N. 144 ORDINANZA 18 - 20 aprile 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione  di  numerosi   parametri   costituzionali   -   Carente
  descrizione della fattispecie concreta e carente motivazione  sulla
  rilevanza - Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 10, 11, 13, 24, 25, 27,  80,  87  e  117,
  primo comma; Protocollo addizionale della Convenzione delle Nazioni
  Unite contro la  criminalita'  transnazionale  organizzata  del  15
  novembre 2000, artt. 5 e 16; Convenzione delle  Nazioni  Unite  sui
  diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, art. 7. 
Straniero  -  Soggiorno  illegale  nel  territorio  dello   Stato   -
  Configurazione della fattispecie come  reato  -  Omessa  previsione
  della non punibilita' del fatto commesso per  giustificato  motivo,
  nonche' di garanzie analoghe a quelle accordate allo straniero  che
  presenti domanda di protezione  internazionale  -  Inapplicabilita'
  dell'oblazione - Facolta' del giudice di sostituire,  nel  caso  di
  condanna, la pena pecuniaria comminata per il suddetto reato con la
  misura  dell'espulsione  -  Denunciata   violazione   di   numerosi
  parametri  costituzionali  -  Questione  irrilevante,   in   quanto
  sollevata  da  giudice  palesemente  incompetente  per  materia   -
  Manifesta inammissibilita'. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 10-bis e 16, comma 1. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 25, 27, 30, 32, 97 e  117,  primo  comma;
  Convenzione europea dei  diritti  dell'uomo,  art.  8;  Convenzione
  delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989,
  art. 3. 
Straniero - Reato di ingresso e  soggiorno  illegale  nel  territorio
  dello Stato - Omessa previsione della  non  punibilita'  del  fatto
  commesso  per  giustificato  motivo  -  Sentenza  di  non  luogo  a
  procedere nel caso di  avvenuta  esecuzione  dell'espulsione  o  di
  respingimento dello straniero  alla  frontiera  -  Inapplicabilita'
  dell'oblazione - Denunciata violazione dei principi di uguaglianza,
  di ragionevolezza e della finalita' rieducativa della pena, nonche'
  asserita inosservanza degli obblighi internazionali in  materia  di
  trattamento dei migranti -  Difetto  di  rilevanza  -  Carenza  del
  presupposto di applicabilita' della previsione  censurata  e  delle
  norme  pattizie  evocate   -   Manifesta   inammissibilita'   delle
  questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis. 
- Costituzione,  artt.  3,  27  e  117,   primo   comma;   Protocollo
  addizionale  della  Convenzione  delle  Nazioni  Unite  contro   la
  criminalita' transnazionale organizzata del 15 novembre 2000, artt.
  5, 6 e 16. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione  della  fattispecie  come  reato  -  Facolta'  del
  giudice di sostituire, nel caso di  condanna,  la  pena  pecuniaria
  comminata per il suddetto reato con  la  misura  dell'espulsione  -
  Denunciata   violazione   dei   principi   di   solidarieta',    di
  ragionevolezza,   di   uguaglianza,   di    proporzionalita',    di
  sussidiarieta', di materialita',  di  necessaria  offensivita'  del
  reato e della finalita' rieducativa della pena - Questioni in larga
  parte  analoghe  ad   altre   gia'   dichiarate   non   fondate   e
  manifestamente infondate - Manifesta infondatezza. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 10-bis e 16, comma  1;  d.lgs.
  28 agosto 2000, n. 274, art. 62-bis. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 25 e 27. 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  -  Configurazione  della  fattispecie  come  reato   -   Denunciata
  violazione  del   principio   di   irretroattivita'   della   norma
  incriminatrice  -  Esclusione  -   Manifesta   infondatezza   della
  questione. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis. 
- Costituzione, art. 25, secondo comma. 
(GU n.18 del 27-4-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Ugo DE SIERVO; 
Giudici: Paolo MADDALENA, Alfio FINOCCHIARO, Alfonso QUARANTA, Franco
  GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE,  Giuseppe
  TESAURO,  Paolo  Maria  NAPOLITANO,  Giuseppe   FRIGO,   Alessandro
  CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis  e  16,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione dello straniero), rispettivamente  aggiunto  e
modificato  dall'art.  1  della  legge  15   luglio   2009,   n.   94
(Disposizioni in materia di sicurezza  pubblica),  nonche'  dell'art.
62-bis del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni
sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14
della legge 24 novembre 1999, n. 468),  aggiunto  dall'art.  1  della
medesima legge n. 94 del  2009,  promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Agrigento con ordinanza del 15 dicembre 2009, dal Tribunale di Modena
con ordinanza del 4 novembre 2009, dal Giudice di pace di  Marano  di
Napoli con ordinanza del 20 novembre 2009, dal  Giudice  di  pace  di
Cagliari con ordinanza dell'11 marzo 2010, dal  Giudice  di  pace  di
Chiavenna con ordinanza del 13 aprile 2010, dal Giudice  di  pace  di
Pistoia con 5 ordinanze del 25 febbraio 2010, dal Giudice di pace  di
Valdagno con 4 ordinanze del 23 marzo 2010, rispettivamente  iscritte
ai nn. 136, 140, 168, 187, 207 e da 289 a 297 del registro  ordinanze
2010 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica  nn.  20,
21, 23, 25, 28, 40 e 41, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Udito nella camera di consiglio  del  9  marzo  2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto: 
    che, con ordinanza del 15 dicembre 2009 (r.o. n. 136  del  2010),
il Giudice di pace di Agrigento ha  sollevato,  in  riferimento  agli
artt. 3, 25, 27 e 117 della Costituzione, questione  di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  10-bis  e  16,  comma  1,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), rispettivamente aggiunto e modificato  dall'art.  1
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica), nonche' dell'art. 62-bis del decreto legislativo
28 agosto 2000, n. 274  (Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
giudice di pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468), aggiunto dall'art. 1 della medesima legge  n.  94  del
2009; 
    che il giudice a quo premette di essere  investito  del  processo
penale nei confronti di ventuno cittadini  extracomunitari,  imputati
del reato previsto dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del  1998,  per
avere fatto illegalmente ingresso nel territorio dello Stato; 
    che dall'istruttoria dibattimentale era emerso che gli imputati -
sottoposti a controllo dalle forze di polizia il  16  agosto  2009  -
erano giunti presso l'isola di Lampedusa a bordo  di  un'imbarcazione
da pesca lasciata alla deriva, senza essere muniti di  valido  titolo
per l'ingresso nel territorio nazionale; 
    che, ad avviso del rimettente, il citato art. 10-bis  del  d.lgs.
