N. 45 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 dicembre 2010

Ordinanza del 20 dicembre 2010 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale per il Lazio sul ricorso proposto da  Cacace  Salvatore  ed
altri contro Consiglio di Presidenza della  Giustizia  amministrativa
ed altri. 
 
Giustizia  amministrativa  -  Primi  referendari  e  referendari  dei
  Tribunali amministrativi regionali in servizio alla data di entrata
  in vigore della legge censurata - Previsione  della  conservazione,
  all'atto della  nomina  a  Consigliere  di  Stato,  dell'anzianita'
  acquisita   nella   qualifica   di   consigliere    di    Tribunale
  amministrativo   regionale,   nel   limite   di   cinque   anni   -
  Ingiustificato trattamento di privilegio dei  primi  referendari  e
  referendari in servizio alla predetta data rispetto ai  consiglieri
  entrati in servizio successivamente. 
- Legge 27 aprile 1982, n. 186, art. 23, comma 5. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.12 del 16-3-2011 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 2493 del 20 , proposto dai proposto dai Consiglieri
di Stato Salvatore  Cacace,  Gabriele  Carlotti,  Michele  Corradino,
Sergio De Felice, Carlo Deodato, Giancarlo  Montedoro,  Nicola  Russo
rappresentati e difesi dagli avv.ti Sergio Fidanza ed Angelo Gigliola
ed elettivamente domiciliati presso  il  loro  studio  in  Roma,  Via
Liberiana n. 17; 
    Contro Consiglio di Presidenza  della  Giustizia  Amministrativa,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura,  domiciliata  per  legge  in
Roma, via dei Portoghesi, 12; Presidenza del Consiglio dei  Ministri;
nei confronti di Aureli  Sandro,  non  costituito  in  giudizio;  per
l'annullamento della  delibera  del  Consiglio  di  Presidenza  della
giustizia amministrativa del 28 novembre 2007  di  riconoscimento  di
cinque anni di anzianita' al consigliere di stato Sandro Aureli; 
    Visto il ricorso con i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  di  Consiglio   di
Presidenza della Giustizia Amministrativa; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 giugno 2010 il dott.
Giuseppe Sapone e uditi per le parti i difensori come specificato nel
verbale; 
    La delibera impugnata e' basata sulla norma dell'art. 23, comma 5
della legge  n.  186  del  1982,  che  riconosce  l'anzianita'  nella
qualifica  di  consigliere   maturata   nei   ruoli   dei   tribunali
amministrativi regionali  nel  limite  di  cinque  anni.  Tale  norma
prevede: «salvo quanto  previsto  nel  quarto  comma  del  precedente
articolo 21 ( ovvero per l'anzianita' maturata ai fini della nomina a
presidente di sezione di Tar), i primi referendari e referendari  dei
tribunali amministrativi regionali in servizio alla data  di  entrata
in vigore della presente legge conservano, all'atto  della  nomina  a
consigliere di  Stato,  l'anzianita'  acquisita  nella  qualifica  di
consigliere di  tribunale  amministrativo  regionale  nel  limite  di
cinque anni, fatta salva la valutazione  degli  effetti  economici  e
prendono posto nel ruolo secondo la predetta anzianita'». 
    La lettera della norma e', pertanto, riferita  esclusivamente  ai
referendari e primi referendari in servizio alla data di  entrata  in
vigore della legge, per il che, il sindacato di  questo  giudice  non
potrebbe ad altro concludere, in stretta applicazione della legge, se
non nel  senso  di  una  pronunzia  di  annullamento  della  delibera
impugnata. 
    Essendo, infatti, stabilita una precisa delimitazione di data per
l'operativita' del riconoscimento di anzianita' di  cui  in  oggetto,
non sussiste alcuna possibile interpretazione estensiva,  ne'  alcuna
ipotizzabile lettura costituzionalmente  orientata,  che  conduca  ad
evitare l'annullamento della delibera impugnata, con attribuzione del
beneficio richiesto. 
    Ritiene, dunque, il Collegio  necessario  ai  fini  del  decidere
sollevare la questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art  23
comma 5 della legge n. 186 del 27 aprile 1982. 
    La questione si presenta, infatti, rilevante, nel caso di specie.
La questione e', altresi', non manifestamente infondata. 
    Si deve considerare che il sistema complessivo di  organizzazione
della. Giustizia amministrativa, a  causa  di  varie  stratificazioni
normative, prive di razionale coordinamento, comporta, in ordine alla
strutturazione  della  carriera  dei  magistrati  amministrativi,  la
illogicita' del costrutto generale risultante  dall'attuale  apparato
legislativo. 
    In  esso  si  configura,  infatti,  una  singolare  ed  inusitata
fisionomia  della  carriera  di  magistratura  che  prospetta,  nella
disorganica successione delle leggi, seri problemi di  compatibilita'
degli assetti venuti in essere, rispetto alla funzione esercitata ed,
altresi', rispetto alle norme costituzionali. 
    Cio' deriva da fattori genetici dei Tribunali amministrativi,  in
quanto, al tempo della Legge 1034 del  6  dicembre  1971,  istitutiva
degli organi di primo  grado,  il  modello  organizzatorio  adottato,
comportava una difficile  trasferibilita'  del  modulo  Consiglio  di
Stato ai  nuovi  organi,  posto  che  ivi  sussisteva  una  struttura
articolata su  magistrati  di  nomina  governativa  e  magistrati  di
carriera, entrambi chiamati all'esercizio di  funzioni  consultive  e
giurisdizionali , profili questi che invece non esistevano  presso  i
Tribunali di primo grado. 
    La  ricerca  di  un  criterio  di  armonizzazione  tra   le   due
componenti, sicuramente eterogenee, si era concretata in  uno  schema
che  rifletteva  il  fattore  differenziale  tra  i  due  plessi   di
magistratura,ed   aveva   pur   tentato    di    contemperare    tale
differenziazione, attraverso strumenti di salvaguardia, che  tuttavia
potevano riguardare essenzialmente la prima fase della vita dei nuovi
organi  ,  ma  non  potevano  prevedere  le   future   sopravvenienze
legislative e le  profonde  innovazioni  nella  strutturazione  delle
carriera, successivamente introdotte. 
    Prima  fra  tutte,  l'abolizione  del  referendariato  presso  il
Consiglio di Stato, cio' che avrebbe comportato  rilevanti  squilibri
nei rapporti tra Tar e Consiglio di Stato, secondo quanto  verra'  in
prosieguo esaminato. A seguito della emanazione della Legge 27 aprile
1982, n. 186, con gli artt. 6, 19,  23,  50,  sono  state  introdotte
rilevanti innovazioni nelle carriere, sia presso il Tar che presso il
Consiglio di Stato, ma che, tuttavia  ,  non  sembrano  essere  state
coerenti  con  una  organica  armonizzazione  rispetto  al  pregresso
portato normativo della  legge  1034/71,  che  conservava  pressoche'
integrale vigenza, nonostante  talune  contraddizioni  con  le  nuove
norme. 
    I tribunali amministrativi regionali, in base  all'art.  6  della
legge n. 186 del 1982 , restano, come per il  passato,  composti  da:
presidenti di tribunale, consiglieri, primi referendari e referendari
ma, nel contempo sono state abolite le corrispondenti  qualifiche  di
referendario e primo  referendario  presso  il  Consiglio  di  Stato,
composto, quindi,  dopo  il  1982,  di  soli  consiglieri.  Ai  sensi
dell'art 19 della legge n. 186, un  quarto  delle  disponibilita'  e'
riservato  alle  nomine  governative  ed  un  ulteriore  quarto  alla
copertura  mediante   concorso   pubblico   per   titoli   ed   esami
teorico:›pratici. I posti che si rendono vacanti nella  qualifica  di
consigliere di Stato sono  conferiti,  in  ragione  della  meta',  ai
consiglieri di tribunale amministrativo regionale con almeno  quattro
anni di effettivo servizio nella qualifica. I  magistrati  dichiarati
idonei assumono la qualifica di consigliere  di  Stato,  conservando,
unicamente agli effetti del quarto comma dell'articolo 21 (quindi, ai
fini della nomina a presidente di Tar), l'intera anzianita'  maturata
nella qualifica di consigliere di tribunale amministrativo regionale. 
    In base all'art 21 della legge 1034, infatti, i consiglieri,  sia
dei Tribunali che del Consiglio di Stato, conseguono la  nomina  alle
qualifiche direttive, al compimento di  otto  anni  nella  qualifica,
essendo precisato che la anzianita' maturata dai suddetti Consiglieri
presso i Tribunali viene valutata, come detto,  nella  sua  interezza
unicamente  ai  fini  dell'accesso  alla  Presidenza  dei   Tribunali
amministrativi regionali, ma  non  per  la  nomina  a  Presidente  di
Sezione del Consiglio di Stato. 
    Si e' introdotta, pertanto, una  divaricazione  di  carriera  che
considera la  anzianita'  maturata  presso  i  Tar   come   parametro
differenziale, a seconda  che  si  debbano  coprire  posti  direttivi
presso i Tar ovvero presso il Consiglio di Stato e che,  pur  essendo
comunque considerati equivalenti, attraverso il richiamo all'art.  14
n. 2 della medesima legge n. 186 (che appunto stabilisce che  "  sono
magistrati con funzioni direttive  "  sia  i  Presidenti  di  sezione
presso il Consiglio di Stato, sia i Presidenti di  Tar")  configurano
un regime di accesso che penalizza gli  uni  nel  trasferimento  alle
qualifiche direttive presso il Consiglio di Stato e gli  altri  nella
assunzione delle presidenze presso i Tar. 
    E'  evidente  che  tale  singolare   struttura   delle   carriere
attualmente in atto, comporta conseguenze non solo nel momento  della
assunzione di incarichi direttivi, ma e' causa, a monte, di squilibri
nelle inferiori qualifiche che, quindi, si riverberano, in  prosieguo
di carriera, e proprio nella prospettiva del passaggio alle  funzioni
direttive, ovunque esercitate. 
    Ed e' in questo senso che l'art. 23, per cui e' causa,  determina
una evidente disparita' di trattamento  al  momento  dell'accesso  al
Consiglio di Stato tra quanti si sono avvalsi  del  beneficio  recato
dalla norma e quanti  altri  non  possono  avvalersene  per  un  mero
fattore temporale all'atto dell'ingresso nei ruoli del  Consiglio  di
Stato. 
    Si sono, infatti, determinate varie incongruenze che configurano,
nell'intero corso delle carriere, fattori di evidente irrazionalita',
e che comportano, senza alcuna giustificazione, un regime  favorevole
per alcune categorie di magistrati, con correlativo  pregiudizio  per
altri, in relazione ad elementi del tutto casuali. 
    Ed  invero,  le  carriere  dei  magistrati  amministrativi   sono
disciplinate, nell'intero corso successivo alla  legge  n.  1034  del
1971, secondo un  intricato  sistema  di  retrodatazioni  fittizie  e
sovrapposizioni di posizioni di ruolo, prive di  alcun  riscontro  in
alcuna sostanziale ed obiettiva esigenza a loro sostegno. 
    L'art. 17 della Legge 1034 aveva salvaguardato il  riconoscimento
di tutta l'anzianita' maturata nella qualifica di consigliere di  Tar
al momento del passaggio al Consiglio di Stato. 
    L'art. 23 comma 4 della legge n. 186 del 1982 ha conservato  tale
previsione solo per i "consiglieri in servizio" alla data di  entrata
in vigore  della  legge  n.  186;  cio'  ha  determinato  un  sistema
regolatore di  carriera,  non  in  via  organica,  ma  con  carattere
meramente episodico, che e' rimasto limitato, senza alcuna plausibile
ragione,  ad   alcune   categorie   di   magistrati   dei   Tribunali
amministrativi (quelli aventi,  appunto,  alla  data  di  entrata  in
vigore della legge n. 186, la qualifica di consigliere) e negato  per
altri. 
    L'introduzione di una nuova disciplina avrebbe dovuto, di contro,
rispondere a criteri regolatori di  carattere  logico  ed  obiettivo;
pertanto, non si comprende perche' dopo aver riconosciuto l'integrale
computo di anzianita' nelle qualifiche di  consigliere  Tar  all'atto
del trasferimento al Consiglio di Stato, per taluni  (consiglieri  in
servizio) cio' non potesse o dovesse costituire  il  regime  generale
applicato anche per il futuro. 
    Ne  consegue  che  il  sistema   di   carriera   dei   magistrati
amministrativi si delinea, oggi, come risultante di una continua fase
transitoria che ha determinato un assetto dei ruoli che',  invece  di
ricevere un canone  unitario  e  definitivo,  presenta  un  andamento
saltuario e irrazionale. 
    Di  questo  sistema  si  e'  anche  occupata  la   giurisprudenza
costituzionale, affermando  che  la  legge  n.  186  del  1982  aveva
completamente innovato la materia (Corte costituzionale,  7  febbraio
1984 , n. 14, restituendo ai giudici "a quibus",  gli  atti  relativi
alla questione di legittimita' costituzionale di una serie  di  norme
della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, relative alla  composizione  del
consiglio di presidenza e alle nomine dei presidenti di Tar). 
    Anche   gli   organi   amministrativi   hanno   interpretato   la
disposizione dell'art 17 come superata dalla disposizione della legge
del  1982,  ovvero  riferita  solo  ai   magistrati   dei   Tribunali
amministrativi regionali, che alla data di entrata  in  vigore  della
legge n. 186 del 1982,  avessero  gia'  conseguito  la  qualifica  di
consigliere di Tribunale amministrativo regionale, come previsto  dal
comma 4 dell'art 23 della legge n. 186 del 1982. 
    Venuta quindi a cessare, per piu' di una ragione,  l'operativita'
dell'art. 17 della legge n. 1034 cit., il quadro  si  configura  oggi
nei seguenti termini: 
        1) pregresso riconoscimento in base ai commi 4 e 5  dell'art.
23, di tutta l'anzianita' maturata nella qualifica di consigliere  di
Tribunale per coloro che si erano  potuti  avvalere;  in  via  quindi
transitoria, dell'art 17 della legge n. 1034 del 1971, istitutiva dei
Tribunali amministrativi; 
        2) riconoscimento di una anzianita'  "  fittizia"  di  cinque
anni al momento del passaggio al Consiglio di Stato  per  coloro  che
alla data di entrata in vigore della legge  del  1982  fossero  primi
referendari  e   referendari   in   servizio   presso   i   Tribunali
amministrativi; 
        3)  nessun  riconoscimento   dell'anzianita'   maturata   nei
Tribunali  amministrativi  regionali  per  i   consiglieri   di   TAR
transitati e transitandi al Consiglio di Stato, che  non  fossero  in
servizio alla data di entrata in vigore della legge n. 186. 
    Ed e' quest'ultimo il caso dell'odierno controinteressato. 
    L'applicazione della norma dell'art. 23 comma 5 della  legge  186
del 1982, nei termini strettamente letterali e  senza  riguardo  olla
ripercussione  sugli  assetti  di  carriera  ed  ai  seri  dubbi   di
congruenza complessiva del sistema, non  potrebbe  che  comportare  -
come  gia'  detto  in  limine  -  l'accoglimento  del  ricorso,   con
conseguente annullamento della delibera  qui  impugnata,  ma  con  il
consolidamento di posizioni di status che non rispondono a criteri di
eguaglianza tra soggetti aventi situazioni del tutto identiche. 
    Il Collegio, pertanto, ritiene che il quadro normativo  delineato
dall'art.  23  della  legge  186  del  1982  sia   costituzionalmente
illegittimo per la violazione  dell'art.  3  Cost.  sotto  molteplici
profili  ed  in  particolare  per  la  assoluta  irragionevolezza   e
disparita' di trattamento tra posizioni di carriera sostanzialmente e
formalmente indifferenziate. 
    L'art. 23  introduce,  infatti,  un  regime  transitorio  per  il
riconoscimento della anzianita',  che  non  puo'  essere  considerato
ragionevole se circoscritto ad un "favor" riguardante unicamente  una
categoria di personale individuato in base ad un fattore temporale di
attivita' di servizio  in  una  determinata  qualifica  e  non  anche
caratterizzato da alcun fattore strutturale rispondente a peculiari e
plausibili elementi differenziali. 
    Questo giudice non ignora che la  Corte  costituzionale  ha  piu'
volte affermato che l'introduzione di un regime transitorio o  di  un
determinato  trattamento  per  alcune  categorie  sia  rimessa   alla
discrezionalita' del legislatore. 
    La Corte stessa ha, tuttavia, affermato che,  nell'esercizio  dei
poteri piu' ampi di discrezionalita', sussiste il limite della palese
irragionevolezza  nella  fissazione  delle  norme,  specialmente   di
carattere  transitorio,  che  introducono  benefici  temporanei   non
rispondenti a peculiari situazioni di fatto e diritto, meritevoli  di
un apprezzamento particolare di  carattere  sostanziale.  Cio'  tanto
piu' ove si tratti di disciplina di carattere derogatorio rispetto al
canone generale, determinativo di scelte connesse  all'individuazione
di alcune categorie a cui spetti un beneficio che  non  debba  o  non
possa  essere  esteso  a   posizioni   giuridiche   equivalenti   per
intrinseche ragioni di base dei beneficiari (Corte costituzionale, 20
novembre 2008 , n. 37 si era in tema di prestazioni previdenziali, ma
il principio assumeva valenza di canone generale). 
    Sembra percio' evidente  che,  nel  caso  di  specie,  il  regime
introdotto con l'art. 23 cit.,  nella  parte  venuta  in  esame,  sia
viziato da irrazionalita' e violi il principio di uguaglianza. 
    Si tratta, infatti, del riconoscimento,  non  di  un  determinato
trattamento economico piu' o meno favorevole o di determinati  scatti
di anzianita' o di modalita' di carriera piu' o meno rapida, ma della
totale  mancata  considerazione  di  una  anzianita'  maturata,   con
pregiudizio a carico di  un  servizio  effettuato  nello  svolgimento
delle medesime funzioni giurisdizionali, rispetto a quelle svolte dai
beneficiari  del  comma  5  dell'art.  23,  da   personale,   quindi,
riconosciuto  omogeneo,  non  solo  per   l'identita'   dei   profili
processuali delle funzioni assolte quali giudici di primo  e  secondo
grado, ma, altresi', espressamente equiparato anche dal dato testuale
degli artt. 13 e 28 della legge n. 1034 del 1971 (quest'ultima  norma
abrogata solo con la entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del 2 luglio
2010. 
    Appare, dunque, irragionevole  una  disciplina  legislativa,  per
essa intesa la L. 186, che, come si legge nei lavori preparatori, era
nata  per  dare  maggiore  uniformita'  ai   ruoli   dei   magistrati
amministrativi e  avvicinarla  alla  magistratura  ordinaria,  ed  ha
introdotto, invece, un regime fortemente differenziato e penalizzante
per alcune categorie di magistrati. 
    Tale regime, infatti, non risulta giustificato  in  relazione  ad
alcuna  Corrispondente   peculiarita'   dei   referendari   e   primi
referendari in servizio alla data di entrata in vigore  della  legge,
rispetto a quelli entrati successivamente. 
    Questi,  infatti,  sono  entrati  nei  ruoli  della  magistratura
amministrativa con il medesimo tipo di accesso (concorso  per  titoli
ed esami), con le  stesse  prove  concorsuali  dei  colleghi  entrati
successivamente  (tra   cui   quelli   interessati   dalla   delibera
impugnata). Si e', dunque, determinata 1' introduzione di  un  regime
transitorio doppiamente peggiorativo, rispetto a  quello  precedente,
che aveva concesso prima il  riconoscimento  della  piena  anzianita'
(art 17 della legge n. 1034 del 1971 e 23 comma  4),  successivamente
il beneficio di soli cinque anni per taluni, ma con ulteriore opposta
previsione  "a  regime"  del  mancato  riconoscimento  della   totale
anzianita' (cd. anzianita' zero) per altri. 
    La norma dell'art 23 appare,  dunque,  palesemente  irragionevole
per la istituzione di un beneficio ad esclusivo  regime  transitorio,
non  essendovi  alcun  elemento  per  ritenere   che   i   magistrati
amministrativi allora in servizio fossero o siano oggi,  diversi  per
titoli e funzioni, rispetto a quelli che dal 1982 in poi  sono  stati
nominati a seguito delle medesime procedure  concorsuali  e  con  gli
stessi titoli di servizio e di anzianita' richiesti per parteciparvi. 
    La irragionevolezza risulta  anche  evidente  in  relazione  agli
altri principi generali che governano sia la disciplina del  pubblico
impiego sia quella piu' specifica della magistratura ordinaria. 
    L'art. 200 comma  3  del  testo  unico  n.  3  del  1957,  ancora
applicabile alla categorie del  pubblico  impiego  non  privatizzato,
indica infatti un principio generale di garanzia della  conservazione
della anzianita'. Inoltre, il mancato riconoscimento della anzianita'
ai  consiglieri  di  Tribunale  amministrativo  entrati  in  servizio
successivamente  al  1982,  quali  quelli  oggetto   della   delibera
impugnata,  risulta  chiaramente  in  contrasto  con  la   previsione
dell'art 107 della Costituzione. 
    Tale norma, come e' noto, afferma che i magistrati si distinguono
solo  per  diversita'  di  funzioni;  funzioni  che  sono  del  tutto
indifferenziate presso la magistratura amministrativa,  dove  non  si
registrano posizioni di carriera distinte, ad esempio,  fra  pubblici
ministeri,  magistrati  giudicanti,  collegi,  giudici  di   indagine
preliminare, giudici di legittimita'. 
    Il Collegio e' a conoscenza che  la  giurisprudenza  della  Corte
costituzionale ha affermato che non  tutte  le  norme  costituzionali
dettate  per  la  magistratura  ordinaria  si  estendono  alle  altre
magistrature e che per le magistrature speciali molte  garanzie  sono
rimesse al legislatore ordinario, che puo' dare attuazione ad  alcuni
principi generali con modalita' diverse. 
    Tuttavia, tali modalita' non possono  arrivare  a  costituire  un
regime  assolutamente   irragionevole,   che   comporta   la   totale
pretermissione delle funzioni giurisdizionali svolte in  primo  grado
presso la magistratura amministrativa; cio' che, sia per il presente,
come gia' nel passato, ha costantemente  distorto  la  strutturazione
dei ruoli in tutta la storia della magistratura amministrativa,  dopo
l'istituzione dei Tribunali di primo grado. 
    Dall'art 107 emerge, infatti, un principio generale  per  cui  le
funzioni giurisdizionali  sono  omogenee  in  qualunque  grado  siano
esercitate; il che  presso  la  magistratura  ordinaria  vale,  senza
distinzione, tra le funzioni di merito e di legittimita'. 
    Ne deriva che le funzioni giurisdizionali svolte in  primo  grado
non possono non essere considerate, al  momento  del  passaggio  alla
magistratura di appello, stante l'identita' delle funzioni  stesse  e
del "genus" processuale. 
    Ancora piu' irragionevole tale regime risulta, poi,  in  presenza
della retrodatazione della nomina dei consiglieri di Stato a  seguito
di concorso, ai sensi del n° 3 dell'art 19 della  legge  n.  186  del
1982;   norma   questa   che   considera   come   svolte,    funzioni
giurisdizionali   non   effettivamente   esercitate;   il   che    ha
ulteriormente inciso nell'intera configurazione della  carriere,  con
pari irragionevolezza. 
    L'assoluta  estemporaneita'  dell'art.  23,   comma   5   emerge,
altresi', rispetto alle altre disposizioni della  medesima  legge  n.
186 del 1982, nonche' rispetto alla volonta'  del  legislatore  della
riforma del 1982, in base ai lavori preparatori. 
    L'art. 21 della legge n. 186 del 1982 al comma 1 prevedendo, come
gia' illustrato, che i  consiglieri  di  Stato  e  i  consiglieri  di
Tribunale amministrativo regionale al  compimento  di  otto  anni  di
anzianita' nelle rispettive qualifiche possono conseguire  la  nomina
alle qualifiche di presidente di sezione del  Consiglio  di  Stato  e
presidente  di  Tribunale  amministrativo  regionale,   evidentemente
presuppone e ribadisce la uniformita' delle funzioni  giurisdizionali
svolte in primo grado e in appello, nella qualifica  di  consigliere,
come altresi', stabilito dall'art 14 della legge n. 186 del 1982, che
al punto 2  prevede  le  qualifiche  di  Presidente  di  sezione  del
Consiglio di  Stato  e  di  Presidente  di  Tribunale  amministrativo
regionale come assolutamente equiparate e differenziate unicamente in
base all'ufficio giudiziario presso il quale tali funzioni  direttive
sono esercitate. 
    Si deve tenere conto, altresi', che l'art 28 della legge n.  1034
del 1971, abrogato solo dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 104 del.
2010, prevedeva che il Consiglio di Stato - come gia' cennato  -,  in
sede di  appello,  esercita  gli  stessi  poteri  giurisdizionali  di
cognizione e di decisione del giudice di primo grado. 
    A  conferma  ulteriore  di  tale  equiparazione  funzionale,   la
medesima norma dell'art. 21 ai commi 3 e 4 prevede che, limitatamente
ai posti di presidente di sezione del Consiglio di Stato,  la  nomina
sia riservata a coloro che abbiano prestato servizio per  almeno  due
anni presso il Consiglio di Stato (unico requisito specifico, quindi,
per il conferimento delle  funzioni  di  Presidente  di  sezione  del
Consiglio di Stato). 
    In  particolare,  ai  sensi  del  comma  4,  e  limitatamente  al
conferimento   della   qualifica   di   Presidente    di    Tribunale
amministrativo  regionale,  viene   computata   l'intera   anzianita'
maturata  nella  qualifica  di  Consigliere   presso   il   Tribunale
amministrativo regionale. Cio'  contrasta,  invece,  con  il  mancato
riconoscimento dell'anzianita' di consigliere di Tar  ai  fini  della
nomina a consigliere di Stato. 
    La equiparazione  tra  consiglieri  di  Stato  e  consiglieri  di
Tribunale amministrativo e' poi piena sotto il profilo economico.  Ai
sensi del comma 6 del medesimo art 21 della legge n° 186 del 1982,  i
consiglieri di Stato e  i  consiglieri  di  Tribunale  amministrativo
regionale,  al  compimento  della  anzianita'  di  otto  anni   nella
qualifica,  conseguono  il  trattamento   economico   inerente   alla
qualifica  di  magistrato  di  cassazione  con   funzioni   direttive
superiori. 
    Da tale quadro normativo  emerge,  gia'  solo  all'interno  dello
stesso art 21 della legge n° 186 del 1982, la  normale  equiparazione
delle funzioni svolte dai giudici amministrativi in primo grado e  in
appello,  equiparazione  rispetto   alla   quale   risulta,   invece,
assolutamente irragionevole il mancato riconoscimento dell'esperienza
maturata presso i Tribunali amministrativi al momento  del  passaggio
al Consiglio di Stato, per la  cui  giustificazione  occorrerebbe  la
sussistenza di situazioni differenziali, che si sono viste del  tutto
insussistenti. 
    Inoltre,  l'art.  13  della  legge  n.1034  del  1971,  la  legge
istitutiva dei Tribunali amministrativi regionali,  distinguendo  tra
le qualifiche di consigliere, referendario e  primo  referendario  di
Tribunale amministrativo regionale, gia' aveva  esteso  espressamente
le norme  sullo  stato  giuridico  e  sul trattamento  economico  del
personale  di corrispondente   qualifica   della   magistratura   del
Consiglio di Stato. 
    Per quanto le modifiche ordinamentall introdotte con la legge  n°
186 del 1982 possano rientrare nell'esercizio della  discrezionalita'
del legislatore, tale discrezionalita', nel caso di  specie,  appare,
con assoluta evidenza, esercitata in modo illogico. 
    Il legislatore, infatti, ha inciso in senso peggiorativo  su  una
previsione gia' in vigore (riconoscimento della  anzianita'  maturata
nella qualifica di consigliere di Tribunale amministrativo)  conforme
al sistema normativo sia della legge n. 1034 del 1971  (art  13)  sia
della stessa legge n. 186 del 1982 (art 21)e al naturale assetto  dei
rapporti tra giudici di primo grado e di appello. 
    La disciplina dell'art. 23 non appare peraltro giustificata, come
gia' esposto , da alcun diverso regime  di  accesso  tra  coloro  che
erano in servizio nel  1982  e  quelli  entrati  successivamente,  in
quanto tutti sono  stati  sottoposti  all'identico  concorso  di  cui
all'articolo 14 della legge n. 1034 del 1971 e all'art 19 del  d.P.R.
n. 214 del 21 aprile 1973  norma  alle  quali  espressamente  rimanda
l'art. 16 della legge  n.  186/1982.  Il  pregiudizio  sussistente  a
carico  dei  consiglieri  TAR  e'  ulteriormente   confermato   dalla
abolizione, da  parte  della  legge  n.  186,  delle  qualifiche  dei
referendari e primi referendari del Consiglio di Stato, cio'  che  ha
configurato l'accesso diretto alla qualifica di consigliere di  Stato
a seguito di concorso  e  non  piu'  a  quella  di  referendario  del
Consiglio di Stato. 
    In tale modo, la nomina diretta  per  concorso  al  Consiglio  di
Stato avuto riguardo ai principi dell'art 97 e 98 della Costituzione,
comporta un evidente potenziamento di carriera,  eliminando  l'intero
periodo quadriennale di referendariato prima esistente e che, invece,
permane  presso  i  Tribunali  amministrativi,   ove   i   magistrati
acquisiscono la qualifica di consigliere dopo otto anni  di  concreto
esercizio di funzioni giurisdizionali; cio' che conferma la segnalata
irragionevolezza, in quanto i magistrati che accedono al Consiglio di
Stato nella qualifica diretta di Consigliere possono  non  avere  mai
esercitato funzioni giurisdizionali amministrative. 
    Tale stato di cose e' palesemente arbitrario ed irragionevole  in
quanto determina, in atto, il superamento anche di personale che puo'
vantare una anzianita' di venti o venticinque anni nelle funzioni  di
magistratura. 
    E vieppiu' irragionevole risulta, in quanto  tale  anzianita'  e'
stata computata solo in parte per taluni magistrati Tar e negata  per
altri. 
    L'art. 23 comma 5 appare, altresi', illogico  in  relazione  alla
volonta' del legislatore del 1982, in base ai lavori preparatori. 
    Va, infatti, considerato che, nei lavori preparatori della  legge
n. 186, si afferma che il principio ispiratore  della  riforma  della
legge n. 1034 del 1971 operata nel 1982  era  rappresentato  dalla  "
necessita'  di  unificare  i  ruoli  dei  magistrati  amministrativi,
analogamente a quanto si fece nell'immediato  dopoguerra  per  quelli
ordinari", come risulta dalla relazione di accompagnamento al disegno
di legge. 
    Si legge nella medesima relazione che l'unificazione dei ruoli e'
urgente al fine di uniformare ai  principi  costituzionali  l'assetto
organizzativo e lo status giuridico... "alla luce  di  tali  principi
non  puo'  non  essere  eliminata  al  piu'  presto  ogni  forma   di
discriminazione, dipendente dall'attuale sistema, articolato in ruoli
separati"... cio' " da un lato non risponde  ad  alcuna  esigenza  di
funzionalita' e dall'altro  contrasta  con  l'obiettiva  identita'  e
dignita' delle funzioni esercitate, risolvendosi anzi  in  una  forma
anomala di subordinazione  gerarchica  dei  Tribunali  amministrativi
regionali al Consiglio di Stato e, quindi,  in  un  chiaro  attentato
all'autonomia e alla indipendenza". 
    Tali affermazioni sono evidentemente in contrasto con il  sistema
realizzato dall'art 23 comma 5 della legge n. 186 del  1982,  che  ha
introdotto modifiche  peggiorative  del  regime  dei  magistrati  dei
Tribunali amministrativi, in una disciplina che avrebbe dovuto essere
piu' favorevole e realizzativa della equiparazione funzionale  voluta
dalla legge. 
    E' bensi' vero che la novita' introdotta dalla legge  n.  186  e'
stata anche rappresentata dall'incremento  della  aliquota  di  posti
spettanti ai  magistrati  provenienti  dai  Tribunali  nel  ruolo  di
Consigliere di Stato. L'aumento della  aliquota  di  provenienza  dai
Tribunali amministrativi, diversamente  dalla  denunciata  previsione
dell'art  23,  e'  invero  conforme  a  quanto  risulta  nei   lavori
preparatori, circa la volonta'  del  legislatore  di  procedere  alla
unificazione dei ruoli, secondo la  quale  "  costituisce  il  logico
necessario presupposto per l'attribuzione a  tutti  gli  appartenenti
alla magistratura amministrativa di un unico status  e  di  identiche
garanzie  di  indipendenza",  potenziando  appunto   l'accesso   alle
funzioni di appello per un maggior numero di magistrati di TAR. 
    Cio' che  e'  corroborato  dal  riferimento  all'art.  107  della
Costituzione, secondo il quale i magistrati si distinguono  solo  per
funzioni, cosi' ribadendo il principio che il  disegno  di  legge  si
ispira,  per  quanto  possibile,   all'ordinamento   dei   magistrati
ordinari. 
    E poiche', come gia' puntualizzato,  il  giudizio  amministrativo
sia in primo che in secondo grado, e' sempre esclusivamente  giudizio
di legittimita', con omogeneita' di qualificazione professionale  fra
il giudice di primo e  secondo  grado  ,  manca  ragione  alcuna  per
giustificare diverse posizioni di carriera. 
    La vera novita' costituita  dalla  legge  n°  186  del  1982  e',
quindi,  caratterizzata  dalla  soppressione  delle   qualifiche   di
referendario e primo referendario del Consiglio di Stato, al fine  di
bilanciare l'aumento delle aliquote  per  i  passaggi  dai  Tribunali
amministrati garantire, quindi, ai vincitori  di  concorso  una  piu'
rapida progressione in carriera rispetto ai colleghi provenienti  dai
Tribunali. 
    Sembra, pertanto, che in attuazione  di  appropriati  criteri  di
ragionevolezza, applicati alla strutturazione  della  carriera  della
magistratura amministrativa, non possa sussistere  una  modalita'  di
progressione talmente discorsiva,  da  tralasciare  ogni  valutazione
dell'esercizio di funzioni giurisdizionali,  pur  esercitate  per  un
numero. 
    Considerevole di anni, ai fini della progressione dei  magistrati
di  provenienza TAR nelle funzioni di appello, considerata l'espressa
affermazione della omogeneita' delle funzioni svolte in primo grado e
in appello, da parte dell'art. 28 della legge n. 1034 del 1971. 
    La sentenza della Corte Cost. n. 272 del 2008, che ha  dichiarato
inammissibile una questione  proposta  dal  Tribunale  amministrativo
regionale del  Lazio  riguardo  alle  aliquote  di  composizione  del
Consiglio  di  Stato,  rispetto  alla  riforma  del  1982,  ha  fatto
riferimento proprio alla scelta operata dal legislatore del  1982  di
ampliare per  il  futuro  le  possibilita'  dei  consiglieri  Tar  di
accedere  alla  qualifica  di  consigliere  di  Stato  rispetto  alla
normativa   precedente   "al   fine   di   valorizzare   l'esperienza
professionale dei piu' maturi consiglieri degli organi decentrati  di
giustizia amministrativa". 
    Ulteriore censura attiene al profilo della uguaglianza. 
    La giurisprudenza della Corte ha affermato che  il  principio  di
uguaglianza riguarda il trattamento uguale di situazioni uguali ed il
trattamento diverso di situazioni  differenti.  L'applicazione  delle
norme  censurate  comporta  una  grave  lesione  del   principio   di
uguaglianza in quanto sono trattate  in  maniera  diversa  situazioni
sostanzialmente e formalmente uguali. 
    Altri profili di irragionevolezza si traggono dal  confronto  con
la magistratura ordinaria. 
    La Corte  costituzionale,  infatti,  dopo  aver  affermato,  come
detto,  che  le  magistrature   speciali   non   sono   integralmente
disciplinate   dalle   norme   costituzionali   che   riguardano   la
magistratura ordinaria e che la relativa  disciplina  e'  rimessa  al
legislatore ordinario, ha ribadito, con la sentenza  n.  434  del  21
dicembre 2001 che, l'art 107  comma  3  della  Costituzione  riguarda
esclusivamente la magistratura  ordinaria,  poiche'  le  garanzie  di
indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali sono  stabilite
dalla legge ordinaria ex art. 108, secondo comma, della Costituzione. 
    Peraltro, nella medesima sentenza, la Corte ha affermato  che  al
legislatore ordinario spetta, nella materia  dell'organizzazione  dei
pubblici   uffici   e   dell'articolazione   delle   carriere,    una
discrezionalita'  che,  per  quanto  ampia,  non  puo'  sfuggire   al
sindacato di costituzionalita', allorquando  si  dimostri  la  palese
arbitrarieta' o la manifesta irragionevolezza della scelta adottata. 
    Anche  il  Consiglio  di  Stato,  esaminando  la   questione   di
legittimita' costituzionale del Tribunale di Giustizia amministrativa
di Trento (ritenendola manifestamente infondata), ha  affermato,  sia
con la decisione della IV sezione n. 393 del 4 febbraio 2004, sia con
sentenza della VI sezione n. 1049  del  23  febbraio  2009,  che:  "i
principi  dell'imparzialita'  e  della  terzieta'   dei   magistrati,
espressamente enunciati per la prima volta nella  nuova  formulazione
del comma 2 dell'art. 111 cost., sono sempre stati  comunque  sottesi
alla  disciplina  dell'ordinamento  giudiziario,  rappresentando   un
insopprimibile  presupposto,  ancorche'   implicito,   degli   stessi
principi di autonomia ed indipendenza dei magistrati (art. 104 Cost.)
e della loro  esclusiva  soggezione  alla  legge  /art.  101  Cost.),
secondo le fondamentali garanzie del diritto di azione  e  di  difesa
(art. 24 e 113 Cost.)". Trasferendo le sopra  esposte  considerazioni
agli organi  di  giustizia  amministrativa,  sono  state  considerate
applicabili le norme degli articoli 101, 104, 111 della Costituzione,
nonche'  la  generale  guarentigia  ili  cui  all'art.  102  e   101,
consistente nel principio di indipendenza e di soggezione  unicamente
alla legge, quale denominatore unico comune di tutti i giudici. 
    In  particolare,  neppure  e'  in  dubbio,  nella  giurisprudenza
amministrativa, la inamovibilita' dei magistrati di qualsiasi  ordine
e grado ( C.d.S sez. IV, 30 giugno 2004, n. 4835 riguardo alla  Corte
dei Conti). 
    Sarebbe percio' assolutamente irragionevole quell'ordinamento che
introducesse  una  disciplina  radicalmente  diversa   tra   le   due
magistrature, sia in relazione alla uniformita' delle progressioni in
carriera (Tabella allegata alla legge n 27 del 1981,  confermata  dal
richiamato art 21 comma 6 della legge n.  186  del  1982);  sia  alla
estensione delle analoghe garanzie sopra evidenziate. 
    E' inoltre fortemente sintomatico il rilievo  della  istituzione,
con l'art. 7 della legge 186, di un comune organo di autogoverno  per
la magistratura  amministrativa;  norma  sulla  quale  e',  altresi',
intervenuta la successiva legge n. 205 del 21  luglio  2000,  che  ha
introdotto nel consiglio di presidenza della giustizia amministrativa
i membri eletti  dal  Parlamento,  rendendolo  analogo  al  Consiglio
Superiore della Magistratura. 
    La medesima  norma  della  legge  n.  205  ha  fatto  espresso  e
significativo riferimento ad un «generale  riordino  della  giustizia
amministrativa sulla base della unicita' di accesso e  di  carriera»,
riordino non ancora venuto a realizzazione. 
    Peraltro,   l'attuale   codice   del   processo   amministrativo,
configurando una piu'  accentuata  assimilazione  della  magistratura
amministrativa sotto il profilo processuale a quella della  giustizia
ordinaria, non puo' non comportare un  evidente  avvicinamento  della
struttura  complessiva  della  giustizia  amministrativa   a   quella
ordinaria,  determinando  un  deciso  superamento  di  quei   profili
peculiari di questa, che avevano giustificato, in passato, i  fattori
differenziali tra i due apparati di giustizia e le relative posizioni
di carriera, secondo il giudizio della Corte Costituzionale. 
    Il confronto con la magistratura ordinaria e le sue  ricadute  in
termini di irrazionalita' con il sistema di  carriera  vigente  nella
magistratura amministrativa si pone oggi rafforzato con il d.lgs.  n.
160 del 5 aprii 2006, che  determina  la  nuova  disciplina,  nonche'
progressione economica e di funzioni dei magistrati ordinari. 
    L'art 12 comma 14, prevede, infatti, per  il  conferimento  delle
funzioni di legittimita' presso la Suprema Corte  di  Cassazione,  la
quinta valutazione di professionalita'. 
    Prevede,  altresi',  per  il  conferimento  di   tali   funzioni,
limitatamente al 10  per  cento  dei  posti  vacanti,  una  procedura
valutativa riservata ai magistrati che abbiano conseguito la  seconda
o la terza valutazione di professionalita' e che siano in possesso di
titoli professionali e scientifici adeguati. Peraltro, a seguito  del
superamento di tale  procedura  valutativa,  «il  conferimento  delle
funzioni di legittimita' per effetto del presente comma  non  produce
alcun effetto sul trattamento giuridico  ed  economico  spettante  al
magistrato, ne' sulla collocazione nel ruolo di anzianita' o ai  fini
del conferimento di funzioni di merito». 
    Anche  sotto  altri  profili,  la  giurisprudenza   della   Corte
costituzionale  ha  poi  avvicinato  sempre  piu'  la   giurisdizione
amministrativa a quella ordinaria. Nella sentenza n° 204 del 2004  ha
affermato   che   il   Costituente   ha   riconosciuto   al   giudice
amministrativo piena dignita' di giudice ordinario per la tutela  nei
confronti della pubblica amministrazione delle situazioni  soggettive
non contemplate dall'art 2 della legge del  1865:  "l'art.  24  Cost.
assicura agli interessi legittimi -la cui tutela l'art.  103  riserva
al giudice  amministrativo  -  le  medesime  garanzie  assicurate  ai
diritti soggettivi quanto alla possibilita' di farli  valere  davanti
al giudice ed alla effettivita' della tutela  che  questi  deve  loro
accordare. 
    Piu' di recente nella  sentenza  n.  77  del  2007  la  Corte  ha
affermato, altresi', che il  principio  della  incomunicabilita'  dei
giudici appartenenti ad organi diversi e'  certamente  incompatibile,
nel momento attuale, con fondamentali valori  costituzionali.  Se  e'
vero, infatti, che la Carta costituzionale ha recepito,  quanto  alla
pluralita' dei giudici, la situazione all'epoca esistente,  e'  anche
vero che la medesima Carta  ha,  fin  dalle  origini,  assegnato  con
l'art.  24  (ribadendolo   con   l'art.   111)   all'intero   sistema
giurisdizionale la funzione di assicurare la  tutela,  attraverso  il
giudizio, dei diritti soggettivi e degli interessi legittimi". 
    L'effettivita' della tutela nei due ordini di  giurisdizione  non
puo'  essere  assicurata  se  non  vi  sono  analoghe  garanzie   dei
magistrati  ed  analogo  rispetto  dei  principi   fondamentali   che
governano la giurisdizione, tra cui  quello  dell'art  107  comma  3,
considerato il processo evolutivo in corso e che ha visto estesi alla
magistratura amministrativa ampi  settori  di  competenze  del  tutto
impensabili  nel  passato,   quali   il   risarcimento   del   danno,
l'ampliamento  della  giurisdizione  esclusiva   e   di   merito,   i
provvedimenti  ante  causam,  la  decretazione  ingiuntiva,  i  mezzi
istruttori (consulenza tecnica,  testi  E'  quindi  evidente  che  il
complessivo  portato  innovativo  della  funzione  non  possa  essere
ristretto negli schemi organizzativi  precedenti,  che  appaiono  del
tutto anacronistici e della cui irragionevolezza e' sintomo, fra  gli
altri, la penalizzazione di carriera di cui qui si e'  detto.  Vi  e'
poi da richiamare un  raffronto  con  il  regime  della  magistratura
contabile. 
    Come e' noto, a seguito della riforma operata con la legge n.  19
del 14 gennaio 1994, sono state istituite le sezioni regionali  della
Corte dei Conti come organi giurisdizionali di primo  grado,  avverso
le decisioni dei quali viene proposto appello alla sezioni  centrali.
Nei rapporti tra organi di primo grado  e  di  appello  i  magistrati
hanno assoluta uniformita' di qualifiche e funzioni. 
    Se anche rispetto alla Corte  dei  Conti  non  si  puo'  ritenere
assoluta l'adozione di un analogo regime, in quanto le  modalita'  di
funzionamento e di organizzazione della magistratura amministrativa e
contabile sono riservate al legislatore ordinario, non  si  puo'  non
considerare assolutamente irragionevole un assetto organizzativo  del
tutto differente rispetto sia  alla  giurisdizione  ordinaria  che  a
quella contabile, specificatamente, per quanto concerne  l'anzianita'
di quanti passano ad esercitare funzioni d'appello. 
    Ne'  puo'  valere  a  superare  la  assoluta  irragionevolezza  e
disparita' di trattamento, la considerazione delle  diverse  funzioni
del  Consiglio  di  Stato  rispetto   ai   Tribunali   amministrativi
regionali,  in  relazione  alle  competenze  anche   consultive   del
Consiglio di Stato. 
    I magistrati provenienti dai Tribunali,  infatti,  sono  in  gran
parte assegnati a  sezioni  giurisdizionali,  che  svolgono  funzioni
d'appello rispetto alle decisioni dei Tribunali  amministrativi,  ne'
lo svolgimento di funzioni consultive del  Consiglio  di  Stato  puo'
ritenersi-- imprescindibile, in quanto molti magistrati del Consiglio
di  Stato  non  hanno  mai  svolto  tali  funzioni,  peraltro,   oggi
ridimensionate rispetto al passato, per effetto  di  eliminazioni  di
competenze  che  hanno  comportato  una  compressione  dell'area   di
esercizio della funzione consultiva e della sua rilevanza. 
    Di fronte a tale  complesso  quadro  normativo,  sia  nell'ambito
della  magistratura  amministrativa  che  con   riguardo   all'intero
ordinamento della giustizia,  il  Collegio  ritiene  che  il  mancato
riconoscimento dell'anzianita' di giudice di primo grado  al  momento
del passaggio  al  Consiglio  di  Stato,  costituisca  una  palese  e
irragionevole  disparita'  di  trattamento  sia   all'interno   della
magistratura amministrativa (tra chi e' entrato ad una certa  data  e
chi successivamente), sia rispetto ai principi generali che governano
la magistratura ordinaria e contabile nonche'  primo  sintomo  di  un
generale disagio che comporta taluni riflessi sullo stesso  esercizio
della funzione. 
    In conclusione, il Collegio ritiene che il giudizio debba  essere
sospeso e che gli atti vadano trasmessi  alla  Corte  Costituzionale,
attesa la rilevanza e la non manifesta infondatezza  della  questione
di costituzionalita' dell'art 23 comma 5 della legge n. 186 del 1982,
per la violazione dell'art 3 della Costituzione, nella parte  in  cui
si riferisce esclusivamente «ai referendari o ai primi referendari in
servizio alla data  di  entrata  in  vigore  della  presente  legge»,
concedendo ad essi i benefici di carriera negati  a  soggetti  aventi
identica posizione qualificativa sostanziale. 
    L'intervento additivo richiesto da questo  giudice,  costituisce,
soluzione costituzionalmente obbligata, in quanto  proprio  la  norma
dell'art. 23 comma 5 della legge n 186 del 1982,  posta  a  base  del
provvedimento impugnato, ha indicato in cinque  anni  il  periodo  di
anzianita' che deve essere riconosciuto al momento del passaggio alle
funzioni di appello,  quale  spettanza  riservata  ai  magistrati  in
servizio ai tempi dell'entrata in vigore della nonna. 
    Sembra, infatti, per quanto esposto, pienamente prospettabile  la
pronunzia di incostituzionalita' dell'art. 23 in oggetto, per tutti i
profili fin qui delineati, al fine  di  promuovere  l'estensione  del
regime, che il legislatore ha previsto solo per i referendari e primi
referendari in servizio alla data di entrata in  vigore  della  legge
del 1982 e  che  penalizza  irragionevolmente  ed  ingiustamente  una
intera categoria di' personale di magistratura. 
    La  rimessione  degli  atti  alla  Corte  Costituzionale   lascia
riservata ogni altra questione in merito  ed  in  rito  del  presente
giudizio,   fino   all'esito   della   sopra    indicata    questione
pregiudiziale. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 23, comma 5 della legge n.  186
del  1982,  nella  parte  in  cui  si  riferisce  esclusivamente   ai
«referendari o ai primi referendari in servizio alla data di  entrata
in vigore della presente legge» per la violazione dell'art.  3  della
Costituzione  e  dei  principi  di  ragionevolezza  e  disparita'  di
trattamento. 
    Dispone, per i motivi sopra  indicati,  l'immediata  trasmissione
degli atti alla Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 legge  n.
87 de1 1953, e, per l'effetto, sospende il giudizio in corso. 
    Dispone, altresi',  che  a  cura  della  segreteria  la  presente
ordinanza sia notificata alle parti in causa nonche'  al.  Presidente
del Consiglio dei ministri  e  comunicata  ai  Presidenti  delle  due
Camere del Parlamento. 
    Cosi' deciso nelle camere di consiglio del  16  giugno  e  del  3
dicembre 2010 con l'intervento dei Magistrati: 
 
                       Il Presidente: Amoroso 
 
 
                                                  L'estensore: Sapone