N. 193 ORDINANZA 8 - 15 giugno 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Straniero - Ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello  Stato
  - Configurazione della fattispecie come reato -  Lamentata  lesione
  dei  diritti  inviolabili  dell'uomo  nonche'  irragionevolezza   e
  disparita' di trattamento rispetto  a  reati  analoghi  -  Asserita
  violazione dei principi  di  materialita',  di  legalita'  e  della
  finalita' rieducativa della pena - Carenze in punto di  descrizione
  della fattispecie concreta  e  di  motivazione  sulla  rilevanza  -
  Manifesta inammissibilita' delle questioni. 
- D.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 10-bis, aggiunto  dall'art.  1,
  comma 16, lett. a), della legge 15 luglio 2009, n. 94. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 25 e 27. 
(GU n.27 del 22-6-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Paolo MADDALENA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Alfonso  QUARANTA,  Franco  GALLO,  Luigi
  MAZZELLA, Gaetano  SILVESTRI,  Sabino  CASSESE,  Giuseppe  TESAURO,
  Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo
  GROSSI, Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), aggiunto dall'art.  1,  comma  16,
lettera a), della legge  15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in
materia di sicurezza pubblica),  promosso  dal  Giudice  di  pace  di
Firenze nel  procedimento  penale  a  carico  di  Dahmani  Fathi  con
ordinanza del 14 gennaio 2010 iscritta al n. 8 del registro ordinanze
2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4,  1ª
serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio dell'11 maggio  2011  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano. 
    Ritenuto che il Giudice di pace di Firenze, con ordinanza del  14
gennaio 2010, ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 10-bis del decreto  legislativo  25  luglio  1998,  n.  286
(Testo   unico   delle   disposizioni   concernenti   la   disciplina
dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto
dall'art. 1, comma 16, lettera a), della legge 15 luglio 2009, n.  94
(Disposizioni in materia di sicurezza pubblica), per violazione degli
artt. 2, 3, 25 e 27 della Costituzione; 
        che il rimettente premette, in fatto, di dover  giudicare  un
cittadino straniero extracomunitario  imputato  del  nuovo  reato  di
ingresso o soggiorno illegale nel territorio dello Stato «per essersi
trattenuto nel territorio dello Stato senza il permesso di  soggiorno
e dunque in violazione delle  norme  previste  dal  medesimo  decreto
legislativo» e che, nel giudizio a quo, la Procura  della  Repubblica
presso  il  Tribunale  di  Firenze   ha   eccepito   l'illegittimita'
costituzionale della nuova fattispecie incriminatrice sulla  base  di
argomentazioni che egli ritiene di condividere; 
        che il Giudice di pace di Firenze, in punto di non  manifesta
infondatezza, ritiene la norma censurata in contrasto  con  l'art.  3
Cost.,  sotto   il   profilo   dell'irragionevolezza   della   scelta
legislativa di criminalizzare l'ingresso  e  la  permanenza  illegale
nello Stato italiano; 
        che, infatti, se  e'  vero  che  compete  al  legislatore  un
generale  potere  «di  regolare  la  materia  dell'immigrazione,   in
correlazione ai molteplici interessi pubblici da essa coinvolti ed ai
gravi problemi connessi  a  flussi  migratori  incontrollati»  (Corte
costituzionale sentenza n. 5 del 2004), in ogni caso dovrebbe  essere
rispettato  il  limite  insuperabile  di  osservanza   dei   principi
fondamentali  del  sistema  penale  stabiliti  dalla  Costituzione  e
permarrebbe la necessita' di adottare soluzioni orientate a canoni di
ragionevolezza e di razionalita' finalistica; 
        che  l'irragionevolezza  della  nuova  fattispecie  criminosa
sarebbe chiaramente evidenziata dalla carenza di un  suo  pur  minimo
fondamento giustificativo, non potendo riscontrarsi,  nella  condotta
incriminata, la minima offensivita' sociale, mentre la penalizzazione
di una condotta dovrebbe intervenire come extrema ratio  in  tutti  i
casi in cui non sia possibile individuare altri strumenti  idonei  al
raggiungimento dello scopo; 
        che, a parere del rimettente,  l'obiettivo  perseguito  dalla
nuova fattispecie incriminatrice costituito dall'allontanamento dello
straniero irregolare dal territorio dello Stato  sarebbe  stato  gia'
perfettamente  raggiungibile,  prima  dell'introduzione  della  nuova
figura di reato, mediante l'adozione dell'espulsione coattiva in  via
amministrativa ai sensi dell'art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286  del
1998; 
        che la  nuova  norma  non  modificherebbe  in  alcun  modo  i
presupposti necessari per l'espulsione, dato che  il  suo  ambito  di
applicazione   coinciderebbe   perfettamente   con    quello    della
preesistente misura amministrativa, sia sotto il profilo dei soggetti
destinatari  (stranieri  entrati  o  trattenuti  irregolarmente   nel
territorio dello Stato), sia sotto quello della ratio  giustificativa
e,  in  definitiva,  verrebbe  utilizzato  il   procedimento   penale
esclusivamente per ottenere un risultato  di  natura  amministrativa,
quale quello dell'espulsione dello straniero; 
        che, anche in riferimento alla previsione  dell'espulsione  a
titolo di sanzione sostitutiva ex art. 62-bis del  d.lgs.  28  agosto
2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza  penale  del  giudice  di
pace, a norma dell'articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468),
si  determinerebbe  una  palese  ed   irragionevole   disparita'   di
trattamento  tra  soggetti  ugualmente  destinatari  della   predetta
sanzione sostitutiva, in quanto solo per i condannati ex art.  10-bis
del d.lgs. n. 286 del 1998 sarebbe preclusa la  possibilita'  per  il
giudice di concedere  il  beneficio  della  sospensione  condizionale
della pena e, quindi, solo in  questi  casi,  caratterizzati  da  una
minore gravita', la sanzione  sostitutiva  dovrebbe  essere  comunque
eseguita; 
        che l'art.  3  Cost.  risulterebbe  violato  sotto  un  altro
specifico  profilo,  concernente  la  irragionevole   disparita'   di
trattamento tra la nuova fattispecie e quella  di  cui  all'art.  14,
comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che prevede  la  punibilita'
dello straniero,  inottemperante  all'ordine  di  allontanamento  del
Questore, solo quando lo stesso si  trattenga  nel  territorio  dello
Stato oltre il  termine  stabilito  e  «senza  giustificato  motivo»,
condizioni  che  non  si  ritrovano  nella  nuova  figura  criminosa,
cosicche' sarebbe sufficiente il venir meno, per un  qualche  motivo,
del   permesso   di   soggiorno   perche'   sia   immediatamente    e
automaticamente integrata  una  ipotesi  di  trattenimento  illecito,
senza alcuna possibilita', per l'interessato, di addurre una  qualche
giustificazione o di usufruire di un termine per potersi allontanare; 
      che la norma in esame sarebbe anche in contrasto con gli  artt.
3 e 25, secondo comma, Cost., avuto riguardo alla  configurazione  di
una  fattispecie   penale   discriminatoria,   perche'   fondata   su
particolari condizioni personali  e  sociali,  anziche'  su  fatti  e
comportamenti riconducibili alla volonta'  del  soggetto  attivo,  in
quanto  la  nuova  fattispecie  incriminatrice   sanzionerebbe   solo
apparentemente una condotta (l'azione dell'ingresso e l'omissione del
mancato allontanamento), mentre il vero oggetto della  incriminazione
sarebbe la mera condizione personale dello straniero, costituita  dal
mancato  possesso  di  un  titolo  abilitativo  all'ingresso  e  alla
successiva permanenza nel territorio dello Stato, situazione priva di
una qualche significativita' sotto  il  profilo  della  pericolosita'
sociale; 
        che, secondo il rimettente, la  nuova  fattispecie  criminosa
pregiudicherebbe  indirettamente  anche  alcuni  diritti  inviolabili
dell'uomo, quali, in particolare, il diritto alla  propria  identita'
personale e alla cittadinanza fin dal momento della nascita  (diritto
riconosciuto dall'art. 7 della Convenzione sui diritti del  fanciullo
adottata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata dall'Italia  con
legge 27 maggio 1991, n. 76) a  causa  della  modifica  dell'art.  6,
comma 2, del d.lgs.  n.  286  del  1998,  che  ha  reso  obbligatoria
l'esibizione agli uffici della pubblica amministrazione dei documenti
inerenti il soggiorno anche per i provvedimenti relativi agli atti di
stato civile, all'accesso a pubblici servizi,  con  esclusione  delle
sole prestazioni sanitarie di cui all'art. 35 del d.lgs. n.  286  del
1998 e delle prestazioni scolastiche obbligatorie, ponendosi cosi' in
contrasto con l'art. 2 Cost.; 
        che, secondo il Giudice di pace di Firenze, l'art. 10-bis del
d.lgs. n. 286 del 1998 contrasterebbe  anche  con  l'art.  27,  terzo
comma, Cost. in quanto l'espulsione amministrativa, da considerarsi a
tutti gli effetti come la pena prevista  per  la  contravvenzione  in
esame, non puo' avere reali e concreti effetti rieducativi; 
        che, infine, la previsione sulla improcedibilita' dell'azione
penale, in caso di intervenuta  espulsione  dello  straniero  in  via
amministrativa,  oltre  ad  essere   intrinsecamente   irragionevole,
determinerebbe una disparita' di trattamento di situazioni  identiche
in violazione dell'art.  3  Cost.,  dipendendo  solo  dalla  solerzia
dell'apparato  amministrativo  la  condanna  o  meno   dell'immigrato
clandestino; 
        che e' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
infondata; 
        che   l'Avvocatura   dello   Stato   richiama,   a   sostegno
dell'inammissibilita' e  dell'infondatezza,  la  sentenza  di  questa
Corte n. 250 del 2010; 
        che, in particolare, la difesa statale ricorda che  la  Corte
ha gia' ritenuto manifestamente infondata la  censura  relativa  alla
violazione del principio di ragionevolezza di cui  all'art.  3  Cost.
motivata sull'assunto che la sfera applicativa della norma penale  si
sovrapporrebbe a quella dell'espulsione quale misura amministrativa; 
        che,  in  tale  occasione,  la  Corte   ha   detto   che   la
sovrapposizione della disciplina penale a quella amministrativa e  la
circostanza  che  il  legislatore  abbia  mostrato  di   «considerare
l'applicazione della sanzione  penale  come  un  esito  "subordinato"
rispetto alla materiale estromissione dal territorio nazionale  dello
straniero» - giustificabile «nel diminuito interesse dello Stato alla
punizione di soggetti ormai estromessi dal proprio territorio» -  non
comportano ancora che il procedimento penale per il  reato  in  esame
rappresenti,  a  priori,  un   mero   "duplicato"   della   procedura
amministrativa di espulsione «e cio', a tacer d'altro, per la ragione
che - come l'esperienza attesta - in un largo numero di casi  non  e'
possibile, per la pubblica amministrazione, dare corso all'esecuzione
dei provvedimenti espulsivi»; 
        che anche la questione  di  costituzionalita'  relativa  alla
violazione dell'art.  3  Cost.  per  l'ingiustificata  disparita'  di
trattamento determinata dalla facolta' del giudice di sostituire, nel
caso di condanna, la pena pecuniaria comminata per il  reato  di  cui
