esigibile
l'osservanza dell'ordine di allontanamento. 
    3.3. - Questa Corte ha negato che  «l'inserimento  nella  formula
descrittiva dell'illecito della clausola "senza giustificato  motivo"
sia indispensabile al fine di assicurare la conformita' al  principio
di colpevolezza di ogni reato in materia di  immigrazione»  (sentenza
n.  250  del  2010).  Tale  precisazione  impone  di   valutare   con
particolare attenzione le fattispecie che si pongono a confronto. 
    Nel caso oggetto del presente giudizio si deve osservare che, una
volta inserita tale clausola in riferimento ad una data condotta,  la
circostanza che il «giustificato motivo» sia riscontrabile in plurime
occasioni o venga in evidenza per la prima volta  in  seguito  ad  un
successivo  ordine,  non  muta  la  sua  attitudine,  a  parita'   di
condizioni,  ad  escludere  la  rilevanza  penale  del  comportamento
dell'inosservante.  Se  una  particolare  situazione   e'   tale   da
giustificare il mancato allontanamento entro cinque  giorni,  non  si
vede perche' la considerazione giuridica della  stessa  debba  mutare
radicalmente per il semplice fatto che  la  situazione  permanga,  si
ripresenti  o  insorga  in  occasione  di  un  successivo  ordine  di
allontanamento. 
    Inibire  al  giudice  di   valutare   se   le   ragioni   addotte
dall'interessato  possano  rientrare  nella  previsione  legislativa,
significa ritenere il comportamento assolutamente ingiustificabile ex
lege, per il semplice fatto che la situazione ostativa venga allegata
a  seguito  di  un  successivo  ordine  di  allontanamento,  con   la
conseguenza di far ridondare sulla stessa configurabilita' del  reato
valutazioni che -  secondo  la  discrezionalita'  del  legislatore  -
possono semmai incidere sulla maggiore o minore severita' della pena. 
    La sequenza di  provvedimenti  descritta  nell'ultima  parte  del
comma 5-ter non esprime necessariamente la  «progressione  criminosa»
cui si e' riferita l'Avvocatura dello Stato nell'atto di  intervento.
Essa, comunque, non renderebbe meno valide  le  ragioni  che  possono
giustificare l'inottemperanza all'ordine di  allontanamento,  proprio
in forza della loro reale  consistenza,  verificabile  da  parte  del
giudice. Tale consistenza non puo' essere esclusa o attenuata,  anche
se l'ordinamento consideri meritevole di una sanzione piu' severa chi
ponga in essere piu' volte lo stesso comportamento omissivo.  Sarebbe
erroneo sovrapporre il piano della  valutazione  della  gravita'  del
reato a quello della giustificabilita' della condotta. 
    4. -  Si  potrebbe  escludere  la  violazione  del  principio  di
eguaglianza, di cui al primo comma dell'art.  3  Cost.,  evocato  dal
giudice rimettente, solo se il tertium comparationis  si  presentasse
come  eterogeneo  rispetto  alla  norma   oggetto   del   dubbio   di
legittimita' costituzionale e si potesse  quindi  affermare  che  non
irragionevolmente il legislatore abbia disciplinato in  modo  diverso
situazioni diverse. 
    Questa Corte ha applicato tale fondamentale criterio  -  costante
nella sua giurisprudenza  -  nella  materia  de  qua,  anzitutto  con
riferimento  al  reato  di  indebito   reingresso   dello   straniero
effettivamente espulso dal territorio nazionale (come sanzionato  dal
comma 5-quater dell'art. 14 del d.lgs. n. 286  del  1998,  nel  testo
antecedente alla legge n. 94 del 2009).  Tale  fattispecie  non  puo'
essere assimilata a quella dell'indebito trattenimento, poiche' nella
prima ipotesi si tratta di un comportamento commissivo,  che  implica
un'attivita' volta a ripristinare una permanenza di fatto  interrotta
dall'avvenuta espulsione, mentre nella seconda viene in  rilievo  una
condotta meramente omissiva. Di conseguenza, e'  stata  ritenuta  non
manifestamente  irragionevole   l'assenza   della   clausola   «senza
giustificato  motivo»  nella  previsione  del   reato   di   illecito
reingresso, per l'evidente  eterogeneita'  di  quest'ultimo  rispetto
alla previsione dell'indebito  trattenimento  (ordinanza  n.  41  del
2009). 
    Analogamente, la Corte ha escluso che il principio di uguaglianza
imponesse l'inserimento della clausola in questione nella fattispecie
di cui all'art.  10-bis  dello  stesso  Testo  unico  in  materia  di
immigrazione, anche nella parte in cui  sanziona  la  violazione  del
dovere di lasciare il territorio nazionale in assenza  di  un  valido
titolo di  soggiorno.  Manca  in  quella  fattispecie  la  dipendenza
dell'obbligo da un ordine mirato ed individualizzato  dell'Autorita',
la cui inosservanza entro il  termine  indicato  comporta  un  «netto
"salto di qualita'" nella risposta punitiva»  (sentenza  n.  250  del
2010). 
    4.1. - Nel caso oggetto del presente  giudizio,  invece,  l'unico
elemento di  differenziazione  tra  le  due  ipotesi  consiste  nella
reiterazione dell'ordine di  allontanamento  rimasto  inosservato  da
parte dello straniero, che lascia intatte tutte  le  motivazioni  che
hanno indotto il  legislatore  ad  attenuare,  in  presenza  di  date
situazioni, il rigore della norma penale che punisce la trasgressione
dell'ordine medesimo. 
    Un estremo stato  di  indigenza,  che  abbia  di  fatto  impedito
l'osservanza dell'ordine del questore nello stretto termine di cinque
giorni, non diventa superabile o irrilevante perche'  permanente  nel
tempo o perche' insorto o riconosciuto in una occasione successiva. 
    Il  rimedio  ordinario  previsto  dalla  legge  per  la  presenza
illegale  nel  territorio  dello  Stato  del   destinatario   di   un
provvedimento di espulsione - occorre ricordarlo  -  e'  l'esecuzione
coattiva  del  provvedimento  stesso.  In  assenza  di  tale   misura
amministrativa, l'affidamento dell'esecuzione  allo  stesso  soggetto
destinatario del provvedimento incontra i  limiti  e  le  difficolta'
dovuti alle possibilita' pratiche dei singoli soggetti, che il  comma
5-ter  dell'art.  14  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  ha  preso   in
considerazione,  in  un  ragionevole  bilanciamento  tra  l'interesse
pubblico all'osservanza dei provvedimenti dell'autorita', in tema  di
controllo dell'immigrazione illegale, e l'insopprimibile tutela della
persona umana. Tale tutela non puo' essere  esclusa  o  attenuata  in
situazioni identiche, ancorche'  successive,  senza  incorrere  nella
violazione dell'art. 3, primo comma, Cost. 
    5. -  Sono  assorbite  le  ulteriori  censure  di  illegittimita'
costituzionale proposte dal giudice rimettente. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  14,  comma
5-quater, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall'art. 1,
comma 22, lettera m), della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni
in materia di sicurezza pubblica), nella parte in cui non dispone che
l'inottemperanza all'ordine di allontanamento,  secondo  quanto  gia'
previsto per la condotta di cui al precedente comma 5-ter, sia punita
nel solo caso che abbia luogo «senza giustificato motivo». 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 13 dicembre 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Silvestri 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 17 dicembre 2010. 
 
                       Il cancelliere: Melatti