N. 161 ORDINANZA 20 aprile - 6 maggio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della  fattispecie  come  reato  -  Espulsione,  a
  titolo di sanzione sostitutiva  o  alternativa  alla  detenzione  -
  Applicabilita' da parte del giudice di pace - Denunciata violazione
  del principio di ragionevolezza  e  di  uguaglianza  sotto  plurimi
  profili - Lamentata lesione del diritto di difesa e  del  principio
  della finalita' rieducativa della pena, nonche'  contrasto  con  il
  principio  di  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  -
  Difetto di descrizione della fattispecie concreta e di  motivazione
  sulla rilevanza - Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, artt. 10-bis (aggiunto dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94), e 16, comma
  1 (come modificato dall'art. 1, comma 16, lett. b), della legge  15
  luglio 2009, n. 94); d.lgs. 28 agosto 2000,  n.  274,  art.  62-bis
  (aggiunto dall'art. 1, comma 17, lett. d), della  legge  15  luglio
  2009, n. 94). 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24, 25, 27 e 97. 
(GU n.20 del 11-5-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Paolo MADDALENA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,
  Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
  GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis  e  16,
comma 1, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico
delle disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e
norme sulla condizione  dello  straniero),  e  dell'art.  62-bis  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promossi  dal  Giudice  di  pace  di
Imola con una ordinanza del 25 marzo 2010 e con quattro ordinanze del
22 aprile 2010, dal Giudice di pace di Alessano con quattro ordinanze
del 21 settembre 2010, rispettivamente iscritte ai nn. da 313 a 317 e
da 392 a 395 del registro ordinanze 2010 e pubblicate nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica nn. 42 e 52, 1ª serie speciale,  dell'anno
2010. 
    Udito nella camera di consiglio del  6  aprile  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che il Giudice di pace di Imola,  con  cinque  ordinanze
identiche nella parte motiva, emesse, rispettivamente, la prima il 25
marzo del 2010 e le altre il successivo  22  aprile,  nell'ambito  di
distinti procedimenti penali, ha sollevato questione di  legittimita'
costituzionale  degli  artt.  10-bis  e  16,  comma  1,  del  decreto
legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo  unico  delle  disposizioni
concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla  condizione
dello straniero), e  dell'art.  62-bis  del  decreto  legislativo  28
agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice
di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24  novembre  1999,  n.
468), per violazione degli artt. 3, 24, 27 e 97 della Costituzione; 
    che il rimettente  in  tutte  le  ordinanze  premette  di  essere
investito di processi penali  nei  confronti  di  stranieri  imputati
della contravvenzione prevista dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998, per essersi trattenuti illegalmente nel territorio dello Stato,
e ritiene rilevanti le questioni, «in quanto la sanzione da comminare
all'imputato in ipotesi di riconoscimento di  penale  responsabilita'
dovrebbe essere determinata in applicazione delle disposizioni  della
cui legittimita' costituzionale si dubita»; 
    che il  rimettente,  in  punto  di  non  manifesta  infondatezza,
ritiene che la norma incriminatrice di cui  al  citato  art.  10-bis,
introdotta dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge  15  luglio
2009, n. 94 (Disposizioni in materia di  sicurezza  pubblica),  nella
parte in cui  reprime  il  soggiorno  illegale,  in  precedenza  mero
illecito amministrativo, contrasti con l'art. 3 Cost.  sotto  plurimi
profili; 
    che la norma  censurata  violerebbe  anzitutto  il  principio  di
ragionevolezza    in    quanto    punisce    l'anzidetta     condotta
indipendentemente della data di ingresso in Italia,  senza  prevedere
un «termine di allontanamento» per lo  straniero  gia'  presente  nel
territorio nazionale prima  dell'entrata  in  vigore  della  novella:
colpendo, in  tale  modo,  una  «posizione  soggettiva»  di  per  se'