all'art.  10-bis  del  d.lgs.  n.  286  del  1998,  con   la   misura
dell'espulsione e dalla preclusione della concessione  del  beneficio
della sospensione condizionale della pena, e' gia'  stata  dichiarata
dalla Corte manifestamente inammissibile in quanto «a prescindere  da
ogni considerazione di merito, la lesione  costituzionale  denunciata
non deriva dalla disposizione impugnata, ma da  norme  distinte,  non
coinvolte nello scrutinio di  costituzionalita'»  quali:  l'art.  16,
comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, (come  modificato  dall'art.  1,
commi 16 e 22, della legge 15 luglio 2009, n. 94), l'art. 62-bis  del
d.lgs. n. 274 del 2000 e gli artt. 4, comma  2,  e  60  del  medesimo
d.lgs. n. 274 del 2000; 
        che la Corte ha anche  escluso  la  configurabilita'  di  una
violazione dell'art. 3 Cost., sotto il profilo  della  disparita'  di
trattamento rispetto  al  delitto  di  inottemperanza  all'ordine  di
allontanamento impartito dal Questore,  di  cui  all'art.  14,  comma
5-ter, del d.lgs. n.  286  del  1998  (sentenza  n.  250  del  2010),
rilevando che la mancata reiterazione, nella norma  impugnata,  della
clausola  «senza  giustificato   motivo»,   presente   nella   citata
disposizione, non  esclude  che  alla  contravvenzione  in  esame  si
applichino le esimenti di ordine generale e, in  particolare,  quella
dello stato di necessita' (art. 54 cod. pen.), come pure le cause  di
esclusione della colpevolezza, ivi compresa  l'ignoranza  inevitabile
della legge penale (art. 5 cod.  pen.,  quale  risultante  a  seguito
della sentenza n. 364 del 1988)  e,  con  particolare  riguardo  alla
figura  dell'illecito  trattenimento,  il   basilare   principio   ad
impossibilia  nemo  tenetur,  valevole  per  la   generalita'   delle
fattispecie omissive proprie; 
        che, inoltre, alla fattispecie in esame si applica l'istituto
dell'improcedibilita' per particolare tenuita' del fatto, proprio dei
reati di competenza del Giudice di pace (art. 34 del d.lgs. 28 agosto
2000, n. 274,  recante  «Disposizioni  sulla  competenza  penale  del
Giudice di Pace, a norma dell'articolo 14  della  legge  24  novembre
1999, n. 468»): istituto che «puo'  valere  a  "controbilanciare"  la
mancata attribuzione di rilievo  alle  fattispecie  di  "giustificato
motivo"  che  esulino  dal  novero  delle  cause  generali   di   non
punibilita'» (sentenza n. 250 del 2010); 
        che, del pari, l'Avvocatura  dello  Stato  ritiene  infondato
l'ulteriore profilo secondo cui l'art. 10-bis del d.lgs. n.  286  del
1998 viola il principio di materialita' del  reato,  poiche'  sarebbe
sottoposta a pena una «condizione personale e sociale» - come  quella
di straniero «clandestino» (o,  piu'  propriamente,  «irregolare»)  -
della quale viene arbitrariamente presunta la pericolosita'  sociale,
in assenza della lesione o messa in  concreto  pericolo  di  un  bene
giuridico costituzionalmente tutelato, in quanto  la  Corte,  con  la
sentenza n. 250 del 2010, ha gia' affermato che  la  norma  impugnata
non reprime un «modo di  essere»  della  persona,  ma  uno  specifico
comportamento trasgressivo di norme vigenti,  come  quello  descritto
dalle locuzioni alternative «fare ingresso»  e  «trattenersi»  contra
legem  nel  territorio  dello  Stato  e  che   a   queste   locuzioni
corrispondono, rispettivamente, una condotta  attiva  istantanea  (il
varcare  illegalmente  i  confini  nazionali)  ed  una  a   carattere
permanente il cui nucleo  antidoveroso  e'  omissivo  (l'omettere  di
lasciare il territorio nazionale, pur non essendo in possesso  di  un
titolo che renda legittima la permanenza), 
        che, pertanto, la norma censurata  non  e'  volta  a  rendere
penalmente rilevanti situazioni di poverta' e di emarginazione, ma si
limita a reprimere la  commissione  di  un  fatto  oggettivamente  (e
comunque)  antigiuridico,  offensivo   di   un   interesse   reputato
meritevole di tutela, identificabile nell'interesse  dello  Stato  al
controllo e alla gestione dei flussi migratori; 
        che la difesa  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
ritiene infondata anche la questione  relativa  alla  violazione  del
principio di  solidarieta'  sociale  desumibile  dall'art.  2  Cost.,
perche', come la Corte ha gia' avuto modo di osservare, in materia di
immigrazione «le ragioni della solidarieta' umana non possono  essere
affermate al di fuori di un  corretto  bilanciamento  dei  valori  in
gioco» ed esse «non sono di per se' in contrasto  con  le  regole  in
materia di immigrazione previste in funzione di  un  ordinato  flusso
migratorio  e  di  un'adeguata  accoglienza  ed  integrazione   degli
stranieri»; 
        che, con la sentenza n. 250 del 2010, si  e'  anche  rilevato
che le ragioni della solidarieta' trovano  espressione  -  oltre  che
nella disciplina dei divieti di espulsione e di respingimento  e  del
ricongiungimento  familiare   -   anche   nell'applicabilita',   allo
straniero irregolare, della normativa sul  soccorso  al  rifugiato  e
sulla protezione internazionale, di cui al d.lgs. 19  novembre  2007,
n. 251 (Attuazione della direttiva 2004/83/CE  recante  norme  minime
sull'attribuzione, a  cittadini  di  Paesi  terzi  o  apolidi,  della
qualifica  del  rifugiato  o  di  persona  altrimenti  bisognosa   di
protezione internazionale, nonche' norme minime sul  contenuto  della
protezione riconosciuta), fatta espressamente salva dal comma 6 dello
stesso art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del 1998; 
        che, con riferimento al parametro della funzione  rieducativa
della pena sancita  dall'art.  27  Cost.,  l'infondatezza,  anche  in
questo caso, sarebbe desumibile da quanto affermato nella  precedente
sentenza da questa Corte; 
        che, infine, le restanti questioni  relative  all'obbligo  di
esibire agli uffici della pubblica  amministrazione  i  documenti  di
soggiorno anche per i provvedimenti inerenti gli atti di stato civile
e l'accesso a pubblici servizi sarebbero manifestamente inammissibili
perche' la lesione costituzionale denunciata  non  deriverebbe  dalla
norma incriminatrice contenuta nell'art. 10-bis del d.lgs. n. 286 del
1998; 
    Considerato  che  il  Giudice  di  pace  di  Firenze  dubita,  in
riferimento agli artt. 2,  3,  25  e  27  Cost.,  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 10-bis del  decreto  legislativo  25  luglio
1998,  n.  286  (Testo  unico  delle  disposizioni   concernenti   la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), che punisce con l'ammenda da 5.000 a  10.000  euro,  salvo
che il fatto costituisca  piu'  grave  reato,  lo  straniero  che  fa
ingresso o si trattiene illegalmente nel territorio dello Stato; 
        che l'ordinanza di rimessione presenta carenze  in  punto  di
descrizione  della  fattispecie  concreta  e  di  motivazione   sulla
rilevanza tali da precludere lo scrutinio nel merito delle questioni; 
        che, nella sostanza, il rimettente si limita a  riportare  un
generico capo d'imputazione e non  riferisce  in  modo  esaustivo  la
vicenda concreta oggetto del giudizio; 
        che in mancanza di  riferimenti  specifici  alla  fattispecie
concreta che ha dato origine all'imputazione resta inibita  a  questa
Corte la necessaria verifica circa  l'influenza  della  questione  di
legittimita' sulla decisione richiesta al rimettente; 
        che le questioni vanno dichiarate,  pertanto,  manifestamente
inammissibili. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
 
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  delle   questioni   di
legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis del decreto  legislativo
25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la
disciplina  dell'immigrazione  e   norme   sulla   condizione   dello
straniero), aggiunto dall'art. 1, comma 16, lettera a),  della  legge
15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di   sicurezza
pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 2, 3, 25 e  27  della
Costituzione, dal Giudice di pace di Firenze con l'ordinanza indicata
in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, l'8 giugno 2011. 
 
                      Il Presidente: Maddalena 
 
 
                      Il redattore: Napolitano 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in Cancelleria il 15 giugno 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti