N. 4 ORDINANZA 16 dicembre 2010- 5 gennaio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Matrimonio - Possibilita' tra persone dello stesso  sesso  -  Mancata
  previsione - Ritenuta violazione  del  diritto  di  sposarsi  quale
  diritto fondamentale  ed  inviolabile  della  persona  -  Questione
  analoga ad altra gia' dichiarata inammissibile e poi manifestamente
  inammissibile -  Mancata  prospettazione  di  diversi  o  ulteriori
  profili di censura - Manifesta inammissibilita'. 
- Cod. civ., artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231. 
- Costituzione, art. 2. 
Matrimonio - Possibilita' tra persone dello stesso  sesso  -  Mancata
  previsione - Ritenuta irragionevole discriminazione  tra  cittadini
  in base all'orientamento sessuale nonche' ingiustificata disparita'
  di trattamento  rispetto  alle  persone  transessuali  -  Lamentato
  contrasto con la tutela della famiglia  come  societa'  naturale  -
  Questione analoga ad  altra  gia'  dichiarata  non  fondata  e  poi
  manifestamente infondata - Manifesta infondatezza. 
- Cod. civ., artt. 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231. 
- Costituzione, artt. 3 e 29, primo comma. 
(GU n.2 del 12-1-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Maria
  Rita SAULLE, Giuseppe TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe
  FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI. 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli  articoli  93,  96,
98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231 del codice civile, promosso
dal Tribunale di Ferrara nel procedimento vertente tra Z. R. ed altra
e il Sindaco del Comune di Ferrara, con  ordinanza  del  14  dicembre
2009 iscritta al n. 169 del  registro  ordinanze  2010  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che, con l'ordinanza indicata in epigrafe, il  Tribunale
di Ferrara ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis e 231  del
codice civile, nella parte in cui non consentono che le persone dello
stesso sesso possano contrarre  matrimonio,  per  contrasto  con  gli
articoli 2, 3 e 29, primo comma, della Costituzione; 
        che, come il Tribunale  riferisce,  l'ufficiale  dello  stato
civile del Comune di Ferrara ha rifiutato, con provvedimento in  data
25  marzo  2009,  di  procedere  alla  pubblicazione  di   matrimonio
richiesta dalle parti private; 
        che, ad avviso  del  detto  organo,  l'ordinamento  giuridico
italiano non consente ne' disciplina il matrimonio tra persone  dello
stesso sesso, mentre, sulla base dell'art. 29 Cost.,  «la  diversita'
di sesso e' elemento essenziale  nel  nostro  ordinamento  per  poter
qualificare l'istituto del matrimonio»; 
        che  in  tal  senso  si  e'  espresso  anche   il   Ministero
dell'interno con circolare del 26 marzo 2001, ritenendo che  «non  e'
trascrivibile il matrimonio celebrato all'estero tra omosessuali,  di
cui uno italiano, in quanto contrario alle norme di ordine pubblico»; 
        che le parti private, nel proporre reclamo avverso  il  detto
provvedimento,  hanno  chiesto,  in  via  principale,   di   ordinare
all'ufficiale di stato civile del Comune di Ferrara di procedere alla
pubblicazione del matrimonio e, in via subordinata, di  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale, previa positiva valutazione
della rilevanza e non manifesta infondatezza, degli artt.  107,  108,
143, 143-bis e 156-bis cod. civ. in riferimento agli artt. 2, 3,  10,
secondo comma, 13, 29 e 117 Cost., rimettendo  gli  atti  alla  Corte
costituzionale; 
        che, in punto di rilevanza, il  giudice  a  quo  ritiene  che
l'applicazione  delle  norme  indicate  sia  ineliminabile  nell'iter
logico-giuridico necessario  alla  decisione:  infatti,  in  caso  di
dichiarazione di fondatezza della questione cosi' come sollevata,  il
rifiuto   delle   pubblicazioni,   la    cui    richiesta    dimostra
inequivocabilmente la volonta' di contrarre  matrimonio  delle  parti
ricorrenti, dovrebbe ritenersi illegittima, in assenza di altra causa
di rifiuto, mentre, in caso  di  non  accoglimento,  l'attuale  stato
della normativa imporrebbe una pronuncia di rigetto del ricorso; 
        che, per completezza, il rimettente rileva come, a fronte del
rifiuto di pubblicazione da parte dell'ufficiale dello stato  civile,
essendo essa una  formalita'  necessaria  per  poter  procedere  alla
celebrazione del matrimonio, non sarebbe  individuabile  alcun  altro
procedimento  nell'ambito  del  quale  la  questione   possa   essere
valutata; 
        che, ad  avviso  del  Tribunale,  in  mancanza  di  modifiche
legislative in materia, il nostro attuale ordinamento non ammette  il
matrimonio tra persone dello stesso sesso  ed  e'  indiscutibile  che
tale istituto, anche senza una  definizione  espressa,  si  riferisce
soltanto al matrimonio tra  persone  di  sesso  diverso,  in  quanto,
benche' il codice civile non indichi espressamente la  differenza  di
genere fra i requisiti per contrarre matrimonio, in  numerose  norme,
fra  le  quali   quelle   menzionate   nel   ricorso   e   sospettate
d'illegittimita' costituzionale, si fa riferimento al marito  e  alla
moglie  come  "attori"  della  celebrazione  (artt.   107   e   108),
protagonisti del rapporto coniugale e autori della generazione (artt.