«inoffensiva» e conseguente a  condotte  pregresse,  non  costituenti
reato all'epoca in cui sono state realizzate; 
    che,  inoltre,  la  nuova  norma  incriminatrice   lederebbe   il
principio  di  eguaglianza,  accomunando  nel  medesimo   trattamento
sanzionatorio fattispecie dissimili, quali quelle dello straniero che
soggiorni  illegalmente  dopo  essersi  introdotto   nel   territorio
nazionale con  la  consapevolezza  di  compiere  un  atto  penalmente
illecito,  e  di  colui  il  quale,  trovandosi   in   Italia   prima
dell'entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, non poteva  invece
avere analoga consapevolezza; 
    che sarebbero cosi' equiparate in modo irrazionale  due  distinte
condotte, la prima illegale e  la  seconda  divenuta  tale  solo  per
effetto dell'«automatismo applicativo  della  norma»,  la  quale  non
contempla termini e modalita' per rimuovere la  nuova  situazione  di
illegalita' tramite l'allontanamento volontario; 
    che, secondo il rimettente, il principio di  eguaglianza  sarebbe
violato anche sotto il profilo  della  ingiustificata  disparita'  di
trattamento rispetto  alle  condotte  analoghe,  ma  piu'  gravi,  di
inosservanza dell'ordine di allontanamento  impartito  dal  questore,
previste dall'art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286  del  1998,  le
quali, anche dopo le modifiche apportate dalla legge n. 94 del  2009,
restano punibili solo in assenza di un «giustificato motivo»,  limite
non contemplato dalla norma censurata, 
    che  una  ulteriore  disparita'  di  trattamento  di   situazioni
omogenee deriverebbe, poi,  dalla  «disciplina  derogatoria»  di  cui
all'art. 1-ter del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti
anticrisi, nonche' proroga di termini e della partecipazione italiana
a missioni internazionali), aggiunto dalla  legge  di  conversione  3
agosto 2009, n. 102, il quale prevede una  procedura  di  «emersione»
limitata ai  soli  lavoratori  irregolari  adibiti  ad  attivita'  di
assistenza   e   sostegno   delle   famiglie   con   la   sospensione
dell'eventuale procedimento penale per soggiorno illegale; 
    che, ad avviso del Giudice di pace di Imola, la  discrezionalita'
del  legislatore  nella  disciplina  dell'immigrazione  non  potrebbe
spingersi fino al punto di introdurre discriminazioni  fra  categorie
di migranti sulla  base  della  sola  attivita'  svolta,  inidonea  a
giustificare trattamenti differenziati alla luce della  natura  degli
interessi tutelati dall'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998; 
    che la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche con  l'art.
24, secondo comma, Cost., per  lesione  del  diritto  di  difesa,  in
quanto lo straniero presente  irregolarmente  in  Italia  al  momento
dell'entrata in vigore della norma - ossia  «alle  00,00  del  giorno
08.08.2009» - avrebbe ricevuto «un ordine di  allontanamento»,  senza
indicazioni su come eseguirlo legalmente e, pertanto,  essendo  molto
spesso privo di documenti, di mezzi finanziari e  della  possibilita'
«di rivolgersi ad un vettore irregolare per far ritorno  in  patria»,
non avrebbe altra via, per conformarsi al precetto legale, che quella
di fare ingresso clandestino in altri  Stati,  in  contrasto  con  il
principio nemo tenetur se detegere; 
    che la contravvenzione in esame  violerebbe  anche  la  finalita'
rieducativa della pena di cui all'art. 27,  terzo  comma,  Cost.,  in
quanto la pena dell'ammenda, una volta accertata la  commissione  del
reato,  deve  essere  automaticamente  sostituita   con   la   misura
dell'espulsione; 
    che, dunque, il reato non  sarebbe  volto  a  procurare,  tramite
l'applicazione di una pena, la resipiscenza  o  la  risocializzazione
del reo, ma unicamente ad  allontanare  quest'ultimo  dal  territorio
nazionale, con improprio ricorso al «magistero penale» per conseguire
un risultato di tipo «eminentemente amministrativo»; 
    che il rimettente ritiene che gli artt. 62-bis del d.lgs. n.  274
del 2000 e 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 - rispettivamente,
il primo aggiunto e il secondo modificato dalla legge n. 94 del  2009
- violino il principio di buon andamento dei  pubblici  uffici  (art.
97, primo comma, Cost.). 
    che, infatti, in forza delle citate disposizioni, il  giudice  di
pace  deve  sostituire   la   pena   dell'ammenda   con   la   misura
dell'espulsione  quando  non  sussistano   le   situazioni   ostative
all'immediato accompagnamento dello straniero alla frontiera a  mezzo
della forza pubblica, indicate dall'art. 14, comma 1, del  d.lgs.  n.
286 del 1998 (necessita' di accertamenti supplementari in ordine alla
identita'  o  alla  nazionalita'  dello  straniero,  acquisizione  di
documenti per il viaggio, indisponibilita'  di  vettore  o  di  altro
mezzo idoneo): situazioni la cui sussistenza o meno andrebbe, dunque,
necessariamente verificata prima di emettere qualsiasi pronuncia  nel
processo per detto reato; 
    che  il  sistema   cosi'   congegnato   risulterebbe,   tuttavia,
«inficiato da una sorta  di  corto  circuito»,  in  ragione  del  suo
intreccio con i meccanismi sanzionatori amministrativi; 
    che,  infatti,  una  volta  accertata  l'illegale  presenza   del
soggetto nel territorio dello Stato,  si  aprono  contestualmente  ed
automaticamente  due  procedimenti  aventi  lo  stesso   scopo:   uno
amministrativo e l'altro penale, il secondo, peraltro, subordinato al
primo, dovendosi concludere  con  la  declaratoria  di  non  luogo  a
procedere ove il procedimento amministrativo - maggiormente celere  -
abbia concluso il suo «iter naturale»; 
    che, secondo il rimettente, la duplicazione in sede penale  della
procedura di espulsione esistente in via amministrativa violerebbe il
principio di buon andamento della  pubblica  amministrazione  di  cui
all'art. 97 Cost., incidendo negativamente sulla durata dei  processi
con un inutile incremento di costi; 
    che il  Giudice  di  pace  di  Alessano  con  quattro  ordinanze,
identiche nella parte motiva  emesse  tutte  il  21  settembre  2010,
nell'ambito di distinti procedimenti penali, ha  sollevato  questione
di  legittimita'  costituzionale   dell'art.   10-bis   del   decreto
legislativo n. 286 del 1998, aggiunto dall'art. 1, comma 16,  lettera
a), della legge n. 94 del 2009, per violazione degli artt. 2, 3 e  25
della Costituzione; 
    che il giudice  a  quo  premette  di  dover  giudicare  cittadini
stranieri imputati della contravvenzione  prevista  dall'art.  10-bis
del d.lgs. n. 286 del 1998, di  ingresso  o  soggiorno  illegale  nel
territorio dello Stato; 
    che, a parere del  rimettente,  la  nuova  fattispecie  di  reato
sarebbe in contrasto, innanzitutto, con l'art. 3 della Cost. sotto il
profilo dell'irragionevolezza della  scelta  di  far  discendere  una
sanzione di tipo penale dalla condotta  di  chi  si  introduce  o  si
intrattiene clandestinamente nel territorio nazionale; 
    che, infatti, la discrezionalita' del legislatore cui compete  un
generale  potere  «di  regolare  la  materia  dell'immigrazione,   in
correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai
gravi problemi connessi ai flussi migratori incontrollati»  (sentenza
n. 5  del  2004),  «trova  limiti  insuperabili  nell'osservanza  dei
principi fondamentali del sistema penale stabiliti dalla Costituzione
e nell'adozione di soluzioni orientate a canoni di  ragionevolezza  e
di razionalita' finalistica»; 
    che la finalita' perseguita dal legislatore con la norma in esame
sarebbe  da  ricercare   esclusivamente   nell'allontanamento   dello
straniero irregolare, finalita' del tutto irragionevole nella vigenza
di una normativa quale quella relativa all'espulsione di cui all'art.
13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del  1998,  idonea  a  raggiungere  il
medesimo scopo; 
    che, pertanto,  essendo  l'ambito  di  applicazione  della  nuova
figura  contravvenzionale  identico  a  quello   della   preesistente
normativa sull'espulsione, per esser identici i soggetti  destinatari
e la ratio sottesa ad entrambe le norme, l'adozione  dello  strumento
penale sarebbe del tutto privo di qualsivoglia giustificazione; 
    che l'irragionevolezza della nuova fattispecie penale emergerebbe
anche sotto il profilo sanzionatorio considerato nel  suo  complesso,
comprensivo, quindi, non solo della  pena  dell'ammenda  da  5.000  a
10.000 euro ma anche del divieto di applicazione del beneficio  della
sospensione condizionale della pena  e  della  facolta'  concessa  al
giudice di pace di sostituire la pena  pecuniaria  con  una  sanzione
piu' grave, quale quella dell'espulsione dallo Stato per  un  periodo
non inferiore a cinque anni (unico caso di  misura  sostitutiva  piu'
grave della sanzione principale sostituita); 
    che l'art. 3 Cost. risulterebbe violato sotto un altro  specifico
profilo, concernente la irragionevole disparita' di  trattamento  tra
la nuova fattispecie e quella di cui all'art. 14, comma 5-ter, d.lgs.
n.  286  del  1998,  che  prevede  la  punibilita'  dello   straniero
inottemperante all'ordine di allontanamento del questore solo  quando
lo stesso si trattenga nel territorio dello Stato  oltre  il  termine
stabilito e «senza giustificato motivo»; 
    che, a parere del  rimettente,  l'assenza  delle  due  condizioni
sopraindicate fa si' che  sia  sufficiente  il  venir  meno,  per  un
qualche motivo, del permesso di soggiorno perche' sia  immediatamente
e automaticamente integrata una ipotesi  di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita', per l'interessato, di addurre una  qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare; 
    che, in tal senso, il Giudice di pace  di  Alessano  richiama  le
motivazioni della sentenza di questa Corte  n.  5  del  2004  che  ha
ritenuto non  costituzionalmente  illegittimo  l'art.  14,  comma  5,
d.lgs.   n.   286   del   1998,   in   virtu'    dell'interpretazione
costituzionalmente  orientata  della  clausola  «senza   giustificato
motivo»,  considerata,  al   pari   di   altre   simili   rinvenibili
nell'ordinamento,  una  «valvola   di   sicurezza»   del   meccanismo
repressivo atta ad evitare «che la sanzione penale scatti allorche' -
anche al  di  fuori  della  presenza  di  vere  e  proprie  cause  di
giustificazione -  l'osservanza  del  precetto  appaia  concretamente
inesigibile» per i piu' svariati motivi riconducibili  «a  situazioni
ostative  di  particolare  pregnanza  che   incidano   sulla   stessa
possibilita', soggettiva od oggettiva, di adempiere  all'intimazione,
escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa»; 
    che il nuovo art. 10-bis del d.lgs.  n.  286  del  1998  sarebbe,
secondo il rimettente, in contrasto con l'art. 3  Cost.  nonche'  con
l'art. 25, secondo comma, Cost., avuto riguardo  alla  configurazione
di  una  fattispecie  penale  discriminatoria,  perche'  fondata   su
particolari condizioni personali  e  sociali,  anziche'  su  fatti  e
comportamenti riconducibili alla volonta' del soggetto attivo; 
    che  la  nuova  fattispecie  incriminatrice  sanzionerebbe   solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento), in realta' in se' e per se' del tutto neutra
agli effetti penalistici, mentre il vero oggetto della incriminazione
sarebbe la mera condizione personale dello straniero, costituita  dal
mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo  all'ingresso  e  alla
successiva permanenza nel territorio dello Stato,  condizione  tipica
del migrante economico e priva di una qualche significativita'  sotto
il profilo della pericolosita' sociale; 
    che,  pertanto,  la  criminalizzazione  del  migrante   economico
sarebbe in contrasto sia con  il  principio  di  uguaglianza  sancito
dall'art.  3  Cost.  che  vieta  ogni  discriminazione   fondata   su
condizioni personali e sociali,  sia  con  la  fondamentale  garanzia
costituzionale secondo cui si  puo'  essere  puniti  solo  per  fatti
materiali (art. 25, secondo comma, Cost.); 
    che il rimettente cita la sentenza di  questa  Corte  n.  78  del
2007,  in  tema  di  applicabilita'  delle  misure  alternative  alla
detenzione agli stranieri clandestini, nella parte in cui si e' detto
che «il mancato possesso di un titolo abilitativo alla permanenza nel
territorio dello Stato» costituisce «una condizione soggettiva» «che,
di per se' non e' univocamente sintomatica [...] di  una  particolare
pericolosita'  sociale»  dal  che   consegue   «l'impossibilita'   di
individuare nella esigenza di rispetto delle  regole  in  materia  di
ingresso e soggiorno in detto territorio una  ragione  giustificativa
della radicale discriminazione dello straniero sul piano dell'accesso
al percorso rieducativo, cui la concessione delle misure  alternative
e' funzionale»  perche',  sanzionando  penalmente  la  clandestinita'
dello straniero, essa collega a tale condizione un implicito,  quanto
ingiustificato e irrazionale, giudizio di pericolosita'  sociale  che
e' di per se' incompatibile «con  il  perseguimento  di  un  percorso
riabilitativo attraverso qualsiasi misura alternativa»; 
    che la nuova fattispecie sarebbe, infine, in contrasto con l'art.
2 Cost., che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo e
richiede  l'adempimento  dei  doveri  inderogabili  di   solidarieta'
politica, economica e sociale; 
    che il rimettente richiama la sentenza di  questa  Corte  con  la
quale si e' dichiarata l'illegittimita' costituzionale del  reato  di
mendicita' di cui all'art. 670 cod. pen.  perche'  non  e'  possibile
ritenere necessitato il ricorso alla regola penale per sanzionare  la
mera mendicita'  non  invasiva  che,  risolvendosi  in  una  semplice
richiesta di aiuto, non puo' dirsi porre  seriamente  in  pericolo  i
beni giuridici della tranquillita' pubblica  e  dell'ordine  pubblico
(sentenza n. 519 del 1995); 
    che tale motivazione sarebbe applicabile anche ai nuovi poveri di
oggi, vale a dire agli  stranieri  migranti,  in  quanto  lo  spirito
solidaristico di cui e' impregnata la Carta  costituzionale  dovrebbe
impedire l'adozione di misure puramente repressive per  risolvere  il
problema dell'immigrazione  e  lo  straniero  migrante  non  dovrebbe
essere  considerato  pericoloso  per  l'ordine  e  la   tranquillita'
pubblica e colpevole per il solo fatto di esistere. 
    Considerato che le ordinanze di  rimessione  sollevano  questioni
identiche o analoghe, onde  i  relativi  giudizi  vanno  riuniti  per
essere definiti con unica decisione; 
    che i  giudici  a  quibus  dubitano,  in  riferimento  a  plurimi
parametri, della legittimita'  costituzionale  dell'art.  10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000  a
10.000 euro, salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave  reato,  lo
straniero che fa ingresso o si trattiene illegalmente nel  territorio
dello Stato; 
    che il Giudice di pace di Imola estende le sue censure anche agli
artt. 16, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 e all'art.  62-bis  del
d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla  competenza  penale
del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre
1999, n. 468), in riferimento all'art. 97 Cost.; 
    che tutte le ordinanze di rimessione presentano carenze in  punto
di descrizione della fattispecie  concreta  e  di  motivazione  sulla
rilevanza,  tali  da  precludere  lo  scrutinio  nel   merito   delle
questioni; 
    che i  rimettenti,  in  tutte  le  ordinanze  di  rimessione,  si
limitano a riportare un generico capo d'imputazione senza esporre  in
modo esaustivo la vicenda concreta oggetto del giudizio; 
    che,  in  mancanza  di  riferimenti  specifici  alla  fattispecie
concreta che ha dato origine all'imputazione, resta inibita a  questa
Corte la necessaria verifica circa  l'influenza  della  questione  di
legittimita' sulla decisione richiesta al rimettente; 
    che  le  questioni  vanno  dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    riuniti i giudizi, 
    dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale degli artt. 10-bis e  16,  comma  1,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), e  dell'art.  62-bis  del  decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli  artt.  2,  3,
24, 25, 27 e 97 della Costituzione, dal Giudice di pace  di  Imola  e
dal Giudice  di  pace  di  Alessano  con  le  ordinanze  indicate  in
epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2011. 
 
                      Il Presidente: Maddalena 
 
 
                      Il redattore: Napolitano 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 6 maggio 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti