N. 182 SENTENZA 7 - 10 giugno 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica -  Norme  della  Regione  Toscana  -
  Riduzione dei costi di funzionamento della Regione in  applicazione
  della disciplina  statale  di  contenimento  della  spesa  per  gli
  apparati amministrativi - Determinazione,  ad  opera  della  Giunta
  regionale,   dell'ammontare   complessivo   della   riduzione,    e
  possibilita' di modulare le  percentuali  di  risparmio  in  misura
  diversa rispetto a quanto  disposto  dalla  normativa  nazionale  -
  Ricorso del Governo - Lamentato contrasto con la disciplina statale
  di principio in materia di "coordinamento della finanza pubblica" -
  Erroneo  presupposto  interpretativo   -   Non   fondatezza   della
  questione. 
- Legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65, art. 1,  comma
  1. 
- Costituzione, art. 117, terzo comma; d.l. 31  maggio  2010,  n.  78
  (convertito, con modificazioni, dalla  legge  30  luglio  2010,  n.
  122), art. 6. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Sanita'  pubblica  -  Norme  della
  Regione Toscana - Misure di contenimento della spesa delle  aziende
  e degli enti del servizio sanitario regionale - Determinazione  del
  tetto di spesa per il personale delle  aziende  e  degli  enti  del
  servizio sanitario regionale per l'anno 2011 con  riferimento  alla
  spesa dell'anno 2006, anziche' con riferimento alla spesa dell'anno
  2004 come previsto dalla normativa  nazionale  -  Violazione  della
  disciplina statale di principio in materia di "coordinamento  della
  finanza pubblica" - Illegittimita' costituzionale. 
- Legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65, art. 12, comma
  2, lett. b). 
- Costituzione, art. 117, terzo comma; legge  23  dicembre  2009,  n.
  191, art. 2, comma 71. 
Bilancio e contabilita' pubblica -  Norme  della  Regione  Toscana  -
  Ricorso del Governo - Istanza di sospensione  dell'efficacia  della
  norme impugnate -  Assorbimento  della  richiesta  per  intervenuta
  pronuncia nel merito. 
- Legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65, artt. 1, comma
  1, e 12, comma 2, lett. b). 
- Costituzione, art. 117, terzo comma ; d.l. 31 maggio  2010,  n.  78
  (convertito, con modificazioni, dalla  legge  30  luglio  2010,  n.
  122), art. 6; legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, comma 71. 
(GU n.26 del 15-6-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Paolo MADDALENA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,
  Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
  GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, e
12, comma 2,  lettera  b),  della  legge  della  Regione  Toscana  29
dicembre 2010, n. 65 (Legge finanziaria per  l'anno  2011),  promosso
dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il
24 febbraio - 3 marzo 2011, depositato in  cancelleria  il  1°  marzo
2011 ed iscritto al n. 11 del registro ricorsi 2011. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  10  maggio  2011  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi; 
    Uditi l'avvocato dello Stato Federico Basilica per il  Presidente
del Consiglio dei ministri e l'avvocato Lucia  Bora  per  la  Regione
Toscana. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ricorso notificato il 24 febbraio 2011 e  depositato  il
successivo 1° marzo (reg. ric. n. 11 del  2011),  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale  dello  Stato,  ha  proposto   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, e dell'art. 12, comma 2, lettera
b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65  (Legge
finanziaria per l'anno 2011), in relazione all'art. 117, terzo comma,
della Costituzione. 
    L'art. 1, comma 1,  della  legge  impugnata  stabilisce  che  «in
applicazione  della  disposizione   di   cui   all'articolo   6   del
decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure  urgenti  in  materia  di
stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica) convertito
in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 30
luglio 2010, n. 122, la Giunta  regionale,  sulla  base  delle  spese
risultanti dal rendiconto per l'anno 2009, determina con proprio atto
l'ammontare  complessivo  della  riduzione  delle  proprie  spese  di
funzionamento indicate dal  citato  articolo  6.  Tale  ammontare  e'
assicurato dalla Giunta  regionale  anche  mediante  una  modulazione
delle percentuali di risparmio in misura diversa  rispetto  a  quanto
disposto dall'articolo 6 del decreto-legge n. 78/2010». 
