N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2011
Ordinanza del 3 marzo 2011 emessa dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico di De Marco Teresa ed altri. Misure di prevenzione - Misure di prevenzione patrimoniali - Confisca dei beni di persona indiziata di appartenere ad associazione di stampo mafioso - Proponibilita' della misura, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare - Denunciata attivazione della procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta, in mancanza dell'accertamento definitivo della pericolosita' sociale del proposto - Lesione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, a fronte della impossibilita' oggettiva di instaurare il contraddittorio. - Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, comma 11. - Costituzione, artt. 24, commi primo e secondo, e 111.(GU n.37 del 31-8-2011 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti della procedura in epigrafe indicata, relativa alla proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale formulata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli ai sensi dell'art. 2-ter, comma 11 della legge n. 575/1965 nei confronti di De Marco Teresa ed i figli Passarelli Biagio, Franco, Gianluca, Davide, Antonella e Maria Teresa, quali successori a titolo universale di Passarelli Dante, nato a Casal di Principe il 2 dicembre 1937, ivi deceduto il 3 novembre 2004; Instaurato il contraddittorio camerale; Viste le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero all'udienza del 13 dicembre 2010 e dalle difese alle udienza del 16 febbraio 2011; Riunito in camera di consiglio; Ritenuta la necessita' di sospendere la deliberazione al fine di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter comma 11 della legge n. 575/1965, ha pronunciato la seguente ordinanza. 1. Con proposta depositata in Cancelleria in data 30 settembre 2009 il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Napoli, D.D.A, avanzava a questo Tribunale istanza di sequestro e successiva confisca ex art. 2-ter comma 11 della legge 575/1965 dei beni gia' nella disponibilita' di Passarelli Dante, nato a Casal di Principe il 2 dicembre 1937 ed ivi deceduto il 3 novembre 2004. In conformita' al dettato normativo, che prevede che «la confisca puo' essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso», il Pubblico Ministero individuava, quali soggetti nei cui riguardi, era avanzata la proposta, i successori a titolo universale di Passarelli Dante, ossia il coniuge De Marco Teresa ed i figli Passarelli Biagio, Franco, Gianluca, Davide, Antonella e Maria Teresa. Nell'illustrare la proposta, il Pubblico Ministero richiamava gli elementi dimostrativi della pericolosita' sociale ed qualificata di Passarelli Dante emersi nel corso del procedimento penale cd. «Spartacus» celebratosi innanzi alla Corte di Assise di questo Tribunale (in cui l'imputato, unitamente a numerosi altri, era chiamato a rispondere del delitto p. e p. dall'art. 416-bis c.p. per aver partecipato all'associazione camorristica denominata «clan dei casalesi») definito con sentenza pronunciata in data 15 settembre 2005 di declaratoria di estinzione del reato per morte del reo; in particolare, nell'analizzare la posizione di Passarelli Dante la Corte di Assise rilevava: «L'imputato Passarelli Dante e' deceduto in data 4 novembre 2004. L'evento, verificatosi in prossimita' della decisione, dopo la formulazione delle conclusioni da parte della pubblica accusa (udienza del 28-604), determina l'emissione di declaratoria di avvenuta estinzione del reato, ai sensi dell'articolo 531 c.p.p. Non puo', infatti, trovare applicazione la previsione normativa di cui all'articolo 129 comma 2 c.p.p., atteso che dagli atti non emerge l'evidenza, nel merito, di alcuna concreta prova a discarico. Come e' stato rappresentato in sede di requisitoria (si veda il verbale di udienza gia' indicato) e come ulteriormente si dira' trattando (al capitolo 8) alcune vicende patrimoniali, l'istruttoria ha raffigurato, attraverso numerose dichiarazioni provenienti da collaboranti, verifiche documentali ed intercettazioni telefoniche, l'esistenza di uno stabile rapporto tra l'imputato e l'organizzazione, specie nel settore del reimpiego dei capitali di provenienza illecita». Nell'ottica del Pubblico Ministero proponente, inoltre, gli elementi emersi nel corso dell'istruttoria dibattimentale svoltasi nel processo sopra indicato consentivano l'attivazione della procedura di prevenzione patrimoniale pur in presenza di una precedente procedura volta alla applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale instaurata in costanza di vita di Passarelli Dante innanzi a questo Tribunale, definita con decreto della Corte di Appello di Napoli del 24.10.2001 (confermato dalla Suprema Corte) che, riformando il decreto di primo grado di applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno e di confisca di beni, aveva rigettato la proposta per carenza del presupposto soggettivo delineato dall'art. 1 della legge n. 575/1965 ("soggetto indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso). Sul punto il Pubblico Ministero - dopo aver richiamato il costante indirizzo espresso dalla giurisprudenza di legittimita' secondo cui nell'ambito del procedimento di prevenzione al giudicato va attribuito valore «rebus sic stanti bus», ossia limitato alle situazioni di fatto valutate con il decreto di applicazione della misura preventiva, con conseguente possibilita', viceversa, di rivalutare la pericolosita' del prevenuto in presenza di elementi indizianti nuovi e non precedentemente considerati evidenziava che nel corso del dibattimento svoltosi innanzi alla Corte di Assise erano emersi nuovi elementi (costituiti essenzialmente da dichiarazioni rese da plurimi collaboratori di giustizia), non valutati nella precedente procedura di prevenzione e tali da offrire un quadro univoco in ordine alla sussistenza del presupposto soggettivo di cui all'art. 1 della legge n. 575/1965. Quanto, poi, al profilo patrimoniale il Pubblico Ministero evidenziava che la sussistenza di una evidente sproporzione tra il reddito dichiarato da Passarelli Dante e l'attivita' economica svolta rispetto agli ingenti investimenti realizzati in vita era stata gia' compiutamente analizzata nel processo penale in sede di sequestro preventivo dei beni ex art. 12-sexies D.L. n. 306 del 1992 nonche', in fase dibattimentale, attraverso le perizie disposte in costanza di dibattimento dalla Corte di Assise, che avevano consentito di individuare e di stimare lo stato patrimoniale di Passarelli Dante e di verificarne la non compatibilita' con la capacita' reddituale. 2. Con decreto n. 8/2010 questo collegio disponeva il sequestro anticipato dei beni gia' nella disponibilita' di Passarelli Dante e fissava l'udienza del 9 giugno 2010 per la trattazione in camera di consiglio della procedura, integrando il contraddittorio con i successori a titolo universale di Passarelli Dante. Nel corso della udienza di conclusione - fissata all'esito di una procedura di mera acquisizione documentale avendo le difese prodotto sostanzialmente elaborati tecnici sul patrimonio del de cuius - i difensori degli eredi Passarelli, con specifica memoria, contestavano la sussistenza dei presupposti normativi posti a base del provvedimento di sequestro ritenendo in sintesi che - posta la ineludibile necessita' che l'azione di prevenzione venga attivata nei confronti di soggetto pericoloso socialmente e considerato che in ragione della riforme introdotte dall'art 10 della legge 125 del 2008 essa puo' riguardare anche soggetto non piu' pericoloso o non piu' in vita all'atto dell'intervento - nel caso in esame sarebbe carente il requisito della pericolosita' sociale qualificata di Passarelli Dante in termini di appartenenza ad una associazione mafiosa. I difensori fondavano tale assunto sulla circostanza che nei confronti del de cuius non vi era mai stato un accertamento definitivo in ordine alla sussistenza della pericolosita' sociale o degli indizi di appartenenza ed, anzi, la precedente procedura di prevenzione instaurata innanzi a questo Tribunale era stato definito nell'anno 2001 in sede di appello con il rigetto della proposta. Prospettando, dunque, come concreta la possibilita' di un accertamento di pericolosita' (evidentemente sulla base di elementi di novita' rispetto al precedente giudicato) ulteriore a quello gia' svoltosi in costanza di vita di Passarelli Dante, la Difesa evidenziava il contrasto della procedura con il principio costituzionale del «giusto processo», in quanto implicante un accertamento incidentale della "responsabilita' di prevenzione di un soggetto deceduto «impossibilitato a difendersi rispetto alle accuse che gli verrebbero mosse», sia per la ontologica inesistenza del soggetto stesso, sia per la carenza di un sistema di rappresentanza che sia effettivo e plausibile. In particolare, quanto al profilo della "rappresentanza" del deceduto, la Difesa richiamava gli orientamenti della giurisprudenza di legittimita' che affermano la inesistenza della sentenza di condanna emessa nei confronti di un imputato dopo la sua morte (Cass. Sez. V 25 luglio 2003 n. 31470) e la previsione del codice di rito che non ammette la possibilita' di una interlocuzione di terzi sul provvedimento di proscioglimento per morte del reo, in quanto l'art. 568 comma 3 c.p.p. limita la operativita' del diritto di impugnazione esclusivamente al soggetto al quale lo riconosce, tra i quali appunto non e' compreso espressamente l'erede dell'imputato che voglia ottenere una diversa formula di proscioglimento del deceduto (Cass. 23 dicembre 1999 n. 14631). Quanto alla portata del procedimento di prevenzione rispetto all'elusione delle garanzie difensive conseguente alla riforma legislativa dell'art. 2-ter legge n. 575/65, la Difesa richiamava - oltre alle pronunce della Corte Europea dei diritti dell'uomo (sentenze Bocellari e Rizza contro Italia e sentenza Pene contro Italia il recente intervento del giudice costituzionale, laddove, nell'affermare che il procedimento di prevenzione non puo' sottrarsi alla udienza pubblica, ha ribadito le specifiche peculiarita' del procedimento di prevenzione all'esito del quale il giudice e' chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati quali la liberta' personale (art. 13) ed il patrimonio e sulla stessa liberta' di iniziativa economica, incisa dalle misure anche gravemente inabilitanti previste a carico del soggetto cui e' applicata la misura di prevenzione. In tale ottica, il giusto procedimento di prevenzione non puo' che richiedere l'effettiva partecipazione del soggetto interessato al procedimento di accertamento della propria pericolosita' sociale, non essendo possibile ad alcuno nell'ordinamento processuale penale succedere nella sua difesa. Seguiva a dette considerazioni la puntuale analisi del compendio sequestrato al fine di escludere la provenienza illecita dei singoli beni. All'esito della camera di consiglio, ritiene il collegio doveroso sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter comma 11 legge n. 55/1965, per le ragioni di seguito esposte. Rilevanza 3. Ritiene il collegio, anche alla luce delle argomentazioni difensive sopra richiamate, che la disciplina dettata dall'art. 2-ter comma 11 della legge 575 del 1965, norma posta a fondamento della presente procedura di prevenzione patrimoniale, presenti profili di contrasto con norme di rango costituzionale e, segnatamente, come di seguito esposto, con i principi costituzionali del diritto di difesa e del giusto processo consacrati negli artt. 24, 27 (1) e 111 della Costituzione, con conseguente necessita' di sollevare questione di legittimita' costituzionale della norma che consente l'attivazione della procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di soggetto deceduto prima della formulazione della richiesta. Al fine di evidenziare il requisito della rilevanza della questione di legittimita' sollevata in tale sede, appare al Collegio doveroso ripercorrere l'evoluzione normativa e giurisprudenziale in materia di rapporto tra misure di prevenzione personali e patrimoniali. Come gia' esposto in sede di sequestro, l'art. 2-ter della legge n. 575 del 1965 contemplava, nella formulazione precedente ai recenti interventi legislativi, un rapporto di pregiudizialita' tra misure personali e misure patrimoniali, consentendo il sequestro dei beni di un soggetto "indiziato di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni comunque localmente denominate che agiscono con metodi corrispondenti a quelli dell'associazione di tipo mafioso" (art. 1 legge 575/1965) solo nell'ambito di un procedimento instaurato per l'applicazione di misure personali e la confisca solo successivamente o contemporaneamente alla irrogazione della misura personale. Il descritto rapporto di pregiudizialita', sebbene ritenuto da piu' parti non idoneo a consentire una efficace aggressione ai patrimoni mafiosi, e' stato ritenuto conforme a Costituzione con ordinanza della Corte costituzionale 23 giugno 1988 n. 721 che, investita della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter in relazione agli artt. 41 e 42 Cost., nella parte in cui non consentiva la confisca dei beni dell'indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa deceduto nelle more del procedimento o dopo l'irrogazione della misura personale, ha dichiarato inammissibile la questione, sul rilievo che l'esigenza di eliminare dal circuito giuridico la «proprieta' mafiosa» indipendentemente dalle vicende riguardanti la persona del proprietario poteva essere soddisfatta solo dal legislatore, non potendosi ammettere un intervento additivo in materia sanzionatoria, precluso dal principio di legalita'. L'esigenza di attenuare il vincolo di stretta pregiudizialita' tra la misura di prevenzione personale e patrimoniale e' stata, peraltro, avvertita e risolta in via interpretativa da una serie di pronunce della giurisprudenza di legittimita' in relazione alle ipotesi di sopravvenuta morte della persona pericolosa e di cessazione della preesistente pericolosita' sociale. In particolare, nell'esaminare l'esito procedimentale sul versante patrimoniale nel caso di morte presunta del prevenuto, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Sez. Un., 3-17 luglio 1996, Simonelli) hanno affermato il principio secondo cui anche in caso di morte del soggetto sottoposto a misura di prevenzione personale con decreto divenuto definitivo, intervenuto anteriormente alla irrevocabilita' del provvedimento di confisca dei suoi beni patrimoniali, l'intervento ablatorio conserva la sua efficacia, e cio' sul rilievo che "il venire meno del "proposto" - una volta che siano rimasti accertati ai fini specifici della speciale legislazione in materia i presupposti di pericolosita' qualificata (nel senso di indiziato di appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso) e di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca - non fa venir meno quest'ultima misura, posto che le finalita' perseguite dal legislatore, non prescindono, ne' potrebbero, dalla "preesistenza" del soggetto, e neppure possono ritenersi necessariamente legate alla sua "persistenza in vita"; principio quest'ultimo strettamente connesso con la ratio sottesa ai provvedimenti di applicazione della misura di prevenzione della confisca, da invidiare nell'esigenza di colpire beni e proventi di natura presuntivamente illecita per escluderli dal circuito economico collegato ad attivita' e soggetti criminosi: di qui il corollario che, accertata la provenienza illecita dei beni e l'ingiustificata disponibilita' da parte di persona socialmente pericolosa, l'applicazione della misura diventa obbligatoria a prescindere dalla sopravvenuta morte del prevenuto, essendo necessario, a tal fine, la mera esistenza di un collegamento tra la misura personale e quella patrimoniale (Cass. I, 24 novembre 1998, Marchese, in Cass. Pen., 1999, 3558; Cass. I, 22 settembre 1999, Calamia ed altro, ivi, 2000, 1410; Cass.11, 14 aprile 1999, ivi, 2000, 1411). Nel formulare il principio in esame, la Corte osservava che la confisca prevista nell'ambito del procedimento di prevenzione non ha il carattere sanzionatorio di natura penale, ne' quello di un provvedimento di prevenzione, dovendo piuttosto essere ricondotta nell'ambito di quel tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile, quanto al contenuto e agli effetti, alla misura di sicurezza prevista dall'art. 240 comma 2 c.p. In tale prospettiva, la giurisprudenza di legittimita' ha costantemente ribadito che il procedimento di prevenzione patrimoniale poteva essere anche iniziato in seguito alla cessazione degli effetti dell'applicazione della misura di prevenzione personale (per sopravvenuta incompatibilita' con una misura di sicurezza detentiva o con la liberta' vigilata, ovvero qualora venga meno, per eventi successivi, l'accertata pericolosita' sociale del prevenuto, Cass., 14 febbraio 1997, in Cass. pen. 1997, p. 3170) ed aveva espressamente riconosciuto in relazione alla confisca ma non al sequestro, la non caducazione della misura gia' disposta per effetto del decesso del soggetto prima della definitivita' del relativo provvedimento, sempre che i presupposti di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, da un lato, e di pericolosita' del soggetto, dall'altro, fossero gia' stati definitivamente accertati: cio' perche' la ratio della confisca, a differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va al di la' dell'esigenza di prevenzione nei confronti di determinati soggetti pericolosi e sorregge dunque la misura anche oltre la permanenza in vita del soggetto pericoloso; lo scopo della misura preventiva e', infatti, quello di eliminare l'utile economico proveniente dall'attivita' criminosa e tale finalita' resterebbe frustrata se i familiari o gli eventuali prestanome della persona affiliata ad organizzazioni criminali potessero riacquistare la disponibilita' dei beni confiscati in seguito alla morte della persona socialmente pericolosa" (Cass., Sez. Un., 3 luglio 1996, in cui si evidenzia che "il decesso [...] potrebbe essere deliberatamente perseguito da terzi proprio al fine di riciclare i beni"'). Tale orientamento e' stato costantemente richiamato ed applicato anche nelle ipotesi di cessazione della pericolosita', nel senso che il venir meno, per eventi successivi, dell'accertata pericolosita' sociale del prevenuto, non esplica alcuna influenza sulla confisca del patrimonio a lui riconducibile e ritenuto il frutto o il reimpiego di attivita' illecite. (Cassi, 15 giugno 2005, Libri Cass. II, 14 febbraio 1997, Nobile ed altri). L'elaborazione giurisprudenziale citata trovava peraltro avallo anche nella disciplina positiva, nella parte in cui non sempre la misura patrimoniale seguiva o affiancava quella personale: si pensi, in particolare, a quanto previsto dall'art. 2-ter, comma 7, che consente di instaurare il procedimento di prevenzione nei confronti di persona assente, residente o dimorante all'estero, alla quale potrebbe applicarsi la