N. 8 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 gennaio 2010
Ordinanza del 14 gennaio 2010 emessa dal Giudice di pace di Firenze nel procedimento penale a carico di Dahmani Fathi. Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato - Configurazione della fattispecie come reato - Lesione dei diritti inviolabili dell'uomo - Irragionevolezza, a fronte, in particolare, dell'applicazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione e della pronuncia di non luogo a procedere nei confronti dello straniero che nelle more venga espulso o respinto - Disparita' di trattamento rispetto a reati analoghi (artt. 6, comma 3, e 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998) per la mancata previsione della clausola senza giustificato motivo - Lesione del diritto di difesa - Violazione dei principi di materialita', di legalita' e della finalita' rieducativa della pena. - Decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, art. 1, comma 16, lett. a). - Costituzione, artt. 2, 3, primo comma, 24, comma secondo, 25, comma secondo, e 27, comma terzo.(GU n.4 del 26-1-2011 )
IL GIUDICE DI PACE Nel processo penale a carico di Dahmani Fathi nato in Tunisia il 21 novembre 1983, in Italia s.f.d. in possesso di passaporto ordinario n. V137998 rilasciato dall'autorita' della Tunisia in data 16 giugno 2006. Difeso d'ufficio dall'Avv. Duccio Martellini del Foro di Firenze. Imputato "per il reato di' cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98 per essersi trattenuto nel territorio dello Stato senza il permesso di' soggiorno e dunque in violazione delle norme previste dal medesimo decreto legislativo". Nell'udienza del 14 gennaio 2010 ha emesso la seguente ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale. L'imputato in data 12 agosto 2009 venne trovato in Via Faentina a Firenze nell'appartamento di Ercoli Carla a seguito di un esposto di quest'ultima che lamentava la presenza di persone a lei sconosciute. L'imputato esibiva regolare passaporto Tunisino, ma risultava non in regola con la normativa sul soggiorno. Veniva sottoposto a rilievi fotosegnaletici e denunciato per il reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98. La p.g. chiedeva quindi al P.M. l'autorizzazione per la presentazione davanti al giudice di Pace ed il Pubblico ministero concedeva l'autorizzazione formulando l'imputazione sopra riportata. All'udienza del 15 dicembre 2009, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Firenze sollevava la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, introdotto dall'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94, con riferimento agli artt. 2, 3 comma 1, 24 comma 2 e 25 comma 2 della Costituzione per i seguenti motivi: "L'art. 1 comma 16 della legge 15 luglio 2009 n. 94 ha introdotto, nel testo del d.lgs. n. 286/98, l'art. 10-bis, il quale prevede la nuova fattispecie criminosa dell'"ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato", sanzionando con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro "lo straniero che fa ingresso ovvero si trattiene nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni del presente testo unico nonche' di quelle di cui all'art. I della legge 28 maggio 2007 n. 68". La norma pertanto sanziona sia l'ingresso dello straniero nel territorio nazionale, sia il trattenimento dello stesso, in violazione delle norme del testo unico sulla disciplina dell'immigrazione e delle norme sui dei soggiorni di breve durata degli stranieri per visite, affari, turismo e studio" L'introduzione di' tale fattispecie di reato nell'ordinamento giuridico italiano, a parere di quest'Ufficio, si pone in palese contrasto con alcuni fondamentali principi accolti dalla carta costituzionale, cosi che debba ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionalita' della norma che lo prevede sotto vari profili, di seguito illustrati. Tale norma appare, anzitutto, in contrasto con Part. 3 Cost., sotto il profilo dell'irragionevolezza della scelta legislativa di ritenere fattispecie di reato l'ingresso e la permanenza di cittadini irregolari nello Stato italiano. Infatti, pur riconoscendo che compete al legislatore un generale potere "di regolare la materia dell'immigrazione in correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai gravi problemi connessi a flussi migratori incontrollati"(v. C. cost. sent. n. 5/2004), facendo buon uso della sfera di discrezionalita' sua propria, l'azione di tale organo costituzionale trova limiti invalicabili nell'Osservanza dei principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di ragionevolezza e di razionalita' finalistica. La scelta legislativa non e' sorretta da un fondamento giustificativo e pertanto e' irragionevole sotto il profilo che, secondo i principi fondamentali accolti dal nostro ordinamento, la penalizzazione di una condotta deve avvenire in presenza di una pur minima offensivita' sociale della stessa e quando non sia stato possibile individuare altri strumenti normativi idonei al raggiungi mento dello scopo. Nel caso di specie un primo motivo di irragionevolezza va individuato nel costituire la nuova norma che introduce la fattispecie di reato, un'inutile duplicazione di altre gia' presenti nella legislazione penale speciale e tendenti a raggiungere la stessa finalita' dell'espulsione dello straniero dal territorio italiano. Il riferimento va alla norma di cui all'art. 14 comma 5-bis del d.lgs. n. 286/98 che prevede l'allontanamento dello straniero dal territorio nazionale entro cinque giorni dall'ordine del questore, quando non sia stato possibile eseguire l'espulsione con l'accompagnamento alla frontiera. Ma l'inutilita' della nuova fattispecie e' ancor meglio definita considerando che lo stesso obiettivo era gia' perfettamente raggiungibile, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in via amministrativa ai sensi dell'art. 13 commi 2 e 4 d.lgs. n. 286/98, che, al comma 2, prevede l'espulsione da parte del prefetto dello straniero che si trovi nelle stesse condizioni che ora costituiscono fattispecie di reato e cioe': a) l'essere entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; b) l'essersi trattenuto nel territorio dello Stato in assenza della comunicazione dell'ingresso per motivi di lavoro ovvero quando il permesso di soggiorno e' stato revocato o e' scaduto da piu' di sessanta giorni e non e' stato richiesto il rinnovo. Ne' la nuova norma modifica in alcun modo i presupposti necessari per l'espulsione, perche' anche la misura sostitutiva eventualmente disposta dal giudice di pace, ai sensi dell'art. 16 comma 1 d.lgs. n. 286/98, e' eseguibile con le modalita' di cui all'art. 13 comma 4 e puo' essere adottata soltanto quando non ricorrano la cause ostative indicate nell'art. 14 comma l. Dunque l'ambito di applicazione della nuova fattispecie coincide perfettamente con quello della preesistente misura amministrativa dell'espulsione di cui all'art. 13 d.lgs. n. 286/98, sia sotto il profilo dei soggetti destinatari (stranieri entrati o trattenuti irregolarmente nel territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio giustificativa. Il che significa che c'era gia' nell'ordinamento italiano uno strumento ritenuto idoneo al raggiungimento dello scopo (tanto che esso non e' stato oggetto di alcuna modifica normativa) e l'adozione dello strumento penale resta privo di ogni giustificazione. La duplicazione, per via giudiziaria, delle procedure di espulsione, espone inoltre, il sistema giudiziario del giudice di pace, nonche' quello propulsivo del Pubblico ministero a serie difficolta' organizzative, stante il prevedibile alto numero di procedimenti che dovra' essere avviato. Che la finalita' unica e ultima dell'anomala e farraginosa procedura introdotta avanti il giudice di pace con gli art. 20-bis (presentazione immediata dell'imputato) e 20-ter (citazione contestuale dell'imputato) della legge 15 luglio 2009, n. 94, sia rappresentata dall'espulsione dello straniero, e' dimostrato sia dalla previsione del non doversi procedere in caso di avvenuta espulsione (comma 5 dell'art. 10-bis), sia dalla mancata previsione del nulla osta all'espulsione di cui all'art. 13 comma 3, da patte dell'A.G. procedente, sia dalla previsione dell'espulsione (art. 62-bis D.lvo 274/2000, inserito dall'art. 1 comma 17, lett d) della legge 15 luglio 2009, n. 94) da comminare, a titolo di' sanzione sostitutiva dal giudice di pace, in caso di condanna dell'imputato, Nella sostanza viene utilizzato il procedimento penale esclusivamente per ottenere un risultato di natura amministrativa, quale e' l'espulsione dello straniero. Inoltre appare chiaro il disinteresse del legislatore a conseguire la condanna dell'imputato straniero, sia perche' la pena consiste nel pagamento di' un'elevata ammenda, di difficile o impossibile riscossione, considerata la naturale condizione di impossidenza del migrante, sia perche' la sentenza di non luogo a procedere e' immediatamente correlata all'acquisizione della notizia dell'espulsione. Non ultima, sotto il profilo della disparita' di trattamento, preclusa dal disposto dell'art. 3 della Costituzione e dell'irragionevolezza, e' la considerazione che l'art. 62-bis sopra citato, correlato all'art. 16 d.lgs. 286/98, prevede la sanzione sostitutiva dell'espulsione per un periodo non inferiore ai cinque anni (la cui applicabilita' e' estesa anche ai casi di condanna per reati diversi, da quello di cui all'art. 10-bis), che e' misura sostitutiva di gran lunga piu' grave dell'originaria pena pecuniaria dell'ammenda, in contrasto con il principio della minore afflittivita' della sanzione principale sostituita. E ancora, l'attribuzione del reato di ingresso e soggiorno illegale alla competenza del giudice di pace, comportando l'inapplicabilita' della sospensione condizionale della pena e la necessaria conseguenza dell'espulsione (obbligatoria stando al termine "applica") quale sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 62-bis, introduce una palese ed irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti ugualmente destinatari della predetta sanzione sostitutiva ai sensi dell'art. 16 D.lvo citato. Infatti, l'espulsione (qui invece prevista come facoltativa stando al termine "puo' sostituire", evidentemente per mancato coordinamento potra' essere comminata a soggetti condannati, anche con sentenza ex art. 444 c.p.p., per un reato non colposo, ad una pena detentiva non superiore a due anni, ma sempre che non ricorrano le condizioni per ordinare la sospensione condizionate della pena ex art. 163 c.p., mentre essa colpira' soggetti condannati alla sola pena pecuniaria, ex art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, quindi per un reato certamente meno grave, senza alcuna possibilita' per il giudice di renderla inefficace con l'applicazione della sospensione condizionale della pena. L'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, si pone inoltre in contrasto con l'art. 3 della Costituzione sotto lo specifico profilo della irragionevole disparita' di previsione e di diverso trattamento tra fattispecie di reato simili (art. 6 comma 3 e 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98), con l'art. 24 comma 2, sotto il profilo della violazione del diritto di difesa e con l'art. 25 comma 2, sotto il profilo che la norma penale punisce soltanto la commissione di un fatto e non la condizione della persona. Sia nel reato di omessa esibizione di documenti di identificazione e altro, sia nei reato di permanenza illegale nei territorio dello Stato dopo il termine imposto di cinque giorni, di cui alle fattispecie sopra indicate, e' prevista la clausola "senza giustificato motivo", che esclude la punibilita' dell'imputato in caso appunto di un giustificato motivo, La mancata previsione della clausola nella nuova fattispecie, se da una parte risulta coerente con l'impostazione esclusivamente repressiva del legislatore, dall'altra si risolve in una manifesta disparita' di trattamento normativo in situazioni uguali infatti lo straniero che non ottempera all'ordine di esibizione sara' scriminato se dimostra che i documenti personali, realmente posseduti, gli sono stati sottratti e parimenti lo straniero che non lascia il territorio entro il termine di cinque giorni, sara' scriminato se dimostrera' di non avere potuto ottemperare all'ordine di lasciare il territorio per l'impossibilita' di procurarsi in tempo utile i documenti richiesti, mentre lo straniero che si trova illegalmente nei territorio non potra' invocare mai alcuna scriminante per giustificare la sua presenza, al di fuori dell'ipotesi di presentazione della domanda di protezione internazionale prevista dall'ultimo comma della nuova fattispecie. Sara' sufficiente, per integrare automaticamente un'ipotesi di illegale trattenimento nei territorio, il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, senza possibilita' di addurre alcuna giustificazione, tanto piu' che, essendo la nuova fattispecie una contravvenzione, se ne dovra' rispondere anche a titolo di colpa. Al riguardo, si deve ricordare la sentenza della C. cost. n. 5/2004, che ha salvato la costituzionalita' dell'art. 14 comma 5-ter d.lgs. n. 286/98, proprio grazie ad una interpretazione costituzionalmente orientata della clausola "senza giustificato motivo", considerata. al pari di altre simili rinvenibili nell'ordinamento, una "valvola di' sicurezza" del meccanismo repressivo, atta ad evitare "che la sanzione penale scatti allorche' - anche al di' fuori della presenza di vere e proprie cause di giustificazione - l'Osservanza dei precetto appaia concretamente inesigibile per i piu' svariati motivi, ma comunque riconducibili "a situazioni ostative di particolare pregnanza, che incidano sulla stessa possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere all'intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa", come le situazioni di cui all'art. 14 co.1, la "condizione di assoluta impossidenza dello straniero", il "mancato rilascio, da parte della competente autorita' diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti". Dunque il nuovo reato di immigrazione clandestina non appare conforme alla Costituzione proprio perche' punisce indiscriminatamente ed automaticamente tutti i soggetti irregolarmente presenti nel territorio dello Stato, senza tenere conto dell'eventuale esistenza di situazioni legittimanti tale presenza. La mancata previsione della clausola "senza giustificato motivo" sirisolve anche in una violazione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 comma 2 della Costituzione, sotto un duplice motivo e del principio di legalita' di cui all'art. 25 comma 2 della Costituzione. Da una parte, l'imputato, nei tentativo di' evitare la condanna, non potra' addurre alcuna giustificazione come si e' visto, dall'altra la stessa formulazione della nuova fattispecie impedisce di per se' l'esercizio del diritto di difesa. Infatti viene colpito con precetto penale non gia' una condotta, come avviene per tutte le fattispecie di reato presenti nel sistema penale, ma una condotta legata indissolubilmente alla condizione, cosi' che ci si potra' difendere dalla contestazione della condotta solo escludendo la condizione di persona che e' entrata o si trattiene illegalmente nel territorio. Infatti cio' che la nuova fattispecie incriminatrice sanziona e' solo apparentemente una condotta, in realta' in se' e per se' essa e' del tutto neutra agil effetti penalistici, mentre il vero oggetto della incriminazione e' la mera condizione personale dello straniero, costituita dal mancato possesso di un titolo abilitativo all'ingresso e alla successiva permanenza nel territorio dello Stato, che e', poi, la condizione tipica dei migrante economico e, dunque, una condizione propria di una categoria di persone. Una situazione in realta' priva di significativita' sotto il profilo della pericolosita' sociale (perche' l'ingresso e la presenza illegali nel territorio statale non costituiscono di per se' stessi fatti lesivi di un qualche bene meritevole di tutela penale) e non riconducibile ad una condotta volontaria e consapevole dello straniero migrante, che, di regola, e' costretto a fuggire dal proprio stato di appartenenza per ragioni di sopravvivenza e a subire la sottrazione dei propri documenti (ove esistenti) da parte dei gruppi criminali che organizzano i viaggi o lo prendono in carico nel luogo di destinazione. La introduzione pertanto della nuova fattispecie di' reato appare in contrasto sia con il principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., che vieta ogni discriminazione fondata, tra l'altro, su condizioni personali e sociali, sia con le fondamentali garanzie costituzionali, secondo cui si puo' essere puniti solo per fatti materiali (art. 25 comma 2 Cost.) e secondo cui la difesa e' diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento (art. 24 comma 2 Cost.). La Corte costituzionale si e' gia' espressa in modo inequivoco, sul punto dell'assenza di pericolosita' sociale dello straniero clandestino, stabilendo, nella sentenza n. 78 del 2007, in tema di applicabilita' delle misure alternative alla detenzione agli stranieri clandestini, che "il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel territorio dello Stato" costituisce "una condizione soggettiva" "che di per se', non e' univocamente sintomatica...di un particolare pericolosita' sociale..."; dal che consegue "l'impossibilita' di individuare nella esigenza di rispetto delle regole in materia di ingresso e soggiorno in detto territorio (nazionale n.d.r.) una ragione giustificativa della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell'accesso al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure alternative e' funzionale". Tra l'altro la nuova fattispecie, renderebbe sostanzialmente inapplicabile la citata sentenza della C. cost. e, dunque, inaccessibili le misure alternative alla detenzione a stranieri clandestini condannati a pene detentive, perche', sanzionando penalmente la clandestinita' dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito, quanto ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita' sociale, che e' di' per se' incompatibile - come ammesso dalla stessa C. Cost - "con il perseguimento di un percorso riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa". Le conclusioni cui e' pervenuta la Corte cost. nella sentenza da ultimo citata costituiscono dei resto la conferma di un percorso iniziato nel 1968 con la declaratoria di incostituzionalita' dell'art. 708 c.p. (v. sent. n. 110) limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle condizioni personali di condannato per mendicita', di ammonito, di sottoposto a misura di sicurezza personale e a cauzione di buona condotta; proseguito nel 1971, con la sentenza 14, con cui veniva dichiarata la incostituzionalita' dell'art. 707 c.p., limitatamente alla parte in cui faceva riferimento alle stesse condizioni soggettive; ed infine sviluppato e portato a compimento con la sentenza n. 371 del 1996, con la quale veniva dichiarata l'incostituzionalita' del residuo art. 708 c.p., sottolineando "l'irragionevolezza della limitazione delle condizioni soggettive punibili a una sola categoria di persone" individuata attraverso la riferibilita' di un fatto di per se' neutro (come il possesso di denaro o di oggetti di' valore) ad un soggetto pregiudicato per alcune classi di precedenti penali. La nuova fattispecie appare, infine, in contrasto con l'art. 2 Cost, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e richiede l'adempimento del doveri inderogabili di solidarieta' politica, economica e sociale. "Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le societa' piu' avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, si' che . non si puo' non cogliere con preoccupata inquietudine l'affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a nascondere la miseria e a considerare le persone in. condizioni di poverta' come pericolose e colpevoli" . "Ma la coscienza sociale ha compiuto un ripensamento a fronte di comportamenti. un tempo ritenuti pericolo incombente per una ordinata convivenza e la societa' civile - consapevole dell'insufficienza dell'azione dello Stato - ha attivato autonome risposte, come testimoniano le organizzazioni di volontariato che hanno tratto la loro ragion d'essere, e la loro regola, dal valore costituzionale della solidarieta'". Con queste parole lungimiranti, perfettamente applicabili anche ai nuovi poveri di oggi, gli stranieri migranti, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 519 del 1995, dichiaro' l'illegittimita' costituzionale del reato di' mendicita' di cui all'art, 670 C.p., non potendosi ritenere in alcun modo necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare la mera mendicita' non invasiva che, risolvendosi in una semplice richiesta di' aiuto, non poteva dirsi porre seriamente in pericolo i beni giuridici della tranquillita' pubblica e dell'ordine pubblico. Allo stesso modo lo spirito solidaristico di cui e' impregnata la Carta costituzionale dovrebbe impedire l'adozione di misure puramente repressive per risolvere il problema dell'immigrazione; lo straniero migrante non puo' essere considerato pericoloso per l'ordine o la tranquillita' pubblica e colpevole per il solo fatto di esistete; e il fenomeno dell'immigrazione di massa nei paesi C.d. industrializzati non puo' essere affrontato invia generale ed indiscriminata con lo strumento penale. La nuova fattispecie criminosa pregiudica indirettamente anche alcuni dirittilnviolabili dell'uomo quale, in particolare il diritto alla propria identita' personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita (diritto riconosciuto dall'art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York il 20.11.1989 e ratificata dall'Italia con legge 27.5.1991 n. 176). L'art. 6 co.2 d.lgs. n. 286/98, infatti, e' stato modificato dall'art. 1, comma 22 lett. g) della nuova legge nel senso di rendere obbligatoria l'esibizione agil uffici della pubblica amministrazione dei documenti inerenti al soggiorno anche peri' provvedimenti inerenti agli atti di stato civile o all'accesso a pubblici servizi, con esclusione delle sole prestazioni sanitarie di cui all'art. 35 d.lgs. n. 286/98 e delle prestazioni scolastiche obbligatorie. E'evidente che, sanzionando penalmente anche la mera presenza clandestina, si mette io straniero nell'impossibilita' di regolarizzare, anche sussistendone i presupposti, la propria posizione, cosi' per es., condannando il figlio di genitori stranieri irregolari ad essere privato della propria identita' e della cittadinanza ed esponendolo ad azioni volte a falsi riconoscimenti da parte di terzi, per fini illeciti e in violazione della legge sull'adozione. Lo stesso dicasi per il diritto all'istruzione superiore o per altri diritti connessi all'erogazione di servizi pubblici, gravando ex art. 331 C.p.p., su tutti i pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio, l'obbligo di denunciare reati procedibili d'ufficio di cui siano venuti a conoscenza nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio. Conseguente all'introduzione della nuova fattispecie criminosa e' anche la inapplicabilita', in concreto, dell'art. 31 co.3 d.lgs. n. 286/98, che prevede l'autorizzazione del Tribunale dei Minorenni all'ingresso o alla permanenza del familiare, anche in deroga alle altre disposizioni dei d.lgs. 286/98, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell'eta' e delle condizioni di salute del minore. Infatti, Io straniero presente irregolarmente in Italia, inoltrando al Tribunale la richiesta di' autorizzazione di cui sopra, sara' esposto, in caso di mancato accoglimento, alla denunzia ex art. 331 c.p. e all'automatica condanna ed espulsione, ai sensi, come sopra si e' detto, dell'art. 62-bis introdotto dall'art. 1, comma 17, lett. d) della legge 15 luglio 2009, n. 94". Questo giudice condivide integralmente i rilievi critici alla normativa in questione sollevati dalla Procura della Repubblica di Firenze. Ritiene gli stessi non manifestamente infondati e rilevanti nel caso di specie in cui l'imputato e' chiamato appunto a rispondere dell'ingresso/soggiorno illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell'art. 10-bis d.lgs. 286/98. Risulta infatti del tutto evidente che in caso di accoglimento l'imputato non risponderebbe del reato a lui contestato. Ritiene inoltre il giudice di sollevare altri due aspetti di' illegittimita' costituzionale della norma in questione: 1) per contrasto con l'art. 27 comma 3 della Costituzione il quale stabilisce che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Sono gia' stati illustrati i motivi (sub pag. 3) per cui bisogna necessariamente ritenere che la finalita' unica e ultima dell'anomala e farraginosa procedura introdotta avanti il giudice di pace della legge 15 luglio 2009, n. 94, e' rappresentata dalla comminazione della sanzione sostitutiva dell'espulsione dello straniero, non potendosi seriamente dubitare che l'eventuale condanna ad una pena pecuniaria abbia un valore meramente simbolico nei confronti di soggetti, per definizione, totalmente incapienti. Orbene non si comprende come la pena della espulsione amministrativa possa avere reali e concreti effetti rieducativi. 2) per contrasto con l'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparita' di trattamento e dell'irragionevolezza. L'art. 10-bis comma 5 stabilisce che il giudice "acquisita notizia dell'espulsione (espulsione amministrativa n. d.r.) . pronuncia sentenza di non luogo a procedere". Posto che nella stragrande maggioranza dei casi ogniqualvolta uno straniero abbia fatto ingresso o si sia trattenuto nel territorio dello Stato in violazione del delle disposizioni del d.lgs. n. 286/98, incorre in una delle ipotesi di espulsione amministrativa previste dall'art. 13 del medesimo testo unico, appare evidente che l'emissione di una sentenza di condanna o viceversa di non luogo a procedere, dipendono non dalla condotta dell'imputato, ma dalla solerzia o meno dell'apparato amministrativo. Se Prefetto e Questore agiscono celermente con l'espulsione amministrativa, il giudice ne prendera' atto ed emettera' una sentenza di non luogo a procedere. Se invece, non agiscono, come spesso avviene, o procedono con lentezza, il giudice dovra' necessariamente pervenire ad una sentenza di condanna. In sostanza immigrati clandestini, nella stessa identica posizione, potranno risultare incensurati oppure condannati, a seconda della celerita' o meno dell'apparato amministrativo, il che oltre che irragionevole, provoca un'evidente disparita' di trattamento.
P.Q.M. Visti gli artt. 137 della Costituzione, 1 della legge cost. 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza delle questioni sopra illustrate, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. n. 286/98, introdotto dall'art. 1, comma 16 della legge 15 luglio 2009, n. 94, con riferimento agli artt. 2, 3 comma 1, 24 comma 2, 25 comma 2 e 27 comma 3, della Costituzione nonche' al principio costituzionale della ragionevolezza della legge penale. Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Firenze, addi' 14 gennaio 2010 Il giudice di pace: Grigoletto