N. 58 ORDINANZA (Atto di promovimento) 30 ottobre 2010
Ordinanza del 30 ottobre 2010 emessa dal Tribunale di Parma nel procedimento civile promosso da G. M. contro Azienda U.S.L. di Parma ed altri. Sanita' pubblica - Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni - Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica, che l'indennita' integrativa speciale relativa all'indennizzo stesso non e' soggetta a rivalutazione secondo il tasso di inflazione - Violazione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e difesa in giudizio, del principio del giudice naturale, del diritto alla salute - Indebita interferenza sul potere giurisdizionale - Lesione del divieto di trattamenti discriminatori - Lesione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, comma 13, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, primo comma, 32, 102, 104, 111 e 117, primo comma, in relazione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 2 e 14 e alla Carta dei diritti fondamentali U.E., art. 35. Sanita' pubblica - Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da complicazioni di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni - Indennita' integrativa speciale relativa all'indennizzo stesso - Previsione, con norma autoqualificata di interpretazione autentica, della cessazione dell'efficacia dei provvedimenti emanati al fine di rivalutare l'indennita' integrativa speciale in forza di titolo esecutivo - Violazione del principio di uguaglianza, del diritto di azione e difesa in giudizio, del principio del giudice naturale, del diritto alla salute - Indebita interferenza sul potere giurisdizionale - Lesione del divieto di trattamenti discriminatori - Lesione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, art. 11, comma 14, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122. - Costituzione, artt. 3, 24, 25, primo comma, 32, 102, 104, 111 e 117, primo comma, in relazione alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, artt. 2 e 14 e alla Carta dei diritti fondamentali U.E., art. 35.(GU n.15 del 6-4-2011 )
IL TRIBUNALE Nel procedimento n. 690/09 R.G. promosso da G. M. - Avv. M. Ziveri; Contro Azienda U.S.L. di Parma - contumace; nonche' contro Regione Emilia Romagna avv.ti G. Puliatti e M. Michelessi; nonche' contro Ministero della salute, in persona del Ministro pro tempore Avvocatura dello Stato; A scioglimento della riserva formulata all'udienza del 29 ottobre 2010 nel procedimento sopra indicato il Giudice del lavoro dott. Roberto Pascarelli ha pronunciato la seguente ordinanza. Con ricorso depositato in cancelleria in data 3 luglio 2009 diretto al Giudice del Lavoro di Parma, il ricorrente indicato in epigrafe, dopo aver premesso di essere beneficiario dell'indennizzo previsto dalla legge n. 210/1992 avendo contratto epatite HCV a seguito di trasfusioni, chiedeva all'intestato Tribunale l'accertamento del proprio diritto a percepire la rivalutazione monetaria sull'indennita' integrativa speciale di cui all'art. 2, comma secondo, legge n. 210/92, costituente parte integrante dell'indennizzo in godimento, sulla base del tasso di inflazione programmato. La questione e' stata oggetto nel corso degli anni di numerose e contraddittorie decisioni sia delle corti di merito che della Corte di cassazione. In particolare, la Corte di cassazione, sez. lav., con la sent. n. 15894/05 ha affermato che l'indennizzo di cui alla legge n. 210/92 deve essere rivalutato secondo il tasso annuale di inflazione programmata anche con riferimento alla componente di cui al comma 2 dell'art. 2 della legge, rilevando, tra l'altro, che «una diversa interpretazione non sarebbe conforme ai principi costituzionali, gjacche' la misura dell'indennizzo, se ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non sarebbe equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute, tanto piu' che gli aumenti ISTAT dell'indennizzo (al netto della voce indennita' integrativa speciale, come risultante dalle tabelle ministeriali) sono modesti e l'indennita' integrativa speciale e' rimasta. ferma a Lire 1.991.765, pari a Euro 1.028,66» (valore di due mensilita' in quanto l'indennizzo viene corrisposto ogni due mesi). In senso opposto, con sentenza n. 21703 dei 13 ottobre 2010 la stessa Corte, discostandosi dal predetto orientamento; riteneva non rivalutabile la componente di cui al comma 2 dell'art. 2 della legge n. 210/92. Nonostante quest'ultima interpretazione, le Corti di merito anche di secondo grado continuavano e continuano (almeno per la maggior parte) ad allinearsi con il precedente orientamento, riconoscendo la rivalutazione sull'intero indennizzo (cfr. ex plurimis Tribunale di Bologna n. 57/2010, Tribunale di Milano n. 8027/09, Tribunale di Firenze n. 1359/09, Tribunale di Torino n. 614/10; Tribunale di Roma n. 5191/10 e n. 5459/10, Tribunale di Lodi 131/09, Tribunale di Busto Arsizio n. 97/10, Tribunale di Varese n. 867/09 e n. I1/10, Tribunale di Brescia n 252/10, Tribunale di Chieti n. 238/10, Tribunale di Lecce n. 5611/10, Tribunale Isernia 54110, Corte d'Appello di Milano n. 1156/10). Permanendo dunque la difformita' interpretativa sopra riferita, veniva adottato il d.l. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con la legge n. 122/2010, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica» all.'art. 11 commi 13 e 14 che cosi' stabilisce: «13. Il comma 2 dell'art. 2 della legge 25 febbraio 1992, n. 210 e successive modificazioni si' interpreta nel senso che la somma corrispondente all'importo dell'indennita' integrativa speciale non e' rivalutata secondo il tasso di inflazione». 14. Fermo restando gli effetti esplicali da sentenze passate ingiudicate per i periodi da esse definiti, a partire dalla data di entrata in vigore del presente decreto cessa l'efficacia di' provvedimenti emanati al fine di rivalutare la somma di cui al comma 13, ih forza di' un ruolo esecutivo. Sono fatti salvi gli effetti prodottisi fino alla data di entrata in vigore del presente decreto». Sulla base di tale intervento normativo il presente ricorso sarebbe pertanto da decidete in senso negativo; il ricorrente solleva tuttavia eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 11, commi 13 e 1451 d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito con la legge n. 122/2010. Ritiene il giudicante che le questioni di legittimita' costituzionale sollevate non sono manifestamente infondate. Va premesso che la normativa cui fare riferimento e' l'art. 2 legge 25 febbraio 1992 n. 210 che al primo comma cosi' recita: «l'indennizzo di cui all'art. 1, comma 1, consiste in un assegno reversibile per quindici anni, determinato nella misura di cui alla tabella B allegata alla legge 29 aprile 1976, n. 177, come modificata dall'art. 8 della legge 2 maggio 1984, n. 111. L'indennizzo e' cumulabile con ogni altro emolumento a qualsiasi titolo percepito ed e' rivalutato annualmente sulla base dei Tasso di inflazione programmato». Lo stesso art. 2 al secondo comma cosi' dispone: «l'indennizzo di cui al primo comma e' integrato da una somma corrispondente all'indennita' integrativa speciale di cui alla legge 27 maggio 1959, n. 324, e successive modificazioni, prevista per la prima qualifica funzionale degli impiegati civili dello Stato». Seguendo il ricordato orientamento giurisprudenziale (espresso da Cass. 28 luglio 2005 n. 15894 e da Cass. 27 agosto 2007 n. 18109), e' opinione di chi scrive che entrambe le componenti dell'indennizzo debbano essere rivalutate annualmente secondo il tasso di inflazione programmata, ai sensi di quanto disposto dal citato art. 2 legge 25 febbraio 1992 n. 210. Cio' essenzialmente in quanto: a) l'indennizzo dev'essere inteso «nella sua globalita'», onde va rivalutato in entrambe le sue parti; b) l'indennita' integrativa speciale portava in se' il meccanismo di adeguamento delle retribuzioni al costo della vita «nella sua originaria struttura», ma successivamente essa e' stata snaturata col c.d. «taglio della scala mobile» onde non vi e' ora ragione di non rivalutarne l'importo; c) questa interpretazione e' «costituzionalmente orientata» perche' tende alla tutela del diritto alla salute, di cui all'art. 32 Cost. In particolare non pare che il canone dell'interpretazione letterale sia idoneo a superare il quadro interpretativo riferito alla ratio dell'istituto e alla connessione con i principi costituzionali. Peraltro, proprio sotto profilo letterale, se e' pur vero che la disposizione che prevede la rivalutazione automatica e' collocata nel primo comma dell'art. 2, ove e' prevista la corresponsione dell'assegno reversibile, e' anche vero che la rivalutazione annuale e' riferita all'indennizzo di cui all'art. l , comma 