N. 4 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 agosto 2010
Ordinanza del 25 agosto 2010 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia sul ricorso proposto da Pisicchio Alfonsino contro Ufficio Centrale Regionale per le elezioni regionali presso la Corte d'Appello di Bari ed altri.. Elezioni - Norme della Regione Puglia per le elezioni del Consiglio regionale e del Presidente della Giunta regionale - Criteri per il calcolo dei seggi elettorali - Riferimento alle liste circoscrizionali collegate al candidato presidente, che beneficiano del premio di stabilita', anziche' alla "lista regionale", cui secondo la legge statale sono attribuiti i seggi aggiuntivi - Conseguente determinazione di un numero di consiglieri (78) superiore a quello fissato dallo statuto (70) - Violazione del principio della disciplina statutaria in tema di sistema elettorale - Lesione della norma statutaria che fissa il numero dei consiglieri regionali. - Legge della Regione Puglia 28 gennaio 2005, n. 2, art. 10. - Costituzione, art. 123; Statuto della Regione Puglia, art. 24, comma 1.(GU n.3 del 19-1-2011 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 743 del 2010, proposto da Alfonsino Pisicchio detto Alfonso, rappresentato e difeso dall'avv. Aldo Loiodice, con domicilio eletto in Bari, via Nicolai, 29. Contro: l'Ufficio centrale regionale per le elezioni regionali presso la Corte d'appello di Bari, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Bari, domiciliato per legge in Bari, via Melo, 97; il Ministero dell'Interno; la Regione Puglia; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Bari; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Brindisi; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Lecce; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Foggia; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Taranto; l'Ufficio centrale circoscrizionale presso il Tribunale di Trani. Nei confronti di Olivieri Giacomo. E con l'intervento di ad opponendum: il Movimento Difesa del Cittadino (Mdc), rappresentato e difeso dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso l'avv. Maurizio Di Cagno in Bari, via Nicolai, 43; Rocco Palese, Massimo Cassano, Michele Boccardi, Davide Bellomo, Andrea Caroppo, Lucio Tarquinio, Gianfranco Chiarelli, Domenico Lanzilotta, Saverio Congedo, Roberto Marti, Mario Vadrucci, Pietro Iurlaro, Antonio Camporeale, Arnaldo Sala, Ignazio Zullo, Giammarco Surico, Maurizio Friolo, Francesco Damone, Leonardo Di Gioia, Pietro Lospinuso, Francesco De Biase, Giandiego Gatta, Giovanni Alfarano, Salvatore Greco, rappresentati e difesi dagli avv.ti Luciano Ancora e Roberto G. Marra, con domicilio eletto in Bari, presso l'avv. G. Notarnicola, via Piccinni 150. Per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, degli atti di proclamazione degli eletti alla carica di consigliere regionale della Puglia, relativi alle elezioni regionali del 28 e 29 marzo 2010, nella parte in cui non proclamano i consiglieri regionali della quota aggiuntiva di governabilita' nonche' per la proclamazione di costoro. Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'Ufficio centrale regionale per le elezioni regionali; Visti gli atti d'intervento di Rocco Palese ed altri e del Movimento Difesa del Cittadino; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 luglio 2010 il cons. Giuseppina Adamo e uditi per le parti i difensori, avv.ti Aldo Loiodice, Grazia Matteo, Ines Sisto, Gianluigi Pellegrino, Luciano Ancora e Roberto Marra; Il ricorrente si e' candidato alla carica di consigliere regionale della Puglia nella lista «La Puglia per Vendola», circoscrizione di Bari. Le elezioni si sono tenute il 28 e 29 marzo 2010. L'istante non e' stato proclamato eletto dall'Ufficio centrale regionale presso la Corte d'appello di Bari, in virtu' dell'opzione interpretativa contenuta nell'atto del 29 aprile 2010, per la quale la disciplina di riferimento (in primis, lo Statuto della Regione Puglia e la legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2, che peraltro esplicitamente s'ispira alla legislazione statale) induce a ritenere che il consiglio regionale sia composto da 70 componenti e non da 78, come sarebbe invece determinato in applicazione della normativa statale (art. 15, comma tredicesimo, nn. 6, 7 e 8, della legge 17 febbraio 1968, n. 108, come modificato dall'art. 3 dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 - introduttivo del meccanismo di rafforzamento della maggioranza, cosiddetto «Tatarellum»). L'atto perviene a tale contestata conclusione osservando che non emergono indici sicuri, desumibili dall'art. 10 della legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2 (e, in specie, dalla lettera j), della volonta' di attribuire seggi aggiuntivi, rispetto al numero di consiglieri fissato prima dallo Statuto regionale e poi dall'art. 2 della stessa legge regionale; ragion per cui l'intera normativa dev'essere intesa in conformita' allo Statuto, il quale non accenna ne' a deroghe riguardanti la composizione dell'organo collegiale, ne' a rinvii a meccanismi elettorali disciplinati dalla legge statale o dall'apposita legge regionale (di fatto comunque approvata successivamente allo statuto). Con il ricorso proposto, questo ragionamento viene contestato dall'istante attraverso una serie di pregevoli argomentazioni, riguardanti il complesso normativo gia' menzionato. Precisamente si sostiene che, dopo l'assegnazione di 56 seggi su base proporzionale e 13 in virtu' del «premio di maggioranza» (per un totale di 70), l'Ufficio avrebbe dovuto attribuire ai candidati legati al presidente della giunta una quota aggiuntiva di governabilita', pari ad ulteriori 8 seggi, in modo d'assicurare alle stesse forze una maggioranza in consiglio del 60%. Si sono costituiti il Ministero dell'Interno e l'Ufficio centrale regionale. Hanno spiegato intervento ad opponendum il Movimento Difesa del Cittadino con Luigi Mariano, nonche' Rocco Palese e altri, come da dettaglio in atti. Innanzi tutto deve registrarsi che il ricorrente ha depositato con l'atto introduttivo del giudizio il riepilogo dei voti dell'Ufficio circoscrizionale, da cui risulta la candidatura, che ha ottenuto 5.811 preferenze. Per chiarire i termini della vicenda, conviene poi riportare le disposizioni rilevanti. Per l'art. 24, primo comma, dello Statuto, approvato con legge regionale 12 maggio 2004, n. 7, «Il Consiglio regionale e' composto da settanta consiglieri eletti a suffragio universale dai cittadini, donne e uomini, iscritti nelle liste elettorali dei comuni della Puglia, con voto diretto, personale, eguale, libero e segreto». La successiva legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2 esplicitamente dichiara che «Per quanto non espressamente previsto e in quanto compatibili con la presente legge sono recepite la legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per l'elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale) e la legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario), con le successive modificazioni e integrazioni»(art. 1, secondo comma); essa ribadisce all'art. 3, primo comma: «Il Consiglio regionale e' composto da settanta membri, compreso il Presidente eletto, di cui cinquantasei eletti sulla base di liste circoscrizionali concorrenti e tredici eletti tra i gruppi di liste collegate con il candidato Presidente eletto, secondo le modalita' previste dal successivo art. 9». L'art. 10 della stessa legge regionale poi dispone: «1. Alla legge n. 108 del 1968 vengono apportate le seguenti modifiche: ... j) il numero 6) del comma 13 dell'art. 15 e' sostituito dal seguente: "6) verifica quindi se i voti riservati al candidato Presidente risultato eletto sia pari o superiore al 40 per cento dei voti conseguiti da tutti i candidati alla carica di Presidente"». La norma statutaria e' chiara nella sua indicazione della composizione consiliare e, come gia' accennato, non contiene alcun rimando alla legge elettorale statale o comunque ai meccanismi di governabilita', comportanti seggi aggiuntivi, come invece prevedono gli statuti della Calabria, dell'Abruzzo, della Lombardia e della Toscana. Anche l'art. 3, primo comma, della legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2 si limita a indicare in 70 il numero dei consiglieri, con il relativo metodo di attribuzione dei seggi. Da tale disposizione pero' non si puo' dedurre con certezza che la legge regionale preveda un numero fisso di consiglieri con l'esclusione della possibilita' di assegnazione di altri seggi, al fine di rafforzare la governabilita'. E cio' perche' la normativa statale presa a modello (ovvero la legge 17 febbraio 1968, n. 108, come modificata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43) era formulata in modo analogo; sicche' parallelamente l'art. 2 della legge statale e l'art. 3 della legge regionale possono essere ragionevolmente intesi nel senso che essi fissano il numero dei consiglieri regionali, il quale funziona da presupposto nell'ipotesi in cui sia necessaria l'attribuzione dei seggi aggiuntivi, in applicazione del cosiddetto «Tatarellum». Per quanto riguarda l'art. 10 della legge regionale, la tecnica di drafting utilizzata non agevola la comprensione della disciplina e, per altro verso, finisce per sovrapporre i due diversi livelli legislativi. Ha osservato la Corte costituzionale, in un'ipotesi simile, che non e' «precluso dettare, nell'esercizio di una competenza che ormai le e' propria, una disciplina riproduttiva di quella delle leggi statali previgenti»... «Tale "recepimento" va ovviamente inteso nel senso che la legge regionale viene a dettare, per relationem, disposizioni di contenuto identico a quelle della legge statale, su alcune delle quali, contestualmente, gli articoli successivi operano modificandole o sostituendole: ferma restandone la diversa forza formale e la diversa sfera di efficacia. Il Giudice delle leggi ha in particolare rimarcato la improprieta' di una tecnica legislativa che, operando il "recepimento" e poi la parziale sostituzione delle disposizioni della legge statale (fra l'altro, a quanto sembra, della sola legge n. 108 del 1968, con le modifiche apportate successivamente al suo testo, in particolare da vari articoli della legge n. 43 del 1995, e non delle autonome disposizioni dettate successivamente dalla stessa legge n. 43 del 1995), da' vita ad una singolare legge regionale, dal testo corrispondente a quello della legge statale, i cui contenuti, peraltro, non risultano sempre legittimamente assumibili dalla legge regionale, in quanto estranei alla sua competenza» (sentenza 5 giugno 2003, n. 196). In definitiva, il legislatore regionale, con il richiamato art. 10, ha operato un rinvio materiale implicito alla legge 17 febbraio 1968, n. 108, nella versione vigente, introducendo chirurgicamente alcune modifiche determinate da precise scelte della normativa regionale e, in particolare, per quel che in questa sede rileva, da quella di sostituire il riferimento alla «lista regionale» (cosiddetto listone, cui nella legge statale sono attribuiti i seggi aggiuntivi, e che invece e' stato eliminato nella Regione Puglia) con quello alle liste circoscrizionali collegate al candidato presidente, le quali direttamente beneficiano del premio di stabilita'. Si deve in conclusione constatare che, nonostante la discutibilita' della tecnica di redazione, la legge regionale elettorale ha adottato, seppur con limitati adeguamenti, il cosiddetto «Tatarellum» comprensivo dell'assegnazione del premio di governabilita', dovendosi altrimenti ipotizzare la completa inutilita' e superfluita' della norma (in contrasto oltretutto da quanto risulta chiaramente dai lavori preparatori). Cio' significa che l'applicazione di tale legge elettorale puo' portare (e, in effetti, porta nella tornata elettorale del 2010) ad un risultato incompatibile con l'art. 24, primo comma, dello Statuto, in quanto il meccanismo elettorale (che intende assicurare alle liste collegate al presidente della Regione - in questo caso - il sessanta per cento dei seggi nell'assemblea) produce un numero di consiglieri (78) superiore a quello fissato dallo statuto (70). Ne' tale antinomia puo' essere risolta in via meramente ermeneutica: partendo dal presupposto (sulla cui sussistenza si ritornera' in seguito) che la determinazione di cui all'art. 24 possa ritenersi annoverabile nel contenuto necessario dello Statuto, deve reputarsi che il rapporto tra le relative norme in via di principio non soggiaccia al criterio cronologico, di cui all'art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, essendo state delineate dagli articoli 122 e 123 della Costituzione (nel testo risultante dalla legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1) due distinte sfere di competenza. In tale ragione dunque consiste la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2, in relazione all'art. 123 della Costituzione, per contrasto con la norma interposta costituita dall'art. 24, primo comma, dello Statuto (Corte costituzionale 10 marzo 1983, n. 48; 27 ottobre 1988, n. 993; 26 febbraio 2010, n. 68); questione di cui dunque deve verificarsi la non manifesta infondatezza. All'uopo, principalmente, occorre interrogarsi sull'idoneita' della norma statutaria quale parametro di costituzionalita', in particolare, sotto i profili evidenziati nella dialettica processuale dalle parti, cosi' enucleabili: se l'art. 24, primo comma, dello Statuto rispetti esso stesso gli articoli 122 e 123 della Costituzione, ovvero se lo statuto non travalichi la sfera de «la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento», da determinare in armonia con la Costituzione, per sconfinare nel «sistema di elezione», che dev'essere invece disciplinato «con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica»; se, una volta che «i principi fondamentali» delle regole elettorali siano stati cristallizzati nell'art. 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165 e che sia stata imposta la «a) individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze», la scelta di una composizione rigida dell'assemblea regionale, da parte dello Statuto, non debba ritenersi per lo meno disarmonica rispetto alla Costituzione. Ambedue i dubbi pero' possono essere fugati. Quanto alla determinazione del numero dei consiglieri, di cui all'art. 24, primo comma, dello Statuto, per la riconducibilita' della disposizione alla competenza riservata allo statuto depongono una serie di elementi che debbono essere cumulativamente considerati. Innanzi tutto, in base alla nuova formulazione dell'art. 123 (in cui viene abbandonata la precedente attribuzione limitata alle «norme relative all'organizzazione interna della regione»), non si giustifica una lettura della norma che isoli «la forma di governo» dai «principi fondamentali di organizzazione e funzionamento» e non ne colga invece il significato integrale, che e' quello di abilitare lo statuto a definire i tratti fondamentali dell'organizzazione costituzionale e amministrativa dell'ente. Tra questi non puo' che essere compresa la configurazione dell'assemblea regionale e la sua composizione. D'altra parte non vi e' motivo d'interpretare l'espressione «forma di governo» in modo rigido e restrittivo, una volta constatato che viene recepito non gia' un istituto giuridico positivamente definito, bensi' una categoria concettuale (usualmente riferita allo Stato e collegata con le distinzioni della relativa forma), attraverso la quale vengono astratti i caratteri di modelli storici di organizzazione politico-costituzionale posti in comparazione, con individuazione e accentuazione di elementi caratteristici diversi, sulla cui rilevanza si registra una varieta' di valutazioni in dottrina. Di conseguenza, non vi sarebbe ragione d'includere nella competenza disegnata dall'art. 123 solamente i rapporti tra gli organi di governo della regione, strettamente intesi (con esclusione del corpo elettorale, che pure, secondo posizioni minoritarie ma autorevoli, rientrerebbe in tali relazioni), per concludere che nelle previsioni proprie dello statuto non possa trovare spazio la composizione dell'organo assembleare, che pure denota anch'essa una scelta politica fondamentale. Cio' contrasterebbe con lo spirito innovativo della legge costituzionale 22 novembre 1999, n. 1, la quale si e' ispirata al criterio di massima per cui la determinazione dei caratteri di organizzazione politica della regione dev'essere rimessa all'autodeterminazione di quest'ultima, costituendo, anzi, parte integrante della sua autonomia. Di qui la considerazione che la costituzione degli organi della Regione, attraverso la tornata elettorale e l'applicazione del principio generale per cui si deve agevolare la formazione di maggioranze stabili nel Consiglio (contenuto nella legge 2 luglio 2004, n. 165) non possano non essere il risultato del concorso - e non certo della contrapposizione o della reciproca elisione - delle disposizioni costituzionali (artt. 122 e 123) contestualmente modificate dalla stessa legge costituzionale n. 1 del 1999, le quali andrebbero lette ed interpretate in termini di coerenza e d'integrita' sistematica. In particolare l'art. 122 Cost. dev'essere letto in stretta connessione con l'art. 123 Cost., nel senso che spetta alla legge regionale disciplinare il sistema di elezione del presidente e dei componenti della giunta e del consiglio, nonche' i casi di ineleggibilita' e d'incompatibilita' di tali soggetti conformemente al proprio statuto, al quale e' rimessa la determinazione della forma di governo e dei principi di organizzazione regionale. Il necessario raccordo tra l'art. 122 e l'art. 123 Cost. puo' essere ricavato, a contrario, dalla constatazione che si registra una significativa differenza tra l'autonomia (tramite fissazione nello statuto della propria forma di governo) concessa dal legislatore costituzionale alle Regioni in tale materia, e quella di cui dispongono, invece, gli enti territoriali minori, poiche' relativamente a questi ultimi la Costituzione rinvia alla potesta' legislativa statale. Tanto e' vero che mentre per comuni e province e' dato riscontrare una disciplina uniforme, in merito alle forme di governo e ai sistemi elettorali regionali sono possibili (autonome) soluzioni diversificate, sia pure nel rispetto della Costituzione e dei principi generali sanciti nella legge 2 luglio 2004, n. 165. Peraltro, per ritenere condivisibili le tesi attoree, volte a dimostrare l'intangibilita' della composizione mobile del consiglio (che discende dai meccanismi introdotti dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 e fatti propri dalla legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2) ad opera della fonte statutaria, la locuzione «sistema di elezione», che, secondo l'art. 122 della Costituzione, e' oggetto di disciplina «con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica», dovrebbe essere intesa come comprensiva della determinazione del numero dei consiglieri. Su questo presupposto, allora, anche alla fattispecie in esame si attaglierebbe il giudizio pronunciato dalla Corte costituzionale, per la quale «occorre prendere atto che non si puo' pretendere, in nome della competenza statutaria in tema di "forma di governo", di disciplinare la materia elettorale tramite disposizioni statutarie, dal momento che il primo comma dell'art. 123 ed il primo comma dell'art. 122 sono disposizioni tra loro pari ordinate: anche se sul piano concettuale puo' sostenersi che la determinazione della forma di governo puo' (o addirittura dovrebbe) comprendere la legislazione elettorale, occorre prendere atto che, invece, sul piano della Costituzione vigente, la potesta' legislativa elettorale e' stata attribuita ad organi ed a procedure diverse da quelli preposti alla adozione dello statuto regionale e che quindi lo statuto regionale non puo' disciplinare direttamente la materia elettorale o addirittura contraddire la disposizione costituzionale che prevede questa speciale competenza legislativa» (sentenza 13 gennaio 2004, n. 2; nonche' 5 giugno 2003, n. 196; 6 dicembre 2004, n. 378; 14 giugno 2007, n. 188). Al riguardo si deve osservare che, per quanto si possano intendere in senso lato termini quali elezioni o materia elettorale (secondo la lettera dell'art. 72, ultimo comma, della Costituzione) o legge elettorale o diritto elettorale, essi si riferiscono pur sempre ad un insieme funzionalizzato comprensivo di procedimenti, organizzazione e atti, attraverso i1 quale le scelte del corpo elettorale si tramutano in investiture a cariche pubbliche ad tempus. Essi in definitiva esprimono sempre una natura strumentale, conservano la loro connotazione di meccanismo d'investitura con metodo elettivo, che non puo' quindi, in se', confondersi con il dato della disciplina dell'organo pubblico (con la sua consistenza e composizione). Tale dato deve normalmente essere espresso dall'atto fondamentale di un ente autonomo, che per la regione, secondo la Costituzione, e' individuato nello statuto, il quale «determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento». Nello stesso senso si e' espressa la Corte costituzionale, per la quale «le scelte fondamentali in ordine al riparto delle funzioni tra gli organi regionali, ed in particolare tra il Consiglio e la Giunta, alla loro organizzazione e al loro funzionamento sono riservate dall'art. 123 Cost. alla fonte statutaria» (sentenza 14 giugno 2007, n. 188). In particolare, ritenendo infondati i rilievi d'illegittimita' mossi allo Statuto della Regione Marche, nella parte in cui «(agli artt. 7, comma 1, e 11, comma 2) fissa il numero dei componenti del Consiglio medesimo in quarantadue, e non quarantatre», ha chiaramente affermato che tale previsione rientra nella competenza statutaria. Invero, «La norma impugnata non contraddice gli evocati parametri statutari, ma e' coerente con essi. Legittimamente esercitando la propria competenza in ordine alla scelta politica sottesa alla determinazione della "forma di governo" della Regione (art. 123, primo comma, Cost.), il legislatore statutario delle Marche ha infatti stabilito che "Il Presidente della Giunta regionale e' eletto a suffragio universale e diretto in concomitanza con l'elezione del Consiglio regionale e fa parte dell'organo consiliare" (art. 7, comma 1) e che "Il Consiglio [regionale] e' composto da quarantadue consiglieri" (art. 11, comma 2)» (sentenza 13 gennaio 2006, n. 3). Ad escludere la plausibilita' di una tale operazione ermeneutica estensiva concorre inoltre un argomento di tipo letterale: in realta', l'art. 123 della Legge fondamentale non utilizza le generiche locuzioni sovraelencate (elezioni, materia elettorale, legge elettorale, diritto elettorale), bensi' «sistema di elezione», la quale, nel linguaggio settoriale, si riferisce alla fase dello scrutinio e dell'assegnazione dei seggi ed esprime un complesso di regole e una combinazione di varie procedure che mirano a consentire l'efficace traduzione dei voti espressi in seggi e cariche, attraverso la definizione del sistema di votazione (ovvero dall'insieme di fattori che concorrono a regolare le elezioni, come le dimensioni delle circoscrizioni, il numero delle preferenze esprimibili, la regolamentazione sulle candidature e l'utilizzo dei mezzi di comunicazione) e del metodo per l'attribuzione dei seggi, con l'applicazione della formula elettorale, classificabile come maggioritaria o proporzionale, a cui si e' aggiunta, storicamente piu' di recente, quella mista. Per completezza si deve aggiungere che non possono emergere elementi a smentita di tale conclusione dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108 (Norme per l'elezione dei Consigli regionali delle Regioni a statuto normale). Tale legge sia nel suo testo originario sia nella versione risultante delle modifiche apportate dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43 (Nuove norme per l'elezione dei Consigli delle Regioni a statuto ordinario), nonostante si occupasse espressamente della materia elettorale, determinava all'art. 2 il «Numero dei consiglieri regionali». Cio' pero' all'epoca (ovvero prima della legge costituzionale n. l /1999) era sicuramente ammesso e non comportava alcun problema, visto che l'art. 122 della Costituzione allora vigente affidava alla legge statale il compito di fissare tale numero. Di riflesso, anche tale aspetto poteva essere disciplinato dalla medesima fonte che regolamentava le elezioni, pur rimanendo concettualmente ben distinti i due ambiti. Una volta pero' che la legge costituzionale del 1999 ha scisso le due materie distinguendo tra forma di governo e principi fondamentali di organizzazione e funzionamento (affidati dal novellato art. 123 allo statuto) e sistema elettorale (di spettanza della legge regionale entro i principi fondamentali statali, secondo il riformato art. 122), la ripartizione logica acquista rilevanza e operativita'. E' da escludere poi che l'art. 24 dello Statuto (laddove fissa in modo rigido in 70 i componenti del consiglio) si ponga in contrasto con «i principi fondamentali» delle regole elettorali (in concreto individuati dall'art. 4 della legge 2 luglio 2004, n. 165, il quale impone in particolare la «a) individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze») ovvero in disarmonia rispetto alla Costituzione. E' evidente infatti che i richiamati principi fondamentali cui si deve attenere la legge elettorale regionale, ex art. 122 della Costituzione, non limitano affatto l'attivita' del legislatore statutario. In realta' il ragionamento attoreo finisce per rivelare un'inversione logica e cronologica. Non e' invero lo statuto che deve adeguarsi al meccanismo elettorale (in concreto al cosiddetto Tatarellum, che storicamente ha assicurato la solidita' delle maggioranze regionali coagulate intorno al presidente della giunta), ma, al contrario, e' la legge elettorale regionale che, partendo dal prius costituito dalla scelta statutaria di composizione fissa dell'organo assembleare, deve elaborare un sistema adeguato ai principi generali della legge 2 luglio 2004, n. 165 (ma sempre nel rispetto del vincolo costituito dalle scelte statutarie). D'altra parte, il diritto positivo non impone il rispetto del modello delineato dalla legge 17 febbraio 1968, n. 108, come modificata dalla legge 23 febbraio 1995, n. 43, ma prevede solo l'efficacia transitoria della medesima disciplina, in attesa delle scelte autonome delle regioni, ad iniziare da quelle statutarie (art. 5 della legge costituzionale n. 1/1999). Ne' si puo' ipotizzare che quello disegnato dalla disciplina statale rappresenti l'unico sistema in grado di agevolare la formazione di stabili maggioranze: a prescindere dall'ovvia notazione che tale risultato dipende non solo dall'esito delle votazioni ma anche dalla qualita' della maggioranza, la cui intrinseca compattezza e' un dato non meramente quantitativo non del tutto determinato dal sistema elettorale, occorre sottolineare che l'art. 4, lett. a), della legge 2 luglio 2004, n. 165 non si limita a indirizzare il legislatore regionale verso la finalita' di agevolare la formazione di esecutivi stabili, ma anche lo sprona contemporaneamente ad assicurare forme di tutela della «rappresentanza delle minoranze». Si puo' percio' presumere l'ammissibilita' dei vari sistemi cosiddetti misti, mentre non emerge, come gia' rilevato, che lo Stato abbia avvertito l'esigenza di conservare precisamente il meccanismo usualmente denominato «Tatarellum». In definitiva, il principio generale della legge statale per cui e' necessario adottare un sistema di elezione che favorisca maggioranze stabili, e' per l'appunto un principio generale, che puo' non coincidere o che non deve necessariamente coincidere con la formula elettorale del Tatarellum. Il che e' coerente con la rinuncia del legislatore costituzionale a riservare alla legislazione statale una disciplina uniforme sul numero predeterminato di consiglieri regionali, con opzione diversa da quella riguardante i comuni e le province. Il sistema sottolinea la stretta correlazione strumentale della materia elettorale con la fissazione, a priori, del numero dei consiglieri da parte dello statuto regionale. Non solo: evidenzia i caratteri di una scelta politica che, se prima era rimessa alla legge statale, ora deve ritenersi rimessa alla piu' alta delle fonti regionali, ossia allo statuto. Per i motivi fin qui esposti in ordine alla rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 10 della legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2, essa dunque dev'essere sottoposta al Giudice delle leggi.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, riservata ogni altra pronuncia in rito, nel merito e sulle spese, ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 10 della legge regionale 28 gennaio 2005, n. 2, in relazione all'art. 123 della Costituzione, per contrasto con l'art. 24, primo comma, dello Statuto della Regione Puglia, dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso. Ordina che, a cura della Segreteria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente della Giunta della Regione Puglia, nonche' sia comunicata al Presidente del Consiglio regionale pugliese. Cosi' deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 7 luglio 2010. Il Presidente: Durante L'estensore: Adamo