N. 167 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile 2011

Ordinanza dell'8 aprile 2011  emessa  dal  Tribunale  di  Lecce  sez.
distaccata di Maglie - nel procedimento civile promosso  da  Cancelli
Antonio contro Unicredit Banca di Roma s.p.a.. 
 
Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate  in  conto
  corrente  -  Diritti   nascenti   dall'annotazione   in   conto   -
  Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell'annotazione -  Previsione
  autoqualificata come interpretazione autentica dell'art.  2935  del
  codice  civile  -  Irrazionalita'  sotto   molteplici   profili   -
  Introduzione  arbitraria  di  norma  retroattiva,   in   violazione
  dell'affidamento dei risparmiatori,  della  certezza  dei  rapporti
  giuridici e della coerenza del sistema -  Violazione  dei  principi
  generali in materia di prova e di parita' delle armi  nel  processo
  (consentendosi alle banche di precostituire la prova del dies a quo
  del  termine  di  prescrizione)  -  Contrasto  con  la  tutela  del
  risparmio (essendo palesemente favorite le banche e svantaggiati  i
  risparmiatori)  -  Contrasto  con  il  principio   comunitario   di
  protezione  del  consumatore  nei  rapporti  contrattuali  con   le
  imprese. 
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61,  aggiunto
  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 47 e  117,  primo  comma,  in  relazione
  all'art. 12 del  Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione  europea
  (TFUE) [ex articolo 153, paragrafo 2, del Trattato  che  istituisce
  la Comunita' europea (TCE)]. 
Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate  in  conto
  corrente - Diritti nascenti dall'annotazione in  conto  -  Prevista
  esclusione della restituzione degli importi gia' versati alla  data
  di entrata in vigore della legge n. 10 del  2011  -  Irrazionalita'
  (sia intendendo per "importi gia'  versati"  quelli  annotati,  sia
  considerando tali quelli determinati ed eventualmente corrisposti a
  chiusura del conto) - Retroattiva incidenza su posizioni giuridiche
  gia' formate - Violazione  dei  limiti  all'introduzione  di  norme
  retroattive - Violazione dei limiti all'ammissibilita' della  legge
  interpretativa -  Lesione  dell'affidamento  dei  cittadini,  della
  certezza del diritto e della coerenza dell'ordinamento - Violazione
  del  diritto  alla  ripetizione  dell'indebito   -   Ingiustificata
  ablazione del diritto di credito del risparmiatore - Contrasto  con
  il diritto al rispetto dei  propri  beni,  sancito  dal  Protocollo
  addizionale  alla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo (CEDU), come interpretato dalla  Corte  di  Strasburgo  -
  Conseguente inosservanza di obblighi internazionali. 
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61,  aggiunto
  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 23, 24, 47,  111  e  117,  primo  comma,  in
  relazione all'art. 1 del Protocollo  addizionale  alla  Convenzione
  per la  salvaguardia  diritti  dell'uomo  e  liberta'  fondamentali
  [firmato a Parigi il 20 marzo 1952 e ratificato con legge 4  agosto
  1955, n. 848]. 
(GU n.35 del 17-8-2011 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del  31  marzo  2011
nel giudizio iscritto al n. 761/2010  R.G.  del  Tribunale  di  Lecce
Sezione di Maglie, promosso  da  Cancelli  Antonio  contro  Unicredit
Banca di Roma spa, 
 
                               Osserva 
 
    La banca ha invocato a sostegno delle proprie ragioni il comma 61
dell'art. 2 del decreto-legge 29 dicembre 2010 n. 225 convertito  con
legge 26 febbraio 2011 n.  10,  il  quale  testualmente  recita:  «In
ordine alle operazioni bancarie regolate  in  conto  corrente  l'art.
2935 del cod. civile si interpreta  nel  senso  che  la  prescrizione
relativa ai diritti  nascenti  dall'annotazione  in  conto  inizia  a
decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In ogni caso non si  fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto». 
    L'applicazione  della  su  indicata  disposizione  alla  presente
controversia rileva sotto un duplice profilo. 
    Innanzi tutto, perche', ai sensi della prima parte  della  norma,
che il legislatore qualifica come  norma  interpretativa,  dovrebbero
essere  dichiarate  prescritte  tutte   le   somme   illegittimamente
addebitate, che siano state annotate anteriormente  al  ...  e  cioe'
piu' di dieci anni prima della notifica dell'atto di citazione. 
    In secondo luogo, perche', in applicazione  della  seconda  parte
della norma, tutte le somme  indebitamente  iscritte  nel  conto  non
potrebbero essere ripetute, trattandosi di operazioni anteriori  alla
data di entrata in vigore della  legge  citata,  verificatasi  il  27
febbraio 2011. 
    Le considerazioni sopra svolte rendono evidente che le  questioni
di legittimita' costituzionale delle  due  previsioni  contenute  nel
comma 61 dell'art. 2 del decreto-legge n. 225/2010, sono rilevanti. 
    Orbene le  norme  sopra  menzionate  appaiono  in  contrasto  con
numerosi principi della Carta costituzionale. 
    E'  necessario  al  riguardo,  esaminare  partitamente   le   due
previsioni. 
    La  prima,   concernente   l'introduzione   di   una   norma   di
interpretazione autentica dell'art. 2935 c.c., e' in contrasto con  i
principi di cui agli arti. 3, 24, 111, 47 e 117 Cost. 
    Prima di delineare i profili di legittimita' costituzionale della
norma considerata, e' utile premettere alcuni cenni su alcuni aspetti
del contratto di conto corrente bancario,  cosi'  come  si  e'  ormai
delineato   nella   interpretazione   della    dottrina    e    della
giurisprudenza. 
    Al riguardo, sotto l'aspetto  che  qui  interessa,  ha  un  ruolo
centrale la decisione della Sezioni  Unite  della  cassazione  Civile
che, con sentenza n. 24418 del  2  dicembre  2010,  ha  enunciato  il
seguente principio: se  dopo  la  conclusione  di  un  contratto,  il
correntista agisce per far dichiarare  la  nullita'  che  prevede  la
corresponsione di interessi anatocistici  e  per  la  ripetizione  di
quanto  pagato  indebitamente  a  questo  titolo,   il   termine   di
prescrizione decennale cui tale azione di  ripetizione  e'  soggetta,
decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista,  in  pendenza
del  rapporto  abbiano  avuto  solo  funzione  ripristinatoria  della
provvista, dalla data in cui e' stato estinto il  saldo  di  chiusura
del conto in cui gli interessi  non  dovuti  sono  stati  registrati»
(Cass. 2 dicembre 2010 n. 24418 in Foro It. 2011, I, 428). 
    La Suprema  Corte  giunge  a  tale  conclusione  osservando  che,
nell'ambito del rapporto di conto  corrente  bancario,  i  versamenti
operati dal correntista con la  mera  finalita'  di  ripristinare  la
provvista, non possono essere considerati atti di pagamento. 
    Questo perche', sebbene  le  annotazioni  in  conto  corrente  si
risolvano in un incremento del debito o in una riduzione del credito,
non costituiscono comunque un atto  solutorio,  in  quanto  non  sono
volte a soddisfare il creditore, bensi' da ampliare o ripristinare la
facolta' di indebitamento del correntista. 
    Ne deriva che il carico di interessi illegittimamente  computati,
si  traduce  in  una   indebita   limitazione   della   facolta'   di
indebitamento,  ma  non  nell'anticipato  pagamento  degli  interessi
addebitati. E' solo in sede di chiusura del conto che si  definiscono
le posizioni di debito/credito tra il correntista e la banca e quindi
e' solo in quel momento, di conseguenza, che i versamenti  effettuati
assumono definitivita' e percio' acquistano  il  carattere  estintivo
proprio dell'adempimento. 
    La  ricostruzione  operata  dalla  Suprema  Corte  prescinde  dal
rilievo del  carattere  unitario  del  rapporto  di  conto  corrente,
valorizza il significato di «pagamento» e  precisa  il  rapporto  tra
pagamento e annotazione. 
    In particolare sottolinea che l'annotazione non e' un pagamento e
che, quindi, l'azione di ripetizione non puo' svolgersi sulla base di
una mera annotazione. Essa  potra'  svolgersi  solo  all'esito  della
chiusura del conto ed e', percio', da quel momento  che  deve  essere
calcolato il periodo di inerzia del  correntista  rilavante  ai  fini
della prescrizione. 
    Cosi' ricostruiti, secondo l'insegnamento della Suprema Corte,  i
tratti in questa sede  rilevanti  del  rapporto  di  conto  corrente,
occorre osservare che la pretesa interpretazione autentica  contenuta
nella prima parte del comma  61  dell'art.  2  del  decreto-legge  n.
225/2010 appare, innanzitutto, del tutto irrazionale e,  percio',  in
contrasto con l'art. 3 Costituzione. 
    Al riguardo e' utile, preliminarmente, rammentare  che  la  Corte
costituzionale ha, in piu' occasioni, affermato  che  ai  fini  della
violazione  del  principio  di  eguaglianza,  non  e'  necessaria  la
comparazione tra due posizioni simili, essendo sufficiente a  violare
il dettato costituzionale la irragionevolezza di una norma  la  quale
in  se'  stessa  appaia  in  contrasto  con  il  sistema  o  comporti
conseguenze pratiche in se' e per se' aberranti (cfr. Corte  cost.  9
luglio 2009 n. 206 in Foro it. 2009, I, 2573;  Corte  cost.  5  marzo
2009 n. 62 in Foro it. 2009, I, 1999; Corte cost. 13 giugno  2008  n.
206 in Notariato, 2008, 6, 616; Corte cost. 10 febbraio 2006 n. 50 in
Foro it. 2006, I, 966). 
    La pretesa interpretazione autentica, contenuta nella  norma  qui
impugnata, introduce un profilo di  irrazionalita'  sotto  molteplici
aspetti.  Innanzitutto   attribuisce   all'annotazione   un   effetto
solutorio che l'annotazione non  puo'  per  se  stessa  avere.  Essa,
difatti, ha  finalita'  meramente  contabili  essendo  esclusivamente
volta a consentire il calcolo, man mano, dell'ulteriore indebitamento
consentito.  Solo  il  calcolo  finale  e'  idoneo  a  cristallizzare
definitivamente i rapporti di dare e avere. 
    La previsione del legislatore del 2011 appare  irrazionale  anche
perche' fa decorrere il termine di prescrizione  da  un  momento  nel
quale non  e'  ancora  possibile  esperire  l'azione  di  ripetizione
dell'indebito non essendovi stato il  pagamento.  La  previsione,  di
conseguenza,  riduce  irrazionalmente  i  termini   di   prescrizione
dell'azione di ripetizione, in quanto quest'ultima  vede  esistere  i
propri presupposti di fatto solo all'atto della chiusura del conto e,
tuttavia, ai fini della prescrizione, bisognerebbe  tener  conto  del
periodo intercorso tra l'annotazione e la chiusura del conto. 
    Se,  poi,  la  norma  dovesse  interpretarsi  nel  senso  che  si
riferisca  all'azione  volta  a  far  dichiarare  la  nullita'  della
previsione contrattuale  in  base  alla  quale  e'  stata  effettuata
l'annotazione,  si  sarebbe  in  presenza  di  una  disposizione   di
carattere  eccezionale  priva  di   qualsiasi   giustificazione.   E'
principio  generale,  difatti,  e  che  non  tollera  eccezioni,  che
l'azione di nullita' e' imprescrittibile. La disposizione, viceversa,
introdurrebbe un limite  temporale  all'esperimento  di  tale  azione
decorrente dall'annotazione. 