231 e seguenti), come pure la distinzione di sesso tra i  coniugi  e'
rinvenibile in  altre  disposizioni  (artt.  143,  143-bis,  143-ter,
156-bis  e  seguenti  cod.  civ.),  e  segnatamente  in  quelle   che
disciplinano il concreto atteggiarsi dei diritti e doveri dei coniugi
tra loro e verso i figli, nonche' nel decreto  del  presidente  della
Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la
semplificazione  dell'ordinamento  dello  stato   civile,   a   norma
dell'art. 2 comma 12, della legge 15  maggio  1997,  n.  127),  nella
parte in cui  prevede,  nell'art.  64,  lettera  e),  che  l'atto  di
matrimonio deve indicare «la dichiarazione  degli  sposi  di  volersi
prendere rispettivamente in marito e in moglie»; 
        che, peraltro, il giudice a quo ritiene, come gia'  posto  in
evidenza nelle precedenti ordinanze  di  rimessione  pronunciate  dal
Tribunale di Venezia e dalla Corte d'appello di Trento, di non  poter
ignorare il rapido trasformarsi della societa' e dei costumi avvenuto
negli ultimi decenni, con il  superamento  del  modello  di  famiglia
tradizionalmente intesa ed il contestuale sorgere di  forme  diverse,
seppur  minoritarie,  di   convivenza,   che   chiedono   protezione,
ispirandosi al modello tradizionale e che  mirano,  come  quello,  ad
essere considerate e disciplinate; 
        che,  a  parere  del   rimettente,   il   primo   riferimento
costituzionale con il quale confrontarsi e'  l'art.  2  Cost.,  nella
parte in cui riconosce i diritti inviolabili dell'uomo non solo nella
sua sfera individuale ma anche, e forse soprattutto, nella sua  sfera
sociale, ossia  «nelle  formazioni  sociali  ove  si  svolge  la  sua
personalita'», delle quali la famiglia  deve  essere  considerata  la
prima e fondamentale espressione; 
        che, pertanto, il diritto di sposarsi  configura  un  diritto
fondamentale della persona,  riconosciuto  a  livello  sovranazionale
(artt. 12 e 16 della Dichiarazione Universale dei  Diritti  dell'Uomo
del 1948, artt. 8 e 12 della Convenzione europea per la  salvaguardia
dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata  a  Roma
il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4
agosto 1955, n. 848, ed ora artt. 7  e  9  della  Carta  dei  diritti
fondamentali dell'Unione europea proclamata a  Nizza  il  7  dicembre
2000), nonche' dall'art. 2 Cost.; 
        che tale diritto va inteso sia nella sua  accezione  positiva
di liberta' di contrarre matrimonio  con  la  persona  prescelta  (e'
citata la sentenza della Corte costituzionale n. 445 del  2002),  sia
in quella negativa di liberta' di non sposarsi e di  convivere  senza
formalizzare l'unione (e'  citata  la  sentenza  n.  166  del  1998),
trattandosi di una scelta sulla quale lo Stato non puo'  interferire,
a meno che non vi siano interessi prevalenti incompatibili; 
        che, a parere del Tribunale, nell'ipotesi in cui una  persona
intenda contrarre matrimonio con altra persona  dello  stesso  sesso,
non sembra possa verificarsi alcun pericolo di lesione  ad  interessi
pubblici o privati  di  rilevanza  costituzionale,  quali  potrebbero
essere la sicurezza o la salute pubblica, in quanto  il  diritto  dei
figli di crescere in un ambiente familiare idoneo, che puo' venire in
rilievo,  potrebbe   avere   incidenza   solo   in   riferimento   al
riconoscimento del diritto  delle  coppie  omosessuali  coniugate  di
avere  figli  adottivi,  che  e'   un   diritto   distinto,   e   non
necessariamente connesso, rispetto a quello di contrarre matrimonio; 
        che, in riferimento al parametro di cui all'art. 3 Cost., che
vieta  ogni  discriminazione  irragionevole,  conferendo  a  tutti  i
cittadini «pari dignita' sociale,  senza  distinzione  di  sesso,  di
razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di  condizioni
personali e sociali», impegnando lo Stato a «rimuovere  gli  ostacoli
di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la liberta'  e
l'eguaglianza dei cittadini,  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana», il diritto di  contrarre  matrimonio  rappresenta  un
momento essenziale di espressione della dignita' umana, sicche'  deve
essere garantito a tutti, senza discriminazioni derivanti dal sesso o
dalle  condizioni  personali  (quali  l'orientamento  sessuale),  con
conseguente obbligo dello Stato d'intervenire in caso di  impedimenti
all'esercizio; 
        che, pertanto, la norma che esclude o comunque  non  consente
alle persone omosessuali di contrarre matrimonio  con  persone  dello
stesso sesso, cosi' seguendo il proprio orientamento sessuale, non ha
alcuna giustificazione  razionale,  soprattutto  se  raffrontata  con
l'analoga situazione delle persone  transessuali,  le  quali  possono
contrarre matrimonio con persone del proprio stato  di  nascita,  una
volta  ottenuta  la  rettificazione  di  attribuzione  di  sesso   in
applicazione della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in materia  di
rettificazione  di  attribuzione  di  sesso),  la  cui   legittimita'
costituzionale e' stata riconosciuta dalla Corte  costituzionale  con
sentenza n. 161 del 1985, non  tanto  sulla  base  del  fatto  che  i
soggetti abbiano compiuto e portato a termine un  trattamento  medico
chirurgico e che vi sia stata l'attribuzione del  sesso  opposto  con
provvedimento del Tribunale, ma sull'assunto che la  citata  sentenza
ha definito l'orientamento del transessuale come  «naturale  modo  di
essere» ; 
        che la legge n. 164 del 1982 si colloca,  dunque,  nell'alveo
di una civilta' giuridica  in  evoluzione,  sempre  piu'  attenta  ai
valori di liberta'  e  dignita'  della  persona  umana,  valorizzando
l'orientamento psicosessuale della persona; 
        che,   di   conseguenza,   non   appare    giustificata    la
discriminazione  tra  coloro  che  hanno  un  naturale   orientamento
psichico che li spinge ad una  unione  omosessuale,  e  non  vogliono
effettuare alcun intervento chirurgico di adattamento,  ne'  ottenere
la rettificazione anagrafica per conseguire un'attribuzione di  sesso
contraria al sesso biologico, ai quali e' precluso il matrimonio, e i
transessuali, che sono ammessi al matrimonio  pur  appartenendo  allo
stesso sesso biologico ed essendo incapaci di procreare; 
        che,  quindi,  «la  parita'  di  diritti  per   i   cittadini
omosessuali potra' dirsi realizzata soltanto se sara' loro consentito
di scegliere  di  regolare  la  propria  vita  e  i  propri  rapporti
giuridici e patrimoniali optando fra le stesse alternative che sono a
disposizione dei cittadini transessuali ed eterosessuali»; 
        che,  a  parere  del  Tribunale,  il   terzo   parametro   di
riferimento e' proprio il disposto dell'art. 29, primo comma,  Cost.,
ove si ritenga che la norma, per la dizione utilizzata, non tuteli il
solo nucleo legittimo di carattere tradizionale, ossia l'unione di un
uomo ed una donna suggellata dal vincolo giuridico del matrimonio; 
        che, infatti,  i  Costituenti  non  posero  l'esigenza  della
diversita' di sesso,  perche'  a  quel  tempo  era  naturale  che  il
matrimonio fosse possibile soltanto tra persone di sesso diverso; 
        che, ad avviso del rimettente, oggi si deve interpretare tale
disposizione costituzionale, in se' neutra, scritta in anni  lontani,
in un contesto sociale di  riferimento  molto  diverso  dall'attuale,
tenendo conto delle rilevanti trasformazioni sociali intervenute; 
        che il problema ermeneutico riguarda il  termine  «naturale»,
unico limite posto dalla norma al riconoscimento costituzionale della
famiglia come societa' fondata sul matrimonio, che  non  puo'  essere
interpretato alla luce  di  una  particolare  concezione  ideologica,
religiosa o altro, ne' alla luce del suo significato storico,  ma  va
inteso come riferimento al matrimonio quale dato pregiuridico,  ossia
come riconoscimento da parte del diritto positivo della  preesistenza
ed autonomia della famiglia, in  quanto  comunita'  originaria  (come
emerge dalla lettura dei lavori dell'assemblea costituente); 
        che la societa'  contemporanea  conosce  diversi  modelli  di
convivenza, come quella eterosessuale o  quella  omosessuale,  ed  e'
necessario,  quindi,  individuare  un  criterio  oggettivo,  presente
all'interno della  Costituzione,  per  selezionare  il  modello  o  i
modelli rilevanti ed  eventualmente  censurare  quello  che,  benche'
naturale, possa essere avvertito come negativo,  avendo  sempre  come
valore principale fondante il rispetto della dignita' della  persona,
in se' e nei rapporti con gli altri, con i quali essa  convive  e  si
confronta; 
        che, a parere del rimettente, non e' conforme  alla  dignita'
della persona privare qualcuno  della  possibilita'  di  fondare  una
famiglia in ragione di  un  criterio  come  quello  dell'orientamento
sessuale, di un criterio, cioe', che, come quello della razza,  della
nazionalita',  dell'origine  etnica,  non  fa  parte   delle   scelte
individuali, ma e' dato inerente, connaturato, congenito; 
        che, del resto, la tutela della tradizione non rientra  nelle
finalita' dell'art. 29 Cost. e la  famiglia  ed  il  matrimonio  sono
istituti aperti alle trasformazioni che si verificano  nella  storia,
come dimostrato dall'evoluzione che ha interessato la loro disciplina
dal 1948 ad oggi; 
        che, infatti, dal modello di  famiglia  previsto  dal  codice
civile del 1942, basato su  un  matrimonio  indissolubile  e  su  una
struttura gerarchica a subordinazione femminile (caratteristiche  che
si traducevano, nell'ambito penalistico, nella repressione  del  solo
adulterio femminile, nella  responsabilita'  penale  del  marito  per
abuso dei mezzi di  correzione  nei  confronti  della  moglie,  nella
previsione del delitto d'onore, nell'estinzione del reato di violenza
carnale a mezzo del  matrimonio  riparatore),  si  e'  giunti,  anche
mediante  gli  interventi  della  Corte   costituzionale   a   tutela
dell'eguaglianza morale e giuridica dei coniugi (fra cui  la  storica
sentenza n. 126 del 1968), alla  riforma  del  diritto  di  famiglia,
attuata con la legge 19 maggio 1975, n. 151 (Riforma del  diritto  di
famiglia), in linea con i principi di eguaglianza morale e  giuridica
dei coniugi; 
        che, a parere del giudice a quo,  gli  esempi  connessi  alla
mancata "istituzionalizzazione" dell'indissolubilita' del matrimonio,
con la conseguente introduzione legislativa  del  divorzio,  ed  alla
progressiva   attuazione   per   via   legislativa   del    principio
costituzionale di eguaglianza tra figli legittimi e  figli  naturali,
dimostrano  come  l'accezione  costituzionale  di   famiglia,   lungi
dall'essere ancorata ad una conformazione tipica ed inalterabile,  si
sia al contrario dimostrata permeabile ai mutamenti sociali,  con  le
relative ripercussioni sul regime giuridico familiare; 
        che, secondo  il  rimettente,  le  considerazioni  svolte  in
riferimento al significato dell'espressione "societa' naturale" ed in
relazione  alla  mancata   tutela   del   "matrimonio   tradizionale"
nell'ambito dell'art. 29 Cost. conducono a ritenere infondate le tesi
che giustificano il divieto di matrimonio tra  persone  dello  stesso
sesso, ricorrendo ad argomenti correlati alla  capacita'  procreativa
della coppia ed  alla  tutela  della  procreazione,  perche'  ne'  la
Costituzione ne' il diritto civile prevedono la  capacita'  di  avere
figli come condizione per contrarre matrimonio, ovvero  l'assenza  di
tale capacita' come condizione di invalidita' o causa di scioglimento
del matrimonio, essendo matrimonio e filiazione  istituti  nettamente
distinti; 
        che, pertanto, il citato art. 29  Cost.,  attribuendo  tutela
costituzionale  alla  famiglia  legittima,  in  quanto  contribuisce,
grazie alla stabilita' del quadro delle relazioni sociali,  affettive
ed economiche che comporta, alla realizzazione della personalita' dei
coniugi, non costituisce ostacolo  al  riconoscimento  giuridico  del
matrimonio tra persone dello stesso sesso, ma  assurge  indubbiamente
ad ulteriore parametro, unitamente agli artt. 2 e 3, sulla  base  del
quale dubitare della costituzionalita' del divieto; 
        che, sulla base di tali argomenti, il Tribunale e' giunto  al
convincimento della non manifesta  infondatezza  della  questione  di
illegittimita'  costituzionale,  pur   parzialmente   modificando   i
parametri di riferimento rispetto a quelli indicati dalle ricorrenti,
delle norme di cui agli artt. 93, 96, 98,  107,  108,  143,  143-bis,
156-bis e 231 cod. civ., ove siano incompatibili,  o  non  consentono
che  le  persone  di  orientamento  omosessuale   possano   contrarre
matrimonio con persone dello stesso sesso; 
        che il giudice rimettente  ha  poi  affidato  alla  Corte  la
valutazione  circa  l'eventuale   estensione   della   pronuncia   di
fondatezza anche ad altre disposizioni legislative interessate in via
di consequenzialita', ai sensi dell'art.  27  della  legge  11  marzo
1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte
costituzionale). 
    Considerato che il Tribunale di Ferrara, con l'ordinanza indicata
in epigrafe, dubita, in riferimento agli articoli 2, 3  e  29,  primo
comma, della Costituzione, della  legittimita'  costituzionale  degli
articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143, 143-bis, 156-bis, 231 del  codice
civile, nella parte in cui non consentono che le persone dello stesso
sesso possano contrarre matrimonio; 
        che questa Corte, con sentenza n.  138  del  2010,  emessa  a
seguito delle ordinanze  del  Tribunale  di  Venezia  e  della  Corte
d'appello di  Trento  menzionate  dall'attuale  rimettente,  ha  gia'
esaminato la questione di legittimita' costituzionale delle norme  in
questa sede censurate, in riferimento ai parametri costituzionali qui
richiamati, nonche' all'art. 117, primo comma, Cost.  (che  non  puo'
ritenersi  evocato  dal  Tribunale  ferrarese  mediante  la  generica
relatio ai citati provvedimenti del  Tribunale  di  Venezia  e  della
Corte di appello di Trento); 
        che, in particolare, con la citata sentenza n. 138 del  2010,
la questione sollevata in  riferimento  all'art.  2  Cost.  e'  stata
dichiarata inammissibile, perche' diretta ad ottenere  una  pronunzia
additiva non costituzionalmente obbligata; 
        che con la  medesima  sentenza  la  questione,  sollevata  in
riferimento ai parametri individuati negli artt. 3  e  29  Cost.,  e'
stata  dichiarata  non  fondata,  sia  perche'  l'art.  29  Cost.  si
riferisce alla nozione di matrimonio definita dal codice civile  come
unione tra  persone  di  sesso  diverso,  e  questo  significato  del
precetto costituzionale non puo' essere superato per via ermeneutica,
sia perche' (in ordine all'art. 3 Cost.) le  unioni  omosessuali  non
possono essere ritenute omogenee al matrimonio; 
        che non risultano qui allegati profili diversi  o  ulteriori,
idonei a superare gli argomenti addotti nella precedente pronuncia ed
anche ribaditi nella successiva ordinanza n. 276 del 2010; 
        che  identiche  considerazioni  valgono  anche  con  riguardo
all'art. 231 cod. civ., censurato dall'attuale rimettente insieme con
le altre norme indicate in epigrafe; 
        che, pertanto, la questione di  legittimita'  costituzionale,
sollevata con riferimento all'art. 2 Cost.,  deve  essere  dichiarata
manifestamente  inammissibile,   e   la   questione   sollevata   con
riferimento  agli  artt.  3  e  29  Cost.  deve   essere   dichiarata
manifestamente infondata (ex plurimis: ordinanze n. 42, n. 34 e n. 16
del 2009). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    a) dichiara la  manifesta  inammissibilita'  della  questione  di
legittimita' costituzionale degli articoli 93, 96, 98, 107, 108, 143,
143-bis, 156-bis, 231 del codice civile,  sollevata,  in  riferimento
all'articolo 2 della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Ferrara  con
l'ordinanza indicata in epigrafe; 
    b)  dichiara  la  manifesta  infondatezza  della   questione   di
legittimita' costituzionale degli articoli sopra indicati del  codice
civile,  sollevata,  in  riferimento  agli  articoli  3  e  29  della
Costituzione, dal Tribunale di Ferrara con la medesima ordinanza. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 2010. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                      Il cancelliere: Fruscella 
 
    Depositato in cancelleria il 5 gennaio 2011 
 
                      Il cancelliere: Fruscella