    A propria volta, l'art. 6 del decreto-legge n. 78  del  2010,  al
quale la disposizione impugnata si riferisce, prevede  la  «riduzione
dei costi degli apparati amministrativi», operando su  numerose  voci
di  spesa  della  pubblica  amministrazione,  anche  per   mezzo   di
decurtazioni indicate in percentuale. 
    A  parere  del  ricorrente,  la   disposizione   impugnata,   nel
consentire alla  Giunta  regionale  di  modificare  tali  percentuali
«definite e puntuali», si pone in contrasto con la normativa  statale
interposta, espressiva di un principio di coordinamento della finanza
pubblica, e viola, di conseguenza, l'art. 117, terzo comma, Cost. 
    La seconda disposizione impugnata,  ossia  l'art.  12,  comma  2,
lettera b), della legge in questione, stabilisce che per l'anno  2011
gli enti e le aziende  del  servizio  sanitario  regionale  procedono
«all'adozione di misure  per  il  contenimento  della  spesa  per  il
personale idonee a garantire  che  la  spesa  stessa  non  superi  il
corrispondente  ammontare  dell'anno  2006,  comprensivo  dei   costi
contrattuali  di  competenza  2006,  anche  se  erogati  negli   anni
successivi, diminuito dell'1,4 per cento. A  tal  fine  si  considera
anche la spesa per il personale con rapporto  di  lavoro  a  termine.
Dalla spesa 2006 sono esclusi gli oneri  per  arretrati  relativi  ad
anni precedenti, a  seguito  del  rinnovo  dei  contratti  collettivi
nazionali di lavoro, e dalla  spesa  2011  gli  oneri  derivanti  dai
rinnovi contrattuali intervenuti successivamente al 2006». 
    Il ricorrente Ritiene tale previsione in contrasto con l'art.  2,
comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  Legge
finanziaria 2010), secondo cui l'anno di riferimento, ai  fini  della
determinazione del livello di spesa, e' il 2004,  anziche'  il  2006:
anche in questo caso il  legislatore  regionale  avrebbe  violato  un
principio di coordinamento della finanza pubblica. 
    Il pregiudizio che le norme censurate avrebbero prodotto a carico
delle «finanze pubbliche» giustificherebbe, secondo l'Avvocatura,  la
sospensione della legge impugnata, ai sensi dell'art. 35 della  legge
11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione  e  sul  funzionamento
della Corte costituzionale). 
    2. - Si e' costituita in giudizio la Regione  Toscana,  chiedendo
che le questioni siano dichiarate non fondate. 
    La Regione Osserva che con l'art. 1,  comma  1,  impugnato  viene
rispettato l'«ammontare complessivo delle  riduzioni  disposte  dalla
norma statale» (art. 6 del decreto-legge  n.  78  del  2010),  ma  si
riserva alla Giunta il potere di ripartire  i  tagli  apportati  alle
specifiche voci di spesa, anche secondo percentuali di volta in volta
diverse rispetto a quelle indicate dalla norma interposta. 
    Difatti, prosegue la Regione, la disposizione statale evocata dal
ricorrente non potrebbe in nessun caso  ritenersi  espressiva  di  un
principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica,  tale
da imporsi all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere  che  le
percentuali ivi indicate siano rigide e immodificabili da  parte  del
legislatore regionale. Si tratterebbe, infatti,  di  un'incisione  su
minute e dettagliate  voci  di  spesa,  tale  da  ledere  l'autonomia
finanziaria  della  Regione,  secondo  quanto  avrebbe  ripetutamente
affermato la stessa giurisprudenza costituzionale. 
    Questo rilievo troverebbe conferma nello stesso art. 6, comma 20,
del decreto-legge n. 78 del 2010, secondo cui  «le  disposizioni  del
presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni,  alle
province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali  costituiscono  disposizioni   di   principio   ai   fini   del
coordinamento della finanza pubblica». 
    Quanto,  poi,  all'art.  12,  comma  2,   lettera   b),   l'altra
disposizione impugnata, la Regione  Toscana  Ritiene  che  anche  con
riguardo alla  spesa  per  il  personale  del  settore  sanitario  il
legislatore statale non possa imporre in modo rigido un tetto  a  una
singola voce  del  bilancio,  dovendosi  limitare  a  prescrivere  il
perseguimento dell'«equilibrio economico-finanziario» complessivo. 