    Laddove si attribuisse alla su indicata disposizione la natura di
norma  di  interpretazione  autentica,  con   conseguente   efficacia
retroattiva,  aderendo  alla  qualificazione   fatta   dallo   stesso
legislatore, la stessa sarebbe in contrasto con l'art. 3 cost.  sotto
un ulteriore profilo. 
    Come ha dichiarato la Corte costituzionale in piu' decisioni,  il
legislatore non puo' arbitrariamente introdurre norme retroattive. Le
medesime,  difatti,  devono  rispettare  una  serie  di  limiti   che
«attengono alla salvaguardia oltre che dei  principi  costituzionali,
di altri fondamentali valori di liberta' giuridica posti a tutela dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
ricompresi il rispetto del principio generale di  ragionevolezza  che
ridonda  nel  divieto  di  introdurre  ingiustificate  disparita'  di
trattamento, la  tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale  principio  connaturato  allo  Stato  di  diritto,  la
coerenza e la certezza dell'ordinamento giuridico» (cfr. Corte  cost.
11 giugno 2010 n. 209 in Foro it.,  2011,  1,  375;  Corte  cost.  23
novembre 1994 n. 397 in Foro it. 1995, I, 1440). 
    La norma considerata viola i predetti canoni. 
    Innanzitutto,  la  stessa  introduce  una  deroga  al   principio
generale  stabilito  dall'art.  2935  c.c.  che  non   trova   alcuna
ragionevole giustificazione, non  solo,  ma  lede  l'affidamento  dei
risparmiatori  ingenerato  dalla  legge  vigente  e  da   consolidata
giurisprudenza circa l'aspettativa  di  ottenere  la  ripetizione  di
quanto illegittimamente addebitato dalla banche, minando in tal  modo
anche la certezza dei rapporti giuridici e la coerenza del sistema. 
    Alla violazione poi dell'art. 3 cost. si deve aggiungere anche la
palese violazione degli arti. 24 e 111 Cost. 
    La  norma  considerata,  difatti,  ha  un  rilievo  non  solo  di
carattere sostanziale, ma anche di carattere processuale nel  momento
in cui attribuisce effetti decisori alla prova formata  da  una  sola
delle parti. Al riguardo, e' utile  rammentare  che  nell'ordinamento
non e' dato riconoscimento alla prova precostituita da una sola delle
parti. Difatti, se si fa riferimento al tema dei rapporti contenziosi
con l'imprenditore, si deve rilevare che gli artt.  2709  e  ss  c.c.
riconoscono efficacia  probatoria  alle  scritture  dell'imprenditore
solo «contro» di lui. 
    Ove si faccia riferimento alla disciplina dettata dagli artt. 633
e ss.  cpc  in  materia  di  procedimento  di  ingiunzione,  si  deve
evidenziare che l'art. 634 cpc attribuisce rilevanza alle su indicate
scritture contabili in favore dell'imprenditore solo ai fini  di  una
tutela sommaria. Alle su  indicate  scritture,  infatti,  in  ragione
della loro formazione unilaterale,  non  e'  riconosciuto  valore  di
«prova piena»  nell'ambito  del  giudizio  di'  cognizione  ordinaria
eventualmente instauratasi  a  seguito  dell'opposizione  al  decreto
ingiuntivo ammesso (cfr. Cass. civ. sez. III 28 giugno 2010 n.  15383
in Mass. Foro It. 695; Cass. civ. sez. III 3 marzo 2009  n.  5071  in
Mass. Foro It. 2009, 301). 
    La disposizione qui considerata, viceversa, consente ad una delle
parti di precostituire la  prova  del  dies  a  quo  del  termine  di
prescrizione, cosi' sovvertendo i principi  generali  in  materia  di
prova. Si aggiunga che la norma  di  risolve  nell'attribuzione  alla
banca di un potere  di  attestazione,  attraverso  l'annotazione,  in
contrasto con la marcata natura  privatistica  che  la  piu'  recente
legislazione in materia  bancaria  ha  attribuito  agli  istituti  di
credito. Il sistema cosi' delineato appare in palese contrasto con  i
principi enunciati dagli artt. 24 e 111 Cost. 
    Le norme costituzionali richiamate,  lette  in  modo  coordinato,
esprimono, tra l'altro, l'esigenza che la difesa  in  giudizio  possa
svolgersi  in  modo  adeguato  e  con  parita'  delle  armi   tra   i
contendenti. Tale parita' riguarda non solo il potere di allegazione,
ma anche il diritto alla prova e, percio', rispetto ad essi le  parti
devono trovarsi in una posizione di assoluta parita',  tale  che  non
sembra possa essere consentito ad una di esse godere di una posizione
privilegiata nella costituzione della prova. 
    Infine, occorre rammentare che l'art. 47 cost.  afferma  che  «la
Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le  sue  forme».
La  norma  evidentemente,  nel  momento  in  cui  fa  riferimento  al
necessario incoraggiamento del risparmio, ha il chiaro  obiettivo  di
assicurare che vi sia un sistema normativo e regolamentare  e  prassi
amministrative che riconoscano tutela al  singolo  risparmiatore,  in
modo che sia incentivato a  contribuire  alla  formazione  di  quella
quota  di  risparmio   collettivo   che   costituisce   un   elemento
indispensabile per gli investimenti e per la  complessiva  evoluzione
del sistema economico nazionale. 
    Appare evidente che il comma 61 dell'art. 2 del decreto-legge  n.
225/2010, nella parte sin qui considerata, introduce  una  disciplina
di privilegio per le banche e percio', automaticamente, di svantaggio
per le controparti stesse e, quindi, per i singoli risparmiatori.  In
questo senso la norma si sottrae al dettato di cui all'art. 47  cost.
che, viceversa,  individua  nella  protezione  dei  risparmiatori  un
interesse primario meritevole di tutela. 
    La norma in esame si pone, inoltre, in contrasto con l'art. 117 1
comma Cost. in relazione all'art. 12 del Trattato  sul  funzionamento
dell'Unione  Europea  ai  sensi  del  quale  «nella   definizione   e
nell'attuazione  di  altre  politiche  o  attivita'  sono  prese   in
considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori».
Il legislatore del 2011, introducendo una disciplina  palesemente  di
favore  per  le  banche  e  sfavorevole  ai  consumatori,  viola   il
fondamentale  principio  cui  deve  essere   improntata   l'attivita'
legislativa dell'Unione e degli Stati che vi aderiscono, secondo cui,
nei rapporti contrattuali con  le  imprese,  deve  essere  assicurata
particolare tutela e protezione al consumatore, in quanto  contraente
debole, nell'ottica di un necessario  riassetto  degli  squilibri  di
fatto esistenti. 
    Infine va presa in considerazione la seconda parte del  comma  61
dell'art. 2 del decreto-legge n. 225/2010 a tenore del quale «in ogni
caso non si fa luogo alla restituzione di importi gia'  versati  alla
data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente
decreto». 
    La formulazione della norma e' certamente ambigua, in  quanto  si
presta a due possibili interpretazioni. 
    La prima, coerente con il  periodo  precedente,  potrebbe  essere
quella secondo cui per «importi gia' versati»  si  debbono  intendere
gli importi gia' annotati. Una tale  interpretazione  significherebbe
che gli  importi  erroneamente  annotati,  quale  che  sia  la  fonte
dell'errore, non potrebbero  essere  oggetto  di  ricalcolo,  laddove
l'annotazione fosse  avvenuta  prima  dell'entrata  in  vigore  della
legge. 
    La  seconda  possibile  interpretazione  e'   che   l'espressione
«importi gia' versati» si riferisca agli importi che, a chiusura  del
conto, siano stati determinati ed eventualmente anche corrisposti. La
norma, cioe', avrebbe l'effetto di cristallizzare  la  situazione  di
fatto venutasi a creare a seguito della chiusura del conto. 
    Tutte  e  due  le  interpretazioni  appaiono  in  contrasto   con
fondamentali principi di ordine costituzionale e, in particolare, con
gli artt. 3, 23, 24, 111 e 117 Cost. 
    Innanzitutto    appare    manifesta    l'irrazionalita'     della
disposizione, la quale  determina  un  principio  di  irripetibilita'
connesso al mero dato di fatto dell'entrata  in  vigore  della  legge
senza alcuna esigenza di ordine pubblicistico che lo giustifichi. Sia
che si voglia fare riferimento al versamento  come  annotazione,  sia
che si voglia fare  riferimento  al  versamento  come  riferito  alla
chiusura del conto,  si  e'  in  presenza  di  diritti  delle  parti,
scaturenti da un eventuale errore di  calcolo  o  da  nullita'  della
clausole sulla base dei quali i  calcoli  sono  stati  effettuati,  i
quali vengono ad essere cancellati dalla nuova disposizione. 
    Quest'ultima, quindi, finisce con l'essere una norma  retroattiva
nel momento in cui viene ad incidere  su  posizioni  giuridiche  gia'
formatesi,  anche  se  non  ancora   accertate   giudizialmente.   In
argomento, tuttavia, merita osservare che  l'eventuale  sentenza  non
avrebbe un effetto costitutivo sul rapporto,  in  quanto  sarebbe  di
accertamento  della  nullita'  o  dell'errore  e  la  condanna   alla
ripetizione dell'indebito sarebbe una mera conseguenza  del  predetto
accertamento. 
    Come sovra gia' chiarito, il legislatore non puo' arbitrariamente
introdurre  norme  retroattive,   ma   deve   rispettare   i   limiti
rappresentati   dal   principio   di   ragionevolezza,   di    tutela
dell'affidamento legittimamente sorto,  di  coerenza  e  di  certezza
dell'ordinamento giuridico(cfr. Corte cost. 11 agosto 2010 n. 209  in
Foro It. 2011, I, 375; Corte cost. 23 novembre 1994 n.  397  in  Foro
It. 1995, I, 1440). 
    La norma considerata viola tutti i predetti canoni. 
    Sul piano della  ragionevolezza  non  si  comprende  quale  possa
essere il fondamento tale da  legittimare  l'eccezione  alla  normale
regola della irretroattivita' della legge. Si deve aggiungere che  la
norma, operando retroattivamente, lede palesemente l'affidamento  dei
cittadini nella legge, lacerando la coerenza dell'ordinamento stesso.
Infine, il fatto stesso che si introduca una norma  la  quale  regola
anche per il passato in modo diverso i rapporti patrimoniali,  arreca
un vulnus evidente al principio della certezza del diritto. 
    Sotto un ulteriore profilo, la  disposizione  considerata  ha  un
sostanziale effetto ablativo nei confronti di chi sia  stato  vittima
di un errore di annotazione ovvero di un'annotazione in forza di  una
clausola  nulla.  Difatti,  la  disposizione  si   risolve   in   una
«espropriazione» dei diritti di una parte del rapporto  contrattuale,
che  non  potra'  piu'  far  valere  il  diritto   alla   ripetizione
dell'indebito nei confronti dell'altra parte. 
    E' palese, nel senso indicato, la violazione dell'art.  23  Cost.
che,  seppur  consente,  mediante  legge  ordinaria,  l'ablazione  di
diritti, presuppone, implicitamente, che cio' avvenga  nell'interesse
pubblico e non per scelta arbitraria di  sacrificare  il  diritto  di
alcuni privati a favore di altri. 
    Nella fattispecie, come si e' gia' piu' volte detto, non e'  dato
rinvenire alcuna ragione di interesse pubblico che possa  legittimare
il contenuto ablatorio della previsione. 
    Sotto altro profilo va anche  rilevato  che  la  disposizione  si
risolve in una violazione dell'art.  1  del  Protocollo  n.  1  della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
liberta' fondamentali. La  norma  citata  recita  al  comma  1  «ogni
persona fisica o giuridica ha diritto  al  rispetto  dei  suoi  beni.
Nessuno puo' essere privato della sua proprieta' se non per causa  di
utilita' pubblica e nelle  condizioni  previste  dalla  legge  e  dai
principi generali del diritto internazionale». 
    Detta previsione e' stata interpretata dalla  Corte  Europea  nel
senso che «la nozione di "beni " puo'  ricomprendere  sia  dei  "beni
effettivi " che dei valori patrimoniali compresi i crediti, in virtu'
dei quali il ricorrente puo' pretendere di avere almeno una "speranza
legittima"  di  ottenere  l'effettivo  godimento  di  un  diritto  di
proprieta'. Al contrario,  la  speranza  di  vedere  riconosciuto  un
diritto di proprieta' che si  e'  nell'impossibilita'  di  esercitare
effettivamente non puo' essere considerato  come  un  bene  ai  sensi
dell'art. 1 del Protocollo n. 1 e  lo  stesso  vale  per  un  credito
condizionale che si estingue a causa del  mancato  verificarsi  della
condizione» (cfr Maurizio  De  Stefano  contro  Italia  n.  28443/06,
Principe Hans-Adam IL del Liechtenstein ci Germania n. 45527/98 p. 82
e 83 CEDU 2001 VILI su www.osservatoriocedu.it). 
    La  norma  qui  considerata  si  risolve,  come  detto,  in   una
ingiustificata  ablazione  di  un  diritto  di  credito  e,  percio',
contrasta con l'art Protocollo addizionale alla  Convenzione  Europea
per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo   e   delle   liberta'
fondamentali,  il  quale  attraverso  l'art.  117  cost.   e'   parte
integrante dell'ordinamento italiano. 
    La Corte cost. ha chiarito, infatti che «l'art.  117 primo  comma
cost. condiziona l'esercizio della potesta' legislativa dello Stato e
delle regioni al rispetto degli obblighi internazionali tra  i  quali
rientrano  quelli  derivanti  dalla  Cedu  (...)  tra  gli   obblighi
internazionali  assunti  dall'Italia  con  la  sottoscrizione  e   la
ratifica della Cedu vi e' quello di adeguare la propria  legislazione
alle norme di tale trattato, nel significato attribuito  dalla  Corte
specificatamente  istituita  per  dare  ad  esse  interpretazione  ed
applicazione (cfr. C. cost. 24 ottobre 2007 n. 348 in Foro It.  2008,
I, 40; C. cost. 24 ottobre 2007 n. 349 in Foro It. 2008, I. 47). 
    Alla stregua di  tutte  le  considerazioni  che  precedono,  deve
dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
legittimita' costituzionale del comma 61 dell'art. 2 decreto-legge 29
dicembre 2010 n. 255 in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47,  111  e
117 Cost. 
 
                              P. Q. M. 
 
        Visti  gli  artt.  134  e  137  Cost.,  art.  1  della  legge
costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n.
87, dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita'  costituzionale   del   comma   61   dell'art.   2   del
decreto-legge 29  dicembre  2010  n.  225  convertito  con  legge  26
febbraio 2011 n. 10, in riferimento agli artt. 3, 23, 24, 47,  111  e
117 Cost.; sospende il presente giudizio; 
        Ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri nonche' comunicata al presidente del Senato e al  presidente
della Camera dei  deputati  e  all'esito  sia  trasmessa  alla  Corte
costituzionale insieme al fascicolo processuale e con la prova  delle
avvenute regolari predette notificazioni e comunicazioni. 
        Maglie, addi' 6 aprile 2011 
 
                          Il Giudice: Rizzo