N. 44 SENTENZA 7 - 11 febbraio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Costituzione e intervento - Costituzione in  giudizio  della  Regione
  resistente deliberata da organo incompetente - Ratifica intervenuta
  oltre  il  termine  perentorio  di  costituzione  in   giudizio   -
  Inammissibilita'. 
- Legge 11 marzo 1953, n. 87, art. 32, ultimo comma. 
Ambiente - Norme della Regione Campania  -  Finanziamento  con  fondi
  comunitari (risorse FESR) di  condotte  sottomarine  da  realizzare
  "lungo i canali artificiali con piu' elevato carico inquinante  del
  litorale Domitio/Flegreo" - Contrasto con la  normativa  nazionale,
  ascrivibile alla materia  di  tutela  dell'ambiente  di  competenza
  esclusiva  statale,  e  violazione   delle   norme   di   indirizzo
  comunitario   sull'inquinamento   del   mare    -    Illegittimita'
  costituzionale - Assorbimento della ulteriore questione. 
- Legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2, art.  1,  comma
  12, ultima parte. 
- Costituzione, art. 117, commi primo e secondo, lett. s) (art.  117,
  secondo comma, lett. e)); direttiva 2000/60/CE del 23 ottobre 2000,
  artt. 1 e 11; d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, artt.  56,  73,  101  e
  109, parte III, allegato 5. 
Ambiente - Norme della Regione Campania - Istituzione, da  parte  dei
  Comuni ricompresi nel territorio dei parchi statali e regionali, di
  aree  cinofile  allo  scopo  di  favorire  il  turismo  cinofilo  -
  Contrasto con la normativa statale sulle aree protette, espressione
  della competenza legislativa esclusiva statale in materia di tutela
  dell'ambiente   -   Illegittimita'   costituzionale   parziale    -
  Assorbimento della ulteriore questione. 
- Legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2, art.  1,  comma
  16. 
- Costituzione, art. 117, secondo comma, lett. s) (art. 117,  secondo
  comma, lett. e)); legge 6 dicembre 1991, n. 394, art. 11. 
Ambiente - Energia - Norme  della  Regione  Campania  -  Centrali  di
  produzione di energia da fonti rinnovabili -  Distanza  minima  non
  inferiore a cinquecento metri lineari  dalle  aree  interessate  da
  coltivazioni viticole con marchio DOC e  DOCG  e  non  inferiore  a
  mille metri lineari da aziende  agrituristiche  ricadenti  in  tali
  aree - Disciplina adottata in assenza  delle  linee  guida  rimesse
  all'approvazione  della  Conferenza  unificata  -  Violazione   dei
  principi fondamentali  della  legislazione  statale  nella  materia
  della produzione, trasporto e distribuzione nazionale  dell'energia
  - Illegittimita' costituzionale. 
- Legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2, art.  1,  comma
  25, primo periodo. 
- Costituzione, art. 117, terzo comma (art. 117, secondo comma, lett.
  s)); d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, art. 12, commi 7, 9 e 10. 
(GU n.8 del 16-2-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi 12, 16
e 25 della  legge  della  Regione  Campania  21  gennaio  2010  n.  2
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
della Regione Campania - Legge finanziaria anno 2010),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 22-24
marzo 2010, depositato in cancelleria il 30 marzo 2010 ed iscritto al
n. 51 del registro ricorsi 2010. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Campania; 
    Udito nell'udienza  pubblica  del  25  gennaio  2011  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro; 
    Uditi l'avvocato Vincenzo  Cocozza  per  la  Regione  Campania  e
l'avvocato dello Stato  Antonio  Palatiello  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato alla Regione  Campania  il  22  marzo
2010 e depositato presso la cancelleria di questa Corte il  30  marzo
2010 (reg. ric. n. 51 del 2010),  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ha proposto questione di legittimita'  costituzionale  della
legge della Regione Campania 21 gennaio 2010, n. 2 (Disposizioni  per
la formazione  del  bilancio  annuale  e  pluriennale  della  Regione
Campania - Legge finanziaria anno 2010), ed in  particolare,  tra  le
altre disposizioni: dell'art. 1, comma 12, ultima parte, in relazione
all'art.  117,  primo  e  secondo  comma,  lettere  e)  ed  s)  della
Costituzione; dell'art. 1, comma 16, in relazione all'art. 117, primo
e secondo comma, lettere e) ed s), Cost.; dell'art. 1, comma  25,  in
relazione all'art. 117, secondo comma, lettera  s),  e  terzo  comma,
Cost. 
    1.1. - Il ricorrente assume che l'art. 1, comma 12, ultima parte,
della legge  Regione  Campania  n.  2  del  2010,  contrasta  con  la
normativa nazionale e comunitaria vigente in materia di acque. 
    La norma prevede un finanziamento da  parte  della  Regione,  con
fondi comunitari (risorse  Fondo  europeo  di  sviluppo  regionale  -
FESR), per la realizzazione di condotte sottomarine  lungo  i  canali
artificiali  con  piu'  elevato  carico   inquinante   del   litorale
Domitio-Flegreo, per lo sversamento a fondale delle portate di magra;
la disposizione risulterebbe incompatibile con la destinazione  delle
risorse pubbliche alla realizzazione di opere funzionali a  garantire
una corretta depurazione delle acque reflue prima dello scarico. 
    La realizzazione delle infrastrutture,  per  le  quali  la  norma
impugnata  dispone  il  finanziamento,  comporterebbe,  senza   alcun
beneficio ambientale, una diversificazione di ricettore  di  scarichi
non depurati nel mare piuttosto che nei  canali  artificiali.  L'area
interessata e' quella del litorale Domitio-Flegreo  -  gia'  sito  di
interesse nazionale, nel quale sono in campo notevoli risorse umane e
finanziarie tese al ripristino di uno stato di legalita' ambientale -
che richiederebbe interventi maggiormente riqualificanti, mirati alla
irreggimentazione delle acque e dei reflui urbani  che  scaricano  in
assenza di depurazione ed a garantire una depurazione che rispetti  i
limiti tabellari. 
    La formulazione della norma  regionale  consentirebbe  interventi
non legittimi e sottrarrebbe risorse pubbliche a ulteriori  possibili
soluzioni, risolutive dello stato  di  degrado  esistente.  Per  tali
motivazioni, non appare conforme al dettato costituzionale  la  norma
censurata,  in  quanto  introduce  una  previsione   contraria   alla
normativa comunitaria e nazionale  vigente  in  materia  di  acque  -
direttiva 23 ottobre 2000, n. 2000/60/CE  (Direttiva  del  Parlamento
europeo e  del  Consiglio  che  istituisce  un  quadro  per  l'azione
comunitaria in materia di acque), e parte III del decreto legislativo
3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale) - ed inoltre  non
tiene conto delle finalita' istituzionali con  le  quali  sono  stati
fissati e condivisi obiettivi tra Comunita' europea, Stato e regioni,
finalizzati alla piena attuazione della stessa. 
    La difformita' della norma regionale dalla normativa comunitaria,
nonche' da quella nazionale  afferente  alle  materie  della  «tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema» e della «tutela della  concorrenza»,
determina il contrasto con l'art. 117, comma 1, e comma 2, lettere e)
ed s), della Costituzione. 
    1.2. - Il ricorrente espone inoltre che l'art. 1, comma 16, della
citata legge  regionale  prevede  che  «al  fine  di  contribuire  al
rilancio dell'economia delle zone montane e  dei  territori  compresi
nei parchi mediante il  turismo  cinofilo  (cino-turismo),  i  comuni
ricompresi in queste aree istituiscono, anche d'intesa con gli organi
di direzione degli enti parco medesimi,  aree  cinofile.  Dette  aree
sono adibite esclusivamente all'addestramento ed allenamento dei cani
da caccia ed alle  conseguenti  verifiche  zootecniche.  Nell'interno
delle  stesse  i  comuni   individuano   strutture   ove   consentire
l'addestramento anche dei cani da pastore, da  utilita'  e  dei  cani
adibiti alla pet-therapy ed al soccorso. La realizzazione e  gestione
di tali aree e strutture e' prevalentemente affidata a cooperative di
giovani residenti nei comuni interessati o ad imprenditori  agricoli,
singoli o associati, ed alle associazioni cinofilo-venatorie. In tali
zone sono altresi' consentite, nell'arco dell'anno, prove zootecniche
per il miglioramento delle razze canine da caccia  e  da  pastore  di
cani iscritti all'anagrafe canina». 
    La disposizione si porrebbe in contrasto con la normativa statale
di settore rappresentata dalla legge 6 dicembre 1991, n.  394  (Legge
quadro sulle aree protette),  che,  all'art.  11,  prevede  che  ogni
parco, nel rispetto  delle  proprie  caratteristiche,  attraverso  il
proprio   regolamento,   disciplini   l'esercizio   delle   attivita'
consentite entro il territorio di competenza, imponendo, tuttavia, al
comma 3, il divieto di tutte «le attivita' e  le  opere  che  possono
compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali
tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette  e
ai rispettivi habitat». 
    Tra  tali  attivita'  rientra  sicuramente  l'addestramento  cani
atteso che, come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza n.
350 del 1991, «nessun dubbio puo' sussistere ne' in ordine  al  fatto
che  "addestramento  dei  cani",  in  quanto  attivita'   strumentale
all'esercizio venatorio, debba ricondursi alla materia della "caccia"
...» e di conseguenza  costituisce  attivita'  assolutamente  vietata
nelle aree protette. 
    Conclusivamente,  la   norma   regionale   in   esame,   dettando
disposizioni  difformi  dalla  normativa  nazionale  afferente   alle
materie  della  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»  e  della
«tutela della  concorrenza»  di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,
lettere s) ed e), per la quale lo  Stato  ha  competenza  legislativa
esclusiva, e' costituzionalmente illegittima,  per  violazione  delle
suddette disposizioni costituzionali. 
    1.3. - Merita, altresi', censura - secondo il ricorrente - l'art.
1, comma 25, della stessa legge regionale n. 2  del  2010,  il  quale
dispone in materia di  dislocazione  di  centrali  di  produzione  di
energia da fonti rinnovabili. La norma prescrive il rispetto  di  una
distanza minima per tutti gli insediamenti energetici non inferiore a
cinquecento metri lineari  dalle  aree  interessate  da  coltivazioni
viticole con marchio DOC e  DOCG,  e  non  inferiore  a  mille  metri
lineari  da  aziende   agrituristiche   ricadenti   in   tali   aree,
individuando, in tal  modo,  aree  non  idonee  all'installazione  di
impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili. 
    L'art. 12, comma 10, del decreto legislativo 29 dicembre 2003, n.
387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato  interno  dell'elettricita'),  prevede  che  «in   Conferenza
unificata, su proposta del Ministro delle  attivita'  produttive,  di
concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del  territorio
e del Ministro per i beni e le attivita' culturali, si  approvano  le
linee guida per lo svolgimento del procedimento di cui al  comma  3»,
relativo  al  rilascio  dell'autorizzazione  per  l'installazione  di
impianti alimentati da fonti rinnovabili. 
    Tale disposizione e'  espressione  della  competenza  statale  in
materia di tutela  dell'ambiente,  in  quanto,  inserita  nell'ambito
della  disciplina  relativa   ai   procedimenti   per   il   rilascio
dell'autorizzazione relativa agli impianti da fonti rinnovabili,  ha,
quale precipua finalita', quella di proteggere il paesaggio. 
    Il  legislatore  statale,  infatti,  allo  stesso  comma  10,  ha
espressamente sancito che le linee guida «sono volte, in particolare,
ad assicurare un corretto inserimento degli impianti,  con  specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». 
    La giurisprudenza costituzionale ha costantemente  affermato  che
la normativa statale di  cornice  non  contempla  alcuna  limitazione
specifica,  ne'  divieti  inderogabili,  alla  localizzazione   degli
impianti energetici, rimettendo alle linee guida di cui all'art.  12,
comma 10, del decreto legislativo n. 387  del  2003,  il  compito  di
«assicurare un corretto inserimento  degli  impianti,  con  specifico
riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio». 
    E' ben vero che la richiamata  disposizione  statale  abilita  le
Regioni a «procedere alla indicazione di aree e siti non idonei  alla
installazione di specifiche tipologie di impianti», ma cio' puo' aver
luogo solo «in  attuazione»  delle  predette  linee  guida,  che,  al
momento, non sono ancora state adottate  con  le  modalita'  previste
dallo stesso comma 10, vale a dire in sede di Conferenza unificata. 
    Il bilanciamento tra le  esigenze  connesse  alla  produzione  di
energia e gli interessi, variamente  modulati,  rilevanti  in  questo
ambito,  impone,  infatti,  una  prima  ponderazione  concertata   in
ossequio al principio di leale cooperazione, al fine  di  consentire,
alle Regioni  e  agli  enti  locali,  di  contribuire  alla  compiuta
definizione di adeguate forme di contemperamento  di  tali  esigenze.
Una volta raggiunto tale equilibrio, ogni Regione potra'  adeguare  i
criteri cosi' definiti alle specifiche caratteristiche dei rispettivi
contesti territoriali. 
    La norma impugnata  appare,  pertanto,  lesiva  della  competenza
dello Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera s),  Cost.,  nonche'  del  terzo  comma  dello
stesso articolo,  contrastando  con  i  principi  fondamentali  della
legislazione  statale  in  materia   di   produzione,   trasporto   e
distribuzione nazionale dell'energia. 
    2. - Nel giudizio si  e'  costituita  la  Regione  Campania,  con
decreto dirigenziale dell'Avvocato coordinatore, chiedendo il rigetto
del ricorso. 
    In data 4 gennaio 2011, il Presidente del Consiglio dei  ministri
ha depositato memoria illustrativa, con la  quale,  nel  ribadire  le
proprie   conclusioni,   ha   eccepito    l'inammissibilita'    della
costituzione in giudizio della Regione Campania, osservando  che,  in
base all'art. 51 del vigente Statuto della Regione  (Legge  regionale
28 maggio 2009, n 6, Statuto della Regione Campania), che  si  adegua
all'art. 32, comma, 2, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme  sulla
costituzione e sul  funzionamento  della  Corte  costituzionale),  la
competenza a deliberare in ordine alla proposizione del  giudizio  di
costituzionalita' spetta alla Giunta regionale e in  tale  competenza
deve ritenersi  compresa  la  deliberazione  a  costituirsi  in  tale
giudizio, attesa la natura politica delle valutazioni che i due  atti
richiedono (sentenza n. 225 del 2010). 
    Con atto depositato presso questa Corte il  5  gennaio  2011,  la
Regione Campania ha fatto pervenire delibera della Giunta  regionale,
resa a termine della seduta del 30 dicembre 2010, con  cui,  premessa
l'irregolarita' della propria precedente costituzione nel giudizio di
costituzionalita', alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale,
ratifica il Decreto dirigenziale n. 231 del 26 marzo 2010 dell'A.G.C.
Avvocatura. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha  impugnato
numerose disposizioni della legge della Regione Campania  21  gennaio
2010, n. 2 (Disposizioni per la formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale della regione Campania - Legge  finanziaria  anno  2010):
tra queste l'art. 1, comma 12, ultima parte, per violazione dell'art.
117, primo e secondo comma, lettere  e)  ed  s)  della  Costituzione;
l'art. 1, comma 16, per violazione dell'art.  117,  primo  e  secondo
comma, lettere e) ed s), Cost.; l'art. 1, comma  25,  per  violazione
dell'art. 117, secondo comma, lettera s), e terzo comma, Cost. 
    Per ragioni di  omogeneita'  di  materia,  la  trattazione  delle
predette questioni di costituzionalita' e' stata separata  da  quella
delle altre, sollevate con lo stesso ricorso. 
    2.  -   Preliminarmente   va   confermata   l'ordinanza,   emessa
all'udienza pubblica ed allegata  alla  presente  decisione,  con  la
quale e' stata dichiarata inammissibile la costituzione  in  giudizio
della Regione Campania, non potendo  riconoscersi  efficacia  sanante
alla c.d. ratifica della prima costituzione disposta con  il  Decreto
dirigenziale n. 231 del  26  marzo  2010  dell'A.G.C.  Avvocatura  ed
intervenuta, ad opera della Giunta  regionale,  successivamente  alla
scadenza dei termini per la costituzione. 
    3. - L'art. 1,  comma  12,  ultima  parte,  della  legge  Regione
Campania n. 2 del 2010, prevede il finanziamento con fondi comunitari
(risorse Fondo europeo di sviluppo regionale - FESR), da parte  della
Regione, per la realizzazione di condotte sottomarine lungo i  canali
artificiali  con  piu'  elevato  carico   inquinante   del   litorale
Domitio-Flegreo, per lo sversamento a fondale delle portate di magra. 
    La previsione del finanziamento, secondo il  ricorrente,  ammette
implicitamente tali interventi, che sarebbero  incompatibili  con  la
destinazione delle risorse  pubbliche  alla  realizzazione  di  opere
funzionali a garantire una corretta depurazione  delle  acque  reflue
prima dello scarico, e per questo  contrasterebbe  con  la  normativa
nazionale e comunitaria vigente in materia di acque,  in  particolare
con la direttiva  23  ottobre  2000,  n.  2000/60/CE  (Direttiva  del
Parlamento europeo e del  Consiglio  che  istituisce  un  quadro  per
l'azione comunitaria in materia di acque) e  con  la  parte  III  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006  n.  152  (Norme   in   materia
ambientale),  e  inoltre   non   terrebbe   conto   delle   finalita'
istituzionali con le quali sono stati fissati e  condivisi  obiettivi
tra Comunita'  europea,  Stato  e  Regioni,  finalizzati  alla  piena
attuazione della stessa. 
    3.2. - La questione e' fondata. 
    3.3. - Lo scopo della norma impugnata e' l'allontanamento in alto
mare, mediante condotte sottomarine, delle acque  reflue  dei  canali
affluenti, nel tratto di litorale Domitio-Flegreo, durante i  periodi
di magra. Pare evidente che, trattandosi di  rimedio  provvisorio  in
attesa della realizzazione di progetti per la depurazione delle acque
inquinate, lo scarico avvenga senza sottoporre i reflui a trattamento
alcuno. 
    La disciplina degli scarichi idrici, come  piu'  in  generale  la
tutela delle acque dall'inquinamento,  e'  ascrivibile  alla  materia
dell'ambiente, attribuita alla competenza legislativa esclusiva dello
Stato ex art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. (sentenze n.  246
e n. 251 del 2009). 
    I margini di intervento, che la disciplina nazionale pur  rimette
alle Regioni, non giustificano tale tipo di misure. 
    La norma impugnata  e'  macroscopicamente  derogatoria  sia  alle
norme di indirizzo comunitario sull'inquinamento del mare,  sia  alle
finalita' perseguite e agli strumenti predisposti dall'azione statale
a  tutela  dell'ambiente,  tanto  da  non  potersi  in   alcun   modo
giustificare lo strumento individuato dalla Regione sia pure  in  via
interinale, e neppure ritrovare un nesso  tra  la  finalita'  che  il
comma 12 dell'art. 1 si propone («porre  rimedio  al  fenomeno  delle
erosioni costiere»), e la soluzione tecnica adottata (scarico in alto
mare delle acque reflue dei canali). 
    La direttiva n. 2000/60/CE promuove (art. 1) la protezione  delle
acque territoriali e marine, e la realizzazione degli obiettivi degli
accordi internazionali in materia, compresi quelli miranti a impedire
ed eliminare l'inquinamento dell'ambiente marino, con  l'eliminazione
graduale degli scarichi, delle emissioni e delle perdite di  sostanze
pericolose  al   fine   ultimo   di   pervenire   a   concentrazioni,
nell'ambiente marino, vicine ai valori  del  fondo  naturale  per  le
sostanze presenti in natura  e  vicine  allo  zero  per  le  sostanze
sintetiche antropogeniche. Tra i requisiti minimi  del  programma  di
misure adottande dagli Stati membri (art.  11),  vi  e'  l'assunzione
delle iniziative necessarie per non accrescere  l'inquinamento  delle
acque marine, precisandosi anche (paragrafo 6) che l'attuazione delle
misure adottate non puo' in nessun caso condurre, in maniera  diretta
o indiretta, ad un aumento dell'inquinamento delle acque. 
    La legislazione nazionale di settore appronta  una  tutela  delle
acque  attraverso  una  complessa  attivita'  di  pianificazione,  di
programmazione e di attuazione (art. 56 del d.lgs. n. 152  del  2006,
c.d. Codice dell'ambiente), al fine, fra l'altro,  di  proteggere  le
acque territoriali e marine e realizzare gli obiettivi degli  accordi
internazionali in materia, compresi  quelli  miranti  a  impedire  ed
eliminare  l'inquinamento  dell'ambiente  marino,   allo   scopo   di
arrestare o eliminare gradualmente gli scarichi, e comunque impedirne
ulteriori  deterioramenti  (art.  73).  Strumento   fondamentale   di
programmazione, attuazione e controllo e' il Piano  di  tutela  delle
acque,  per  l'individuazione  degli  obiettivi  minimi  di  qualita'
ambientale per i corpi idrici, stabiliti dalle norme  tecniche  dello
stesso Codice  dell'ambiente,  che  la  Regione  deve  predisporre  e
aggiornare, in vista del progressivo raggiungimento  degli  obiettivi
di qualita' (art. 76). 
    La stessa disciplina degli  scarichi  e'  approntata  dal  Codice
dell'ambiente in funzione del rispetto degli  obiettivi  di  qualita'
dei  corpi  idrici  e  comunque  entro  i  valori   limite   previsti
nell'Allegato 5 alla parte III dello stesso d.lgs. n. 152  del  2006,
che sono inderogabili dalle Regioni  (art.  101),  con  l'obbligo  di
pretrattamento degli scarichi piu' nocivi. L'immersione  in  mare  di
materiale e' consentita  (art.  109)  limitatamente  a  materiali  di
escavo di fondali marini o salmastri o di terreni  litoranei  emersi,
di inerti, materiali geologici inorganici e manufatti al solo fine di
utilizzo, ove ne sia  dimostrata  la  compatibilita'  e  l'innocuita'
ambientale, di materiale organico e inorganico di  origine  marina  o
salmastra, prodotto durante l'attivita' di pesca effettuata in mare o
laguna o stagni salmastri. 
    Rispetto a tale sistema, l'intervento legislativo  della  Regione
Campania (il cui Piano di tutela  delle  acque  e'  fermo  al  2007),
appare del tutto disarticolato dalla strategia  elaborata  a  livello
nazionale. 
    La dichiarata finalita' di porre  rimedio  all'erosione  costiera
e',  verosimilmente,  un  pretesto  per  giustificare  un  intervento
legislativo  in  una  materia  di  competenza  regionale   (qual   e'
considerata il ripascimento delle zone costiere: sentenza n. 259  del
2004): la finalita' e'  tecnicamente  irrealizzabile  con  la  misura
individuata, che ha il solo scopo di allontanare  in  mare  i  reflui
stagnanti nei  canali  litoranei  in  periodi  di  magra,  in  palese
contrasto con la disciplina statale a tutela dell'ambiente, che  mira
a  impedire  ed  eliminare   l'inquinamento   dell'ambiente   marino,
arrestando o eliminando gradualmente gli scarichi. 
    In definitiva, la norma e' illegittima,  per  contrasto  sia  con
l'art. 117, primo comma, che con il secondo comma, lettera s),  della
Costituzione. 
    L'accoglimento  della  questione  comporta  l'assorbimento  della
censura  formulata  con  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera e) Cost. 
    4. - L'art. 1, comma 16, della legge della Regione Campania n.  2
del 2010, prevede l'istituzione da parte dei  Comuni  ricompresi  nel
territorio dei parchi e nelle zone montane, di aree cinofile, adibite
esclusivamente all'addestramento ed allenamento dei cani da caccia, e
l'individuazione di strutture ove  consentire  l'addestramento  anche
dei cani da pastore, da utilita' e dei cani adibiti alla  pet-therapy
ed al soccorso. La destinazione dei parchi e dei territori montani  a
tali usi - al fine del rilancio  dell'economia  di  questi  territori
mediante il turismo cinofilo - avviene «anche d'intesa con gli organi
di direzione degli enti  parco»  ed  e'  affidata  a  cooperative  di
giovani residenti nei comuni interessati o ad imprenditori  agricoli,
singoli o associati,  ed  alle  associazioni  cinofilo-venatorie.  La
norma  consente  anche  che  in  tali  zone  si  svolgano,  nell'arco
dell'anno, prove zootecniche per il miglioramento delle razze  canine
da caccia e da pastore di cani iscritti all'anagrafe canina. 
    La disposizione contrasterebbe, ad avviso del ricorrente, con  la
legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), che
all'art.  11  prevede  che  ogni  parco,  nel  rispetto   delle   sue
caratteristiche,  attraverso  il  proprio   regolamento,   disciplina
l'esercizio  delle  attivita'  consentite  entro  il  territorio   di
competenza, fermo restando il divieto di  tutte  le  attivita'  e  le
opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli
ambienti naturali tutelati riguardo alla flora e alla fauna  protette
e ai rispettivi habitat. 
    4.1. - La questione e' fondata nei limiti di seguito precisati. 
    4.2.  -  Nel  rispetto  dei  livelli  uniformi,  previsti   dalla
legislazione statale nell'esercizio  della  competenza  esclusiva  in
materia di tutela dell'ambiente, di cui all'art. 117, secondo  comma,
lettera s), Cost. - e tale e' la materia delle aree protette, in  cui
la legge n. 394 del 1991 costituisce fonte di  principi  fondamentali
(sentenze n. 20 e n. 315 del 2010; n. 366  del  1992)  -  la  Regione
esercita la propria potesta'  legislativa,  senza  potervi  derogare,
mentre puo' determinare, sempre nell'ambito delle proprie competenze,
livelli maggiori di tutela (sentenze n. 193 del  2010  e  n.  61  del
2009). 
    Il territorio dei parchi, siano essi nazionali o  regionali,  ben
puo' essere oggetto di regolamentazione da parte  della  Regione,  in
materie riconducibili ai commi terzo e quarto  dell'art.  117  Cost.,
purche' in linea con il nucleo minimo di salvaguardia del  patrimonio
naturale, da ritenere vincolante per le Regioni (sentenza n. 232  del
2008). 
    La disciplina statale delle  aree  protette,  che  inerisce  alle
finalita'  essenziali  della  tutela  della  natura   attraverso   la
sottoposizione  di  porzioni  di  territorio  soggette   a   speciale
protezione, si estrinseca non solo  nelle  limitazioni  all'esercizio
della caccia (sentenza n. 315 del 2010), nella quale,  indubbiamente,
rientra l'addestramento dei cani da caccia (sentenze n. 350 del  1991
e n. 165 del 2009),  ma  anche  nella  predisposizione  di  strumenti
programmatici e gestionali per la valutazione  di  rispondenza  delle
attivita' svolte nei parchi, alle esigenze di protezione della  flora
e della fauna (sentenza n. 387 del 2008). 
    L'art. 11 della legge n. 394 del 1991, correttamente  individuato
nel ricorso quale  norma  interposta,  rimette  la  disciplina  delle
attivita' compatibili entro i confini  del  territorio  protetto,  al
Regolamento del parco, che e' adottato dall'Ente parco,  e  approvato
dal Ministro  dell'ambiente,  previo  parere  degli  enti  locali,  e
comunque  d'intesa  con  le  Regioni.  La  disciplina  contenuta  nel
Regolamento deve attenersi ai parametri che la stessa legge  prevede,
tra i quali  emerge  il  divieto  non  solo  di  cattura,  uccisione,
danneggiamento, ma anche di «disturbo delle specie animali» (comma 3,
lettera  a),  in  una  concezione  integrata  dell'habitat  naturale,
oggetto di protezione in ottemperanza agli obblighi  comunitari,  per
cui e' fatto divieto di «perturbare le specie  animali  protette,  in
particolare durante tutte le fasi del ciclo  riproduttivo  o  durante
l'ibernazione, lo svernamento e la migrazione» (art.  8,  lettera  d,
decreto del Presidente della Repubblica 8  settembre  1997,  n.  357,
Regolamento recante attuazione  della  direttiva  92/43/CEE  relativa
alla conservazione degli habitat  naturali  e  seminaturali,  nonche'
della flora e della fauna selvatiche). 
    Lo svolgimento di attivita' che pur riconducibili  alle  esigenze
di  sviluppo  economico  del  territorio,  determinano,  secondo   la
previsione della legge impugnata, un particolare afflusso di  persone
e  di  animali  nel   territorio   del   parco,   va   rimesso   alla
regolamentazione  tecnica  dell'ente   preposto   all'area   protetta
(sentenza n. 108 del 2005), secondo un procedimento  in  cui  e'  pur
richiesta la cooperazione delle  Regioni  e  degli  enti  locali.  La
previsione  legislativa  regionale  diretta   allo   svolgimento   di
attivita' che estrinsecandosi nell'addestramento di cani, non solo da
caccia, ed in prove zootecniche, vanno  a  interagire  con  l'habitat
naturale, non appare rispettosa dei livelli di tutela  dell'ambiente,
contenuti nella normativa statale. 
    Il rispetto dei livelli di tutela s'impone anche  in  riferimento
ai parchi regionali - la  norma  impugnata  appare  di  generalizzata
applicazione - il cui regolamento e' adottabile con  legge  regionale
(art. 22, lettera d, della  legge  n.  394  del  1991),  tuttavia  in
conformita' ai principi di cui all'art. 11: tra  questi  rientrano  i
divieti che la legge statale enuclea come condizioni  essenziali  per
l'esistenza stessa di aree di particolare conservazione della natura,
nonche'  la  titolarita',  nella  promozione  di  iniziative  atte  a
favorire la crescita economica, sociale e culturale  delle  comunita'
residenti, dell'organo di gestione del parco,  in  coordinamento  con
quelle delle Regioni e degli enti locali (art. 25, comma 3). 
    La creazione delle aree cinofile e' invece rimessa  dall'art.  1,
comma 16, della  legge  regionale  della  Campania,  direttamente  ai
Comuni, con la cooperazione solo eventuale («anche  d'intesa»)  degli
organi del parco (sulla necessita' di intesa, in tema  di  protezione
della natura, sentenze n. 437 del 2008 e n. 378 del 2007). 
    In definitiva, la norma e' illegittima, per contrasto con  l'art.
117, secondo comma, lettera s), della Costituzione limitatamente alla
sua applicazione ai territori compresi nei parchi  e  non  anche  per
quanto riguarda le zone montane. 
    L'accoglimento  della  questione  comporta  l'assorbimento  della
censura  formulata  con  riferimento  all'art.  117,  secondo  comma,
lettera e), Cost., peraltro non motivata sul punto. 
    5. - L'art. 1, comma 25, della legge della Regione Campania n.  2
del 2010 prescrive, per la dislocazione di centrali di produzione  di
energia da fonti rinnovabili, il rispetto di una distanza minima  non
inferiore a cinquecento  metri  lineari  dalle  aree  interessate  da
coltivazioni viticole con marchio DOC e DOCG, e non inferiore a mille
metri lineari da aziende agrituristiche ricadenti in tali aree. 
    Secondo il ricorrente la norma  individuerebbe  aree  non  idonee
all'installazione di impianti di produzione di energia  elettrica  da
fonti rinnovabili, in contrasto con l'art. 12, comma 10, del  decreto
legislativo 29 dicembre 2003,  n.  387  (Attuazione  della  direttiva
2001/77/CE relativa alla promozione dell'energia  elettrica  prodotta
da   fonti    energetiche    rinnovabili    nel    mercato    interno
dell'elettricita').   Il   corretto   inserimento   degli    impianti
(particolarmente gli  impianti  eolici)  nel  paesaggio  e'  rimesso,
secondo il ricorrente, all'approvazione di linee  guida  adottate  in
Conferenza  unificata,  su  proposta  del  Ministro  delle  attivita'
produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della  tutela
del territorio e del Ministro per i beni e le attivita' culturali. La
norma impugnata sarebbe,  pertanto,  lesiva  della  competenza  dello
Stato in materia di tutela dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo
comma, lettera  s)  Cost.,  nonche'  del  terzo  comma  dello  stesso
articolo, contrastando con i principi fondamentali della legislazione
statale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell'energia. 
    5.1. - La questione e' fondata. 
    5.2. - Non e' consentito alle Regioni, in assenza di linee  guida
approvate in Conferenza unificata,  porre  limiti  di  edificabilita'
degli impianti di produzione di  energia  da  fonti  rinnovabili,  su
determinate zone del territorio regionale (sentenze n. 119 e  n.  344
del 2010; n. 166 e n. 382 del 2009). 
    La  disciplina  attiene  alla  materia  di  potesta'  legislativa
concorrente della «produzione, trasporto e distribuzione di energia»,
in  cui  le  Regioni  sono  vincolate  ai  principi  stabiliti  dalla
legislazione statale (sentenze n. 124, n. 168, n. 332 e  n.  366  del
2010). 
    L'applicabilita', sancita dal comma 9 dell'art. 12 del d.lgs.  n.
387 del 2003, dei commi che lo precedono (e tra questi, del comma 7),
indipendentemente  da  quanto   disposto   dal   comma   10   (ovvero
dall'emanazione delle linee guida statali) non vale a legittimare una
legiferazione regionale sui temi trattati dalle stesse  disposizioni,
in particolare nel senso di vietare la realizzazione di  impianti  di
produzione di energia da fonti rinnovabili, in determinate  aree  del
territorio regionale. 
    Il comma 9 vale a rendere comunque  autorizzabili  dalla  Regione
gli   impianti,   indipendentemente   dalla   regolamentazione    del
procedimento,  che  il  comma  10  rimette   all'approvazione   della
Conferenza  unificata,  su  proposta  del  Ministro  delle  attivita'
produttive, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della  tutela
del territorio e del mare e del Ministro per i beni  e  le  attivita'
culturali. Nel renderne possibile l'istallazione in zona agricola, il
comma 7 impone di tener conto delle esigenze di sostegno del  mercato
agricolo e di valorizzazione delle tradizioni agroalimentari  locali,
di tutela delle biodiversita' e del paesaggio rurale.  Si  tratta  di
esigenze  da  vagliare  in  sede  di  istruttoria  per  il   rilascio
dell'autorizzazione  unica,  nella  valutazione   complessiva   degli
interessi variegati di cui e' depositaria la Conferenza dei  servizi,
non anche di valori che la Regione possa  autonomamente  tutelare  in
via  preventiva,   con   la   generalita'   propria   dell'intervento
legislativo,  a  discapito  dell'esigenza  di  favorire  la   massima
diffusione degli impianti di energia rinnovabile. 
    In conclusione, il primo periodo dell'art.  1,  comma  25,  della
legge della Regione  Campania  n.  2  del  2010  e'  illegittimo  per
violazione dell'art. 117, terzo comma, della Costituzione, mentre  il
secondo periodo e'  mera  disposizione  a  carattere  finanziario  di
contenuto autonomo. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara inammissibile la costituzione in giudizio della  Regione
Campania; 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  12,
ultima parte, della legge della Regione Campania 21 gennaio 2010,  n.
2 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e  pluriennale
della regione Campania - Legge finanziaria anno 2010); 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  16,
della legge della Regione Campania n. 2 del  2010,  limitatamente  ai
territori compresi nei parchi statali e regionali; 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1,  comma  25,
primo periodo, della legge della Regione Campania n. 2 del 2010. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                      Il redattore: Finocchiaro 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria l'11 febbraio 2011. 
 
                       Il Cancelliere: Melatti 
 
 
                                                             Allegato 
                      ordinanza letta all'udienza del 25 gennaio 2011 
 
                              ORDINANZA 
 
    Rilevato che la Regione Campania risulta essersi  costituita  nel
presente giudizio sulla base di decreto dirigenziale del Coordinatore
dell'Avvocatura della Regione  Campania  e,  dunque,  in  assenza  di
delibera di Giunta; 
    Che tale  costituzione  in  giudizio  e'  stata  gia'  dichiarata
inammissibile in relazione ad altri capi del ricorso decisi da questa
Corte con separata sentenza (n. 331 del 2010); 
    Che nella pronuncia citata da ultima questa Corte ha affermato il
principio che, nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale,  anche  la  costituzione  in  giudizio,  oltre   che   la
proposizione  del  ricorso,  deve  essere  deliberata  dalla   Giunta
regionale, secondo quanto previsto dall'art. 32, comma 2, della legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della Corte costituzionale), cui  si  e'  adeguato  l'art.  51  dello
statuto (legge statutaria della Regione Campania 28 maggio  2009,  n.
6); 
    Che, nelle more, la  Regione  Campania  ha  fatto  pervenire  una
delibera di Giunta, datata 30 dicembre 2010, con la quale si ratifica
la delibera del predetto responsabile e  in  udienza  ha  chiesto  di
essere ammessa alla discussione; 
    Che, a norma dell'art. 32, u.c., legge 11 marzo 1953,  n.  87,  i
termini per la costituzione nel giudizio di costituzionalita',  tanto
in via incidentale tanto in via principale, devono essere considerati
perentori (v. sentenze n. 364 del 2010; n. 160 del 2006; n.  397  del
2005); 
    Che,  invero,  la  delibera  adottata  da  un  organo   meramente
amministrativo deve considerarsi radicalmente  nulla  in  quanto  non
idonea a  produrre  qualsivoglia  effetto,  ivi  compreso  quello  di
interrompere il termine perentorio per la costituzione in giudizio; 
    Che, a causa di tale perentorieta',  l'adozione  da  parte  della
Giunta di una delibera di cosiddetta ratifica della  costituzione  in
giudizio  deliberata  dall'organo  incompetente   potrebbe   produrre
effetti solo a condizione che intervenga entro i termini perentori di
costituzione in giudizio. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara inammissibile la costituzione in giudizio della  Regione
Campania. 
 
                      Il Presidente: De Siervo