misura di prevenzione personale, ai soli fini dell'applicazione dei provvedimenti patrimoniali di sequestro e confisca; ovvero al disposto dell'art. 2-ter, comma 8, che estende la medesima disciplina nei confronti di persona gia' sottoposta a misura di sicurezza detentiva o a liberta' vigilata; ipotesi, queste ultime, in cui il legislatore gia' contemplava una deroga al necessario collegamento tra misura di prevenzione personale e misura di prevenzione patrimoniale. L'esigenza di attenuare il vincolo di pregiudizialita' tra misura di prevenzione personale e patrimoniale, in funzione dell'esigenza primaria di sottrarre dal circuito economico beni collegati ad attivita' criminali ovvero acquisiti in forza della appartenenza ad una associazione mafiosa, e' stata segnalata anche dalla Commissione Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalita' organizzata mafiosa o similare che, in sede di relazione conclusiva, sottolineava l'esigenza di "di recidere il nesso di pregiudizialita' tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali; di prevedere, conseguentemente, la possibilita' che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento, senza la previsione di alcun termine di decadenza dall'azione". La prospettiva indicata e' stata da ultimo recepita dal legislatore che, con l'art. 10 comma 1, lett. C), n.2 del d.l. 23.5.2008 n. 92, convertito con modificazioni dalla legge 24 luglio 2008 n. 125, ulteriormente modificato con legge 15 luglio 2009 n. 94, ha aggiunto all'art. 2-bis della L. 575 del 1965 il comma 6-bis prevedendo che "Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste ed applicate disgiuntamene e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosita' sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione. Le misure patrimoniali possono essere disposte anche nel caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. Nel caso la morte sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa". Inoltre, l'art. 10 della legge 24 luglio 2008 n. 125 ha aggiunto all'art. 2-ter legge n. 575/1965 altri commi e, tra questi, la disposizione che prevede l'inizio del procedimento finalizzato alla confisca delle ricchezze illecite anche dopo la morte della persona pericolosa: "La confisca puo' essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare, entro il termine di cinque anni dal decesso". Le recenti previsioni legislative hanno, quindi, accentuato la tendenza alla oggettivizzazione del procedimento patrimoniale antimafia, come dimostrato sia dalla possibilita', espressamente prevista, di applicazione disgiunta delle misure di prevenzione personali e patrimoniali (potendo queste ultime essere richieste ed applicate indipendentemente dalla pericolosita' sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura: cfr. art. 2-bis comma 6-bis legge 575/1965), sia dalla possibilita' di proporre l'azione patrimoniale nei confronti di beni gia' appartenuti a soggetto deceduto, purche' la relativa richiesta venga formulata entro cinque armi dal decesso. Pur in presenza di tale tendenza, il vigente sistema legislativo postula pur sempre un indefettibile collegamento con il profilo personale del soggetto cui e' riferibile la proposta di applicazione della misura di prevenzione patrimoniale, nel senso che l'ambito di applicazione del sequestro e della confisca di prevenzione deve intendersi limitata solo nei confronti del patrimonio dei soggetti indiziati di cui all'art. 1 della legge n. 575/'65: in tale direzione si pronuncia, d'altra parte, l'art. 1 della legge laddove stabilisce che solo i soggetti in questione sono "i destinatari della legge in esame". In altri termini, la valutazione della ricorrenza del presupposto soggetto ("indiziato di appartenere ad una associazione mafiosa") rappresenta un passaggio obbligato per la valutazione dei presupposti per la confisca del bene delineati dall'art. 2-ter e tale preventiva valutazione, sia pure in via incidentale, si impone - alla luce del vigente sistema legislativo - pur nella ipotesi prevista dall'art. 2-ter comma 11 in cui la proposta di confisca venga formulata nei confronti di soggetto gia' deceduto (entro il limite di cinque anni dal decesso): in altri termini, il giudizio di appartenenza del soggetto deceduto ad una associazione mafiosa, in ragione dei comportamenti posti in essere in vita, costituisce "elemento costitutivo" della fattispecie complessa contemplata dalla nonna in tale sede censurata. Inoltre, il vigente sistema legislativo consente di attivare la procedura contemplata dall'art. 2-ter legge n. 575/1965 pur nelle ipotesi in cui nei confronti del soggetto deceduto non vi sia stato, in costanza di vita, un accertamento definitivo - in sede di prevenzione ovvero in sede penale - della pericolosita' sociale derivante dalla appartenenza ad un sodalizio mafioso: tale profilo determina, a parere del collegio, per le considerazioni di seguito esposto, una concreta lesione del diritto di difesa e del principio del giusto processo, apparendo evidente che nell'ipotesi di soggetto gia' deceduto la valutazione del presupposto soggettivo di cui all'art. 1 della legge 57511965 verrebbe di fatto operata senza che sia possibile instaurare il contraddittorio con il soggetto cui tale qualifica e' attribuita. Non manifesta infondatezza 4. La legittimita' costituzionale del procedimento di prevenzione. Il tema della compatibilita' delle misure di prevenzione con il dettato costituzionale e' stato affrontato dalla Consulta in piu' occasioni. Nell'avallare generalmente l'impianto della prevenzione, la Corte ha avuto modo di specificare in piu' occasioni come alcuni concetti chiave di tale sistema vadano concretamente interpretati per garantirne la compatibilita' con il dettato costituzionale, a partire da quello di "pericolosita' sociale". Con la sentenza 177 del 1980 la Consulta - nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge 1423/1956 laddove prevedeva l'applicazione delle misure di prevenzione ai cosiddetti "proclivi a delinquere" - ha escluso, richiamando anche precedenti sentenze sul tema, tra cui la sentenza 23 del 1964, che "le misure di prevenzione possano essere adottate sul fondamento di semplici sospetti", richiedendosi piuttosto «una oggettiva valutazione di fatti da cui risulti la condotta abituale e il tenore di vita della persona o che siano manifestazioni concrete della sua proclivita' al delitto, e siano state accertate in modo da escludere valutazioni puramente soggettive e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le misure di prevenzione». La Corte nella citata pronuncia ebbe ad evidenziare che la legittimita' delle misure di prevenzione (all'epoca, soltanto personali) e' necessariamente subordinata all'osservanza del principio di legalita' ed all'esistenza della garanzia giurisdizionale, specificando che "l'intervento del giudice (e la presenza della difesa, la cui necessita' e' stata affermata senza riserve) nel procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione non avrebbe significato sostanziale...se non fosse preordinato a garantire, nel contraddittorio tra le parti, l'accertamento di fattispecie legali predeterminate". Prima delle recenti novelle del 2008 e del 2009, il nesso tra le misure personali e quelle patrimoniali e' stato oggetto di un vivace dibattito in dottrina e giurisprudenza ed e' stato specificamente affrontato in alcune pronunce della Corte Costituzionale. Cosi', con la sentenza 335 del 1996 la Corte ha dichiarato inammissibile la questione di legittimita' costituzionale - in riferimento agli arti. 3, 42 e 112 Cost. - dell'art. 9-ter, comma 7, della legge n. 575/1965 nella parte in cui non prevede che, oltre che nei casi espressamente previsti di assenza, o di residenza o dimora all'estero, anche nel caso di morte della persona proposta il procedimento di prevenzione possa essere iniziato o proseguito al solo fine di irrogare i provvedimenti patrimoniali di sequestro e confisca dei beni che si ritengono frutto di attivita' illecite. Nell'affermare il principio in esame, la Corte rilevava che l'adozione di misure di ordine patrimoniale il sequestro e la confisca - accede normalmente all'applicazione delle misure di ordine personale, secondo una scelta del legislatore che la Corte aveva gia' ritenuto ragionevole nella sentenza 465 del 1993. Il principio e' che le misure patrimoniali sono rivolte non a beni come tali, per la loro mera sospetta provenienza illegittima, ma piuttosto a beni che rientrano nella disponibilita' di persone socialmente pericolose. In particolare, con la sentenza 335 la Corte ha riconosciuto che l'intervento richiesto, ossia l'aggiunta del decesso della persona sospettata alle ipotesi in cui le misure patrimoniali prescindono da quelle personali, "non rappresenterebbe una semplice nazionalizzazione del sistema", ma piuttosto "un'innovazione conseguente ad una scelta di politica criminale la quale, in quanto tale, non rientra nei poteri del giudice di' costituzionalita' delle leggi". Peraltro, nella medesima pronuncia si ribadiva la compatibilita' del sistema delle misure di prevenzione (all'epoca vigente e connotato da una scelta normativa radicalmente opposta a quella perseguita nel 2008) alla stregua degli articoli 3, 42 e 112 Cost. proprio in quanto il legislatore era rimasto fermo nel, richiedere, per l'emanazione dei provvedimenti di sequestro e confisca, un collegamento tra la cautela patrimoniale e l'esistenza di soggetti individuati, da ritenere pericolosi. In senso analogo la Corte si era pronunciata nell'ordinanza n. 721 del 1988, in cui la Corte aveva affermato che "un intervento di produzione normativa" quale quello ipotizzato "compete esclusivamente al legislatore e, pertanto, esorbita dai poteri di questa Corte". Anche nella sentenza n. 465/93 della Corte costituzionale si era incidentalmente ritenuta l'esclusione della possibilita' di irrogare misure patrimoniali indipendentemente dalle personali. Il tema e' stato nuovamente sottoposto all'attenzione della Corte costituzionale nel 2004, quando e' stata sollevata - in riferimento agli arti. 3, 41, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione - questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge n. 575/1965, nella parte in cui non consentiva di disporre la confisca di beni, dei quali si accerti l'illecita provenienza, in caso di rigetto della proposta di applicazione della misura di prevenzione personale per cessazione della pericolosita' sociale del proposto successiva all'acquisizione illecita dei beni ed antecedente alla decisione. La Corte, con l'ordinanza 368 del 2004, ha reputato la questione manifestamente inammissibile, con le stesse argomentazioni esposte nelle precedenti pronunce sul tema. In specie, in tale ultimo arresto, la Corte ha dichiarato la manifesta inammissibilita' della questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 2-ter comma 3 della legge n. 575/65 sollevata in riferimento agli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione, nella parte in cui non consentiva di disporre la confisca dei beni, dei quali si sia accertata l'illegittima provenienza, in caso di rigetto della proposta di applicazione della misura personale di prevenzione per cessazione della pericolosita' del proposto antecedente alla decisione. La Consulta ha precisato - sulla base del previgente quadro normativo - che il sistema rimaneva ancorato al principio per cui le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra beni di cui non sia provata la legittima provenienza e soggetti portatori di pericolosita' sociale che ne dispongano. Altre questioni di legittimita' costituzionale delle misure in esame sono state affrontate solo incidentalmente e in relazione ad altre fattispecie (art. 12-quinques e sexies legge n. 356/92). Si fa riferimento, in primo luogo, alla sentenza della Corte Cost. 17 febbraio 1994, n. 48, che ha affermato la compatibilita' con i principi costituzionali dell'adozione di misure cautelari reali, indipendentemente dalla verifica sulla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, posto che e' possibile graduare i valori che l'ordinamento tutela (da un lato la liberta' personale, dall'altro la libera disponibilita' dei beni), e costruire differentemente il "potere" del giudice di adottare le misure e, conseguentemente, la tipologia del controllo in sede di gravane. Il secondo comma dell'art. 12-quinquies della legge n. 356/92 puniva con la reclusione da due a cinque anni coloro nei cui confronti pendeva procedimento penale per reati riconducibili al crimine organizzato, ovvero nei cui confronti era applicata una misura preventiva a carattere personale o si procedeva per la sua applicazione, quando gli stessi avevano la disponibilita' di beni, denaro, utilita' in valore sproporzionato al proprio reddito o all'attivita' economica svolta e non ne potevano giustificare la legittima provenienza. Alla pena detentiva si aggiungeva la confisca dei valori sproporzionati dei quali l'imputato non dimostrava la lecita origine. La sanzione penale derivava quindi, in siffatta ipotesi, non gia' dalla commissione di un reato, ma dalla semplice pendenza di un procedimento, e dunque dal sospetto della commissione di altri reati. L'utilizzo della figura del reato di sospetto era inoltre ancorata ad uno stana processuale provvisorio (soggetto indagato/proposto), sollevando dubbi, sia in dottrina che in giurisprudenza, sulla compatibilita' della norma con il dettato costituzionale. Questi dubbi erano aggravati poiche' la disposizione, ponendo a carico dell'indagato/proposto l'onere di dimostrare la legittima provenienza dei beni per sottrarsi alla sanzione prevista, prevedeva una vera e propria inversione dell'onere della prova, la cui sussistenza era stata ammessa dallo stesso Ministro dell'Interno allora in carica, l'on. Mancino, che la giustificava con l'esigenza di "penetrare fino in fondo nei patrimoni della criminalita' organizzata" (Senato della Repubblica, 1992: 15), Per questi motivi la fattispecie era stata fortemente criticata dalla dottrina sia per la sua evanescenza, sia per il contrasto con significativi principi, quali, tra l'altro, il principio di non colpevolezza (art. 27 comma secondo Cost.). ed il diritto di difesa (art. 24 Cost.). Analoghe considerazioni avevano spinto la giurisprudenza a sottoporre la nonna al vaglio della Corte costituzionale: la Consulta, con la sentenza 48/94, ne ha pronunciato l'illegittimita' costituzionale per violazione dell'art. 27 comma secondo della Costituzione. In tale sentenza la Corte ha richiamato anzitutto le ragioni di politica criminale che hanno spinto il Governo ad introdurre della disposizione contestata, ossia la necessita' di disporre di strumenti idonei " ...a fronteggiare, sul piano della prevenzione e della repressione, il gravissimo fenomeno del crimine organizzato", evidenziando che, tuttavia, nel perseguire questo scopo, il legislatore ha preteso di assimilare, "settori dell'ordinamento del tutto eterogenei: quello del diritto penale sostanziale e quello delle misure di prevenzione". Come ha notato la Corte, la struttura della fattispecie mostrava, infatti, chiaramente delle analogie con l'impianto del sistema di prevenzione ante-delictum: il sequestro di prevenzione previsto dall'art. 2-ter della legge n. 575/65 colpisce infatti i beni rientranti nella disponibilita' di talune categorie di 'indiziati' non solo quando vi sono sufficienti indizi per ritenere che tali beni sono il frutto di attivita' illecite o ne costituiscono il reimpiego, ma anche quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attivita' economica svolta; la confisca di prevenzione riguarda poi i beni dei quali non sia stata dimostrata la legittima provenienza. Tuttavia, ha sostenuto la Corte, se «puo' ritenersi non in contrasto con i principi costituzionali una norma che, al limitato fine di attivare misure di tipo preventivo, desume dalla qualita' di indiziato per taluni reati il sospetto che la sproporzione tra beni posseduti e reddito dichiarato possa esser frutto di illecita attivita', altrettanto non puo' dirsi ove l'analoga situazione venga ricondotta all'interno di una previsione incriminatrice, giacche' la legittimita' di una simile fattispecie rinverrebbe un insormontabile ostacolo proprio nel principio di presunzione di non colpevolezza che i giudici a quibus hanno correttamente invocato». Dalla violazione della presunzione di non colpevolezza sancita dall'art. 27 comma secondo Cost. derivavano, secondo la Corte, ulteriori conseguenze, quali la violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa. Il principio di uguaglianza risultava violato in quanto soggetti che versano nella stessa situazione, cioe' dispongono di valori sproporzionati al reddito, subivano un trattamento differenziato a seconda che nei loro confronti venga o meno avviato un procedimento. La mancata osservanza del diritto di difesa discendeva, invece, dalla circostanza che la fattispecie in esame ha previsto una vera e propria inversione dell'onere della prova, ponendo a carico dell'imputato l'onere di fornire "una giustificazione qualificata, giacche' questa deve consistere nella legittimita' della provenienza dei beni o delle utilita'". Per quel che interessa ai presenti fini va osservato che in tale circostanza la Consulta ritenne integrata la lesione dei diritti di difesa a causa dell'inversione dell'onere della prova pur, comunque, nell'ambito di un giudizio in cui garantita la possibilita' di un contraddittorio pieno ed effettivo con il soggetto indagato. Inoltre, la pronuncia della Consulta del 29 gennaio 1996 n. 18 ha ritenuto non irragionevole la presunzione ope legis dell'esistenza di un nesso pertinenziale tra categorie di reati e i beni di cui il condannato non possa giustificare la provenienza e che risultino di valore sproporzionato rispetto al reddito o alla attivita' economica del condannato stesso. Con tale ordinanza la Corte costituzionale ha avuto modo di pronunciarsi sul rapporto della confisca di valori ingiustificati con alcuni fondamentali diritti costituzionali, giungendo a dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-sexies della legge n. 356/92 in relazione agli arti. 3, 24 comma secondo, 27 comma secondo, 42 e 97 comma primo della Costituzione. Si e' a tal fine sostenuto che la norma introduce - piu' che una vera e propria rottura del vincolo pertinenziale che lega cosa e reato - una ragionevole presunzione ex lege dell'esistenza di un nesso di pertinenzialita' tra determinate figure di reato e i beni del condannato che risultano essere di valore sproporzionato al suo reddito ovvero all'attivita' economica svolta, quando questi non sia in grado di giustificarne la provenienza. Tale posizione e' stata ulteriormente specificata dalla Corte di Cassazione, che nella sentenza Berti (Cass. Pen., Sez. VI, 15 aprile 1996) ha fornito un'interpretazione della norma compatibile con la Costituzione sotto il profilo probatorio, sostenendo che "l 'art. 12-sexies non richiede piu' la giustificazione della provenienza legittima, bensi' un'attendibile e circostanziata giustificazione, da valutarsi in concreto da parte del giudice, secondo il principio della liberta' della prova e del libero convincimento". La norma si limiterebbe ad introdurre, secondo la Corte di Cassazione, una presunzione relativa di illecita provenienza dei valori sproporzionati al reddito o all'attivita' economica del condannato, sul quale viene trasferito un mero onere di allegazione. Giova osservare che anche in tali pronunce ultime (peraltro tutte precedenti all'introduzione del cd. giusto processo nel novellato testo dell'articolo 111 della Costituzione) mai si ammette la praticabilita' delle misure ablative patrimoniali in assenza non solo di dati presupposti personali - addirittura un'affermazione di penale responsabilita' cristallizzata in una condanna per taluni reati specificamente indicati - ma addirittura dell'astratta possibilita' di un contraddittorio con il soggetto portatore di siffatti profili personali. Non si dimentichi che anche l'ammissibilita' della confisca ex art. 12- sexies, operata dalla giurisprudenza di legittimita' nonostante la morte del condannato, presuppone imprescindibilmente un pieno accertamento della sua penale responsabilita' svolto in contraddittorio tra le parti e con tutte le garanzie del processo penale. Ancora, deve evidenziarsi che la Corte di Cassazione ha aggiunto alcune importanti precisazioni volte a favorire una lettura delle misure di prevenzione patrimoniale conforme al dettato costituzionale, ed in particolare alla presunzione d'innocenza. Ha, infatti, chiarito in numerose pronunce che il sistema di prevenzione patrimoniale non prevede alcuna inversione dell'onere della prova, ponendo a carico dell'interessato, piuttosto, un onere di allegazione. Come affermato dalla Suprema Corte, ad esempio, nella sentenza del 23 giugno 2004, secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato «l'onere di provare la provenienza illecita dei beni incombe, in primo luogo, sull'organo procedente, salvo l'onere di allegazione imposto al prevenuto per sminuire od elidere la situazione probatoria a suo carico». A questa attenta elaborazione giurisprudenziale, iniziata con la sentenza della Corte Costituzionale n. 465/93 e ripresa dalla stessa Corte con la sentenza n. 335/1996, si' e' affiancata un'altra prospettiva ermeneutica portata avanti dalla Corte di Cassazione e culminata nella sentenza, resa a SS. W., n. 18 del 1996 (la nota sentenza Simonelli) dal cui orientamento non ci si e' piu' discostati. Parte della giurisprudenza di legittimita' (in specie, la sentenza della I Sezione Penale della Corte di Cassazione, 28 marzo 1995, Ranucci) aveva, infatti, sostenuto che il decesso del proposto, intervenuto prima che fosse divenuto definitivo il provvedimento di confisca di prevenzione, avrebbe comportato non solo il venir meno della misura di prevenzione personale, ma anche quello conseguenziale di natura patrimoniale. In altri arresti (vedasi Cass. Pen. Sez. I, 17 luglio 1995, D'Antoni), invece, si era affermato che la confisca, disciplinata dall'articolo 2-ter della legge n. 575/65, fosse correlata ad una precisa connotazione di obiettiva illiceita' della res, che ne aveva determinato la pericolosita' in se', con l'effetto di consentire l'ablazione anche quando la misura di prevenzione personale, cui accedeva, fosse cessata in conseguenza della morte del proposto. Le SS.UU. erano state chiamate a risolvere il contrasto insorto tra le sezioni semplici circa la caducazione, o meno, della "misura di prevenzione patrimoniale" della confisca in caso di decesso del proposto che, nel caso di specie, era intervenuto prima della definizione del procedimento di prevenzione personale, con la conseguenza che Corte di merito aveva dichiarato la perdita di efficacia del sequestro. Per risolvere il contrasto, le Sezioni Unite hanno proceduto ad una interpretazione della normativa in materia di misure di prevenzione al fine di giungere all'esatta individuazione della natura del provvedimento di confisca ed alla "ratio" sottesa al suo inserimento nell'ambito del preesistente procedimento di prevenzione. La Corte ha, innanzitutto, sottolineato che le due normative di cui alle leggi 27 dicembre 1956 n. 1423 e 31 maggio 1965 n. 575 e successive loro modificazioni, seppur correlate tra di loro, avevano e continuavano ad avere un ambito di applicazione diverso. La prima, infatti, aveva introdotto misure dirette a proporre ed applicare, in via generale, ben individuate misure al fine specifico di prevenire, attraverso una serie di limitazioni, le condotte di soggetti ritenuti pericolosi per la sicurezza e per la pubblica moralita'. Da qui l'innegabile qualificazione di misure di prevenzione. La seconda, invece, aveva preso le mosse dalla necessita' di predisporre adeguati e specifici mezzi di contrasto nei confronti di soggetti "indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso, alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate, che perseguono finalita' ed agiscono con metodi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso", formula questa frutto della modifica apportata dall'art. 13 della legge 13 settembre 1982 n. 646. Con la stessa legge, oltre alla modifica sopra indicata ed all'introduzione nell'ambito delle misure di prevenzione personali vere e proprie, dell'obbligo di soggiorno, erano stati introdotti gli istituti del sequestro - anche cautelare - e della confisca (con l'art. 2-ter). E - sebbene la legge facesse riferimento sia nel titolo che nel testo a "disposizioni in materia di prevenzione di carattere patrimoniale" e, in via generale (capo II ), a "disposizioni in materia di misure di prevenzione" - sin da subito si era compreso che l'istituto della confisca non poteva essere qualificato come una nuova misura di prevenzione stante la sua finalita' ablativa in favore dello Stato ex art 4 legge 4 agosto 1989 n. 282. A tale qualificazione, al di la' del dato formale frutto evidente di una imprecisione letterale, ostava anche la "ratio" dell'intervento legislativo volto, senza alcun dubbio, ad eliminare dal circuito economico beni provenienti da attivita' ricollegate alla ritenuta appartenenza del soggetto ad un'associazione di tipo mafioso. Una volta escluso sia 1l carattere sanzionatorio di natura penale (essendo la stessa inserita nell'ambito del procedimento di prevenzione), sta quello di un provvedimento di "prevenzione", la Corte ha concluso che la confisca andava ricondotta nell'ambito di quel tertium genus costituito da una sanzione amministrativa, equiparabile (quanto al contenuto ed agli effetti) alla misura di sicurezza prevista dall'art. 240 cpv. C.P., applicata, per scelta non sindacabile del legislatore, nell'ambito dell'autonomo procedimento di prevenzione previsto e disciplinato dalla legge. n. 575/1965 e successive modificazioni. La tesi della natura autonoma della confisca avrebbe trovato, poi, un preciso riscontro nelle modificazioni introdotte dalla legge 19 marzo 1990 n. 55 che hanno sancito l'autonomia dei due procedimenti - penale e di prevenzione (art. 9) - e la possibilita' di applicazione della confisca anche in caso di assenza, residenza o dimora all'estero del soggetto al quale "potrebbe applicarsi la misura di prevenzione", ancorche' il relativo procedimento di prevenzione non fosse stato iniziato. Invero, nel corso dei lavori preparatori della legge n. 55/90, e piu' precisamente nella seduta del 20 settembre 1989, era stata prospettata la possibilita' del superamento del principio dell'accessorieta', ma l'idea non era stata poi trasfusa nel testo licenziato. Sulla scorta delle argomentazioni svolte la Corte ha, quindi, ritenuto che il quadro normativo di riferimento, pur restando sempre collegato ad un soggetto avente una pericolosita' qualificata (per come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 465/93) aveva spostato la sua attenzione verso la disponibilita' dei "beni" in capo al proposto in quanto ritenuti, se frutto dell'attivita' illecita, di alimentare e rafforzare l'attivita' criminale. Partendo da questa considerazione e dall'assoluta autonomia tra il procedimento penale e quello di prevenzione (che comporta la possibilita' di applicazione dei provvedimenti, personali e/o patrimoniali, anche in contrasto con le conclusioni cui possa pervenire il giudizio penale) la Corte ha concluso che il venire meno del "proposto", una volta accertati i presupposti della sua pericolosita' qualificata e di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca, non faceva venir meno quest'ultima misura, posto che le finalita' perseguite dal legislatore, prescindevano dalla "preesistenza" del soggetto, e neppure potevano ritenersi necessariamente legate alla sua "persistenza in vita". La Corte, sulla base di tali presupposti, ha chiarito che la confisca, prevista nello specifico procedimento di prevenzione, ha per presupposto la pericolosita' del soggetto-destinatario delle misure di prevenzione (personali) vere e proprie, ancorche' non eseguite o non eseguibili a causa del decesso di questi e, per altro verso, essa e' diretta - a differenza delle misure personali e del sequestro - a sottrarre i beni in via definitiva alla disponibilita' dell'indiziato di appartenenza, sebbene tale risultato sia conseguibile solo all'esito definitivo del giudizio. Invero, va evidenziato che ai presenti fini appare rilevante come la Corte pur ritenendo percorribile la via della confisca nonostante il decesso del proposto prima della definitivita' del provvedimento ablativo - non solo non l'ha affatto ricostruita come sganciata dal presupposto della pericolosita' dello stesso, ma ha testualmente affermato l'impossibilita' di "prescindere dalla valutazione obiettiva di una concreta pericolosita', anche su base indiziaria" e ribadito che "anche il venir meno del proposto - una volta che siano rimasti accertati ai fini specifici della speciale legislazione in materia i presupposti di pericolosita' qualificata (nel senso di indiziato di appartenenza ad un'associazione di tipo mafioso) e di indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca - non fa venir meno quest'ultima misura". Del resto, anche le ipotesi residue citate dalla Corte a sostegno della tesi prospettata (possibilita' di applicazione della sola confisca anche in caso di assenza, residenza o dimora all'estero, applicabilita' dell'ablazione anche nei confronti di un proposto latitante ovvero nelle ipotesi di revoca/modifica della misura personale e, potrebbe aggiungersi, anche nei confronti di persone sottoposte ad una misura di sicurezza detentiva ovvero alla liberta' vigilata, nonche' nelle ipotesi di cui agli articoli 3-quater e 3-quinquies della legge n.575) hanno tutte in comune non certo la possibilita' di prescindere dall'accertamento di pericolosita' qualificata del proposto - che dovra' essere svolto nel giudizio di prevenzione oppure lo e' gia' stato in caso di revoca sopravvenuta della misura personale - quanto la possibilita' di prescindere dalla concreta possibile applicazione della sorveglianza speciale di P.S. In effetti, come rilevato gia' in precedenza dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 335/96, in tali ipotesi non puo' affatto dirsi che il sequestro e la confisca si siano resi indipendenti dall'esistenza di individuate persone pericolose, atteso che "nel caso dell'assenza o della residenza all'estero la pronuncia della misura patrimoniale presuppone comunque una valutazione di pericolosita' della persona... in altri casi, la misura di prevenzione personale e', per cosi' dire, resa superflua o assorbita da altre misure gia' in atto, come quelle di sicurezza, che presuppongono anch'esse una valutazione di pericolosita' della persona. In altri ancora, la pericolosita' viene dalla legge desunta dall'esistenza di indizi di situazioni personali, anche penalmente rilevanti, di particolare gravita'. E, infine, vi sono ipotesi in cui la rilevanza della pericolosita' soggettiva non e' abolita ma, per cosi' dire, spostata da chi ha la disponibilita' economica dei beni a chi dal loro impiego viene avvantaggiato nella sua attivita' criminosa". Ma in nessuna di tali fattispecie puo' osservarsi la pretermissione, originaria e presupposta, del contraddittorio con il proposto sia in ordine ai profili personali che patrimoniali del giudizio: e', infatti, evidente che in tutti i casi indicati innanzi, ed a differenza di quello che interessa il collegio attualmente, il proposto e' messo nella condizione di scegliere liberamente se e come difendersi (partecipando personalmente, nelle forme del rito di prevenzione, ovvero a mezzo di difensore di fiducia o di ufficio) e fruisce comunque della garanzia dell'assistenza tecnica, anche qualora non possa o non voglia essere presente alle udienze. Come si puo' osservare, quindi, la sentenza Simonelli per un verso lascia sullo sfondo e non considera le eventuali problematiche determinate, in tema di corretta instaurazione del contraddittorio e di tutela del diritto di difesa, dal sopravvenuto decesso del proposto e, per altro verso, continua a pretendere ai fini della confisca un vero e proprio accertamento dei presupposti personali e patrimoniali richiesti dalla legge antimafia e, parallelamente, la mancata dimostrazione della legittima provenienza dei beni. Attivita' dimostrative, queste, che non spiega se dovessero essere soltanto quelle gia' svolte nel procedimento di prevenzione (nel caso di specie erano stati superati due gradi di giudizio con conferma delle misure irrogate al proposto, deceduto prima del ricorso in Cassazione) ovvero anche quelle che, dopo la morte del proposto, avrebbero potuto essere teoricamente disposte, nell'ambito di una diversa ipotesi - ad esempio, allorche' il decesso fosse sopravvenuto nelle more del primo grado di giudizio - ad opera del Pubblico Ministero e/o dei terzi intestatari in assenza di qualsivoglia possibile interlocuzione sul punto da parte del proposto medesimo. Cio' a maggior ragione quando, come nella vicenda Passarelli, la proposta di misure di prevenzione patrimoniali e' stata avanzata ai sensi dell'articolo 2-ter comma il della legge n. 575/65, anni dopo il decesso del proposto, il quale era stato prosciolto nel merito in un precedente giudizio di prevenzione ed era morto durante la sottoposizione a processo penale per un delitto associativo, prima della sentenza di primo grado. Nonostante le conclusioni che discendevano dalla ricostruzione formulata dalle Sezioni Unite nella sentenza Simonelli, tuttavia, in epoca successiva la Corte costituzionale - pronunciandosi sulla questione relativa al rapporto tra misure di prevenzione personali e misure patrimoniali - con la sentenza 29 novembre 2004, n. 368, ha escluso un rapporto di completa autonomia tra le stesse. La Corte costituzionale del 2004, infatti, argomentava che il vigente sistema legislativo, pur in presenza della tendenza a rendere in alcuni casi le misure di prevenzione patrimoniali autonome rispetto a quelle personali, rimane ancorato al principio che le misure patrimoniali presuppongono necessariamente un rapporto tra beni di cui non sia provata la legittima provenienza e i soggetti portatori di pericolosita' sociale che ne dispongano, o che siano avvantaggiati dal loro reimpiego nell'ambito di attivita' delittuose, essendo la pericolosita' del bene «considerata dalla legge derivare dalla pericolosita' della persona che ne puo' disporre». Conseguentemente, un intervento, volto a rendere possibile l'applicazione della confisca in caso di contestuale rigetto della richiesta di misura di prevenzione personale per mancanza del requisito della pericolosita' sociale, si tradurrebbe in una «innovazione conseguente ad una scelta di politica criminale» che non rientra nei poteri della Corte costituzionale, ma e' di esclusiva spettanza del Legislatore. La Corte costituzionale sembrava, dunque, contemplare la possibilita' che il legislatore operasse delle modifiche nel senso di uno sganciamento tra misura di prevenzione patrimoniale e misura personale. In questo complesso quadro interpretativo sono sopravvenute le riforme ascrivibili alla legge n. 125/08 ed alla legge n. 94/09. La seconda parte del novellato comma 6-bis dell'art. 2-bis L. 565/75 ha, appunto, trasfuso in legge la richiamata elaborazione giurisprudenziale introducendo - quale logico corollario all'opzione legislativa in favore del principio dell'autonomia tra i procedimenti per l'applicazione di misura di prevenzione personale e quelli per l'applicazione di misura di prevenzione patrimoniale - la previsione che, nel caso di decesso del proposto, le misure patrimoniali possono comunque essere disposte e che, nel caso la morte dovesse sopraggiungere nel corso del procedimento, esso prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. La nuova previsione normativa va poi coordinata con quella contenuta nel nuovo comma 10 dell'art 2-ter legge n. 565/75 che stabilisce un limite temporale massimo di 5 anni, decorrente dal decesso, entro il quale e' possibile attivare il procedimento per l'applicazione della misura patrimoniale nei confronti dei successori a titolo universale o particolare. Le premesse ideologiche delle summenzionate riforme sono chiaramente esplicitate nei lavori preparatori della riforma (Disegno di legge A.S. n. 733-B, "Disposizioni in materia di sicurezza pubblica"). Si legge che la novella legislativa intende porre rimedio alle "difficolta' operative nell'aggressione dei beni mafiosi dovute all'obsolescenza della normativa di prevenzione", ritenute elemento determinante del "profondo senso di insicurezza e timore" che attanaglia la popolazione italiana nel presente momento storico, e affermando la sussistenza dei presupposti della necessita' e di urgenza a fondamento dell'utilizzo del decreto legge, al fine di effettuare una compiuta rivisitazione della normativa regolante le misure di prevenzione patrimoniale. Il ricorso sempre piu' incisivo agli strumenti di ablazione patrimoniale, li ha resi progressivamente assimilabili all'astio in rem ispirata ad un concetto di pericolosita' in se' del bene, in quanto proveniente dal delitto, piuttosto che di pericolosita' della persona, potendosi anche prescindere -alla stregua delle evoluzioni giurisprudenziali poi consacrate in norma di legge - dall'esistenza in vita del soggetto attinto dalla misura prima della conclusione del procedimento prevenzionale, che potra' spiegare i suoi effetti anche in danno degli eredi. Nei lavori preparatori si evidenzia che tale modifica andava nel senso segnalato, nel corso della scorsa legislatura, dalla Commissione nazionale antimafia che, nella relazione sullo stato di attuazione della normativa e delle prassi applicative in materia di sequestro, confisca e destinazione dei beni della criminalita' organizzata (Doc. XXIII, n. 3), affermava che "L'indissolubile relazione che la norma fissa tra la pericolosita' del soggetto e la possibilita' di sottoporre a confisca i patrimoni nella sua disponibilita' espone, dunque, i provvedimenti ablatori dei patrimoni alle sorti dei provvedimenti giudiziari concernenti la pericolosita' sociale del soggetto stesso. Appare, pertanto opportuno procedere a modche normative nel senso della separazione tra le misure di prevenzione personali e le misure patrimoniali... Questo renderebbe possibile, innanzitutto, che, in caso di morte del proposto, il procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento. In sintesi, si immagina una sorta di 'Perdurante illiceita' dei beni" strettamente connessa alla formazione degli stessi". La ratio e' quella di evitare il proliferare di ricchezze non giustificate, immesse in un circuito economico connotato da forte valenza criminale. La legge n. 94/09 e' tornata sulla questione ed e' intervenuta nuovamente sull'art. 2-bis della legge 575/1965 (attraverso una novella al gia' ricordato art. 10 del decreto-legge n. 92/2008), al fine di prevedere che le misure di prevenzione patrimoniali possono essere richieste e applicate "indipendentemente dalla pericolosita' sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione" . L'ulteriore tassello costituito dal predetto inciso sembrerebbe alludere ad un'intrinseca pericolosita' del bene, considerato viziato da presunta provenienza illecita, in quanto fosse nella disponibilita' di un soggetto indiziato di appartenenza ad un sodalizio mafioso o ad esso equiparato e perche' riveste un valore sproporzionato rispetto alle risorse economiche del proposto. Orbene, non sfugge che un'interpretazione letterale del suddetto inciso potrebbe indurre a ritenere che il legislatore abbia inteso prescindere dall'accertamento della pericolosita' sociale del soggetto attinto da confisca. Si e', tuttavia, osservato in- giurisprudenza che tale lettura porrebbe rilevanti problemi di compatibilita' della disposizione in esame con i principi costituzionali di cui agli artt. 27, 41 e 42 Cost., tacendo il fatto che, comunque, gli articoli 2-ter (comma 1) e 2-bis testualmente ancorano la procedibilita' delle misure patrimoniali ad «un procedimento per l'applicazione di una delle misure di prevenzione...iniziato nei confronti delle persone indicate nell'articolo 1». Si e', dunque, proposta una lettura costituzionalmente orientata della norma, per cui la misura di prevenzione patrimoniale deve ritenersi applicabile non soltanto nei casi normativamente previsti, ma pure in ulteriori ipotesi in cui la misura personale, pur in presenza di un individuo pericoloso, o che e' stato a suo tempo pericoloso, non puo' essere irrogata, per il ravvisato difetto di attualita' della pericolosita' sociale ovvero perche' sia cessata l'esecuzione della misura personale medesima. Acclarata, pertanto, nell'elaborazione giurisprudenziale assolutamente prevalente, l'impossibilita' di prescindere nel giudizio finalizzato all'irrogazione della confisca di prevenzione da un vaglio - sia pure incidentale - sulla pericolosita' del soggetto proposto, si pone in maniera sempre piu' evidente un problema di compatibilita' delle moderne sanzioni patrimoniali con taluni fondamentali principi costituzionali, mancando, infatti, allo stato, una pronuncia della Corte costituzionale che abbia svolto una compiuta valutazione dei profili di legittimita' costituzionale delle disposizioni da ultimo citate. Cio' anche in considerazione del fatto che buona parte dei richiamati precedenti della Consulta, nonche' la stessa sentenza Simonelli, avevano per presupposto un quadro costituzionale profondamente differente rispetto a quello attuale, caratterizzato dalla cristallizzazione nel nuovo articolo 111 dei principi del ed. giusto processo, tra cui spiccano il contraddittorio e la parita' delle armi tra le parti. Peraltro, giova evidenziare che anche nella recente sentenza n. 6684 del 18 febbraio 2010, Santomauro, la Corte di Cassazione, nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, sollevata con riferimento agli articoli 3, 24 e 111 Cost., dell'articolo 2-ter della legge n. 575/65 nella parte in cui, prevedendo la confisca dei beni di cui non sia dimostrata la legittima provenienza, pregiudicherebbe il diritto di difesa per l'impossibilita' di provare la liceita' di proventi risalenti nel tempo, ha precisato che ai fini dell'operativita' della disposizione censurata non e' sufficiente la mancata allegazione dell'interessato in ordine alla legittima provenienza dei beni (trattandosi altrimenti di un'inammissibile inversione dell'onere probatorio), ma e' necessario che l'affermazione dell'illegittima provenienza dei beni costituisca l'epilogo di una decisione assunta in esito alla delibazione di elementi indiziari di inequivoca sintomaticita'. Appare assai significativo ai fini del presente giudizio che - al di la' della decisione della Suprema Corte sulla specifica eccezione - si sia ribadito (dopo l'entrata in vigore sia del nuovo articolo 111 della Costituzione che delle citate riforme del 2008 e 2009) che la legge predispone ai fini dell'emanazione del provvedimento di confisca "un vero e proprio procedimento, nel quale, come in altre procedure, ha valore centrale il contraddittorio, si da assicurare il compiuto dispiegamento delle ragioni della difesa". S'impone, a giudizio del collegio, proprio alla stregua della sopravvenienza, per un verso, di tale fondamentale disposizione e, per altro verso, della possibilita' di agire con le misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei successori del de cuius pericoloso, un vaglio sulla compatibilita' tra siffatti principi di rango costituzionale ed il nuovo assetto della prevenzione patrimoniale disciplinato dal legislatore del 2008-2009. Non possono naturalmente essere ignorati i pronunciamenti della Corte Europea dei diritti dell'uomo, che in generale ha si affermato la conformita' della confisca antimafia prevista dalla legislazione speciale italiana, ma in quanto la misura sia prevista dalla legge, finalizzata ad uno scopo legittimo (quale e' il contrasto alle organizzazioni criminali di stampo mafioso) proporzionata allo scopo perseguito ed imposta secondo un procedimento qualificabile come pienamente giurisdizionale. 5. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 2 ter comma 11 della legge n.575/1965 Ritiene il collegio che - al di la' della specifica regolamentazione del contraddittorio prevista per il procedimento di prevenzione e degli interventi giurisprudenziali in materia - la possibilita' di assicurare la partecipazione personale dell'interessato al giudizio rivesta un' indiscutibile importanza tanto dal punto di vista della salvaguardia dei diritti soggettivi dell'individuo giudicabile quanto da quello, oggettivo, della legalita' della procedura rispetto alle posizioni delle parti. Se, infatti, sotto il primo profilo la partecipazione - almeno astrattamente ipotizzabile e non fisicamente, prima che giuridicamente, possibile come nel caso in esame - costituisce una condizione essenziale per l'esplicazione dei diritti che competono al soggetto in quanto contraddittore (e, quindi, del diritto di essere ascoltato, di controllare l'esattezza delle sue affermazioni confrontandole con quelle delle altre parti, di rivolgere domande e chiedere chiarimenti a testimoni e periti, di prospettare circostanze di fatto solo a lui note al fine di contestare la prospettazione accusatoria in ordine alla genesi del patrimonio, ovvero a ricostruire la propria effettiva capacita' reddituale, etc...), in ordine al secondo aspetto puo' dirsi che sia la stessa definizione costituzionale dei processo (di qualsiasi processo, alla stregua del dato testuale dell'articolo 111 della Costituzione) come contraddittorio a determinare l'essenzialita' della possibile partecipazione del soggetto in ipotesi qualificabile come portatore di pericolosita' personale in quanto momento di realizzazione di una situazione processuale giuridicamente rilevante. Va ribadito, quindi, che in ogni processo di parti la presenza fisica dell'interessato (o almeno la possibilita' astratta di partecipare) costituisce momento fondamentale del rapporto processuale, che condiziona la correttezza globale del giudizio in quanto, come sostenuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo "il principio dell'eguaglianza delle armi postula la possibilita' per ciascuna parte di presentare la sua causa in condizioni tali da non trovarsi in una posizione di svantaggio in rapporto con l'altra parte". Peraltro, il Patto O.N.U. espressamente, all'articolo 14, comma 3, lettera d), enuncia il diritto "ad essere presente al processo", mentre la Raccomandazione n. 11, adottata il 21 maggio 1975 dal Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa e relativa alle regole minime cui informare il giudizio contumaciale, individua chiaramente ai punti i e 6 l'esigenza dell' "effettivita'" della citazione come momento che va oltre la mera "conoscenza del giudizio", ritenendo quest'ultima essenziale alla partecipazione effettiva dell'accusato al suo processo. E' evidente, nel caso in esame, l'inosservanza di tali principi, atteso che il legislatore ha costruito la fattispecie prescindendo dalla posizione del de cuius pericoloso e ritenendo integrato il contraddittorio formale nei confronti dei suoi successori a titolo universale o particolare. Al contrario, posta la correlazione tra presenza nel giudizio e possibilita' di autodifesa, la compressione di tale modalita' difensiva determinata dall'impossibilita' oggettiva dell'imputato di partecipazione al giudizio presenta profili di incompatibilita' con i principi minimi del contraddittorio, dal momento che - libero il proposto in vita di difendersi avvalendosi dell'attivita' tecnica di un difensore o di non difendersi affatto - tale liberta' risulta vistosamente compressa nel caso della impossibilita' materiale di essere presente. In effetti, anche per la Corte Europea di Strasburgo (cfr. le sentenze 10 novembre 2004, Sejdovic e. Italia; 23 marzo 1998, Belziuk e. Polonia; 12 ottobre 1992, T. c. Italia; 12 febbraio 1985, Colozza c. Italia) la partecipazione personale dell'interessato alle fasi del processo a suo carico non soltanto costituisce un diritto che trova il suo fondamento nelle facolta' concesse dall'articolo 6 paragrafo 3, lett. c), della CEDU (di dire cio' che ritiene utile alla sua difesa, di interrogare personalmente i testi a discarico e controinterrogare quelli a carico, nonche' di proporre direttamente istanze al giudice), ma ha fondamento oggettivo per l'importanza che riveste la necessita' di verificare l'esattezza delle affermazioni dell'interessato e di compararle con quelle delle altre parti (cfr. Corte Europea, sent. 21 gennaio 1999, Van Gejseghem c. Belgio; 25 marzo 1998, Belziuk c. Polonia; 13 maggio 1980, Artico c. Italia). Non sfugge che tale specificazione si attaglia perfettamente alle peculiarita' del giudizio di prevenzione patrimoniale, dovendosi sovente valutare le differenti ricostruzioni delle vicende formative del patrimonio prospettate dal proposto e dai terzi intestatari, portatori di un interesse potenzialmente contrapposto a quello dei soggetto pericoloso e finalizzato ad ottenere in loro favore la restituzione del bene sequestrato. Ancora, si e' ritenuto integrare violazione dell'articolo 6, par. I e 3, della CEDU per grave aggiramento dei diritti di difesa, il mancato riconoscimento del diritto dell'imputato a comparire personalmente alle udienze, atteso che la partecipazione del suo difensore seppur sufficiente a garantire la difesa tecnica su questioni processali, non consentiva di dire "giusto" il processo celebrato in tali condizioni (in tal senso, Corte eur., 3 ottobre 2000, Pobornikoff c. Austria). La Corte europea ha anche precisato che e' la nozione stessa di giusto processo ad implicare la facolta', per l'interessato, di assistere al suo giudizio (Corte eur., 15 luglio 2003, Porcellini e. San Marino). Piu' in generale, la Corte ha evidenziato che "tutti i processi penali devono rivestire un carattere contraddittorio e garantire la parita' delle armi tra l'accusa e la difesa: questo e' uno degli aspetti fondamentali del diritto ad un processo equo" (Corte eur., 8 dicembre 2009, Previti c. Italia). Quanto alla rilevanza degli interessi in gioco, possono citarsi le conclusioni cui e' giunta recentemente la Consulta nella sentenza n. 93/10 (con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle norme sul giudizio di prevenzione nella parte in cui non consentivano, su richiesta di parte, la procedibilita' dei giudizi di merito con le forme dell'udienza pubblica). Ne' puo' ignorarsi che anche nella sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione n. 7/2010, ric. Cagnazzo, in tema di inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche nel giudizio di prevenzione, si e' richiamata la giurisprudenza della CEDU nella parte in cui fa riferimento alle specifiche peculiarita' del giudizio di prevenzione - che valgono a differenziarlo dal complesso delle altre procedure camerali - trattandosi di una procedura all'esito della quale il giudice e' chiamato a esprimere un giudizio di merito idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su beni dell'individuo costituzionalmente tutelati, quali la liberta' personale (articolo 13 comma 1 Cost.), il patrimonio (quest'ultimo aggredito, normalmente, in maniera massiccia ed in componenti di particolare rilievo), nonche' la stessa liberta' di iniziativa economica, incisa dalle misure gravemente inabilitanti previste a carico dei soggetti sottoposti. In quella sede, si e' giunti, come visto, ad estendere anche in tale settore dell'ordinamento un principio di valutazione della prova squisitamente proprio del rito penale. Nel caso in esame - esclusa la possibilita' di una partecipazione personale del soggetto qualificabile come portatore di pericolosita' ai sensi dell'articolo i della legge n. 575/65 e succ. mod. - giova evidenziare che neppure sarebbe ipotizzabile immaginare un contraddittorio instaurato validamente con un eventuale difensore del de cuius (che si facesse carico di difendere la sua posizione sia in ordine ai profili personali che patrimoniali della procedura), sia in quanto testualmente il novellato articolo 2-ter comma 11 della legge citata contempla unicamente i successori come soggetti nei cui confronti avanzare la proposta di confisca di prevenzione, sia perche' il nostro ordinamento non contempla tale evenienza, determinando, nel giudizio penale (le cui regole procedurali risultano normalmente applicabili al giudizio di prevenzione in tema di rappresentanza e difesa del proposto), la morte dell'interessato l'estinzione immediata dei rapporto processuale, con conseguente inammissibilita' per difetto di legittimazione di atti compiuti dal difensore del soggetto gia' deceduto (il principio e' stato elaborato dalla giurisprudenza di legittimita' in materia di impugnazioni, ai sensi dell'articolo 571 c.p.p.). Infine, occorre esaminare la praticabilita' di una via alternativa al ricorso al giudice delle leggi che, nel caso di specie, potrebbe essere quella di ritenere sufficiente ai fini del vaglio incidentale sulla pericolosita' del de cuius "il materiale istruttorio" raccolto, in contraddittorio, nell'ambito di un procedimento gia' svoltosi nei confronti del proposto poi deceduto per reati dai quali sia possibile desumere la sua qualita' di indiziato ai sensi dell'articolo della legge n. 575/65. Tale soluzione, tuttavia, soprattutto nelle ipotesi, come quella in esame, in cui non si sia formato un accertamento di merito sulla pericolosita' del soggetto, non appare soddisfacente proprio sotto il profilo del diritto di difesa e del principio del contraddittorio e della parita' delle armi, sanciti dagli articoli 24 e i 11 della Costituzione. Cio', in primo luogo, perche' prescinde per definizione dalla possibilita' che il soggetto nei cui confronti si formula pur sempre un giudizio di pericolosita' (ma anche di disponibilita', sproporzione ed illecita provenienza dei beni) si difenda sul punto in quella che e' la sede propria dell'accertamento, ossia nella procedura di prevenzione instaurata dopo la morte ed in relazione alle finalita' specifiche di tale procedura: esigenza di difesa che non appare adeguatamente soddisfatta dal meccanismo contemplato dal legislatore, ossia quello dell'instaurazione del contraddittorio con successori a titolo universale o particolare, con una previsione che appare dettata piu' al fine di' consentire l'instaurazione del procedimento, che non un valido ed effettivo contraddittorio su ciascuna delle valutazioni demandate al giudice (sussistenza degli indizi di appartenenza del proposto deceduto ad associazioni mafiose; verifica della disponibilita' da parte di quest'ultimo di beni; verifica dei presupposti di sproporzione ed illecita provenienza). In altri termini, mal si comprende come potrebbero i successori difendersi efficacemente (e non ricoprire soltanto un ruolo formale di parte processuale) su vicende che hanno coinvolto il loro ascendente e delle quali potrebbero non essere a conoscenza. Inoltre, non appare convincente, utilizzare, in assenza di reale contraddittorio, gli esiti probatori di un diverso procedimento, svoltosi in costanza di vita del soggetto, nel giudizio di prevenzione instarato posi mortern: del resto, se e' vero che nel processo penale e' possibile acquisire e valutare (sia pure entro i limiti dell'articolo 192 c.p.p.) le sentenze irrevocabili rese in altro giudizio penale (art. 238 bis c.p.), nonche' i verbali di prove di altro procedimento penale (la cui acquisizione e' significativamente ammessa ai sensi dell'articolo 238 c.p.p. solo se trattasi di prove assunte in contraddittorio e la cui utilizzazione risulta preclusa salvo che il difensore dell'imputato abbia partecipato all'assunzione della relativa prova), e' altrettanto che cio' avviene nell'ambito di due giudizi omogenei e che, soprattutto, l'acquisizione e l'utilizzabilita' degli atti sono valutate nel pieno contraddittorio tra le parti nell'ambito del processo in cui si desidera valorizzare la prova in questione e, quindi, nel rispetto dei diritti di difesa e del principio del contraddittorio e del giusto processo. In definitiva, la previsione censurata appare in insanabile contrasto con principi costituzionali di cui agli articoli 24, commi l e 2 e 111 della Carta Costituzionale, con conseguente necessita' di adire il Giudice delle leggi.
P.Q.M. Visti gli articoli 134 Cost., 23 e ss. legge 11 marzo 1953, n. 87, Solleva questione di legittimita' costituzionale dell'articolo 2-ter, comma 11, della legge 31 maggio 1965, n. 575, recante Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso anche straniere, per contrasto con gli articoli 24, commi 1 e 2, e 111 della Costituzione. Sospende la decisione del giudizio in corso ed ordina che gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale. Manda alla cancelleria per le comunicazioni alle parti e gli adempimenti di rito, per la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri e per la comunicazione al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati. Cosi' deciso in Santa Maria Capua Vetere, nella Camera di consiglio del 3 marzo 2011. Il Presidente: Casella