    Cio' troverebbe avallo nell'art. 2, comma 73, della legge n.  191
del 2009, secondo cui, in  sede  di  verifica  dell'Osservanza  degli
adempimenti  cui  e'  vincolata  per  il  contenimento  della   spesa
sanitaria, la Regione e' considerata adempiente, ove, pur in caso  di
mancato raggiungimento  degli  specifici  obiettivi,  abbia  comunque
assicurato il predetto equilibrio. In tale contesto, la  disposizione
impugnata, relativa al 2011, avrebbe ben potuto assumere come anno di
riferimento per la determinazione della spesa il  2006,  anziche'  il
2004, confermando in tal modo una scelta gia'  compiuta  dalla  legge
regionale 1 agosto 2006, n. 42  (Misure  di  razionalizzazione  della
spesa delle aziende ed enti del servizio  sanitario  regionale),  con
riferimento al triennio 2007-2009. Rispetto a quest'ultimo  triennio,
infatti,  la  riduzione  della  spesa  e'  stata  aumentata   dall'1%
all'1,4%, assicurando in  tal  modo,  secondo  la  difesa  regionale,
l'equilibrio economico complessivo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha proposto questioni di
legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma  1,  e  dell'art.  12,
comma 2, lettera b), della legge della Regione  Toscana  29  dicembre
2010, n.  65  (Legge  finanziaria  per  l'anno  2011),  in  relazione
all'art. 117, terzo comma, della Costituzione. 
    Il ricorrente Ritiene che tali disposizioni ledano la  competenza
dello Stato a dettare i principi fondamentali della materia a riparto
concorrente "coordinamento  della  finanza  pubblica",  ponendosi  in
contrasto con due norme  specificamente  adottate  nell'esercizio  di
essa. 
    In particolare, l'art. 1, comma 1,  nel  consentire  alla  Giunta
regionale di  determinare  l'ammontare  complessivo  della  riduzione
delle proprie spese di funzionamento, rispetto al  livello  raggiunto
nel 2009, contrasterebbe con l'art. 6  del  decreto-legge  31  maggio
2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria
e  di   competitivita'   economica),   convertito   in   legge,   con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 30 luglio  2010,  n.
122. Questo articolo, al fine di  ridurre  il  costo  degli  apparati
amministrativi,  ha  prescritto  un   taglio,   secondo   percentuali
prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni
statali,  stabilendo  altresi',  al  comma   20,   che   le   singole
disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel  corpo  dello
stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento  della  finanza
pubblica  per  Regioni,  Province  autonome  ed  enti  del   Servizio
sanitario nazionale. 
    La norma regionale censurata, pur nel dichiarato intento di  dare
attuazione all'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, consentirebbe
alla Giunta una «modulazione delle percentuali di risparmio in misura
diversa» rispetto a quella rigidamente determinata dalla disposizione
statale, con cio', a parere dell'Avvocatura, contravvenendovi. 
    Il ricorrente  muove,  infatti,  dal  presupposto  interpretativo
secondo cui l'art. 6 pretende di trovare applicazione  integrale  nei
confronti delle Regioni,  le  quali  sarebbero  percio'  obbligate  a
operare una contrazione di singole e minute voci  di  spesa,  proprio
nella misura prescritta per le amministrazioni dello Stato. 
    In particolare, con  riguardo  alle  sole  spese  concernenti  il
funzionamento della Giunta (le uniche ad  essere  disciplinate  dalla
norma impugnata, tra le molte previste dall'art. 6 del  decreto-legge
n. 78 del 2010), si sarebbe trattato di ridurre del 10%, rispetto  al
2010, indennita', compensi, gettoni, retribuzioni ed  altre  utilita'
corrisposte ai componenti di organi (art. 6, comma 3);  di  contenere
entro il 20% del tetto raggiunto nel 2009 sia le spese per  studi  ed
incarichi di consulenza (art. 6, comma 7), sia le spese per relazioni
pubbliche, convegni, mostre, pubblicita' e  rappresentanza  (art.  6,
comma 8); di rinunciare integralmente alle spese per sponsorizzazioni
(art. 6, comma 9); di ridurre al  50%  del  2009  le  spese  sia  per
missioni (art. 6, comma 12), sia per la  formazione  (art.  6,  comma
13); di restringere all'80% del 2009 le spese per la  gestione  delle
autovetture, compresi i buoni taxi (art. 6, comma 14). 
    Secondo la Regione, invece,  la  disposizione  in  questione  non
potrebbe  in  nessun  caso  ritenersi  espressiva  di  un   principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, tale da imporsi
all'autonomia regionale, ove si dovesse intendere che le  percentuali
ivi indicate siano rigide e immodificabili da parte  del  legislatore
regionale. Si tratterebbe,  infatti,  di  un'incisione  su  minute  e
dettagliate voci di spesa, tale  da  ledere  l'autonomia  finanziaria
della Regione, secondo  quanto  avrebbe  ripetutamente  affermato  la
stessa giurisprudenza costituzionale. 
    E'solo nel suo insieme che l'art. 6 del decreto-legge n.  78  del
2010 potrebbe eventualmente considerarsi espressione di un  principio
fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, e sotto  questo
aspetto nessuna violazione sarebbe configurabile dal momento che  «la
Regione Toscana ha previsto di  attenersi  all'ammontare  complessivo
delle riduzioni disposte dalla norma  statale,  con  la  facolta'  di
ripartire la riduzione complessiva in autonomia,  e  dunque  in  modo
anche diverso da quanto disposto a livello nazionale». 
    1.2. - La questione non e' fondata. 
    Secondo  la  costante  giurisprudenza   di   questa   Corte,   il
legislatore  statale,  con  una  "disciplina  di   principio",   puo'
legittimamente  «imporre  agli  enti   autonomi,   per   ragioni   di
coordinamento   finanziario   connesse   ad   obiettivi    nazionali,
condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle  politiche
di bilancio,  anche  se  questi  si  traducono,  inevitabilmente,  in
limitazioni indirette all'autonomia di spesa degli enti» (sentenza n.
36 del 2004; si veda anche la  sentenza  n.  417  del  2005).  Questi
vincoli, perche' possano considerarsi rispettosi dell'autonomia delle
Regioni  e  degli  enti  locali,  devono  riguardare  «l'entita'  del
disavanzo di parte corrente oppure - ma solo "in via  transitoria  ed
in vista degli specifici  obiettivi  di  riequilibrio  della  finanza
pubblica perseguiti dal legislatore  statale"  -  la  crescita  della
spesa corrente». In altri termini, la legge  statale  puo'  stabilire
solo un «limite  complessivo,  che  lascia  agli  enti  stessi  ampia
liberta'  di  allocazione  delle  risorse  fra  i  diversi  ambiti  e
obiettivi di spesa» (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36  del  2004;  si
vedano anche le sentenze n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005). 
    Poste tali premesse, e' da aggiungere che interventi analoghi per
i contenuti a quelli operati dalle diverse disposizioni  dell'art.  6
del decreto-legge n. 78 del 2010, disposti negli anni  trascorsi  dal
legislatore statale, non sono stati in grado di superare il vaglio di
legittimita'    costituzionale,    data    l'indebita    compressione
dell'autonomia  finanziaria  delle  Regioni  che  con   essi   veniva
realizzata. In particolare, sono state  ritenute  illegittime,  nella
parte in cui pretendevano di imporsi  al  sistema  regionale,  rigide
misure  concernenti  la  spesa  per   studi,   consulenze,   missioni
all'estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni  (sentenza
n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n.  449  del
2005); i  compensi  e  il  numero  massimo  degli  amministratori  di
societa' partecipate dalla Regione (sentenza n.  159  del  2008);  le
spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009). 
    A fronte  di  tale  consolidato  indirizzo  della  giurisprudenza
costituzionale, il legislatore  statale,  con  l'art.  6  citato,  ha
mostrato di saper superare la tecnica normativa in origine  adottata,
ai fini del  contenimento  della  spesa  pubblica,  preferendo  agire
direttamente sulla spesa  delle  proprie  amministrazioni  con  norme
puntuali,  delle  quali  si  e'  invece  dichiarata  l'efficacia  nei
confronti   delle   Regioni   esclusivamente   quali   principi    di
coordinamento della finanza pubblica,  escludendone  l'applicabilita'
diretta (sentenza n. 289 del 2008). 
    Va  da  se'  che  tale  operazione  puo'  rispettare  il  riparto
concorrente della potesta' legislativa in tema di coordinamento della
finanza pubblica, solo a condizione di  permettere  l'estrapolazione,
dalle singole disposizioni statali, di  principi  rispettosi  di  uno
spazio  aperto  all'esercizio  dell'autonomia  regionale.   In   caso
contrario, la disposizione statale  non  potra'  essere  ritenuta  di
principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che  ne  sia  l'eventuale
autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237
del 2009). 
    E'da ritenere che il comma 20 del  citato  art.  6  abbia  inteso
operare in tal senso, con la  previsione  che  «le  disposizioni  del
presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni,  alle
province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i
quali  costituiscono  disposizioni   di   principio   ai   fini   del
coordinamento della finanza pubblica». Percio' la premessa su cui  si
fonda integralmente la censura dello Stato avverso l'art. 1, comma 1,
della legge impugnata e' palesemente  erronea,  poiche'  tradisce  il
senso dell'evocata norma interposta. 
    L'art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, diversamente da quanto
postulato dall'Avvocatura  dello  Stato,  non  intende  imporre  alle
Regioni l'Osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli  precetti
di cui si compone e puo' considerarsi  espressione  di  un  principio
fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto  a
specifiche  voci  di  spesa,  limiti  puntuali   che   si   applicano
integralmente allo Stato, mentre vincolano le  Regioni,  le  Province
autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite
complessivo di spesa. 
    Questa conclusione si fonda sulla possibilita' di effettuare  una
duplice operazione logico-giuridica: in primo luogo, l'art. 6  citato
consente un processo di induzione che, partendo da  un  apprezzamento
non  atomistico,  ma  globale,  dei  precetti   in   gioco,   conduce
all'isolamento di un principio comune;  in  secondo  luogo,  siffatto
principio e' idoneo al compito inverso di dedurre da  esso,  in  modo
consequenziale, ma adeguato  a  preservare  la  discrezionalita'  del
legislatore regionale, una diversificata normativa di  dettaglio.  Il
comma 20 dell'art. 6, infatti,  autorizza  le  Regioni,  le  Province
autonome e gli enti del Servizio sanitario  nazionale,  anzitutto,  a
determinare, sulla base di una  valutazione  globale  dei  limiti  di
spesa puntuali  dettati  dall'art.  6,  l'ammontare  complessivo  dei
risparmi da conseguire e, quindi, a modulare in  modo  discrezionale,
tenendo fermo quel vincolo, le percentuali di riduzione delle singole
voci di spesa contemplate nell'art. 6. 
    Pertanto, il rigetto della censura discende dal  rilievo  per  il
quale la norma impugnata non e' contraria a quella interposta assunta
nel significato  che  correttamente  la  Regione  le  ha  attribuito:
l'erroneita' del presupposto interpretativo posto a base del  ricorso
determina l'infondatezza della questione. 
    2. - L'art. 12,  comma  2,  lettera  b),  della  legge  impugnata
dispone che, per l'anno 2011, enti ed aziende del servizio  sanitario
regionale limitino le spese per il personale all'ammontare  sostenuto
nel 2006, ridotto dell'1,4%. 
    Lo Stato reputa tale disposizione  in  contrasto  con  l'art.  2,
comma 71, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni  per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  Legge
finanziaria 2010),  secondo  cui  tali  spese  non  possono,  per  il
triennio 2010-2012, eccedere il livello raggiunto nel 2004, diminuito
anche in tal caso dell'1,4%: posto che tale ultima norma esprimerebbe
un principio di coordinamento della finanza pubblica, la disposizione
regionale censurata sarebbe illegittima. 
    2.1. - La questione e' fondata. 
    Anzitutto, va messo in chiaro che la norma regionale  oggetto  di
impugnazione permette un incremento  della  spesa  per  il  personale
sanitario per l'anno 2011, rispetto  al  livello  massimo  prescritto
dalla norma statale interposta. 
    Il legislatore toscano,  infatti,  ha  preso  in  considerazione,
quale base di riferimento per contenere la spesa in questione, l'anno
2006, anziche' l'anno 2004, indicato dall'art.  2,  comma  71,  della
legge n. 191 del 2009. Sennonche' tale ultima disposizione  si  salda
senza soluzione di continuita' con l'art. 1, comma 565,  della  legge
27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato  -  Legge  finanziaria  2007),  che
aveva  previsto  analoga  misura  per  il  triennio  2007-2009,   con
l'effetto che la spesa per il personale sanitario dal  2007  al  2012
deve  ritenersi  agganciata,  salvo  espresse  deroghe   legislative,
all'ammontare raggiunto nel 2004,  diminuito  dell'1,4%.  E'  percio'
chiaro che,  riferendosi  invece  al  2006,  ovvero  all'ultimo  anno
durante il quale si e' permessa un'ulteriore lievitazione dei  costi,
la legge impugnata consente alla Regione  una  spesa  inevitabilmente
superiore, e come tale si pone  in  contrasto  con  quanto  stabilito
dalla norma interposta. 
    Del tutto privo di rilevanza, sul punto, e' l'argomento impiegato
dalla difesa  regionale,  secondo  cui  la  norma  censurata  avrebbe
comunque ridotto la capacita' di  spesa  della  Regione,  rispetto  a
quanto in precedenza operato da talune delibere  di  Giunta,  con  le
quali si era imposta la mera riduzione dell'1% rispetto  alle  uscite
del 2006, anziche'  quella  dell'1,4%.  E'  ovvio,  infatti,  che  la
vigenza nel passato  di  un  criterio  amministrativo,  anch'esso  in
palese conflitto con la legislazione statale, non ne legittima in se'
la trasposizione in legge per gli anni a venire, ne' diviene punto di
raffronto per valutare la conformita' a Costituzione di tale legge. 
    Cio' acclarato, si tratta  di  interrogarsi  sulla  natura  della
disposizione interposta: questa Corte le ha gia' attribuito carattere
di principio con la sentenza n. 333 del 2010 e con la sentenza n.  68
del 2011; del resto gia' la sentenza n. 120 del 2008  aveva  concluso
nel medesimo modo, con riguardo all'analoga norma recata dall'art. 1,
comma 565, della legge n. 296 del 2006. 
    E'fuor di dubbio che la spesa per il  personale  costituisca  una
delle voci  del  bilancio  regionale,  caratterizzata  sia  dal  peso
preponderante che  vi  riveste,  sia  dalla  storica  ritrosia  delle
Regioni a porvi adeguati limiti. Puo' quindi ritenersi  proporzionata
la  valutazione  del  legislatore   statale,   sottesa   alla   norma
interposta,  relativa   all'inefficacia   che   eventuali   e   assai
improbabili misure regionali alternative potrebbero sortire, ai  fini
della riduzione del debito  pubblico  (sentenza  n.  169  del  2007).
Questa Corte e' giunta alla medesima conclusione anche  con  riguardo
alla sottocategoria delle spese per il personale sanitario  (sentenze
n. 333 del 2010 e n. 120 del 2008), anch'esse di regola cosi' elevate
da non giustificare una prognosi favorevole circa  l'introduzione  di
idonee misure alternative da parte della legge regionale. 
    Alla luce di simili considerazioni va letto  lo  stesso  art.  2,
comma 73, della legge  n.  191  del  2009,  richiamato  dalla  difesa
regionale, secondo cui «alla  verifica  dell'effettivo  conseguimento
degli obiettivi previsti dalle disposizioni di cui ai commi 71  e  72
per gli anni 2010, 2011 e 2012, si provvede  nell'ambito  del  Tavolo
tecnico per la verifica degli  adempimenti  di  cui  all'articolo  12
dell'intesa 23 marzo 2005, sancita dalla Conferenza permanente per  i
rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento  e
di Bolzano, pubblicata nel supplemento ordinario n. 83 alla  Gazzetta
Ufficiale  n.  105  del  7  maggio  2005.  La  regione  e'  giudicata
adempiente  ove  sia  accertato   l'effettivo   conseguimento   degli
obiettivi previsti. In  caso  contrario  la  regione  e'  considerata
adempiente  solo   ove   abbia   comunque   assicurato   l'equilibrio
economico». 
    Secondo  la  Regione  Toscana  il  riconoscimento  del   corretto
adempimento regionale, anche in caso di deroga ai precetti di cui  al
precedente comma 71, ove comunque sia stato  assicurato  l'equilibrio
economico, dovrebbe far ritenere  che  non  si  renda  necessaria  la
scrupolosa Osservanza del risparmio di spesa indicato con riferimento
al personale sanitario, ben  potendo  l'autonomia  regionale  trovare
soluzioni alternative, ugualmente idonee  allo  scopo  di  conseguire
l'obiettivo indicato. 
    Va pero' Osservato, in senso contrario, che  l'ipotesi  residuale
contemplata dall'ultimo periodo del comma 73  non  elide  affatto  la
previsione principale, secondo cui  l'adempimento  della  Regione  va
misurato  con  riferimento  agli  specifici  obiettivi   recati   dal
precedente comma 71. Proprio le considerazioni  innanzi  svolte,  con
riferimento  alla  natura   sfavorevole   della   prognosi   relativa
all'adozione di misure alternative di risparmio, fanno  ritenere  che
l'esigenza  di  coordinamento  della  finanza  pubblica   non   possa
ritenersi adeguatamente protetta, in assenza di un criterio  primario
alla luce del quale indirizzare  immediatamente,  e  senza  attendere
verifiche necessariamente posteriori,  la  politica  di  contenimento
delle  spese.  Pertanto  l'eventuale  raggiungimento  dell'equilibrio
economico sara' senz'altro di giovamento alla Regione su altri piani,
essendo ad esempio manifestamente irragionevole  che  il  legislatore
statale  pretenda  comunque  di   persistere   nell'applicazione   di
eventuali  sanzioni.  Ma,  in  attesa,  al  termine   del   triennio,
dell'accertamento sul raggiungimento dell'equilibrio economico,  deve
ritenersi vincolante l'obbligo primario descritto dal comma 71. 
    A questo punto, resta solo da verificare se l'imposizione  di  un
simile  vincolo  sia   tollerabile,   in   ragione   della   funzione
compensativa che va attribuita, in tali casi,  alla  discrezionalita'
del sistema regionale nell'individuare in concreto i mezzi idonei  al
raggiungimento dell'obiettivo. Anche su questo piano,  l'accertamento
e' favorevole alla legislazione statale, poiche' la norma  interposta
«non determina gli strumenti e le modalita' per il perseguimento  del
predetto obiettivo, ma lascia libere le  Regioni  di  individuare  le
misure necessarie  al  fine  del  contenimento  della  spesa  per  il
personale»  (sentenza  n.  120  del  2008).   Nell'ambito   di   tale
accertamento, si pone l'ulteriore Osservazione, svolta dalla sentenza
n. 120 del 2008 con riguardo ad una norma del tutto analoga  all'art.
2, comma 71, della legge n. 191 del 2009, secondo cui assume  rilievo
anche la clausola di salvezza prevista oggi dal successivo comma  73,
e appena ricordata. Se, infatti, va escluso per  le  ragioni  innanzi
precisate che nell'immediato le Regioni possano sottrarsi al  vincolo
descritto dal comma 71, resta parimenti inoppugnabile che,  all'esito
del triennio durante cui esso transitoriamente opera, le  pur  sempre
possibili manovre regionali alternative  si  siano  davvero  rivelate
idonee, vincendo la ragionevole presunzione contraria. In  tal  caso,
lo Stato non potra' piu' pretendere di persistere in eventuali misure
sostitutive o sanzionatorie, e dovra' verificare  per  il  futuro  la
congruita' di un vincolo, la cui cogenza si e' dimostrata, alla prova
dei fatti, basata su un convincimento erroneo. 
    Allo stato, preso atto della difformita' dell'art. 12,  comma  2,
lettera b), della legge impugnata  rispetto  all'art.  2,  comma  71,
della legge n. 191 del 2009,  e  accertata  la  natura  di  principio
rivestita da tale ultima disposizione, la  questione  deve  ritenersi
fondata. 
    2.2.  -  L'istanza  di  sospensione  dell'efficacia  delle  norme
impugnate,  formulata  nel  ricorso,  rimane  assorbita  (da  ultimo,
sentenze n. 326 e n. 16 del 2010). 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art. 12,  comma  2,
lettera b), della legge della Regione Toscana 29 dicembre 2010, n. 65
(Legge finanziaria per l'anno 2011); 
    Dichiara non fondata la questione di legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, comma 1, della legge della Regione  Toscana  n.  65  del
2010,  promossa  dal  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,   in
riferimento all'art. 117, terzo comma,  della  Costituzione,  con  il
ricorso indicato in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2011. 
 
                      Il Presidente:  Maddalena 
 
 
                        Il redattore: Lattanzi 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 10 giugno 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti