N. 49 SENTENZA 7 - 11 febbraio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via   incidentale   -
  Intervento di soggetto avente la qualita' di parte in  un  giudizio
  diverso da  quello  in  cui  e'  stata  sollevata  la  questione  -
  Inammissibilita'. 
Giustizia amministrativa - Controversie aventi  ad  oggetto  sanzioni
  disciplinari, diverse  da  quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,
  tesserati, associazioni e societa' sportive -  Riserva  al  giudice
  sportivo, con conseguente  sottrazione  al  sindacato  del  giudice
  amministrativo, anche  ove  gli  effetti  delle  sanzioni  superino
  l'ambito dell'ordinamento sportivo, incidendo su diritti soggettivi
  ed  interessi  legittimi  -  Eccezione  di  inammissibilita'  della
  questione per difetto di motivazione sulla rilevanza - Reiezione. 
- D.l. 19 agosto 2003, n. 220, art.  2,  commi  1,  lett.  b),  e  2,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280. 
- Costituzione, artt. 24, 103 e 113. 
Giustizia amministrativa - Controversie aventi  ad  oggetto  sanzioni
  disciplinari, diverse  da  quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,
  tesserati, associazioni e societa' sportive -  Riserva  al  giudice
  sportivo, con conseguente  sottrazione  al  sindacato  del  giudice
  amministrativo, anche  ove  gli  effetti  delle  sanzioni  superino
  l'ambito dell'ordinamento sportivo, incidendo su diritti soggettivi
  ed  interessi  legittimi  -  Eccezione  di  inammissibilita'  della
  questione  siccome   tesa   ad   ottenere   un   improprio   avallo
  interpretativo - Reiezione. 
- D.l. 19 agosto 2003, n. 220, art.  2,  commi  1,  lett.  b),  e  2,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280. 
- Costituzione, artt. 24, 103 e 113. 
Giustizia amministrativa - Controversie aventi  ad  oggetto  sanzioni
  disciplinari, diverse  da  quelle  tecniche,  inflitte  ad  atleti,
  tesserati, associazioni e societa' sportive -  Riserva  al  giudice
  sportivo, con conseguente  sottrazione  al  sindacato  del  giudice
  amministrativo, anche  ove  gli  effetti  delle  sanzioni  superino
  l'ambito dell'ordinamento sportivo, incidendo su diritti soggettivi
  ed interessi legittimi  -  Denunciata  violazione  del  diritto  ad
  ottenere la tutela delle posizioni giuridiche di diritto soggettivo
  e di interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale, ordinario o
  amministrativo - Esclusione, secondo l'interpretazione fornita  dal
  diritto vivente ed idonea a fugare i dubbi di  costituzionalita'  -
  Non fondatezza della questione, nei sensi di cui in motivazione. 
- D.l. 19 agosto 2003, n. 220, art.  2,  commi  1,  lett.  b),  e  2,
  convertito, con modificazioni, dalla legge 17 ottobre 2003, n. 280. 
- Costituzione, artt. 24, 103 e 113. 
(GU n.8 del 16-2-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici:  Paolo  MADDALENA  Giudice,   Alfio   FINOCCHIARO,   Alfonso
  QUARANTA, Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino
  CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe  FRIGO,
  Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  commi  1,
lettera  b),  e  2,  del  decreto-legge  19  agosto  2003,   n.   220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),  convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n.  280,  promosso  dal
Tribunale  amministrativo  regionale  del  Lazio   nel   procedimento
vertente tra Cirelli Andrea e la Federazione  Italiana  Pallacanestro
(FIP) ed altri con ordinanza dell'11 febbraio 2010,  iscritta  al  n.
194 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di costituzione della FIP, del  Comitato  Olimpico
Nazionale  Italiano  (CONI)  nonche'  l'atto  di   intervento   della
Associazione Sportiva Agora'  e  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  14  dicembre  2010  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    Uditi l'avvocato Luciano  de  Luca  per  l'Associazione  Sportiva
Agora', Guido Valori per la FIP, Alberto Angeletti  e  Luigi  Medugno
per il CONI e l'avvocato dello Stato Carlo Sica per il Presidente del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Nel corso di un giudizio avente ad oggetto la  impugnazione,
proposta da persona tesserata, in  qualita'  di  dirigente  sportivo,
presso la Federazione italiana  pallacanestro  (FIP)  della  sanzione
disciplinare della inibizione  allo  svolgimento  di  ogni  attivita'
endofederale per la durata di anni 3 e  mesi  4,  irrogata  nei  suoi
confronti con decisione della Camera di conciliazione e arbitrato per
lo sport del  Comitato  olimpico  nazionale  italiano  (CONI),  e  di
numerosi altri atti ad essa prodromici, il  Tribunale  amministrativo
regionale del Lazio, con ordinanza depositata  in  data  11  febbraio
2010, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24,  103  e  113  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,
commi 1, lettera b), e 2, del decreto-legge 19 agosto  2003,  n.  220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),  convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n. 280. 
    1.1. - Il giudice rimettente, prima di illustrare  i  profili  di
rilevanza e di non manifesta infondatezza della  presente  questione,
riferisce ampiamente in merito alle vicende del giudizio a  quo,  nei
termini qui di seguito riassunti. 
    Nel marzo del 2007 il ricorrente in tale giudizio,  team  manager
della squadra di pallacanestro  Benetton  Treviso,  fu  deferito  dal
Procuratore federale della FIP di fronte agli organi della  giustizia
federale in quanto, al fine di  consentire  il  tesseramento  per  la
predetta compagine di un giocatore,  avrebbe  confezionato  un  falso
atto di risoluzione contrattuale relativo  alla  posizione  di  altro
giocatore  della  medesima  squadra.  Per  tali  fatti,   costituenti
illecito sportivo, egli,  oltre  ad  essere  stato  licenziato  dalla
Benetton Treviso, veniva sanzionato dal  giudice  sportivo  di  primo
grado con la inibizione da qualsiasi attivita' federale per la durata
di anni 2. Essendo stato tale provvedimento impugnato, sia dalla  FIP
che  dal  tesserato,  di  fronte  alla  Corte  federale,  questa,  in
accoglimento del gravame proposto  dalla  Federazione,  aggravava  la
sanzione irrogata  protraendo  la  durata  della  inibizione  sino  a
complessivi anni 3 e mesi 4. In relazione  a  tale  provvedimento  il
tesserato proponeva istanza di conciliazione di fronte alla Camera di
conciliazione e  arbitrato  per  lo  sport  che,  pero',  fallito  il
tentativo di  conciliazione,  confermava,  in  sede  contenziosa,  il
precedente provvedimento. 
    A questo punto il dirigente  sportivo  inibito,  articolando  tre
motivi di  censura  (ampliati,  in  seguito,  con  altri  due  motivi
aggiunti), impugnava di fronte al TAR  del  Lazio  sia  la  decisione
assunta in sede conciliativa che quelle prese nelle  precedenti  fasi
giustiziali nonche' i  provvedimenti  con  i  quali  egli  era  stato
deferito agli organi della giustizia sportiva.  Impugnava,  altresi',
le disposizioni, di natura  statutaria  e  regolamentare,  le  quali,
disciplinando le modalita' di funzionamento della giustizia sportiva,
prevedono che i tesserati federali debbano  adire  gli  organi  della
suddetta giustizia nelle materia di cui all'art. 2 del  decreto-legge
n. 220 del 2003, comminando a loro volta, in caso  di  violazione  di
tale dovere, ulteriori sanzioni disciplinari. 
    1.2. - Nel giudizio di fronte al TAR, si costituivano la  FIP  ed
il  CONI  eccependo  ambedue,  in  via  preliminare,  il  difetto  di
giurisdizione   del   giudice   adito,   e   il    secondo,    sempre
preliminarmente, la propria carenza di  legittimazione  passiva,  la'
dove, nel merito, ambedue sostenevano la infondatezza del ricorso. 
    1.3.  -  Dopo  che  il  ricorrente  aveva  depositato  presso  la
segreteria del TAR copia della sentenza del Tribunale di Bologna  che
lo aveva assolto dal  reato  di  frode  sportiva  usando  la  formula
«perche' il fatto non sussiste», il TAR, in  data  28  gennaio  2010,
tratteneva la causa per la decisione. 
    2. - Il giudice a quo Ritiene di dovere preliminarmente esaminare
l'eccezione  di  difetto  di  giurisdizione  sollevata  dalle   parti
resistenti  costituite,  secondo  le  quali  le   sanzioni   sportive
sarebbero impugnabili, ai sensi dell'art. 2, primo comma, lettera b),
del decreto-legge n. 280 del 2003, solo di fronte agli  organi  della
giustizia sportiva. 
    A tale proposito, rileva di avere piu' volte affermato la propria
giurisdizione in materia di sanzioni disciplinari sportive diverse da
quelle tecniche -  cioe'  da  quelle  preordinate  ad  assicurare  la
regolarita' della competizione e  la  rispondenza  del  risultato  ai
valori sportivi in essa espressi - in considerazione del fatto che il
principio, espresso dal decreto-legge n. 220  del  2003,  secondo  il
quale l'ordinamento sportivo e' disciplinato autonomamente da  quello
statale,  trova  una  espressa  deroga  in  caso  di  rilevanza   per
quest'ultimo di situazioni giuridiche, costituenti diritti soggettivi
e interessi legittimi, connesse  con  il  primo.  E'  il  caso  delle
controversie che abbiano ad oggetto rapporti  giuridici  patrimoniali
fra societa' sportive  ed  atleti,  devolute  al  giudice  ordinario,
ovvero il caso di controversie relative ai provvedimenti del  CONI  o
delle Federazioni sportive, devolute al giudice amministrativo. 
    2.1. -  Tale  impostazione  e'  compendiata  dal  rimettente  nel
principio secondo il quale la  giustizia  sportiva  si  occupa  della
applicazione delle regole sportive, quella statale entra in gioco ove
la controversia concerna la lesione di diritti soggettivi o interessi
legittimi. 
    In  particolare,  per  cio'   che   concerne   la   giurisdizione
disciplinare, il TAR ha piu' volte affermato che l'art. 2,  comma  1,
lettera b), del decreto-legge n. 220 del 2003, il  quale  riserva  al
giudice sportivo le questione relative a «comportamenti rilevanti sul
piano disciplinare e l'irrogazione  ed  applicazione  delle  relative
sanzioni sportive», non opera la' dove la sanzione non  si  esaurisca
nell'ambito sportivo, refluendo, invece, anche nell'ordinamento dello
Stato. 
    In applicazione di tale tesi  il  TAR,  prosegue  l'ordinanza  di
rimessione, ha affermato la  propria  giurisdizione  in  relazione  a
ricorsi proposti da dirigenti, societa' sportive e giudici di gara in
relazione alle note sanzioni disciplinari emesse dalla Corte federale
della Federazione italiana giuoco calcio al  termine  della  stagione
calcistica 2005/2006, mentre  la  ha  declinata  in  occasione  della
impugnazione del provvedimento con il quale un arbitro di calcio  non
era stato iscritto nei ruoli degli arbitri  della  Serie  A  e  B  in
considerazione  della  asserita  carenza  delle  necessarie  qualita'
tecniche. 
    2.2. - Tale impostazione, ad  avviso  del  rimettente,  si  fonda
anche sulla necessita' di dare dell'art. 2, comma 1, lettera b),  del
decreto-legge  n.  220  del  2003  una   lettura   costituzionalmente
orientata, in accordo col principio, piu' volte espresso dal  giudice
delle leggi, secondo il quale l'interprete  deve,  fra  piu'  letture
possibili di una norma, privilegiare quella idonea a fugare  i  dubbi
di  costituzionalita',   dovendosi   dichiarare   la   illegittimita'
costituzionale di una disposizione  legislativa  solo  la'  dove  sia
impossibile dare di essa una interpretazione che  preservi  i  valori
costituzionali ad essa sottesi. 
    Aggiunge il rimettente che anche nel caso esaminato nel  giudizio
a  quo  vi  erano  argomenti   che,   alla   luce   della   pregressa
giurisprudenza, consentivano di affermare  che  il  legislatore,  col
decreto-legge n. 220 del 2003 avesse voluto si' garantire  il  previo
esperimento di tutti i rimedi propri  della  giustizia  sportiva,  ma
senza che  cio',  una  volta  esauriti  quelli,  escludesse,  per  le
sanzioni rilevanti anche nell'ordinamento generale,  la  possibilita'
di adire il giudice dello Stato. 
    2.3. -  Tale  «parabola  argomentativa»  -  riferisce  sempre  il
rimettente TAR - pero'  non  e'  stata,  di  recente,  condivisa  dal
Consiglio di Stato che, partendo dal  rilievo  che  frequentemente  i
provvedimenti disciplinari  adottati  in  ambito  sportivo  incidono,
almeno  indirettamente,  su  situazioni  giuridiche   rilevanti   per
l'ordinamento generale, si e'  interrogato  se,  in  tali  evenienze,
debba prevalere il valore della autonomia  dell'ordinamento  sportivo
ovvero il diritto di azione e di difesa in  giudizio.  Rispondendo  a
tale  quesito,  pur  consapevole   delle   perplessita'   di   ordine
costituzionale che ne potrebbero derivare, il Consiglio di  Stato  ha
ritenuto  di  dover  privilegiare  la  prima  delle   due   possibili
alternative, affermando che, visto il tenore letterale degli artt.  2
e 3 del decreto-legge n.  220  del  2003,  deve  concludersi  che  il
legislatore, nel demandare alla giustizia sportiva la cognizione  sui
comportamenti rilevanti sul piano disciplinare  e  sulle  conseguenti
sanzioni, non ha attribuito importanza al  fatto  che  queste  ultime
possano  anche  produrre  effetti  incidenti  sul  piano   morale   o
patrimoniale. 
    3. - Ritiene, pertanto, il rimettente, tenuto conto del ricordato
recente arresto del  Consiglio  di  Stato,  di  dovere  aderire  alla
impostazione  di  quest'ultimo,  sollevando,  pero',   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1, lettera b),  e,  in
parte qua, anche del comma 2  del  decreto-legge  n.  220  del  2003,
convertito  con  modificazioni,  con  legge  n.  280  del  2003,  per
contrasto con gli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, nella parte
in cui riserva al giudice sportivo la competenza a  decidere  in  via
definitiva le controversie aventi ad  oggetto  sanzioni  disciplinari
non tecniche inflitte ad atleti, tesserati, associazioni  e  societa'
sportive, sottraendole al giudice amministrativo,  anche  se  i  loro
effetti superano l'ambito  dell'ordinamento  sportivo,  incidendo  su
diritti ed interessi legittimi. 
    Riscontrata la rilevanza della  questione  nel  giudizio  a  quo,
atteso che l'esame  della  impugnazione  del  ricorrente  postula  la
giurisdizione  del  giudice  adito,  il  rimettente,  aderendo   alla
ricordata  opzione  ermeneutica  del  Consiglio  di  Stato,  volta  a
privilegiare il tenore letterale dell'art. 2 del citato decreto-legge
n. 220 del 2003, a scapito di una lettura  sistematica  di  esso,  in
passato adottata dallo stesso  rimettente,  che  valorizzi  anche  il
regime derogatorio previsto  nella  parte  finale  del  comma  2  del
medesimo decreto-legge, afferma la non manifesta  infondatezza  della
questione. 
    3.1. - Ritiene il rimettente che la tesi  ora  seguita  violi  in
primo luogo l'art. 24 della Costituzione che garantisce  il  diritto,
in ogni stato e grado del procedimento, di agire in giudizio a tutela
dei  propri  diritti  ed  interessi  legittimi.  Violati   sarebbero,
altresi', gli artt. 103 e  113  della  Costituzione,  che  consentono
l'impugnativa degli atti amministrativi di fronte agli  organi  della
giustizia amministrativa, non  potendosi  dubitare,  proprio  per  la
riserva di giurisdizione contenuta nell'art. 3 del  decreto-legge  n.
220  del  2003,  della  riconducibilita'   al   genere   degli   atti
amministrativi dei provvedimenti emessi dal CONI e dalle  Federazioni
sportive. 
    Ne' la disciplina censurata  puo'  ritenersi  giustificata  dalla
esigenza di assicurare, in considerazione  della  peculiarita'  degli
interessi in gioco, una giustizia rapida che  l'ordinamento  statuale
non sarebbe in grado di assicurare, dato che  lo  stesso  legislatore
del 2003, consapevole di cio', ha esteso al contenzioso  sportivo  la
disciplina acceleratoria del processo dettata per  altre  materie  in
cui e' riscontrabile la medesima esigenza di speditezza. Aggiunge  il
rimettente che, se cio' non  fosse  stato  ritenuto  sufficiente,  il
legislatore, senza giungere a violare il diritto di  difesa,  avrebbe
potuto introdurre ulteriori strumenti di velocizzazione del processo. 
    Precisa il rimettente che la  illegittimita'  costituzionale  non
viene da lui ravvisata nella cosiddetta pregiudiziale  sportiva,  che
e', anzi, una logica  conseguenza  della  autonomia  dell'ordinamento
sportivo,  ma  nella  preclusione  del  ricorso  alla   giurisdizione
ordinaria una volta esauriti i gradi di  quella  sportiva.  Parimenti
estraneo alla  problematica  in  esame  e'  il  caso  della  sanzione
tecnica, irrogata nel corso  od  in  conseguenza  della  competizione
sportiva: in tal caso, infatti, manca lo stesso presupposto per poter
invocare la tutela dell'art. 24 della Costituzione, cioe' la  lesione
di posizioni giuridiche rilevanti. Invero, alle regole  tecniche  non
puo' attribuirsi la valenza di norme di relazione da cui scaturiscono
diritti  soggettivi  e  contrapposti  obblighi  per  quanti   operano
nell'ordinamento  sportivo.  Dovendosi  altresi'  escludere  che   le
decisioni   assunte   dai   giudici   di   gara    abbiano    valenza
provvedimentale, non e' ravvisabile in capo ai  destinatari  di  esse
una posizione di interesse legittimo. In definitiva sia la violazione
delle regole tecniche proprie  di  una  disciplina  sportiva  che  le
sanzioni da essa derivanti appartengono all'«irrilevante  giuridico»,
per il quale la «giustiziabilita' puo' essere  [...]  riservata  agli
organi della giustizia sportiva». 
    A  tale  approdo,  rileva  il  rimettente,  era,  peraltro,  gia'
pervenuto il giudice ordinario allorche' aveva  affermato,  sia  pure
anteriormente alla entrata in vigore del  decreto-legge  n.  220  del
2003, che l'ordinamento generale,  pur  riconoscendo  l'autonomia  di
quello sportivo, per un verso pretende che le norme  fondamentali  di
questo si armonizzino con le proprie e per altro  verso  assicura  la
tutela delle posizioni giuridiche che  gravitano  nella  sua  orbita,
esulando  da  essa   le   disposizioni,   meramente   tecniche,   che
l'ordinamento speciale ha elaborato ai fini  della  acquisizione  del
risultato della competizione sportiva. 
    3.2. - Ritiene il TAR del Lazio che  tale  caratteristica,  cioe'
l'esaurire la loro efficacia all'interno  dell'ordinamento  sportivo,
non sia propria anche dei provvedimenti con  i  quali  sono  inflitte
sanzioni disciplinari per violazioni di regole  non  tecniche,  posto
che queste, dirette a modificare in  modo  sostanziale,  sebbene  non
irreversibile, lo status dell'affiliato, ridondano in danno della sua
sfera giuridica rilevante per l'ordinamento generale. 
    Ne' puo'  invocarsi  al  proposito  l'autonomia  dell'ordinamento
sportivo, essendo giustificabile la intangibilita' di questo solo  in
quanto gli atti e le pronunce ad esso riferibili esauriscano  i  loro
effetti all'interno del medesimo. 
    Cio' non avviene ove le valutazioni e gli apprezzamenti  espressi
investano  con  immediatezza  i   diritti   fondamentali   del   loro
destinatario, influendo negativamente sulla sua  onorabilita',  cosi'
come si verifica nel caso di specie, la' dove il danno  sofferto  dal
ricorrente  starebbe  non  tanto  nella  misura  interdittiva  a  lui
applicata, quanto nel giudizio di riprovevolezza morale che  ad  essa
sottende. 
    3.3. - Pertanto il TAR del Lazio ha sollevato, in relazione  agli
artt. 24, 103 e 113 della  Costituzione,  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2, commi 1, lettera b), e, in parte qua,  2,
del decreto-legge n. 220 del 2003, convertito, con modificazioni, con
legge n. 280 del 2003, nella parte in cui riserva al giudice sportivo
la cognizione sulle controversie relative alle sanzioni  disciplinari
non tecniche inflitte ad atleti, tesserati  associazioni  e  societa'
sportive, sottraendola al giudice amministrativo, anche la' dove esse
incidano su diritti ed interessi  legittimi  che,  per  l'ordinamento
generale, il rimettente TAR e' chiamato a tutelare. 
    4. - Si e' costituito  in  giudizio  il  CONI  chiedendo  che  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata inammissibile
ovvero, in subordine, infondata. 
    4.1. - Ad avviso della difesa del CONI, l'ordinanza di rimessione
presenta  profili   di   inammissibilita'   connessi   alla   mancata
valutazione della natura della decisione, oggetto di impugnazione  di
fronte al TAR, della  Camera  di  conciliazione  ed  arbitrato  dello
sport.  Infatti,  se  tale  decisione  fosse  qualificata  come  lodo
arbitrale  rituale,  tenuto  conto  della  compromettibilita'   degli
interessi sostanziali coinvolti dalla decisione, resterebbe salva  la
possibilita' per il destinatario di essa di giovarsi delle  forme  di
gravame consentite  dal  codice  di  rito  in  relazione  a  siffatta
tipologia di decisioni. 
    Prosegue la difesa del CONI rilevando che  il  descritto  difetto
motivazionale della ordinanza di rimessione neppure  potrebbe  essere
ovviato dal riferimento, peraltro non contenuto nella  ordinanza  del
TAR  del  Lazio,  all'indirizzo  giurisprudenziale,  da  tale   parte
definito consolidato, in base al quale le decisioni assunte  in  seno
alla Camera  di  conciliazione  ed  arbitrato  dello  sport,  sebbene
assunte nel contraddittorio  delle  parti,  avrebbero  la  natura  di
provvedimenti amministrativi, sicche' non sarebbe ad esse applicabile
la normativa  in  tema  di  impugnazione  dei  lodi  arbitrali.  Tale
orientamento, infatti, e' sorto in  materia  di  ricorsi  avverso  la
mancata ammissione a campionati, e si fonda sulla non suscettibilita'
degli interessi in tali casi coinvolti ad essere oggetto di  clausola
compromissoria, dato che  essi  -  stante  il  potere  «pacificamente
pubblicistico» spiegato dal soggetto che ha denegato la ammissione  -
sarebbero qualificabili sotto la specie  degli  interessi  legittimi.
Poiche'  tale  vincolo  negativo   non   sussisterebbe   in   materia
disciplinare,  il   ricordato   orientamento   giurisprudenziale   (a
prescindere dai dubbi espressi sulla  sua  correttezza)  non  sarebbe
pertinente al caso in questione. 
    4.2. - Nell'esaminare, a questo punto, la  normativa  concernente
la giustiziabilita' delle sanzioni disciplinari  irrogate  in  ambito
sportivo, la suddetta difesa Osserva che  la  loro  sottrazione  alla
cognizione della autorita'  giudiziaria  statuale  concerne  le  sole
sanzioni  irrilevanti  per  l'ordinamento  generale,  posto  che   la
autonomia dell'ordinamento sportivo, sancita dal decreto-legge n. 220
del 2003, non e' assoluta, ma, a mente del comma 2  dell'art.  1  del
citato decreto-legge, trova una deroga ogni qual volta la sanzione ha
una  attitudine  lesiva  che  trascende  i  limiti   dell'ordinamento
sportivo. Esemplificando, la difesa dell'Ente  sostiene  che  esulano
dalla soglia di indifferenza connessa a tale ordinamento le  sanzioni
che incidono direttamente sullo status di  tesserato  rescindendo  il
legame associativo, come  nel  caso  della  radiazione,  mentre  sono
comprese in essa quelle da  cui  non  puo'  derivare  alcuna  lesione
rilevante per l'ordinamento generale (sanzioni pecuniarie, inibizione
allo svolgimento di attivita' endofederale, penalizzazioni sportive).
Emblematica sarebbe, in tal senso,  la  stessa  vicenda  oggetto  del
giudizio a quo, posto che la inibizione  inflitta  comporta  solo  il
divieto di svolgere attivita' in ambito federale, senza incidere  sul
rapporto di lavoro, unico rilevante sul piano generale, che  lega  il
dirigente  alla  societa'   sportiva.   Parimenti   irrilevanti   per
l'ordinamento generale sono le  sanzioni  pecuniarie,  posto  che  le
federazioni sportive per la loro esazione  non  possono  ricorrere  a
strumenti apprestati  dell'ordinamento  statuale  ma  solo  a  quelli
previsti da quello speciale. 
    Ritiene, infine, la difesa del CONI che sara', di volta in volta,
compito  dell'organo  giudicante  valutare   se   i   termini   della
controversia a lui devoluta siano tali  da  coinvolgere  direttamente
posizioni giuridiche tutelate  dall'ordinamento  generale,  ritenendo
solo in questo caso la propria giurisdizione, declinandola  nel  caso
opposto. Cosi' intesa la disciplina contenuta  nel  decreto-legge  n.
220  del  2003  non  da'  piu'  adito   a   dubbi   di   legittimita'
costituzionale, risultando non tutelate solo le posizioni  giuridiche
prive di rilevanza in ambito statuale. 
    Va tuttavia precisato,  prosegue  la  esponente  difesa,  che  il
coinvolgimento  della  posizione  giuridica  rilevante  deve   essere
diretto e non, come in passato sostenuto dal  TAR  del  Lazio,  anche
indiretto, atteso che questa opzione ermeneutica avrebbe l'effetto di
rendere lettera morta la riserva  di  giurisdizione  disciplinare  in
favore degli organi della giustizia sportiva posta  dal  legislatore,
dato che, come  certamente  non  e'  sfuggito  a  quest'ultimo,  ogni
sanzione sportiva e' di per se' astrattamente  idonea  a  determinare
effetti  riflessi  proiettati  anche  al  di  fuori  dell'ordinamento
sportivo. 
    Che  le  uniche  sanzioni  disciplinari  destinate   a   incidere
direttamente su  posizioni  giuridiche  rilevanti  per  l'ordinamento
generale siano quelle coinvolgenti  lo  status  del  destinatario  e'
desumibile anche dal fatto che, in sede di conversione in  legge  del
decreto-legge n. 220 del 2003, il Parlamento  elimino'  dal  comma  1
dell'art. 2 l'intera lettera c),  la  quale  riservava  all'autonomia
dell'ordinamento   sportivo   anche    le    questioni    concernenti
«l'ammissione e l'affiliazione alle Federazioni sportive di societa',
associazioni sportive e di singoli tesserati»,  restituendo,  quindi,
agli organi dello Stato le eventuali controversie su di esse. 
    4.3. - Osserva, conclusivamente, la  difesa  del  CONI  che,  nel
corso del giudizio a quo, la disciplina dei rimedi giustiziali propri
dell'ordinamento sportivo ha subito una sensibile revisione: infatti,
attraverso la sostituzione della Camera di conciliazione ed arbitrato
dello sport con il Tribunale nazionale di arbitrato per lo sport,  si
e' inteso accentuare sensibilmente i profili arbitrali di tale organo
giudicante, dotato espressamente di competenza  arbitrale  e  le  cui
decisioni, definite lodi e alle quali si perviene  a  seguito  di  un
iter procedurale ampiamente ricalcato su quello previsto  dal  codice
di rito  per  i  giudizi  arbitrali,  sono,  se  assunte  riguardo  a
controversie «rilevanti per  l'ordinamento  giuridico  dello  Stato»,
suscettibili del mezzo di gravame di cui all'art. 828 cod. proc. civ. 
    Privo,  invece,  di  siffatta  connotazione  arbitrale   sarebbe,
invece, l'altro  organo  ora  previsto  al  vertice  della  giustizia
sportiva,  l'Alta  Corte  di  giustizia  sportiva,  che,  in   quanto
destinato a giudicare su materie sottratte ai poteri di  disposizione
delle parti o in  assenza  di  regolamentazione  pattizia  e  poiche'
munito di un'investitura di fonte regolamentare e formato da soggetti
non scelti dalle  parti,  deve  essere  considerato  «depositario  di
funzioni decisorie di  natura  amministrativa»,  tali,  pertanto,  da
consentire   la   qualificazione   in   termini   di    provvedimento
amministrativo  degli  atti  da  essa  assunti,  con   le   derivanti
conseguenze in termini di regime impugnatorio. 
    Da tali novita' ordinamentali la costituita difesa fa  discendere
la inattualita' della questione proposta dal  TAR  del  Lazio  ed  il
rischio che un suo eventuale  accoglimento  renderebbe  l'ordinamento
sportivo privo della necessaria  riserva  di  giurisdizione  riguardo
alle  sanzioni  disciplinari  che  non  producono   effetti   esterni
all'ordinamento stesso. 
    5. - Si e', altresi', costituita in giudizio la FIP, la quale  ha
concluso  nel  senso  della  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale o, comunque, della sua infondatezza. 
    5.1. - Quanto alla inammissibilita', la difesa della FIP  Osserva
che, in realta', il dubbio di legittimita' costituzionale dedotto dal
TAR non si alimenta tanto  del  tenore  testuale  della  disposizione
censurata quanto deriva dalla interpretazione che di essa ne e' stata
data dal Consiglio di Stato con la nota decisione n. 5782  del  2008,
interpretazione, ricorda la esponente difesa, che lo stesso TAR aveva
in passato disatteso, ritenendo,  invece,  che  ne  fosse  consentita
un'altra che facesse salva la  giurisdizione  statuale  ogniqualvolta
gli  effetti  che  discendono   dalla   sanzione   disciplinare   non
esauriscano i loro effetti all'interno dell'ordinamento  sportivo  ma
li proiettino anche all'esterno di esso. 
    Essendo chiaro che, nel caso di  specie,  il  rimettente  avrebbe
avuto tutti gli strumenti per verificare l'ambito di efficacia  della
sanzione disciplinare irrogata al ricorrente nel giudizio a  quo,  si
afferma la inammissibilita' della  questione,  essendo  stata  questa
sollevata  non  tanto   per   dirimere   un   effettivo   dubbio   di
costituzionalita', quanto per ottenere l'avallo della  Corte  ad  una
determinata interpretazione normativa. 
    Ritiene, peraltro, la difesa della  FIP  che  nella  fattispecie,
avendo il ricorrente in sostanza chiesto al TAR di pronunziarsi sulla
sussistenza o meno dei presupposti  sostanziali  per  la  irrogazione
della  sanzione  disciplinare,  sarebbe  evidente  il  tentativo   di
trasformare, attraverso la allegazione  di  effetti  indiretti  della
sanzione, il giudice statale in un giudice (del fatto)  sportivo;  ma
proprio   la   mancanza   di   una   posizione   giuridica   tutelata
nell'ordinamento generale viene a giustificare, in  questo  caso,  la
declinatoria di giurisdizione. 
    5.2. - Prosegue  la  Federazione  Osservando  che,  comunque,  la
questione, ove se ne riscontrasse la  rilevanza,  sarebbe  infondata.
Infatti  l'art.  2  del  decreto-legge  n.  220  del  2003  va  letto
congiuntamente  all'art.  1   che,   nel   garantire   la   autonomia
dell'ordinamento sportivo, precisa che siffatta tutela si esplica  in
termini assoluti solo nelle materie il cui rilievo e'  esclusivamente
interno a tale ordinamento. Invece, la' dove entrano in gioco diritti
ed  interessi  protetti  dall'ordinamento   generale,   la   garanzia
dell'ordinamento particolare cede di fronte a  quelle  apprestate  ai
soggetti dall'ordinamento generale. 
    Non essendo sempre possibile individuare le due diverse tipologie
di interessi in gioco, il legislatore ha ritenuto di selezionare  due
blocchi di regole che attengono in maniera esclusiva  all'ordinamento
sportivo, non potendo questo sopravvivere se non puo', per un  verso,
autonomamente regolamentare la propria attivita' e non ha, per  altro
verso,  gli  strumenti  per  ottenere,  attraverso   i   procedimenti
disciplinari, il rispetto dei principi di lealta' sportiva. 
    In questo senso al concetto  di  autonomia  si  ricollega  quello
della autodichia, dovendo  un  ordinamento,  legittimato  ad  emanare
regole, essere in grado di istituire organi che valutino le  relative
controversie. In tal senso il legislatore statuale ha riservato  alla
esclusiva giurisdizione sportiva le questioni di cui alle lettere  a)
e b)  dell'art.  2  del  decreto-legge  n.  220  del  2003,  ma  tale
esclusivita' non sarebbe assoluta, in quanto il giudice  statuale  e'
comunque chiamato a conoscere, anche in questi casi,  sui  diritti  e
sugli interessi protetti dallo Stato. 
    Dalla  applicazione  dei  criteri  che  precedono   consegue   la
infondatezza del dubbio di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2
del decreto-legge n. 220, atteso  che  la  riserva  di  giurisdizione
nelle materie di cui alle lettere a) e b) del medesimo  non  comporta
la sottrazione  allo  Stato  delle  sue  prerogative  riguardanti  le
posizioni giuridiche soggettive protette  dall'ordinamento  generale,
in quanto per queste ultime rimane salva la giurisdizione del giudice
statale. 
    5.3.  -  La  problematica,  in  sostanza,   consisterebbe   nella
delimitazione, rimessa all'apprezzamento del giudice, del concetto di
cosa   sia   giuridicamente   rilevante,   cosi'    esulando    dalla
costituzionalita' della norma ora in questione. Ove  sia  rinvenibile
tale rilevanza, sussisterebbe l'esigenza  di  tutela  giurisdizionale
che legittima  il  ricorso  al  giudice  statale,  ove,  invece,  sia
richiesta la tutela di una posizione di mero  fatto,  difettando  una
vera e propria domanda giudiziale, non  vi  puo'  essere  radicamento
della giurisdizione statale. 
    Applicando tali principi  all'ipotesi  di  sanzione  disciplinare
irrogata in ambito sportivo, se la impugnazione  di  questa  e'  solo
finalizzata al riesame  delle  medesima  questione  gia'  decisa  dal
giudice sportivo, essa, senza che rilevino - per quanto gravi possano
essere - gli eventuali effetti indiretti del provvedimento impugnato,
e' insindacabile dal giudice ordinario. 
    6. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri, rappresentato e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello
Stato, che ha concluso per la  inammissibilita'  della  questione  o,
comunque, per la sua non fondatezza. 
    6.1. - Riguardo alla inammissibilita', la difesa erariale Osserva
che il TAR rimettente Ritiene che la lesione  subita  dal  ricorrente
nel  giudizio  a  quo  e'  data  dalle  pregiudizievoli   valutazioni
personali contenute negli atti impugnati, tali da fondare un giudizio
negativo sulle qualita' morali dello stesso, Atteso, pero',  che  nel
giudizio a quo  e'  solamente  richiesto  l'annullamento  degli  atti
impugnati, senza alcun profilo risarcitorio, mancherebbe nel caso  di
specie - o quantomeno non ne e' adeguatamente chiarita dal rimettente
la  sussistenza  -  quel  riflesso  nell'ordinamento  generale  della
sanzione sportiva che ne giustificherebbe il sindacato da  parte  del
giudice statale: di tal che  la  questione  sarebbe  irrilevante  nel
giudizio a quo. 
    Essa sarebbe, comunque, anche infondata. Il legislatore del  2003
si  sarebbe,  infatti,  limitato  a  precisare,  riportandosi  ad  un
consolidato orientamento precedentemente formatosi  sia  in  dottrina
che  in  giurisprudenza,  quali  sono  gli  atti  delle  associazioni
sportive indifferenti per  l'ordinamento  statale  e  che,  pertanto,
sfuggono alla giurisdizione di questo. Fra  questi  gli  atti  con  i
quali viene sanzionato  il  comportamento  del  tesserato  sul  piano
disciplinare. 
    Tale  scelta   risponderebbe   ad   un   generale   criterio   di
ragionevolezza,    rispettando    l'autonomia    dell'associazionismo
sportivo. 
    La diversa opinione formulata dal rimettente, secondo  la  quale,
ferma restando  la  distinzione  fra  sanzioni  tecniche  e  sanzioni
ordinarie, sarebbero rilevanti per l'ordinamento generale le sanzioni
disciplinari ordinarie incidenti su di un  interesse  patrimoniale  o
morale del destinatario di esse, sarebbe tale che travolgerebbe anche
la stessa distinzione, essendo evidente che  anche  da  una  sanzione
tecnica possono  derivare  rilevanti  conseguenze  sia  di  carattere
patrimoniale che di carattere morale. 
    Il criterio distintivo  deve,  invece,  costruirsi  sul  tipo  di
situazione soggettiva coinvolta, risultando indifferente  al  diritto
statuale quella che non giunga alla soglia di diritto soggettivo o di
interesse legittimo. 
    Data tale indifferenza non vi  sarebbe  contrasto  fra  la  norma
censurata ed i parametri costituzionali evocati. 
    Parametri che, riguardo agli artt. 103 e 113 della  Costituzione,
appaiono altresi' non  pertinenti  alla  fattispecie,  atteso  che  i
provvedimenti resi dalle Federazioni sportive, organismi  di  diritto
privato che nella materia giustiziale non operano su delega del CONI,
non   sono   sussumibili   sotto   la   specie   del    provvedimento
amministrativo, sicche'  neppure  sarebbero  suscettibili  di  essere
annullati dal Tribunale rimettente. 
    7. - E',  altresi',  intervenuta  nel  giudizio  di  legittimita'
costituzionale la Associazione sportiva Agora', la quale, in punto di
fatto, riferisce di avere impugnato di fronte al  TAR  del  Lazio  il
provvedimento, reso nei suoi confronti dalla Camera di  conciliazione
ed arbitrato per lo sport del CONI in data 24 dicembre 2004,  con  il
quale era stata confermata  una  sanzione  disciplinare,  consistente
nella squalifica dalle competizioni per la durata  di  un  anno  e  8
mesi, a lei inflitta dalla Commissione  d'appello  della  Federazione
italiana wushu kung fu. 
    Avendo il TAR rigettato la richiesta di sospensione cautelare del
provvedimento impugnato, argomentando, fra l'altro sulla  base  della
dubbia ammissibilita' del ricorso per difetto  di  giurisdizione,  la
Agora' ha eccepito  la  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  2,
comma 1, lettere a) e b), del decreto-legge n. 220 del 2003.  Avendo,
quindi, appreso che il medesimo TAR, in altro giudizio, ha  sollevato
la questione  di  costituzionalita'  della  norma  citata  mentre  il
giudizio  che  la  vede  ricorrente  e'  stato  rinviato  a  data  da
destinarsi,  la  Agora'  e'  intervenuta   nel   presente   giudizio,
ritenendosi a cio' legittimata, anche sulla base di taluni precedenti
della Corte costituzionale,  in  quanto  titolare  di  una  posizione
qualificata rispetto alla definizione di esso - attese le conseguenze
decisive che la sua definizione avra' nell'ambito della  controversia
promossa di fronte al TAR - tale da farle affermare la sussistenza di
un  interesse  diretto   ad   intervenire   nel   presente   giudizio
strettamente  funzionale  all'esercizio   del   diritto   di   difesa
all'interno di un processo pendente. 
    Riguardo al merito della questione, la interveniente  si  associa
ai  dubbi  sulla  legittimita'  costituzionale   della   disposizione
censurata formulati dal rimettente, Osservando che detta disposizione
suscita altresi' dubbi in ordine alla sua rispondenza al canone della
ragionevolezza. 
    8. -  Nell'imminenza  della  udienza,  la  difesa  della  FIP  ha
depositato una memoria  illustrativa,  in  larga  parte  confermativa
delle precedenti difese. 
    8.1.  -  Riguardo  all'intervento  della  Associazione   sportiva
Agora', la difesa federale ne rileva  l'inammissibilita',  in  quanto
spiegato da soggetto estraneo al giudizio a quo, non titolare di  una
posizione sostanziale connessa in modo immediato e diretto  a  quella
dedotta nel giudizio principale. 
    La FIP insiste poi  per  la  inammissibilita'  dell'incidente  di
costituzionalita' sollevato dal TAR del Lazio, in quanto la questione
difetterebbe del requisito della rilevanza. Infatti,  per  un  verso,
essa avrebbe potuto essere risolta  verificando  se  l'oggetto  della
domanda proposta di fronte al rimettente fosse tra le  questioni  cui
l'ordinamento dello Stato attribuisce tutela e, per altro  verso,  e'
lo stesso ricorrente, non avendo dedotto  alcun  atto  lesivo  di  un
proprio diritto ne' avendo formulato alcuna domanda  risarcitoria,  a
confinare la questione nel giuridicamente irrilevante. 
    Precisa, tuttavia, la FIP che  la  questione  sarebbe,  comunque,
infondata. Ricordato che sin dal  2004  la  Corte  di  cassazione  ha
individuato, con riferimento al contenzioso di carattere sportivo, la
categoria del  giuridicamente  indifferente,  si  Osserva  come,  con
recentissima  ordinanza  delle  Sezioni  unite   civili,   la   Corte
regolatrice sia tornata sull'argomento ribadendo che la sussistenza o
meno di una  situazione  astrattamente  tutelabile  non  integra  una
questione di giurisdizione ma attiene al merito  della  controversia,
costituendo uno dei presupposti della domanda giudiziale. 
    Nel caso di specie il ricorrente, come detto, non ha  dedotto  la
lesione di una situazione  giuridica  protetta,  lamentando  solo  la
adozione del provvedimento disciplinare ai suoi danni in assenza  del
necessario  presupposto   fattuale,   costituito   dalla   ricorrenza
dell'illecito sportivo. Mancando, pertanto, ad  avviso  della  difesa
della FIP, una posizione giuridica assunta  come  lesa,  non  sarebbe
possibile affermare la giurisdizione. Ne' avrebbe  senso  fondare  la
giurisdizione   sugli   effetti    indiretti    (del    provvedimento
sanzionatorio), posto che cosi' verrebbe disancorata la domanda dalla
esistenza del diritto, facendosi cosi' discendere una  «molteplicita'
di possibili situazioni protette» da un «mero fatto». 
    Tale conclusione, fra l'altro, tradirebbe il senso  del  d.l.  n.
220 del 2003, in base al quale, invece, esiste un'area giuridicamente
neutra e, in quanto tale, sottratta al sindacato del giudice statale. 
    Il TAR, viceversa, prima di interrogarsi  sulla  esistenza  della
posizione tutelabile, si domanda se vi e' la sua giurisdizione. Anzi,
precisa la FIP, il TAR individua solo  una  posizione  indirettamente
tutelata per chiedersi se su di essa vi sia la giurisdizione. 
    In tal  modo,  attesa  la  diversa  opinione  gia'  espressa  dal
Consiglio di Stato, il TAR, in realta', chiede  alla  Corte  l'avallo
alla sua interpretazione. 
    Peraltro, conclude la memoria, ove si  esaminino  le  deroghe  al
principio  della  autonomia   dell'ordinamento   sportivo   contenute
nell'art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 nonche' l'art.  3  del  medesimo
d.l.,  il  quale  assegna  al  TAR  del  Lazio  la  cognizione  sulle
controversie, escluse quelle di natura patrimoniale,  esulanti  dalla
autonomia sportiva, risultera' chiaro che, la' dove la  vicenda,  pur
originata all'interno dell'ordinamento sportivo, abbia ad oggetto  la
lesione di diritti o interessi legittimi - lesione da verificare caso
per caso - sara' assicurata la tutela giurisdizionale statale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio  dubita,  in
riferimento agli artt.  24,  103  e  113  della  Costituzione,  della
legittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 1, lettera  b),  e  2,
del decreto-legge 19 agosto 2003, n.  220  (Disposizioni  urgenti  in
materia di giustizia sportiva), convertito,  con  modificazioni,  con
legge 17 ottobre 2003, n. 280, nella parte in  cui  riserva  al  solo
giudice sportivo la competenza a decidere le controversie  aventi  ad
oggetto sanzioni disciplinari, diverse da quelle  tecniche,  inflitte
ad atleti, tesserati, associazioni e societa' sportive,  sottraendole
al sindacato del giudice amministrativo, anche  ove  i  loro  effetti
superino l'ambito dell'ordinamento  sportivo,  incidendo  su  diritti
soggettivi ed interessi legittimi. 
    1.1. - Prima di ogni altra considerazione giova premettere che il
decreto-legge  n.  220  del  2003  e'   stato   oggetto   di   talune
modificazioni, ancorche' non riguardanti le disposizioni censurate, a
seguito della entrata in vigore  del  decreto  legislativo  2  luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell'art. 44 della legge 18 giugno 2009,  n.
69,  recante  delega  al  Governo  per  il  riordino   del   processo
amministrativo). 
    In particolare, all'art. 3, comma 1, le parole «e' devoluta  alla
giurisdizione  esclusiva  del  giudice  amministrativo»  sono   state
sostituite, dal comma 13 dell'art. 3 dell'allegato 4  del  d.lgs.  n.
104 del 2010, dalle parole «e' disciplinata dal codice  del  processo
amministrativo»; mentre i successivi  commi  2,  3  e  4  sono  stati
abrogati dal numero 29 del comma 1 dell'art. 4  dell'allegato  4  del
d.lgs. n. 104 del 2010. 
    Tali  modificazioni,  in  realta',  non  mutano   la   disciplina
normativa  in  questione,  posto   che   il   codice   del   processo
amministrativo  contiene  disposizioni  che,  di  fatto,  riproducono
quelle modificate o abrogate, cosi' lasciando in sostanza  inalterato
il complessivo quadro normativo. 
    Esse,  pertanto,  non   incidono   sul   presente   giudizio   di
legittimita' costituzionale. 
    2. - Deve essere  prioritariamente  esaminata  la  ammissibilita'
dell'intervento in  giudizio  spiegato  dalla  Associazione  sportiva
Agora'. Esso, conformemente alla consolidata giurisprudenza di questa
Corte, deve essere dichiarato inammissibile. 
    La detta Associazione sportiva fonda la propria legittimazione ad
intervenire in giudizio  sulla  circostanza  che,  essendo  anch'essa
destinataria di un provvedimento disciplinare, emesso dalla Camera di
conciliazione ed arbitrato per lo sport, oggetto di  impugnazione  di
fronte al TAR del Lazio,  e'  parte  di  un  giudizio  amministrativo
-rinviato a data  da  destinarsi  in  attesa  della  definizione  del
presente incidente di legittimita' costituzionale - il cui  esito  e'
subordinato alla odierna decisione. Questa Corte ribadisce che e' sua
costante  giurisprudenza  che  possono  partecipare  al  giudizio  di
legittimita' costituzionale le sole parti del giudizio principale  ed
i  terzi  portatori  di  un  interesse  qualificato,   immediatamente
inerente  al  rapporto  sostanziale  dedotto  nel  giudizio   e   non
semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma oggetto di
censura.  L'inammissibilita'  dell'intervento  di  soggetti   diversi
rispetto a quelli sopra  elencati  non  viene  meno  in  forza  della
pendenza di un procedimento analogo a quello principale,  quand'anche
sospeso in via di fatto nell'attesa della pronuncia di questa  Corte,
posto che la contraria soluzione risulterebbe elusiva  del  carattere
incidentale del giudizio di legittimita'  costituzionale,  implicando
l'accesso  delle  parti  prima  che,   nell'ambito   della   relativa
controversia, sia stata verificata la rilevanza e  la  non  manifesta
infondatezza della questione (da ultimo sentenza n. 288 del  2010  e,
in precedenza, fra  le  molte,  ordinanza  collegiale  allegata  alla
sentenza n. 245 del 2007). 
    3. - Stante la sua preliminarita', va a questo punto esaminata la
eccezione  di  inammissibilita'  della  questione,  per  difetto   di
motivazione sulla sua rilevanza, formulata dalla difesa del CONI  con
riferimento alla mancata adeguata valutazione da parte del rimettente
della natura del provvedimento emesso dalla Camera di conciliazione e
arbitrato per lo sport. Se, infatti, questo fosse considerato un lodo
arbitrale, data la soggezione di tali atti  a  ipotesi  tipizzate  di
motivi di impugnazione, secondo la disciplina  all'uopo  dettata  dal
codice di rito civile, il ricorso di fronte al giudice a quo  sarebbe
inammissibile  e,  non  ricorrendo,  secondo  quanto   riferito   dal
rimettente, alcuna delle ipotesi in questione, la sollevata questione
di legittimita' costituzionale si paleserebbe altresi' irrilevante. 
    3.1. - L'eccezione non e' fondata. 
    E', infatti, evidente che il giudice  rimettente,  sia  pure  per
implicito, si e' conformato all'orientamento  del  tutto  consolidato
nella giurisprudenza amministrativa di primo e di secondo grado, come
testimoniato  dalla  ampia  messe  di  precedenti   giurisprudenziali
riscontrabili in argomento, secondo il quale, ancorche' adottate  nel
contraddittorio delle parti, le decisioni  assunte  dalla  Camera  di
conciliazione e arbitrato per lo sport (organismo,  peraltro,  oramai
soppresso in quanto sostituito in seno  al  CONI  dal  neo  istituito
Tribunale  nazionale  arbitrale  dello  sport)  hanno  la  natura  di
provvedimenti  amministrativi,  di  talche'  non  e',  in  linea   di
principio, implausibile che il giudice amministrativo affermi la  sua
giurisdizione (che e' di natura esclusiva) nei confronti di ogni tipo
di decisione della Camera di conciliazione ed arbitrato. Al riguardo,
si deve sottolineare che questa Corte ha piu' volte affermato che  il
difetto  di  giurisdizione  per   essere   rilevabile   deve   essere
macroscopico (da ultimo, sent. n. 34 del 2010). 
    3.2.  -  Deve  essere,  parimenti,  disattesa  la  eccezione   di
inammissibilita' formulata sulla base dell'assunto secondo  il  quale
il  giudice  rimettente  piu'  che  esporre  un   reale   dubbio   di
costituzionalita' ricerca, da parte di  questa  Corte,  un  improprio
avallo alla  interpretazione  da  lui  in  passato  seguita  e,  ora,
sconfessata dal giudice del gravame. 
    Invero il TAR del Lazio, pur  avendo  riferito  i  profili  della
propria precedente posizione, si da' carico del  fatto  che  essa  e'
stata  motivatamente  disattesa  sia  dal  Consiglio   di   giustizia
amministrativa della Regione siciliana (sentenza n. 1048  del  2007),
sia dallo stesso Consiglio di Stato (sentenza n. 5782 del  2008),  il
quale, pur ritenendola l'unica possibile, si pone peraltro in termini
problematici  rispetto  alla  compatibilita'   costituzionale   della
propria interpretazione.  Pertanto,  di  fronte  alla  opposta  tesi,
argomentatamente sostenuta dal giudice del gravame, che e',  riguardo
al caso, anche giudice di ultima istanza di merito (la cui  decisione
non e' piu' scalfibile neppure a seguito di ricorso ex  ultimo  comma
dell'art. 111 cost. ove ricorra un'ipotesi  di  carenza  assoluta  di
giurisdizione), non restava al rimettente, proprio in quanto  aderiva
all'interpretazione del Consiglio di Stato, che sollevare il presente
dubbio di costituzionalita',  in  tal  senso  portando  a  compimento
l'iter esegetico lumeggiato dallo stesso Consiglio di Stato. 
    4.  -  Venendo  al  merito  della  questione,  essa  deve  essere
dichiarata non fondata, nei sensi di cui in motivazione. 
    4.1. - Va, innanzitutto, ricordato che il  decreto-legge  n.  220
del 2003 e' stato emanato in  una  situazione  che  fu  espressamente
definita dal  relatore,  durante  i  lavori  parlamentari  che  hanno
portato alla approvazione della legge  di  conversione,  un  «vero  e
proprio disastro incombente sul mondo del calcio».  Con  esso  si  e'
affrontata una questione particolarmente delicata,  vale  a  dire  il
rapporto tra l'ordinamento  statale  e  uno  dei  piu'  significativi
ordinamenti autonomi che vengono a contatto con quello statale, cioe'
l'ordinamento sportivo. 
    La singolarita' della situazione e la connessa difficolta' di una
actio finium regundorum tra queste due realta' e' individuabile  gia'
dall'impostazione iniziale del decreto-legge il quale, nell'affermare
che la normativa riconosce e favorisce «l'autonomia  dell'ordinamento
sportivo   nazionale»,   chiarisce   che   esso   e'   «articolazione
dell'ordinamento sportivo internazionale  facente  capo  al  Comitato
Olimpico Internazionale». Si afferma cioe', reiterando concetti  gia'
espressi in altri testi normativi (quali gli artt. 2 e 15 del  d.lgs.
23 luglio 1999, n.  242,  recante  «Riordino  del  Comitato  olimpico
nazionale italiano - C.O.N. I., a norma dell'articolo 11 della L.  15
marzo 1997, n. 59»),  che  questo  ordinamento  autonomo  costituisce
l'articolazione italiana di un piu' ampio ordinamento autonomo avente
una dimensione internazionale e che esso risponde  ad  una  struttura
organizzativa  extrastatale   riconosciuta   dall'ordinamento   della
Repubblica. 
    Anche prescindendo dalla dimensione internazionale del  fenomeno,
deve sottolinearsi che l'autonomia  dell'ordinamento  sportivo  trova
ampia tutela negli artt. 2 e 18 della Costituzione, dato che non puo'
porsi in dubbio che  le  associazioni  sportive  siano  tra  le  piu'
diffuse «formazioni sociali dove [l'uomo] svolge la sua personalita'»
e che debba essere riconosciuto a  tutti  il  diritto  di  associarsi
liberamente per finalita' sportive. 
    4.2.  -  Per  cio'  che  concerne  lo   specifico   esame   delle
disposizioni su cui verte la questione di costituzionalita' sollevata
dal rimettente TAR, si  Osserva  che  al  comma  1  dell'art.  2  del
predetto  decreto-legge  e'  stato  previsto,  peraltro  dando  veste
normativa ad un gia' affermato orientamento giurisprudenziale, che e'
riservata all'ordinamento  sportivo  la  disciplina  delle  questioni
concernenti, oltre che  l'Osservanza  e  l'applicazione  delle  norme
regolamentari, organizzative e statutarie finalizzate a garantire  il
corretto svolgimento delle attivita' sportive - cioe' di  quelle  che
sono comunemente note come regole tecniche - anche  «i  comportamenti
rilevanti sul piano  disciplinare  e  l'irrogazione  ed  applicazione
delle relative sanzioni disciplinari». Viene, altresi', precisato, al
successivo  comma   2,   che   in   siffatte   materie   i   soggetti
dell'ordinamento  sportivo  (societa',  associazioni,   affiliati   e
tesserati) hanno l'onere di adire (si intende: ove vogliano censurare
la applicazione delle predette sanzioni)  «gli  organi  di  giustizia
dell'ordinamento sportivo», secondo  le  previsioni  dell'ordinamento
settoriale di appartenenza. 
    Al contenuto di tale disposizione fa  riferimento  il  successivo
art. 3 del decreto-legge n. 220,  il  quale,  nel  testo  vigente  al
momento  della   proposizione   della   questione   di   legittimita'
costituzionale, individua, in sostanza, una triplice forma di  tutela
giustiziale. Una prima  forma,  limitata  ai  rapporti  di  carattere
patrimoniale tra societa' sportive, associazioni sportive, atleti  (e
tesserati), e' demandata alla cognizione del giudice  ordinario.  Una
seconda, relativa ad alcune delle  questioni  aventi  ad  oggetto  le
materie di cui all'art. 2, nella quale, in  linea  di  principio,  la
tutela,  stante  la  irrilevanza  per  l'ordinamento  generale  delle
situazioni in ipotesi violate e dei  rapporti  che  da  esse  possano
sorgere, non e' apprestata da organi  dello  Stato  ma  da  organismi
interni all'ordinamento stesso in cui  le  norme  in  questione  sono
state poste (e nel cui solo ambito esse, infatti, godono di  pacifica
rilevanza), secondo uno schema  proprio  della  cosiddetta  giustizia
associativa. 
    4.2.1. - E' opportuno - prima di valutare la portata della  terza
forma  di  tutela,  di  carattere  residuale  e  rimessa  al  giudice
amministrativo - soffermarsi sulla seconda,  interna  all'ordinamento
sportivo,   perche'   si   viene   a   lambire   la   questione    di
costituzionalita' avanzata dal rimettente. Quest'ultimo  Osserva  che
«la  giustizia  sportiva   costituisce   lo   strumento   di   tutela
[definitivo] per le ipotesi in cui si discute dell'applicazione delle
regole sportive». 
    Piu' oltre, sempre nell'ordinanza, si  afferma  che  «tali  sono,
indiscutibilmente,  le  norme  meramente   tecniche,   e   fra   esse
sicuramente rientrano quelle che l'ordinamento sportivo ha  elaborato
ed elabora ai fini dell'acquisizione dei risultati delle competizioni
agonistiche». 
    Ne' puo', in questi casi, in cui, per la tutela della  situazione
di cui si lamenta la  violazione,  e'  escluso  un  intervento  della
giurisdizione statale, invocarsi la violazione  dell'art.  24  Cost.,
dato che e' proprio la situazione che si pretende lesa che non assume
la consistenza del diritto  soggettivo  o  dell'interesse  legittimo.
Infatti il rimettente Osserva che «Alle regole tecniche  che  vengono
in gioco non puo' essere attribuita  natura  di  norme  di  relazione
dalle  quali  derivino  diritti  soggettivi   [...]   ma   non   sono
configurabili neanche posizioni di interesse legittimo». 
    Si tratta  di  conclusioni  coerenti  con  quelle  cui  la  Corte
regolatrice  e'  pervenuta  in  due   sentenze,   entrambe   assunte,
trattandosi di questioni  attinenti  alla  giurisdizione,  a  Sezioni
Unite, la prima antecedente alla legge in esame (sentenza n. 4399 del
1989) e la seconda successiva alla sua entrata in vigore (sentenza n.
5775 del 2004). In quest'ultima, che ha una  struttura  argomentativa
analoga  alla  prima,  si  afferma  che  tali  questioni  «non  hanno
rilevanza nell'ordinamento giuridico generale e le decisioni adottate
in base [alle regole promananti dall'associazionismo  sportivo]  sono
collocate in un'area di  non  rilevanza  per  l'ordinamento  statale,
senza che possano essere considerate  come  espressione  di  potesta'
pubbliche  ed  essere   considerate   alla   stregua   di   decisioni
amministrative. La generale irrilevanza per l'ordinamento statuale di
tali norme e della loro violazione conduce all'assenza  della  tutela
giurisdizionale statale». 
    Se queste sono le conclusioni cui  e'  giunto  il  giudice  della
giurisdizione esaminando la questione dal punto di vista sostanziale,
cioe' del grado di consistenza oggettiva che tali situazioni  vengono
ad avere se valutate nell'ambito dell'ordinamento generale,  analoghe
sono quelle cui il medesimo giudice giunge affrontando  la  questione
sotto l'aspetto processuale del diritto di agire in giudizio  per  la
loro eventuale tutela. Nella recente ordinanza n.  18052  dell'agosto
2010  le  Sezioni  Unite  ritengono  inammissibile   il   regolamento
preventivo di giurisdizione concernente la possibilita' di sottoporre
al giudice statale una  controversia  relativa  al  ridimensionamento
degli iscritti nei ruoli dei direttori di gara, altrimenti  riservata
all'autonomia dell'ordinamento sportivo, in quanto «costituisce [...]
accertamento rimesso al giudice del merito la configurabilita' o meno
di una situazione giuridicamente rilevante per l'ordinamento  statale
e, come tale, tutelabile». 
    In altre parole, la valutazione tra l'irrilevante giuridico,  che
non da' accesso alla giurisdizione statale, e cio' che invece e'  per
quest'ultima rilevante non puo' che  essere  rimessa  al  giudice  di
merito, che assumera' le sue  decisioni  secondo  quanto  prevede  il
diritto positivo. 
    Cio', del resto, e' conforme  ad  un  risalente  insegnamento  di
questa  Corte,  la  quale,  gia'  nella  sentenza  n.  87  del  1979,
pronunciandosi con riferimento ad  una  questione  relativa  all'art.
2059 cod. civ., affermava la subordinazione  logica  del  diritto  di
azione alla  sia  pur  astratta  configurabilita'  di  una  posizione
soggettiva sostanziale giuridicamente rilevante. 
    4.3. - L'ulteriore forma di tutela giustiziale  ha  il  carattere
dalla tendenziale residualita', in quanto e' relativa  a  tutto  cio'
che per un verso non concerne i rapporti patrimoniali  fra  societa',
associazioni sportive, atleti (e tesserati) - demandati, come  si  e'
detto, al giudice ordinario - e, per altro verso, pur  scaturendo  da
atti del CONI e  delle  Federazioni  sportive,  non  rientra  fra  le
materie che, ai sensi dell'art. 2 del decreto-legge n. 220 del  2003,
sono riservate - in quanto, come detto,  non  idonee  a  far  sorgere
posizioni soggettive rilevanti per l'ordinamento  generale,  ma  solo
per quello settoriale - all'esclusivo interesse  degli  organi  della
giustizia sportiva. Si tratta cioe'  (per  riprendere  la  originaria
formulazione  legislativa)  di  «ogni  altra  controversia»  che   e'
«devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo». 
    Se si segue l'iter parlamentare  del  decreto-legge  n.  220  del
2003, si constata che e' lo stesso  legislatore  ad  indicare  alcune
delle «situazioni giuridiche soggettive  connesse  con  l'ordinamento
sportivo» per le quali Ritiene si verifichi il caso della  «rilevanza
per l'ordinamento della Repubblica». 
    Al riguardo, e' sufficiente Osservare che, secondo la  primigenia
versione del decreto-legge n. 220  del  2003,  fra  le  materie  che,
essendo inserite  al  comma  1  dell'art.  2,  potevano  considerarsi
sottratte  alla  cognizione  del  giudice  statale,  erano  anche  le
questioni  aventi  ad  oggetto  l'ammissione  e  l'affiliazione  alle
federazioni di societa', associazioni  o  singoli  tesserati  nonche'
quelle relative alla organizzazione  e  svolgimento  delle  attivita'
agonistiche ed alla ammissione ad  esse  di  squadre  ed  atleti.  La
circostanza  che,  in  sede  di  conversione  del  decreto-legge,  il
legislatore abbia espunto le lettere c) e d) del comma 1 dell'art. 2,
ove erano indicate le summenzionate materie, fa ritenere  che  su  di
esse vi  sia  la  competenza  esclusiva  del  giudice  amministrativo
allorche' siano lesi diritti soggettivi od interessi legittimi. 
    Appare chiaro, anche  attraverso  l'esame  dei  ricordati  lavori
preparatori  della  legge  n.  280  del  2003  di   conversione   del
decreto-legge n. 220, che siffatta  modificazione,  per  sottrazione,
dell'originario testo normativo sia giustificata dalla considerazione
che la possibilita', o meno, di essere affiliati ad  una  Federazione
sportiva o tesserati presso di essa nonche' la possibilita', o  meno,
di essere ammessi a svolgere attivita' agonistica disputando le  gare
ed i campionati organizzati dalle Federazioni sportive  facenti  capo
al CONI - il quale, a sua volta,  e'  inserito,  quale  articolazione
monopolistica   nazionale,   all'interno   del   Comitato    Olimpico
Internazionale - non e' situazione che possa  dirsi  irrilevante  per
l'ordinamento giuridico generale e,  come  tale,  non  meritevole  di
tutela da parte di questo. Cio'  in  quanto  e'  attraverso  siffatta
possibilita' che  trovano  attuazione  sia  fondamentali  diritti  di
liberta' -  fra  tutti,  sia  quello  di  svolgimento  della  propria
personalita', sia quello di associazione - che non meno significativi
diritti connessi ai rapporti patrimoniali - ove si tenga conto  della
rilevanza economica che  ha  assunto  il  fenomeno  sportivo,  spesso
praticato  a  livello  professionistico  ed   organizzato   su   base
imprenditoriale - tutti oggetto di  considerazione  anche  a  livello
costituzionale. 
    L'intervento  del  legislatore  della  conversione  e',   quindi,
apparso coerente  con  quanto  disposto  all'art.  1,  comma  2,  del
decreto-legge n. 220 del 2003, la' dove, in fine, viene espressamente
precisato che l'autonomia dell'ordinamento sportivo recede  allorche'
siano  coinvolte  situazioni  giuridiche  soggettive   che,   sebbene
connesse con quello,  siano  rilevanti  per  l'ordinamento  giuridico
della Repubblica. 
    4.4. - Si puo' passare, ora, alla questione di  costituzionalita'
sollevata dal TAR Lazio. 
    Quest'ultimo  dubita  della  piu'   volte   citata   disposizione
legislativa nella parte in cui riserverebbe al solo giudice  sportivo
la competenza a decidere le controversie aventi ad  oggetto  sanzioni
disciplinari,  diverse  da  quelle  tecniche,  inflitte  ad   atleti,
tesserati,  associazioni  e  societa'   sportive,   sottraendole   al
sindacato del  giudice  amministrativo.  Chiarisce  che  i  dubbi  di
costituzionalita'  «non  attengono   alla   previsione   della   c.d.
pregiudiziale sportiva», dato che Ritiene che essa  sia  «corretta  e
logica  conseguenza  della  riconosciuta  autonomia  dell'ordinamento
sportivo», ma «alla generale preclusione [...] ad  adire  il  giudice
statale una volta esauriti i gradi della giustizia sportiva». 
    Afferma,  altresi',  che   della   disposizione   sospettata   di
illegittimita' costituzionale potrebbe darsi  (anzi,  in  passato  e'
stata data) altra interpretazione, ma che una recente  pronuncia  del
Consiglio di Stato (Sez. VI, sent. n. 5782 del 25 novembre 2008), che
ha  fatto  seguito  ad  altra  analoga  del  Consiglio  di  giustizia
amministrativa della Regione siciliana (sent. n. 1048 dell'8 novembre
2007), gli impone di tralasciare la precedente interpretazione  e  di
adeguarsi a quella fatta propria dal giudice del gravame che,  a  suo
giudizio, presenta aspetti di contrasto con gli artt. 24, 103  e  113
Cost. 
    Deve, al riguardo, considerarsi che anche se, come si e'  innanzi
visto, il rimettente estende il giudizio agli artt. 103 e  113  della
Costituzione, in realta' la censura non attiene ad aspetti  specifici
relativi alle suddette  disposizioni  costituzionali,  in  quanto  si
incentra su un unico profilo. Esso e' chiaramente definito laddove il
rimettente afferma che dai parametri costituzionali di cui si  invoca
l'applicazione «si evince che a nessuno puo' essere negata la  tutela
della  propria  sfera  giuridica  dinanzi  ad  un  giudice   statale,
ordinario o amministrativo che sia». 
    Anche piu' oltre nell'ordinanza si sottolinea che  il  dubbio  di
costituzionalita' sorge  ove  la  normativa  censurata  consente  una
«deroga al principio costituzionale del diritto ad ottenere la tutela
della  propria  posizione  giuridica  di  diritto  soggettivo  o   di
interesse legittimo dinanzi ad un giudice statale» e che  il  «limite
del  rispetto  del  diritto  di  difesa  [...]  finisce  per   essere
irrimediabilmente leso  proprio  dalla  preclusione  del  ricorso  al
giudice statale». 
    Quindi, anche se nell'ordinanza si fa riferimento ai  sopracitati
tre articoli della Costituzione, la censura ha un carattere unitario,
compendiabile nel dubbio che  la  normativa  censurata  precluda  «al
giudice statale» (espressione piu'  volte  utilizzata)  di  conoscere
questioni che riguardino diritti soggettivi o interessi legittimi. La
prospettazione della violazione anche degli artt.  103  e  113  cost.
viene  formulata  in  quanto  essi,  a  parere  del  giudice  a  quo,
rappresentano   il   fondamento   costituzionale    delle    funzioni
giurisdizionali del giudice  amministrativo  che  il  rimettente,  ai
sensi di quanto dispone la normativa di cui deve  fare  applicazione,
individua come  il  giudice  naturale  delle  suddette  controversie.
Peraltro, con la loro evocazione, non si  prospettano  illegittimita'
costituzionali diverse da quelle formulate con  riferimento  all'art.
24 Cost. 
    4.5.  -  Si  deve,  preliminarmente,  condividere  l'assunto  del
rimettente, che richiama un costante insegnamento  di  questa  Corte,
per cui «le leggi non si  dichiarano  costituzionalmente  illegittime
perche'  e'  possibile  darne  interpretazioni  incostituzionali,  ma
perche' e'  impossibile  darne  interpretazioni  costituzionali»  (ex
multis: sent. n. 403 del 2007, sent. n. 356 del 1996, ord. n. 85  del
2007). 
    Proprio in aderenza a questo principio,  si  Osserva  che  e'  la
stessa sentenza del  Consiglio  di  Stato,  dal  rimettente  ritenuta
diritto vivente, a fornire, nel percorso argomentativo seguito (ed  a
prescindere da  quanto  in  precedenza  affermato  in  quella  stessa
sentenza),  una   chiave   di   lettura   che   fuga   i   dubbi   di
costituzionalita'. 
    Nella sentenza  si  afferma,  infatti,  proprio  con  riferimento
all'art. 1 del d.l. n. 220 del 2003 che «tali  norme  debbano  essere
interpretate, in un'ottica costituzionalmente  orientata,  nel  senso
che laddove il provvedimento adottato dalle  Federazioni  sportive  o
dal  C.O.N.  I.  abbia  incidenza  anche  su  situazioni   giuridiche
soggettive rilevanti per l'ordinamento giuridico statale, la  domanda
volta ad ottenere non la caducazione  dell'atto,  ma  il  conseguente
risarcimento del danno, debba  essere  proposta  innanzi  al  giudice
amministrativo, in sede  di  giurisdizione  esclusiva,  non  operando
alcuna riserva a favore della giustizia sportiva, innanzi alla  quale
la  pretesa  risarcitoria  nemmeno  puo'  essere  fatta  valere».  Si
precisa, altresi',  che  «Il  Giudice  amministrativo  puo',  quindi,
conoscere, nonostante la riserva a favore della  giustizia  sportiva,
delle sanzioni disciplinari  inflitte  a  societa',  associazioni  ed
atleti, in via incidentale e indiretta, al fine di pronunciarsi sulla
domanda risarcitoria proposta dal destinatario della sanzione». 
    Quindi, qualora la situazione soggettiva abbia  consistenza  tale
da assumere nell'ordinamento statale  la  configurazione  di  diritto
soggettivo o di interesse legittimo,  in  base  al  ritenuto  diritto
vivente  del  giudice  che,  secondo  la  suddetta   legge,   ha   la
giurisdizione  esclusiva  in  materia,  e'  riconosciuta  la   tutela
risarcitoria. 
    In tali fattispecie deve,  quindi,  ritenersi  che  la  esplicita
esclusione della diretta giurisdizione sugli atti attraverso i  quali
sono state  irrogate  le  sanzioni  disciplinari  -  posta  a  tutela
dell'autonomia dell'ordinamento  sportivo  -  non  consente  che  sia
altresi' esclusa la possibilita', per chi lamenti la lesione  di  una
situazione soggettiva giuridicamente rilevante, di agire in  giudizio
per ottenere il conseguente risarcimento del danno. 
    E' sicuramente una forma  di  tutela,  per  equivalente,  diversa
rispetto  a  quella   in   via   generale   attribuita   al   giudice
amministrativo (ed infatti  si  verte  in  materia  di  giurisdizione
esclusiva), ma non puo'  certo  affermarsi  che  la  mancanza  di  un
giudizio di annullamento  (che,  oltretutto,  difficilmente  potrebbe
produrre effetti ripristinatori, dato che in ogni caso  interverrebbe
dopo che sono stati esperiti tutti i rimedi  interni  alla  giustizia
sportiva, e che costituirebbe comunque, in questi  casi  meno  gravi,
una  forma  di  intromissione  non  armonica  rispetto  all'affermato
intendimento di tutelare  l'ordinamento  sportivo)  venga  a  violare
quanto previsto dall'art. 24 Cost. Nell'ambito  di  quella  forma  di
tutela  che  puo'  essere  definita  come  residuale  viene,  quindi,
individuata, sulla base  di  una  argomentata  interpretazione  della
normativa che disciplina la materia, una diversificata  modalita'  di
tutela giurisdizionale. 
    E' utile, al riguardo, sottolineare quanto questa Corte  ha  gia'
avuto modo di affermare nella sentenza n. 254  del  2002,  quando  ha
esaminato una questione relativa all'esonero di  responsabilita'  che
l'allora  vigente  normativa  concedeva  ai  gestori   del   servizio
telegrafico,   e   cioe'   che   «appartiene   alla    sfera    della
discrezionalita' legislativa apportare una deroga al  diritto  comune
della responsabilita' civile che realizzi  un  ragionevole  punto  di
equilibrio tra le esigenze proprie» dei due  portatori  di  interesse
che si contrappongono. 
    Tra l'altro, le ipotesi di tutela esclusivamente risarcitoria per
equivalente non sono certo ignote all'ordinamento. Infatti  -  ed  il
riferimento e' pertinente in quanto si verte in tema di giurisdizione
esclusiva -, e' proprio una disposizione del codice  civile,  vale  a
dire l'art. 2058, richiamata dall'art. 30 del recente d.lgs. 2 luglio
2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009,
n. 69, recante  delega  al  governo  per  il  riordino  del  processo
amministrativo), a prevedere il risarcimento in forma specifica  come
un'eventualita' («qualora  sia  in  tutto  o  in  parte  possibile»),
peraltro  sempre  sottoposta  al  potere  discrezionale  del  giudice
(«tuttavia il giudice puo' disporre che il risarcimento avvenga  solo
per equivalente, se la  reintegrazione  in  forma  specifica  risulta
eccessivamente onerosa per il debitore»). 
    In questo caso, secondo il diritto vivente cui il  rimettente  fa
riferimento,  il  legislatore  ha  operato   un   non   irragionevole
bilanciamento che lo ha indotto, per i motivi  gia'  evidenziati,  ad
escludere    la    possibilita'    dell'intervento    giurisdizionale
maggiormente incidente sull'autonomia dell'ordinamento sportivo. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara non  fondata,  nei  sensi  di  cui  in  motivazione,  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  2,  commi  1,
lettera  b),  e  2,  del  decreto-legge  19  agosto  2003,   n.   220
(Disposizioni urgenti in materia di giustizia sportiva),  convertito,
con modificazioni, con legge 17 ottobre 2003, n. 280,  sollevata  dal
Tribunale amministrativo regionale del  Lazio,  in  riferimento  agli
artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, con l'ordinanza in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 febbraio 2011. 
 
                      Il Presidente: De Siervo 
 
 
                      Il redattore: Napolitano 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria l'11 febbraio 2011. 
 
                       Il cancelliere: Melatti