1, e cioe' al trattamento nella sua interezza, comprensivo anche della componente delineata nel secondo comma. Tuttavia il legislatore - mediante l'adozione degli articoli qui censurati di potenziale incostituzionalita' - introduce una norma che pur qualificandosi come di interpretazione autentica, in realta' introduce una vera e propria modifica legislativa che pare ledere sia il principio di cui all'art. 3 Cost. di ragionevolezza ed uguaglianza di trattamento, sia gli artt. 32 e 117 della Costituzione, sia gli artt. 101, 102 e 104 interferendo con funzioni. costituzionalmente riservate al potere giudiziario, sia l'art. 24 Cost. nel senso di creare un discrimine nella tutela giudiziaria riservata a tutti i cittadini; sia infine gli artt. 35, 2 e 14 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo. In particolare: 1) il d.l. n. 78/10, art. 11 commi 13 e 14 viola il principio di uguaglianza ed equita' sancito dall'art. 3 della Costituzione determinando una illegittima disparita' tra coloro che percepiscono indennizzo rivalutato sulla base delle migliaia di sentenze favorevoli all'orientamento piu' sopra espresso e coloro il cui indennizzo, per effetto del d.l. n. 78/2010; non potra' essere rivalutato. Si consideri che i primi, in virtu' della rivalutazione integrale gia' disposta giudizialmente percepiscono un indennizzo mensile di & 700, per l'ottava categoria, i secondi percepiscono e percepiranno invece, per la medesima categoria, un importo di & 550 mensili (& 150 mensili in meno). Si consideri anche che tutte le altre pensioni sono soggette a rivalutazione: la mancata rivalutazione dell'indennizzo ex legge n. 210/92 - avente finalita' assistenziali e non risarcitorie come gia' piu' volte confermato dalle sentenze della Cassazione civile e Corte costituzionale - nella sua componente maggioritaria determinerebbe una illegittima disparita' anche tra i titolari di indennizzo ex legge n. 210/92 non rivalutato e gli altri titolari di prestazioni pensionistiche e assistenziali, posto che la rivalutazione e' concessa integralmente ex lege ai vaccinati (art. 1, comma 4 legge n. 229/2005) e ai soggetti affetti da «sindrome da talidomide» (art. 1, comma 4 decreto n. 163/2009). Le normative appena riportate affermano infatti che l'indennizzo e' «interamente rivalutato annualmente in base agli indici ISTAT». 2) per le medesime ragioni l'art. 11 comma 13 e 14 d.l. n. 78/2010 viola l'art. 2 che tutela il diritto alla vita e l'art. 14 CEDU che sancisce il divieto di ogni discriminazione. La discriminazione vietata dall'art. 14 della Convenzione consiste nel «trattare in modo differente, salvo giustificazione obiettiva e ragionevole, le persone che si trovano in situazioni simili o analoghe». Secondo la giurisprudenza della Corte «una distinzione e' discriminatoria» ai sensi dell'art. 14 se manca di una giustificazione obiettiva e ragionevole, cioe' «se essa non persegua uno scopo legittimo o se c'e' un rapporto di ragionevole proporzionalita' tra i mezzi impiegati e lo scopo che si e' prefissata» (CEDU 1° dicembre 2009). Nel caso di specie la discriminazione che si determina ai sensi dell'art. 11, commi 13 e 14 d.l. n. 78/2010 tra coloro che gia' hanno ottenuto la rivalutazione dell'indennizzo ex legge n. 210/92 e coloro che ancora sono in attesa del riconoscimento e tra questi ultimi e gli altri titolari di indennizzo, in particolar modo i vaccinati e gli affetti da sindrome da talidomide, e' palesemente irragionevole ed illegittima. 3) il d.l. n. 78/2010 art. 11, commi 13 e 14 viola il diritto alla salute sancito dall'art. 32 della Costituzione in quanto la misura dell'indennizzo, ritenuta non rivalutabile per intero nelle sue componenti, non e' equa rispetto al danno subito, da rapportare al pregiudizio alla salute (v. Corte cost. n. 307/1990 e 118/96) tanto piu' che gli aumenti ISTAT dal 1995 ad oggi dell'indennizzo (al netto della voce indennita' integrativa speciale) sono modesti posto che l'indennita' integrativa speciale e' rimasta ferma ad euro 1028,66 nel periodo in questione. Pare in proposito decisivo evidenziare che l'indennizzo ex legge n. 210 del 1992 e' composto da due parti: il cosiddetto «indennizzo in senso stretto», di cui al primo comma dell'art, 2 e la «somma corrispondente all'indennita' integrativa specie», di cui al secondo comma del medesimo articolo. Delle due componenti dell'indennizzo l'amministrazione provvede, di fatto, a rivalutare solamente la prima (che costituisce circa il 5% dell'intero indennizzo). Ne deriva quindi che l'importo non rivalutato costituisce il 95% circa dell'indennizzo totale. La rivalutazione solo di una (minima) quota di indennizzo ha comportato e comporta una progressiva ed ingiustificata perdita di valore delle somme originariamente stabilite a titolo di indennizzo dal soggetto danneggiato irreversibilmente da HIV, epatite post-trasfusionale o da vaccinazione. Esaminando la tabella utilizzata dal Ministero della salute che prevede la rivalutazione del solo «indennizzo in senso stretto di cui alla tab. B» (art. 2 primo comma), mantenendo invece fissa l'ulteriore componente dell'indennizzo, si vede che in 17 anni, dal 1992 al 2009 l'indennizzo mensile e' aumentato di soli 8 euro (dalle originarie euro 542,20 alle attuali euro 550,20). In realta' l'indennizzo originario previsto nel 1992 (Euro 542.20 mensili) ha perso in questi 17 anni circa 150 euro mensili a causa della svalutazione monetaria nel frattempo intervenuta, posto che l'importo originariamente previsto a titolo di «somma corrispondente all'indennita' integrativa speciale», e' rimasto fisso ad & 6.171,96 annuali (corrispondenti ad & 1028,66 bimestrali), perdendo in questi 17 anni & 2.246,55 e di fatto riducendosi a quasi la meta' dell'originario valore (euro 3.924,45) a causa delle perdita del potere d'acquisto. E' dunque evidente che rivalutando l'indennizzo solo in minima parte (meno del 5%) si riduce ingiustamente l'originale importo capitale, erodendo progressivamente l'originario importo fissato dal legislatore a titolo di indennizzo. Per altro, proprio al fine di preservare nel tempo l'originario importo stabilito dal legislatore del 1992, la legge n. 238/97 (ma gia' prima il d.l. n. 548/1996) ha introdotto il meccanismo della rivalutazione annuale dell'indennizzo secondo il TIP tasso di Inflazione annualmente programmato, che e' in realta' inferiore agli indici ISTAT). La rivalutazione dell'indennizzo nella sua globalita' - secondo la voluntas legis - era finalizzata a mantenerne inalterato nel tempo l'originario valore fissato ex lege, trattandosi di un indennizzo vitalizio che assolve imprescindibili finalita' assistenziali a favore di persone gravemente ammalate a causa di trasfusioni di sangue e somministrazione di emoderivati infetti, o vaccinazioni obbligatorie ed ha lo scopo di consentire a costoro di poter far fronte alle cure, visite specialistiche ed altresi' per sostenere i costi per l'assistenza di cui necessitano. L'art. 32 della Costituzione tutela e garantisce il diritto alla salute che, declinato nel caso in esame, impone al legislatore l'osservanza del criterio di equita' ossia ragionevolezza degli indennizzi. L'art. 11, comma 13 del d.l. n. 78/2010 viola la norma costituzionale in quanto cristallizza l'importo dell'indennizzo ai valori del 1992 e ne determina la progressiva erosione a causa della svalutazione monetaria. Di fatto, dunque la norma citata elimina la tutela prevista dall'art. 32 della Costituzione. 4) Per le medesime ragioni l'art. 11, comma 13 del d.1. n. 78/2010 viola anche l'art. 35 della C.E.D.U. «Protezione dalla Salute», che considera la salute «bene primario» a cui garantire «un elevato livello di protezione» «nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e le attivita' dell'Unione». 5) L'art.11, commi 13 e 14 d.l. n. 78/2010 pone inoltre in contrasto con l'art. 117, comma 1 della Costituzione che impone il rispetto da parte del legislatore italiano dei vincoli derivati dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi. internazionali. Come riconosciuto dalla Corte costituzionale con le sentenze n.n. 348 e 349 del 2003 e n. 311 del 2009 il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale (nel caso di' specie gli artt. 2, 14, 35 CEDU), si traduce in una violazione dell'art. 117, comma 1 Costituzione. 6) L'illegittimita' della normativa di' cui alla legge 122/2010 e' altresi' nei confronti della nostra Costituzione, per violazione degli artt. 24, 25, I comma, 102,104 e 111. L'intervenuto decreto-legge poi convertito costituisce una ingerenza del potere legislativo su quello giudiziario. Parrebbe infatti lesa l'indipendenza e l'autonomia della funzione giudiziaria (e conseguente violazione degli artt. 102, 104, 111 della Costituzione), nonche' come venga eluso il principio del giudice naturale precostituito per legge (con violazione dell'art. 25 I comma della Costituzione); infine viene leso il diritto del cittadino ad un giusto processo, diritto tutelato anche dall'art. 6 CEDU e 47 Carta UE e anche dall'art. 111 della Costituzione. Inoltre, nel fare salve le pronunce giurisdizionali passate in giudicato emesse alla data di entrata in vigore della norma, crea una disparita' ingiustificata di trattamento tra coloro che hanno gia' adito l'autorita' giudiziaria percorrendo tutti in gradi di giudizio ottenendo una pronuncia favorevole alla rivalutazione (e dunque nel concreto maggiori emolumenti economici), e coloro che sono sub iudice in questo momento, ovvero non l'hanno ancora adito; o, peggio ancora, che hanno ottenuto sentenze favorevoli tuttavia non passate in giudicato. Sotto quest'ultimo aspetto, poi, la normativa sopra menzionata si pone in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., poi viene sostanzialmente vanificato il diritto del cittadino alla tutela giurisdizionale. In questo caso infatti. lo ius superveniens non soddisfa le richieste degli interessati e si pone in contrasto con l'interpretazione giurisprudenziale ad essi favorevole, stabilendo di fatto l'estinzione dei processi in corso (ovvero la soccombenza negli stessi), e si opera cosi' da parte del legislatore una sostanziale vanificazione della via giurisdizionale, intesa quale mezzo al fine dell'attuazione di un preesistente diritto; e' percio' da ravvisarsi la violazione del diritto di azione, di cui all'art. 24 Cost. (cfr. Corte cost. n. 123/1987; n.103/1995, cit. e Cass. 2 maggio 1996, ord. in G.U. serie sp. 18 dicembre 1996). Sotto altro profilo, il dubbio di costituzionalita' investe la normativa censurata per quanto concerne l'estinzione di fatto dei giudizi pendenti, cui deve conseguire la compensazione delle spese, o peggio, la condanna del ricorrente. Il contrasto si pone non solo con riguardo agli artt. 3 e 24 Cost., ma anche rispetto agli artt. 102 e 113 Cost., poiche' l'estinzione necessariamente automatica di tutti i giudizi pendenti con la compensazione delle spese (ovvero addirittura con la condanna del ricorrente, in quanto ex lege non si e' avuto il riconoscimento del diritto e quindi una soccombenza virtuale del Ministero, ma, al contrario, una negazione dello stesso, con soccombenza virtuale dell'assistito), realizza una illegittima interferenza del potere legislativo nella sfera della giurisdizione, non potendo il Giudice neanche accertare pur sotto il profilo della soccombenza virtuale, se sussistono i presupposti per la relativa declaratoria, tenuto conto che la dichiarazione di estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere e' un fenomeno di carattere sostanziale e non meramente processuale che il giudice deve poter valutare sotto il profilo della soccombenza virtuale. D'altro lato, non potendo il giudice decidere sulle spese in senso favorevole al ricorrente (in quanto soccombente), la legge finisce col sopprimere il diritto dell'interessato, anche per il caso di fondatezza della sua domanda, a vedersi tenuto indenne dal pagamento, al proprio difensore, delle spese processuali sostenute, anche se anticipate dall'avvocato, con la conseguente violazione del principio che le spese non possono gravare sulla parte che ha ragione, (come nel caso delle spese gia' anticipate) e che non ha dato causa al giudizio. Per quanto sopra, non sembra lecito dubitare che la questione di legittimita' sollevata e' rilevante nel presente giudizio, sul quale e' destinata ad operare direttamente.
P.Q.M. Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale della disposizione di cui all'art. 11, commi 13 e 14 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78 convertito con la legge n. 122/2010 per contrasto con gli artt. 3, 32 e 117 Costituzione, oltre agli artt. 24, 25 I comma, 102, 104 e 111 Costituzione, nonche' con gli artt. 35, 2 e 14 della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo; Dispone la sospensione del presente giudizio e la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei ministri nonche' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Parma, 30 ottobre 2010. Il giudice del lavoro: Pascarelli