n. 286 del 1998 - nel punire con l'ammenda da 5.000 a 10.000 euro  lo
straniero che  fa  ingresso  ovvero  si  trattiene  illegalmente  nel
territorio dello  Stato  -  violerebbe  il  principio  di  necessaria
offensivita' del reato, ricavabile dagli artt.  25  e  27  Cost.,  in
forza del quale il ricorso alla sanzione  penale  sarebbe  consentito
solo a tutela di beni giuridici di rilievo costituzionale; 
    che, lungi dal ledere beni di tal fatta, le condotte punite dalla
norma censurata si risolverebbero in una  mera  «disobbedienza»  alla
disciplina regolativa dei flussi  migratori:  «disobbedienza»  che  -
alla luce delle sentenze n. 78 e n. 22 del 2007 di questa Corte - non
potrebbe  essere  ritenuta,  di  per  se',  indice   di   particolare
pericolosita' sociale; 
    che la norma incriminatrice finirebbe, quindi, per reprimere  una
condizione individuale - quella di migrante -  in  contrasto  con  la
fondamentale garanzia in materia penale, in forza della quale si puo'
essere puniti solo per la commissione di fatti materiali; 
    che  sarebbero  violati,   in   pari   tempo,   i   principi   di
ragionevolezza, proporzionalita' e sussidiarieta',  desumibili  dagli
artt. 3, 25 e 27 Cost., in virtu' dei quali il ricorso alla  sanzione
penale dovrebbe costituire l'extrema ratio, ipotizzabile solo  quando
lo  scopo  protettivo  non  possa  essere  raggiunto  tramite   altri
strumenti; 
    che, nella specie, la nuova  incriminazione  sarebbe  chiaramente
finalizzata ad allontanare lo straniero «irregolare»  dal  territorio
dello Stato: cio' desumendosi dalla della sua complessiva  disciplina
sostanziale e processuale, e in particolare dagli artt. 16, comma  1,
del d.lgs. n. 286 del 1998 e 62-bis del d.lgs. n. 274 del  2000,  che
consentono al giudice di sostituire la pena pecuniaria con la  misura
dell'espulsione; 
    che il predetto obiettivo risulta, tuttavia,  gia'  conseguibile,
nei   medesimi   termini,    tramite    l'istituto    dell'espulsione
amministrativa,  al  cui  ambito  applicativo  la  nuova  fattispecie
criminosa si sovrappone, risultando, percio', del tutto inutile; 
    che la  norma  censurata  violerebbe,  ancora,  il  principio  di
eguaglianza (art. 3 Cost.): ai sensi del comma 5 dell'art. 10-bis del
d.lgs. n. 286 del 1998, il giudice deve infatti emettere sentenza  di
non luogo a procedere per il reato in esame allorche'  abbia  notizia
dell'esecuzione dell'espulsione o del  respingimento  differito  alla
frontiera  dello  straniero;  con  la  conseguenza  che  la  medesima
condotta verrebbe  trattata  in  modo  differenziato  a  seconda  che
l'autorita' amministrativa - in base a proprie scelte discrezionali e
alla disponibilita' di mezzi - proceda o  meno  all'espulsione  o  al
respingimento dell'imputato prima della conclusione del giudizio; 
    che l'art. 3 Cost. sarebbe leso anche sotto  l'ulteriore  profilo
della  ingiustificata  disparita'  di   trattamento   rispetto   alla
fattispecie delittuosa di cui all'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n.
286 del 1998, non essendo  prevista  la  non  punibilita'  del  fatto
commesso per «giustificato motivo»; 
    che la norma denunciata violerebbe,  infine,  l'art.  117  Cost.,
ponendosi in contrasto con il Protocollo addizionale alla Convenzione
delle Nazioni Unite contro la criminalita' organizzata transnazionale
per combattere il traffico  illecito  di  migranti,  adottato  il  15
dicembre  2000,  il  quale,  nell'impegnare  ogni  Stato  aderente  a
conferire carattere di reato a una serie  di  condotte  attinenti  al
traffico dei  migranti  (art.  6),  statuisce,  all'art.  5,  che  «i
migranti non diventano assoggettati  all'azione  penale  fondata  sul
presente protocollo per  il  fatto  di  essere  stati  oggetto  delle
condotte di cui all'art. 6»; obbligando, inoltre,  all'art.  16,  gli
Stati contraenti a prendere adeguate misure a tutela dei migranti  la
cui vita o incolumita' e' posta in pericolo dalle predette condotte; 
    che, con ordinanza del 4 novembre 2009 (r.o. n. 140 del 2010), il
Tribunale di Modena, in composizione monocratica,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 25, 27, 30, 32 e 117 Cost., questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, nella parte in cui prevede come  reato  il  soggiorno  illegale
dello straniero nel territorio dello Stato, e dell'art. 16, comma  1,
del medesimo decreto legislativo, nella parte in cui prevede  che  il
giudice, nel pronunciare sentenza di condanna per il reato di cui  al
citato art. 10-bis, possa sostituire la pena pecuniaria con la misura
dell'espulsione per un periodo non inferiore a cinque anni; 
    che il giudice a quo premette di essere chiamato a  celebrare  il
giudizio direttissimo nei  confronti  di  uno  straniero  proveniente
dalla Tunisia, tratto in arresto per il delitto di  cui  all'art.  73
del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia
di  disciplina  degli  stupefacenti  e  delle  sostanze   psicotrope,
prevenzione,  cura   e   riabilitazione   dei   relativi   stati   di
tossicodipendenza),  perche'  trovato   in   possesso   di   sostanza
stupefacente; 
    che al momento dell'arresto, lo straniero era risultato privo  di
permesso di soggiorno o  di  altro  titolo  che  gli  consentisse  di
permanere  nel  territorio   dello   Stato,   sicche'   il   giudizio
direttissimo era stato instaurato anche per i reati connessi  di  cui
agli artt. 10-bis e 6, comma 3, del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  per
essersi  l'imputato  introdotto   e   trattenuto   illegalmente   nel
territorio dello Stato e per  non  aver  ottemperato  all'obbligo  di
esibire i documenti di identificazione e il permesso di soggiorno; 
    che,  ritenendo  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del  d.lgs.
n. 286 del 1998 (oltre che della collegata previsione di cui all'art.
16, comma 1, dello stesso decreto legislativo), il giudice a  quo  ha
disposto la separazione dei processi; 
    che, anche dopo detta separazione,  il  Tribunale  rimettente  si
reputa comunque legittimato a sollevare la questione, essendosi ormai
radicata la propria competenza in  ordine  al  reato  previsto  dalla
norma  censurata  in   virtu'   del   principio   della   perpetuatio
iurisdictionis; 
    che, ad avviso del giudice a quo, l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286
del 1998 va sottoposto a scrutinio di costituzionalita' limitatamente
alla parte in  cui  prevede  come  reato  la  condotta  di  soggiorno
illegale: nel caso oggetto di giudizio, infatti,  l'imputato  risulta
essere entrato in Italia prima dell'entrata in vigore della legge  n.
94 del 2009, con la conseguenza che egli non potrebbe essere chiamato
a rispondere del reato di ingresso illegale, non essendo all'epoca il
fatto penalmente rilevante; 
    che,  cio'  premesso,  il  rimettente  rileva   come   la   norma
denunciata, nel configurare, in parte qua, un reato omissivo  proprio
- integrato dal mancato allontanamento dello straniero dal territorio
dello Stato - non contempli alcun termine, esplicito o implicito, per
l'adempimento del precetto: con la conseguenza  che,  al  momento  di
entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, il reato sarebbe venuto
automaticamente   a   perfezionarsi   per   i   tutti   i   cittadini
extracomunitari irregolarmente presenti in Italia; 
    che  la  disposizione  incriminatrice  verrebbe   a   porsi,   di
conseguenza,     in     contrasto     con     i      principi      di
«tassativita-determinatezza»  della  fattispecie  penale  (art.   25,
secondo comma, Cost.), di non punibilita' della condotta  inesigibile
(art. 27, primo comma, Cost.) e  di  inviolabilita'  del  diritto  di
difesa (art. 24, secondo comma, Cost.): principi a fronte  dei  quali
la previsione di un termine per il compimento dell'azione  prescritta
configurerebbe elemento imprescindibile del reato omissivo proprio; 
    che la medesima disposizione violerebbe, altresi',  il  principio
di eguaglianza  (art.  3  Cost.),  per  irragionevole  disparita'  di
trattamento rispetto alla figura criminosa  descritta  dall'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286  del  1998,  che  attribuisce  rilievo
penale  alla  mancata  ottemperanza  all'ordine   di   allontanamento
impartito dal questore solo dopo la scadenza del  termine  di  cinque
giorni; 
    che il principio di eguaglianza sarebbe leso anche in conseguenza
dell'omessa previsione della non punibilita' del fatto  commesso  per
«giustificato motivo», diversamente da  quanto  avviene  in  rapporto
alla piu' grave fattispecie delittuosa di  cui  al  citato  art.  14,
comma 5-ter,  del  d.lgs.  n.  286  del  1998:  con  una  concorrente
violazione del principio di personalita' della responsabilita' penale
(art. 27, primo comma, Cost.), essendo sottoposto  a  pena  anche  lo
straniero che, trovandosi illegalmente in Italia  prima  dell'entrata
in vigore della novella  legislativa,  non  si  sia  allontanato  dal
territorio dello Stato «perche' impedito  da  gravi  difficolta'  che
rendono il precetto inesigibile»; 
    che sarebbe violato,  ancora,  l'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,
giacche' la comminatoria di una  pena  pecuniaria  nei  confronti  di
soggetti  normalmente  insolvibili,  quali  i  migranti   irregolari,
risulterebbe priva di efficacia deterrente  e,  dunque,  inidonea  ad
esplicare una funzione rieducativa; 
    che risulterebbe, in effetti, evidente come  la  sanzione  penale
venga nella specie impiegata per  una  finalita'  diversa  da  quella
indicata dall'art. 27, terzo comma, Cost., e, cioe',  unicamente  per
allontanare lo straniero «irregolare»  dal  territorio  dello  Stato:
prospettiva nella quale l'incriminazione si rivelerebbe  irrazionale,
sovrapponendosi - senza reali benefici  -  al  preesistente  istituto
dell'espulsione amministrativa, con  conseguente  lesione  anche  del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione  (art.  97
Cost.); 
    che priva di  giustificazione,  e  pertanto  lesiva  dell'art.  3
Cost., risulterebbe anche la sancita  inapplicabilita'  al  reato  in
esame dell'oblazione (art. 10-bis,  comma  1,  secondo  periodo,  del
d.lgs. n. 286 del 1998); 
    che, a propria volta, la  possibilita',  prevista  dall'art.  16,
comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, di sostituire la pena pecuniaria
con la misura dell'espulsione per un periodo non inferiore  a  cinque
anni, sarebbe fonte di una ingiustificata disparita'  di  trattamento
degli autori del reato in esame rispetto agli altri destinatari della
misura (identificati dallo stesso art. 16, comma 1,  negli  stranieri
«irregolari» cui sia inflitta una pena detentiva entro il  limite  di
due anni, sempre che non ricorrano le  condizioni  per  ordinarne  la
sospensione condizionale); 
    che, da ultimo, l'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998  non
prevede, a favore dello straniero che intenda proporre  richiesta  di
ingresso o di permanenza nel territorio dello Stato per gravi  motivi
connessi allo sviluppo psicofisico di un minore (art.  31,  comma  3,
del d.lgs. n. 286 del 1998), garanzie  analoghe  a  quelle  accordate
allo straniero che  presenti  domanda  di  protezione  internazionale
(sospensione del procedimento penale  per  il  reato  in  esame,  con
declaratoria di non luogo a procedere in caso di  accoglimento):  con
la conseguenza che lo straniero irregolarmente  presente  in  Italia,
formulando  la   predetta   richiesta,   verrebbe   in   pratica   ad
autodenunciarsi; 
    che cio' comporterebbe una lesione dei diritti fondamentali dello
straniero (artt. 2 e 3 Cost.) e del diritto alla  salute  del  minore
(art. 30 Cost.), nonche' la violazione dell'art.  117,  primo  comma,
Cost.,  in  riferimento  all'art.  8   della   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
all'art. 3 della Convenzione delle Nazioni Unite del 20 novembre 1989
sui diritti dell'infanzia, ratificata e resa esecutiva con  legge  27
maggio 1991, n. 176; 
    che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  e'  sottoposto  a
scrutinio di costituzionalita', in riferimento agli artt. 2,  3,  10,
11, 24, 25, 27, 80, 87, 97 e 117 Cost., anche dal Giudice di pace  di
Marano di Napoli, con ordinanza del 20 novembre 2009 (r.o. n. 168 del
2010); 
    che, ad avviso del giudice a quo, la norma censurata  violerebbe,
anzitutto, l'art. 2 Cost., in quanto l'incriminazione  avrebbe,  come
destinatari, soggetti indotti a emigrare dalla condizione di poverta'
e che, pertanto, in ottemperanza ai principi  di  solidarieta'  e  di
tutela della persona, dovrebbero trovare nello  Stato  accoglienza  e
assistenza; 
    che sarebbe leso inoltre l'art. 10 Cost., in quanto tra le  norme
del diritto internazionale generalmente riconosciuto, cui lo Stato e'
tenuto  a  conformarsi,  rientrerebbe  anche   l'«accoglienza   dello
straniero perseguitato dallo Stato di origine»; 
    che sarebbero violati, ancora, gli artt. 80, 87 e 117 Cost.,  per
contrasto con le norme internazionali pattizie di cui agli artt. 5  e
16 del Protocollo addizionale alla Convenzione  delle  Nazioni  Unite
contro la criminalita' organizzata transnazionale per  combattere  il
traffico illecito dei migranti, e all'art. 7 della Convenzione  delle
Nazioni Unite del 20 novembre 1989, sui diritti del fanciullo; 
    che la nuova incriminazione si porrebbe in contrasto anche con il
principio di irretroattivita' della norma penale  (art.  25,  secondo
comma,  Cost.),  essendo  applicabile  anche  agli   stranieri   gia'
irregolarmente presenti nel territorio dello Stato prima dell'entrata
in vigore della legge n. 94 del 2009; 
    che a tali soggetti il legislatore avrebbe  dovuto,  in  effetti,
concedere un termine per «la sanatoria delle  situazioni  esistenti»:
il che  e'  avvenuto,  peraltro,  solo  con  riguardo  a  coloro  che
esercitassero l'attivita' di collaboratori  domestici  o  di  badanti
(art.  1-ter  del  decreto-legge  1°  luglio  2009,  n.  78,  recante
«Provvedimenti anticrisi, nonche' proroga  di  termini»,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  3  agosto  2009,  n.   102),   con
conseguente irragionevole disparita' di trattamento  in  danno  degli
stranieri irregolari occupati in imprese agricole o industriali; 
    che  lesive  dell'art.  3  Cost.  sarebbero  anche   la   mancata
previsione della non punibilita' del fatto commesso per «giustificato
motivo», a differenza di quanto stabilito per il piu' grave reato  di
cui all'art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  e  la
negazione all'imputato della possibilita' di accedere  all'oblazione,
nonostante la comminatoria della sola pena pecuniaria; 
    che la norma denunciata si porrebbe in contrasto, inoltre, con il
principio di offensivita' - desumibile, in assunto, dagli  artt.  13,
25, secondo comma, e 27, terzo comma, Cost. - in quanto sottoporrebbe
a pena, non gia'  un  fatto  materiale  lesivo  di  beni  di  rilievo
costituzionale, ma una mera condizione  personale,  quale  quella  di
straniero  «irregolare»,  non  sintomatica,   di   per   se',   della
pericolosita' sociale del soggetto; 
    che la norma censurata violerebbe anche la finalita'  rieducativa
della  pena,  in  quanto  la  pena  pecuniaria,  comminata   per   la
contravvenzione, sarebbe  destinata  a  rimanere  ineseguita  per  la
insolvibilita' del condannato, senza poter essere neppure  convertita
in lavoro sostitutivo o in permanenza domiciliare (art. 55 del d.lgs.
n. 286 del 1998), non  potendo  lo  straniero  «irregolare»  prestare
attivita' lavorativa o risiedere legalmente in Italia; 
    che sarebbe compromesso, per altro verso, il  principio  di  buon
andamento dei pubblici uffici (art. 97 Cost.): il processo penale per
il reato in questione risulterebbe, infatti, del tutto  inutile,  sia
nel caso in cui, nelle more del giudizio, venga eseguita l'espulsione
amministrativa, dovendo allora il giudice pronunciare sentenza di non
luogo a procedere (art. 10-bis, comma 5, del d.lgs. n. 286 del 1998);
sia nel caso in cui, non essendosi in tal modo proceduto, il  giudice
si trovi a dover disporre la sostituzione della pena  pecuniaria  con
la misura dell'espulsione (art. 62-bis del d.lgs. n. 274  del  2000),
con   conseguente   superflua    duplicazione    del    provvedimento
amministrativo; 
    che la nuova incriminazione lederebbe, da ultimo, il  diritto  di
difesa (art. 24 Cost.), sotto un duplice profilo: da un lato, perche'
lo straniero, gia' irregolarmente presente in  Italia  alla  data  di
entrata in vigore della novella legislativa, avrebbe  dovuto  recarsi
alla frontiera per lasciare il Paese, compiendo, cosi',  un  atto  di
autodenuncia, in contrasto con il principio nemo tenetur se detegere;
dall'altro  lato,  perche'  il  processo  penale  per  il  reato   in
questione, nel caso di avvenuta espulsione  amministrativa,  verrebbe
celebrato nella contumacia dell'imputato, pur non  essendo  l'assenza
di quest'ultimo dovuta a volontaria rinuncia a comparire; 
    che anche il Giudice di pace di Cagliari, con  ordinanza  dell'11
marzo  2010  (r.o.  n.  187  del  2010),  dubita  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  in
riferimento agli artt. 3, 25 e 27 Cost.; 
    che il giudice a quo riferisce di essere investito  del  processo
penale nei confronti di un cittadino  extracomunitario  imputato  del
reato previsto dalla censurata, in quanto,  a  seguito  di  controllo
effettuato dai  Carabinieri,  era  risultato  privo  di  permesso  di
soggiorno; 
    che, secondo  il  rimettente,  la  norma  censurata  risulterebbe
incompatibile con l'art. 3 Cost. sotto due profili: in  primo  luogo,
perche' le «irregolarita'» relative al permesso  di  soggiorno  erano
gia' in precedenza sanzionate con l'espulsione  amministrativa  (art.
13 del d.lgs. n. 286 del 1998), onde il ricorso allo strumento penale
per il medesimo fine risulterebbe affatto inutile; in secondo  luogo,
per la ingiustificata negazione all'imputato  della  possibilita'  di
estinguere il reato tramite l'oblazione, nonostante  la  comminatoria
della sola ammenda; 
    che sarebbe leso,  altresi',  il  principio  di  irretroattivita'
della norma incriminatrice (art. 25, secondo comma, Cost.), in  forza
del quale nessuno puo' essere punito se non in  forza  di  una  legge
entrata in vigore prima del fatto commesso; nel caso  di  specie,  in
effetti, il fatto e' stato accertato il 23 ottobre 2009  (e,  dunque,
dopo l'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009), ma non  sarebbe
possibile stabilire la data della sua commissione; 
    che verrebbe violato,  infine,  l'art.  27  Cost.:  da  un  lato,
perche' l'ingresso o la  permanenza  illegale  nel  territorio  dello
Stato non sarebbero, di  per  se',  sintomatici  della  pericolosita'
sociale dello straniero; dall'altro, perche' la norma  censurata  non
terrebbe conto dell'eventualita' che il trattenimento sia determinato
da un «giustificato motivo»; 
    che  una  ulteriore  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998  e'  sollevata,  in
riferimento agli artt. 3 e 27, terzo comma,  Cost.,  dal  Giudice  di
pace di Chiavenna con ordinanza del 13 aprile 2010 (r.o. n.  207  del
2010); 
    che, ad avviso del giudice a quo, la norma denunciata si porrebbe
in contrasto con i principi di eguaglianza e di ragionevolezza  (art.
3 Cost.), nella parte in cui non attribuisce rilievo a  «giustificati
motivi» che potrebbero  «scriminare»  la  condotta,  diversamente  da
quanto e' previsto per la similare fattispecie punita  dall'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che detta disposizione violerebbe,  altresi',  l'art.  27,  terzo
comma, Cost., nella parte in cui prevede  che  la  pena  dell'ammenda
venga sostituita con una misura piu' afflittiva,  quale  l'espulsione
per una durata non inferiore a  cinque  anni:  prefigurando,  in  tal
modo, un trattamento penale non  ispirato  a  principi  di  umanita',
tenuto conto della situazione di estremo  disagio  in  cui  versa  il
migrante irregolare; 
    che l'art. 10-bis del d.lgs. n. 286  del  1998  e'  sottoposto  a
scrutinio di costituzionalita', in riferimento agli artt. 2, 3, primo
comma, e 25, secondo comma, Cost.,  anche  dal  Giudice  di  pace  di
Pistoia, con cinque  ordinanze,  di  analogo  tenore,  emesse  il  25
febbraio 2010 (r.o. da n. 289 a n. 293 del 2010); 
    che il rimettente premette che gli imputati nei giudizi a  quibus
sono chiamati a rispondere del reato previsto dalla norma  censurata,
per essersi trattenuti nel territorio dello Stato senza alcun  titolo
di soggiorno: condotta che risulterebbe, in  fatto,  «documentalmente
provata», donde la rilevanza della questione; 
    che, secondo il giudice a quo, la  nuova  incriminazione  sarebbe
lesiva del  principio  di  ragionevolezza  (art.  3  Cost.),  essendo
preordinata  ad  un  obiettivo  -  l'allontanamento  dello  straniero
«clandestino» dal territorio dello Stato - gia' conseguibile  tramite
il procedimento di espulsione amministrativa; 
    che la norma incriminatrice violerebbe, altresi', i  principi  di
eguaglianza (art. 3 Cost.) e di  materialita'  del  reato  (art.  25,
secondo comma,  Cost.),  sottoponendo  a  pena  una  mera  condizione
personale e sociale, tipica dei migranti economici e non  sintomatica
di pericolosita' sociale - qual e' quella dello  straniero  privo  di
permesso di soggiorno o di altro  analogo  titolo  -  anziche'  fatti
lesivi di beni meritevoli di tutela; 
    che   verrebbe   leso,   infine,   l'art.   2   Cost.,   giacche'
l'indiscriminata previsione dell'illiceita' penale dell'«immigrazione
clandestina»  provocherebbe  un  mutamento   dell'atteggiamento   dei
cittadini in  senso  contrario  al  principio  di  solidarieta',  nei
confronti di soggetti che versano in condizioni svantaggiate; 
    che il Giudice di pace di Valdagno,  con  quattro  ordinanze,  di
analogo tenore, emesse il 23 marzo 2010 (r.o. da n. 294 a n. 297  del
2010), dubita, del pari, della legittimita' costituzionale  dell'art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione agli artt. 2, 3,  10,
13  e  27   Cost.,   «nonche'   [ai]   principi   costituzionali   di
ragionevolezza della legge penale e di offensivita'»; 
    che, a parere del rimettente, la norma  censurata  violerebbe  il
principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), non  attribuendo  rilievo  a
eventuali situazioni legittimanti la  presenza  dello  straniero  nel
territorio dello Stato, quali quelle evocate  dalla  clausola  «senza
giustificato motivo» in rapporto al reato di inosservanza dell'ordine
di allontanamento del questore (art. 14, comma 5-ter, del  d.lgs.  n.
286 del 1998); 
    che sarebbe leso anche il principio  di  ragionevolezza  (art.  3
Cost.), sia perche' la nuova figura criminosa risulterebbe  priva  di
ogni fondamento giustificativo,  essendo  la  sua  sfera  applicativa
destinata  a  sovrapporsi  integralmente  a  quella   dell'espulsione
amministrativa; sia perche' l'ammenda da 5.000  a  10.000  euro,  per
essa  comminata,  risulterebbe  sproporzionata  rispetto  a  soggetti
spinti nel nostro Paese dalla volonta' di sfuggire  a  condizioni  di
assoluta indigenza; 
    che sarebbero compromessi, altresi', i principi di offensivita' e
di colpevolezza, giacche' l'ingresso e la permanenza  illegale  dello
straniero nel territorio dello Stato non costituirebbero fatti lesivi
di beni meritevoli  di  tutela  penale  e  «rimproverabili»  al  loro
autore, ma l'espressione di una  condizione  personale  -  quella  di
migrante - frutto, nella generalita' dei casi, «della disperazione  e
della ricerca di migliori condizioni di vita, che ogni  essere  umano
ha diritto di raggiungere»; 
    che  sarebbe  ravvisabile  anche  una  lesione  della   finalita'
rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.) e del  principio
di buon andamento dei  pubblici  uffici  (art.  97  Cost.),  giacche'
l'introduzione  della  nuova  fattispecie  criminosa  graverebbe   il
sistema giudiziario di un abnorme numero di processi «privi di  reale
utilita' sociale», senza che, peraltro, sussista  alcuna  prospettiva
di riscossione delle pene  pecuniarie  inflitte  in  esito  ad  essi,
stante la condizione di  insolvibilita'  dei  condannati;  pene  che,
dunque, non sarebbero in grado di esplicare una funzione rieducativa; 
    che verrebbe violato anche il  «principio  di  sussidiarieta'»  -
ricavabile, in tesi, dall'art. 13, primo comma, Cost. - in quanto  la
pena  non  sarebbe  proporzionata  alla  gravita'  del   fatto,   ne'
risulterebbe necessaria, quale extrema ratio; 
    che apparirebbe vulnerato, ancora, il principio  di  solidarieta'
sociale, espresso dagli artt. 2 e 3, primo e  secondo  comma,  Cost.,
giacche'   l'introduzione   della   nuova   fattispecie   di    reato
determinerebbe un atteggiamento di rifiuto da  parte  della  societa'
nei confronti degli immigrati: soggetti che, piu' degli  altri,  sono
invece bisognosi di solidarieta'; 
    che  sarebbe  leso,  infine,  l'art.  10   Cost.,   giacche'   la
configurazione come reato del soggiorno  irregolare  dello  straniero
nel territorio dello Stato si porrebbe in contrasto  con  i  principi
del diritto internazionale generalmente riconosciuto  in  materia  di
immigrazione e con il «diritto di libera circolazione e di  soggiorno
dei  cittadini  comunitari»,  sancito  dall'art.  18   del   Trattato
istitutivo della Comunita' europea. 
    Considerato: 
    che le ordinanze di rimessione sollevano  questioni  identiche  o
analoghe, onde i relativi giudizi vanno riuniti per  essere  definiti
con unica decisione; 
    che tutti i giudici rimettenti dubitano, in  rapporto  a  plurimi
parametri costituzionali, della legittimita' costituzionale dell'art.
10-bis  del  d.lgs.  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero); mentre alcuni di essi estendono le
loro censure alle collegate previsioni dell'art.  16,  comma  1,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 e dell'art. 62-bis del d.lgs. 28 agosto  2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di parte,  a
norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468); 
    che le ordinanze di rimessione dei Giudice di pace di  Marano  di
Napoli, di Chiavenna e di Valdagno presentano  carenze  in  punto  di
descrizione  della  fattispecie  concreta  e  di  motivazione   sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle  questioni
con esse sollevate; 
    che, quanto alla descrizione della vicenda concreta, i giudici  a
quibus  si  limitano,  infatti,  a  riportare,  nell'epigrafe   delle
ordinanze di rimessione, il capo di imputazione: il quale si risolve,
peraltro, nella sostanza, in una generica parafrasi del dettato della
norma incriminatrice; 
    che i medesimi giudici rimettenti affermano, al tempo stesso,  la
rilevanza delle questioni in termini puramente assiomatici; 
    che mancano, per converso,  adeguate  indicazioni  sulle  vicende
oggetto dei giudizi a quibus e sulla loro effettiva  riconducibilita'
al paradigma punitivo considerato,  atte  a  permettere  la  verifica
dell'asserita rilevanza delle questioni, sia nel loro  complesso  che
in rapporto alle singole censure prospettate; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili, conformemente a quanto gia' reiteratamente  deciso  da
questa Corte in situazioni analoghe (ex plurimis, ordinanze n. 65, n.
64, n. 32 e n. 13 del 2011, n. 253 del 2010); 
    che manifestamente inammissibile va dichiarata anche la questione
sollevata dal Tribunale di Modena,  non  potendo  il  giudice  a  quo
conoscere della fattispecie criminosa prevista dalla norma censurata,
in quanto  palesemente  incompetente  per  materia,  con  conseguente
irrilevanza  della  questione  stessa  (in  rapporto   a   situazioni
similari, ordinanze n. 318 e n. 252 del 2010); 
    che, a norma dell'art. 4, comma 2, lettera s-bis), del d.lgs.  n.
274 del 2000, la fattispecie contravvenzionale oggetto di censura e',
infatti, di competenza del giudice di pace; 
    che,  nel  ritenersi  comunque  abilitato  a  pronunciare   sulla
contravvenzione  in  questione  in  base  ai  principi  in  tema   di
competenza per connessione - e cio' anche dopo l'avvenuta separazione
del processo relativo  a  detta  contravvenzione,  stante  l'asserita
operatiti del  principio  della  «perpetuatio  iurisdictionis»  -  il
Tribunale rimettente omette di considerare, da un  lato,  che  fra  i
procedimenti di competenza del giudice di pace e  i  procedimenti  di
competenza di altro giudice la connessione opera  solo  nel  caso  di
reati commessi con una sola azione od  omissione  (concorso  formale:
art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000), ipotesi non ravvisabile
nella  specie,  stante  la  natura  degli  altri   reati   contestati
all'imputato (detenzione illecita di sostanze stupefacenti  e  omessa
esibizione  di  documenti  di  identificazione  o  del  permesso   di
soggiorno); dall'altro  lato,  che  -  con  disposizione  derogatoria
rispetto all'ordinaria disciplina della cosiddetta  incompetenza  per
eccesso (art. 23, comma 2, del codice di procedura penale)  -  l'art.
48 del d.lgs. n. 274 del 2000 stabilisce che, «in ogni stato e  grado
del processo, se il giudice ritiene  che  il  reato  appartiene  alla
competenza del giudice di pace, lo dichiara con sentenza e ordina  la
trasmissione degli atti al pubblico ministero»; 
    che, per quanto attiene alle questioni sollevate  dalle  restanti
ordinanze  di  rimessione  -  le  quali  forniscono  una  descrizione
sufficiente delle vicende che hanno dato origine alle  imputazioni  -
risulta  comunque  manifestamente  inammissibile,  per   difetto   di
rilevanza, la censura inerente  alla  mancata  previsione  della  non
punibilita' del fatto commesso per «giustificato  motivo»,  formulata
dai Giudici di pace di  Agrigento  e  di  Cagliari,  in  riferimento,
rispettivamente, agli artt. 3 e 27 Cost.; 
    che nelle ordinanze di rimessione non viene, infatti, prospettata
- neppure con riguardo a mere allegazioni difensive - la  sussistenza
di alcuna circostanza che, nei casi di specie, possa assumere rilievo
quale «giustificato motivo» di inosservanza del  precetto  (ordinanze
n. 84 e n. 64 del 2011, n. 318 del 2010); 
    che  analoga  considerazione  vale  in  rapporto  alla   censura,
formulata in riferimento all'art. 3 Cost.  dal  Giudice  di  pace  di
Agrigento, afferente al previsto obbligo del giudice  di  pronunciare
sentenza di non luogo a procedere nel  caso  di  avvenuta  esecuzione
dell'espulsione o di respingimento dello straniero alla frontiera; 
    che  dall'ordinanza  di  rimessione  non  consta,  infatti,   che
l'imputato nel giudizio a quo  sia  stato  effettivamente  espulso  o
respinto, con conseguente carenza del presupposto  di  applicabilita'
della previsione normativa  censurata  (sentenza  n.  250  del  2010;
ordinanze n. 84 e n. 64 del 2011); 
    che,  del  pari,  manifestamente  inammissibile  per  difetto  di
rilevanza e' la questione inerente  alla  preclusione  dell'oblazione
per la contravvenzione in esame, sollevata in  relazione  all'art.  3
Cost. dal Giudice di pace di  Cagliari,  giacche'  dall'ordinanza  di
rimessione non risulta  che  l'imputato  nel  giudizio  a  quo  abbia
concretamente presentato domanda di oblazione (ordinanza n.  321  del
2010); 
    che altrettanto deve dirsi, ancora, per la censura di  violazione
dell'art. 117 Cost., formulata dal Giudice di  pace  di  Agrigento  a
fronte dell'asserito contrasto dell'incriminazione censurata con  gli
artt. 5 e  16  del  Protocollo  addizionale  alla  Convenzione  delle
Nazioni Unite contro la criminalita' transnazionale per combattere il
traffico  illecito  di  migranti,  adottato  il  15  dicembre   2000,
ratificato e reso esecutivo con legge 16 marzo 2006, n. 146; 
    che - a prescindere da ogni rilievo  in  ordine  alla  fondatezza
della doglianza - e' dirimente,  infatti,  la  constatazione  che  il
rimettente non ha dedotto che, nella fattispecie concreta  sottoposta
al suo vaglio, ricorra il presupposto di applicabilita'  delle  norme
pattizie evocate: vale a dire, che gli imputati nel  giudizio  a  quo
siano stati oggetto delle condotte di traffico di migranti  descritte
dall'art. 6 del citato Protocollo (ordinanze n. 84, n. 64 e n. 32 del
2011); 
    che, per il resto, questa Corte ha gia' scrutinato  questioni  di
legittimita' costituzionale in larga parte  analoghe  a  quelle  oggi
sollevate, giudicandole infondate  (sentenza  n.  250  del  2010)  e,
quindi, manifestamente infondate; 
    che, quanto all'asserita lesione dei principi di  materialita'  e
di necessaria offensivita' del reato - denunciata dal Giudice di pace
di Agrigento in riferimento agli artt. 25 e 27 Cost. e, limitatamente
al principio di materialita', dal Giudice  di  pace  di  Pistoia,  in
riferimento all'art. 25, secondo comma, Cost. - questa Corte ha  gia'
avuto di rilevare che oggetto  dell'incriminazione  di  cui  all'art.
10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998 non e' affatto «un modo di  essere»
della  persona,  quanto  piuttosto   uno   specifico   comportamento,
trasgressivo di norme vigenti, quale quello descritto dalle locuzioni
alternative  «fare  ingresso»  e  «trattenersi»  contra   legem   nel
territorio dello Stato (sentenza n. 250 del 2010; ordinanze n.  84  e
n. 64 del 2011, n. 321 del 2010); 
    che, al tempo stesso, il bene protetto dalla norma incriminatrice
e' agevolmente identificabile nell'interesse dello Stato al controllo
e alla gestione del flussi migratori, secondo un determinato  assetto
normativo: interesse la cui assunzione ad oggetto  di  tutela  penale
non puo' considerarsi irrazionale e arbitraria, trattandosi  di  bene
giuridico strumentale, attraverso il quale il  legislatore  protegge,
mediatamente, un complesso di interessi pubblici che  possono  essere
compromessi da fenomeni di immigrazione  incontrollata  (sentenza  n.
250 del 2010, ordinanze n. 84 e n. 64 del 2011); 
    che per quel che concerne le censure di violazione degli artt.  3
e 27 Cost., prospettate, rispettivamente,  dai  Giudici  di  pace  di
Pistoia e di Cagliari sul rilievo  che  l'ingresso  o  la  permanenza
illegale nel territorio  dello  Stato  non  sarebbero,  di  per  se',
sintomatici della pericolosita' sociale dello straniero, questa Corte
ha gia' rilevato come la contravvenzione di cui all'art.  10-bis  del
d.lgs. n. 286  del  1998  prescinda  «da  una  accertata  o  presunta
pericolosita' dei soggetti responsabili», limitandosi a reprimere, al
pari della generalita' delle norme incriminatrici, la commissione  di
un fatto antigiuridico, offensivo di un interesse reputato meritevole
di   tutela:   violazione   riscontrabile   indipendentemente   dalla
personalita' dell'autore (sentenza n. 250 del 2010); 
    che  questa  Corte  ha  ritenuto  insussistente,   altresi',   la
violazione del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.), denunciata
dai Giudici di pace di Agrigento, di  Cagliari  e  di  Pistoia  sulla
scorta   della   considerazione   che   la    norma    incriminatrice
perseguirebbe,  nel  suo  complesso,  un  obiettivo   -   quello   di
allontanare lo straniero illegalmente presente nel  territorio  dello
Stato  -  gia'  realizzabile   con   la   procedura   di   espulsione
amministrativa, avente il medesimo ambito applicativo; 
    che  la  sovrapposizione  della  disciplina   penale   a   quella
amministrativa e la circostanza che il legislatore abbia mostrato  di
«considerare l'applicazione  della  sanzione  penale  come  un  esito
"subordinato" rispetto alla materiale  estromissione  dal  territorio
nazionale dello straniero» non comportano  ancora,  infatti,  che  il
procedimento penale per il reato in esame rappresenti, a  priori,  un
mero «duplicato» della procedura  amministrativa  di  espulsione:  «e
cio', a tacer d'altro, per la ragione che - come l'esperienza attesta
- in un largo numero di  casi  non  e'  possibile,  per  la  pubblica
amministrazione,  dare   corso   all'esecuzione   dei   provvedimenti
espulsivi» (sentenza n. 250 del 2010; ordinanze n. 84, n. 64 e n.  32
del 2011, n. 321 del 2010); 
    che le medesime considerazioni valgono  anche  in  rapporto  alla
concomitante censura del Giudice di pace di Agrigento, di violazione,
sotto il  medesimo  profilo,  dei  principi  di  «proporzionalita'  e
sussidiarieta'», ricavabili,  in  assunto,  «da  una  interpretazione
sistematica degli artt. 3, 25 e 27 della Costituzione»; 
    che per quanto attiene, ancora, alla lesione  dell'art.  2  Cost.
prospettata dal Giudice di pace di Pistoia, vale il rilievo che - per
costante giurisprudenza di questa Corte - in materia di immigrazione,
«le ragioni della solidarieta' umana non possono essere affermate  al
di fuori di un corretto bilanciamento dei valori in  gioco»,  rimesso
alla discrezionalita' del legislatore; in particolare, dette  ragioni
«non sono di per se'  in  contrasto  con  le  regole  in  materia  di
immigrazione previste in funzione di un ordinato flusso migratorio  e
di un'adeguata accoglienza degli stranieri»: e cio' nella cornice  di
un «quadro normativo [...] che vede regolati in modo diverso -  anche
a livello costituzionale (art. 10, terzo comma, Cost.) - l'ingresso e
la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si  tratti  di
richiedenti il diritto di asilo o rifugiati, ovvero di c.d. "migranti
economici"» (sentenza n. 250 del 2010; ordinanze n. 84, n. 64 e n. 32
del 2011); 
    che  le  ragioni  della  solidarieta'   trovano   d'altro   canto
espressione - oltre che nella disciplina dei divieti di espulsione  e
di    respingimento    e    del    ricongiungimento    familiare    -
nell'applicabilita', allo straniero irregolare, della  normativa  sul
soccorso al rifugiato e  la  protezione  internazionale,  di  cui  al
d.lgs.  19  novembre  2007,  n.  251  (Attuazione   della   direttiva
2004/83/CE recante norme minime  sull'attribuzione,  a  cittadini  di
Paesi terzi o apolidi, della qualifica  di  rifugiato  o  di  persona
altrimenti bisogna di protezione internazionale, nonche' norme minime
sul contenuto della  protezione  riconosciuta),  fatta  espressamente
salva dal comma 6 dello stesso art. 10-bis del d.lgs. 286  del  1998,
che prevede la sospensione del procedimento penale per  il  reato  in
esame  nel  caso  di  presentazione   della   relativa   domanda   e,
nell'ipotesi di suo accoglimento, la pronuncia di una sentenza di non
luogo a procedere (sentenza n. 250 del 2010; ordinanze n. 64 e n.  32
del 2011); 
    che, pertanto, tutte tali censure vanno dichiarate manifestamente
infondate; 
    che  manifestamente  infondata  e',  infine,  anche   l'ulteriore
censura di violazione del principio di irretroattivita'  della  norma
incriminatrice (art. 25, secondo comma, Cost.), formulata dal Giudice
di pace di Cagliari: da un lato, infatti, la previsione  punitiva  in
esame si applica - conformemente alle regole generali - ai soli fatti
di ingresso e di trattenimento successivi alla sua entrata in vigore;
dall'altro,  l'impossibilita'  di  stabilire,  nel  caso  oggetto  di
giudizio - secondo quanto riferisce il  rimettente  -  se  l'imputato
abbia fatto ingresso in Italia prima o dopo tale data e' un  problema
di carattere probatorio, risolubile con l'applicazione del canone  in
dubio pro reo: salva, peraltro,  la  verifica  della  responsabilita'
penale dello straniero per il trattenimento nel territorio  nazionale
anche nel periodo posteriore all'introduzione della nuova  previsione
punitiva. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Riuniti i giudizi; 
    1) Dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e  16,  comma  1,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero),  sollevate,  in  riferimento  agli
artt. 2, 3, 10, 11, 13, 24, 25, 27, 30, 32, 80, 87, 97  e  117  della
Costituzione, dal Tribunale di Modena e dai Giudici di pace di Marano
di Napoli, di Chiavenna e di Valdagno, con le ordinanze  indicate  in
epigrafe; 
    2) Dichiara la  manifesta  inammissibilita'  delle  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del
1998, sollevate, in riferimento agli artt.  3  (quanto  alla  mancata
previsione della non punibilita' del fatto commesso per «giustificato
motivo», al non luogo a procedere  per  avvenuta  espulsione  e  alla
preclusione dell'oblazione), 27 (quanto alla mancata previsione della
non punibilita' del fatto commesso per  giustificato  motivo)  e  117
della Costituzione, dai Giudici di pace di Agrigento e  di  Cagliari,
con le ordinanze indicate in epigrafe; 
    3)  Dichiara  la  manifesta  infondatezza  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e  16,  comma  1,  del
d.lgs. n. 286 del 1998 e dell'art. 62-bis del decreto legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3  (quanto  ai  residui
profili), 25 e 27 della Costituzione (quanto ai residui profili), dai
Giudici di pace di Agrigento, di Cagliari e di Pistoia. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2011. 
 
                        Il Presidente: Siervo 
 
 
                         Il redattore: Frigo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 20 aprile 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti