N. 178 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 marzo 2011

Ordinanza del 3 marzo 2011 emessa dal Tribunale di Santa Maria  Capua
Vetere nel procedimento penale a carico di De Marco Teresa ed altri. 
 
Misure di prevenzione - Misure di prevenzione patrimoniali - Confisca
  dei beni di persona indiziata di  appartenere  ad  associazione  di
  stampo mafioso - Proponibilita' della misura, in caso di morte  del
  soggetto nei confronti del  quale  potrebbe  essere  disposta,  nei
  riguardi  dei  successori  a  titolo  universale  o  particolare  -
  Denunciata attivazione della procedura di prevenzione  patrimoniale
  nei confronti di soggetto deceduto prima della  formulazione  della
  richiesta,   in   mancanza   dell'accertamento   definitivo   della
  pericolosita' sociale del proposto - Lesione del diritto di  difesa
  e del principio del giusto processo, a fronte della  impossibilita'
  oggettiva di instaurare il contraddittorio. 
- Legge 31 maggio 1965, n. 575, art. 2-ter, comma 11. 
- Costituzione, artt. 24, commi primo e secondo, e 111. 
(GU n.37 del 31-8-2011 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letti gli atti della procedura  in  epigrafe  indicata,  relativa
alla  proposta  di   applicazione   della   misura   di   prevenzione
patrimoniale formulata  dalla  Procura  della  Repubblica  presso  il
Tribunale di Napoli ai sensi dell'art. 2-ter, comma 11 della legge n.
575/1965 nei confronti di De  Marco  Teresa  ed  i  figli  Passarelli
Biagio, Franco, Gianluca, Davide, Antonella  e  Maria  Teresa,  quali
successori a titolo universale di Passarelli Dante, nato a  Casal  di
Principe il 2 dicembre 1937, ivi deceduto il 3 novembre 2004; 
    Instaurato il contraddittorio camerale; 
    Viste  le   conclusioni   rassegnate   dal   Pubblico   Ministero
all'udienza del 13 dicembre 2010 e dalle difese alle udienza  del  16
febbraio 2011; 
    Riunito in camera di consiglio; 
    Ritenuta la necessita' di sospendere la deliberazione al fine  di
sollevare questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2-ter
comma  11  della  legge  n.  575/1965,  ha  pronunciato  la  seguente
ordinanza. 
    1. Con proposta depositata in Cancelleria in  data  30  settembre
2009 il Pubblico Ministero presso  il  Tribunale  di  Napoli,  D.D.A,
avanzava  a  questo  Tribunale  istanza  di  sequestro  e  successiva
confisca ex art. 2-ter comma 11 della legge 575/1965  dei  beni  gia'
nella disponibilita' di Passarelli Dante, nato a Casal di Principe il
2 dicembre 1937 ed ivi deceduto il 3 novembre 2004. 
    In conformita' al dettato normativo, che prevede che «la confisca
puo' essere proposta, in caso di morte del soggetto nei confronti del
quale potrebbe essere disposta, nei riguardi dei successori a  titolo
universale  o  particolare  entro  il  termine  di  cinque  anni  dal
decesso», il Pubblico Ministero individuava, quali soggetti  nei  cui
riguardi, era avanzata la proposta, i successori a titolo  universale
di Passarelli Dante, ossia il coniuge De  Marco  Teresa  ed  i  figli
Passarelli  Biagio,  Franco,  Gianluca,  Davide,  Antonella  e  Maria
Teresa. 
    Nell'illustrare la proposta, il Pubblico Ministero richiamava gli
elementi dimostrativi della pericolosita' sociale ed  qualificata  di
Passarelli  Dante  emersi  nel  corso  del  procedimento  penale  cd.
«Spartacus» celebratosi  innanzi  alla  Corte  di  Assise  di  questo
Tribunale (in  cui  l'imputato,  unitamente  a  numerosi  altri,  era
chiamato a rispondere del delitto p. e p. dall'art. 416-bis c.p.  per
aver partecipato all'associazione camorristica denominata  «clan  dei
casalesi») definito con sentenza pronunciata  in  data  15  settembre
2005 di declaratoria di estinzione del reato per morte  del  reo;  in
particolare, nell'analizzare la  posizione  di  Passarelli  Dante  la
Corte di Assise rilevava: «L'imputato Passarelli Dante e' deceduto in
data 4 novembre 2004. L'evento,  verificatosi  in  prossimita'  della
decisione, dopo la formulazione  delle  conclusioni  da  parte  della
pubblica  accusa  (udienza  del  28-604),  determina  l'emissione  di
declaratoria di avvenuta estinzione del reato, ai sensi dell'articolo
531 c.p.p. Non puo',  infatti,  trovare  applicazione  la  previsione
normativa di cui all'articolo 129 comma 2 c.p.p.,  atteso  che  dagli
atti non emerge l'evidenza, nel merito, di alcuna  concreta  prova  a
discarico. Come e' stato rappresentato in sede  di  requisitoria  (si
veda il verbale di udienza gia' indicato)  e  come  ulteriormente  si
dira'  trattando  (al  capitolo  8)  alcune   vicende   patrimoniali,
l'istruttoria  ha  raffigurato,  attraverso  numerose   dichiarazioni
provenienti da collaboranti, verifiche documentali ed intercettazioni
telefoniche, l'esistenza di uno stabile  rapporto  tra  l'imputato  e
l'organizzazione, specie nel settore del reimpiego  dei  capitali  di
provenienza illecita». 
    Nell'ottica  del  Pubblico  Ministero  proponente,  inoltre,  gli
elementi emersi nel corso  dell'istruttoria  dibattimentale  svoltasi
nel  processo  sopra  indicato   consentivano   l'attivazione   della
procedura  di  prevenzione  patrimoniale  pur  in  presenza  di   una
precedente  procedura  volta  alla  applicazione  della   misura   di
prevenzione personale e patrimoniale instaurata in costanza  di  vita
di Passarelli Dante innanzi a questo Tribunale, definita con  decreto
della Corte di Appello di Napoli  del  24.10.2001  (confermato  dalla
Suprema  Corte)  che,  riformando  il  decreto  di  primo  grado   di
applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza  speciale
con obbligo di soggiorno e di confisca di beni,  aveva  rigettato  la
proposta per carenza del presupposto soggettivo delineato dall'art. 1
della legge  n.  575/1965  ("soggetto  indiziato  di  appartenere  ad
associazioni di tipo mafioso). 
    Sul punto  il  Pubblico  Ministero  -  dopo  aver  richiamato  il
costante indirizzo  espresso  dalla  giurisprudenza  di  legittimita'
secondo cui nell'ambito del procedimento di prevenzione al  giudicato
va attribuito valore «rebus sic  stanti  bus»,  ossia  limitato  alle
situazioni di fatto valutate con il  decreto  di  applicazione  della
misura  preventiva,  con  conseguente  possibilita',  viceversa,   di
rivalutare la pericolosita' del prevenuto  in  presenza  di  elementi
indizianti nuovi e non precedentemente  considerati  evidenziava  che
nel corso del dibattimento svoltosi  innanzi  alla  Corte  di  Assise
erano   emersi   nuovi   elementi   (costituiti   essenzialmente   da
dichiarazioni  rese  da  plurimi  collaboratori  di  giustizia),  non
valutati nella precedente procedura di prevenzione e tali da  offrire
un  quadro  univoco  in  ordine  alla  sussistenza  del   presupposto
soggettivo di cui all'art. 1 della legge n. 575/1965. 
    Quanto,  poi,  al  profilo  patrimoniale  il  Pubblico  Ministero
evidenziava che la sussistenza di una evidente  sproporzione  tra  il
reddito dichiarato da Passarelli Dante e l'attivita' economica svolta
rispetto agli ingenti investimenti realizzati in vita era stata  gia'
compiutamente analizzata nel processo penale  in  sede  di  sequestro
preventivo dei beni ex art. 12-sexies D.L. n. 306 del  1992  nonche',
in fase dibattimentale, attraverso le perizie disposte in costanza di
dibattimento  dalla  Corte  di  Assise,  che  avevano  consentito  di
individuare e di stimare lo stato patrimoniale di Passarelli Dante  e
di verificarne la non compatibilita' con la capacita' reddituale. 
    2. Con decreto n. 8/2010 questo collegio disponeva  il  sequestro
anticipato dei beni gia' nella disponibilita' di Passarelli  Dante  e
fissava l'udienza del 9 giugno 2010 per la trattazione in  camera  di
consiglio  della  procedura,  integrando  il  contraddittorio  con  i
successori a titolo universale di Passarelli Dante. 
    Nel corso della udienza di conclusione - fissata all'esito di una
procedura di mera acquisizione documentale avendo le difese  prodotto
sostanzialmente elaborati tecnici sul patrimonio del  de  cuius  -  i
difensori degli eredi Passarelli, con specifica memoria, contestavano
la  sussistenza  dei  presupposti  normativi   posti   a   base   del
provvedimento di sequestro  ritenendo  in  sintesi  che  -  posta  la
ineludibile necessita' che l'azione di prevenzione venga attivata nei
confronti di soggetto pericoloso socialmente  e  considerato  che  in
ragione della riforme introdotte dall'art 10 della legge 125 del 2008
essa puo' riguardare anche soggetto non piu' pericoloso o non piu' in
vita all'atto dell'intervento - nel caso in esame sarebbe carente  il
requisito della pericolosita' sociale qualificata di Passarelli Dante
in termini di appartenenza ad una associazione mafiosa. 
    I difensori fondavano tale  assunto  sulla  circostanza  che  nei
confronti  del  de  cuius  non  vi  era  mai  stato  un  accertamento
definitivo in ordine alla sussistenza della pericolosita'  sociale  o
degli indizi di appartenenza ed, anzi,  la  precedente  procedura  di
prevenzione instaurata innanzi a questo Tribunale era stato  definito
nell'anno 2001 in sede di appello con il rigetto della proposta. 
    Prospettando,  dunque,  come  concreta  la  possibilita'  di   un
accertamento di pericolosita' (evidentemente sulla base  di  elementi
di novita' rispetto al precedente giudicato) ulteriore a quello  gia'
svoltosi  in  costanza  di  vita  di  Passarelli  Dante,  la   Difesa
evidenziava  il  contrasto   della   procedura   con   il   principio
costituzionale  del  «giusto  processo»,  in  quanto  implicante   un
accertamento incidentale della "responsabilita' di prevenzione di  un
soggetto deceduto «impossibilitato a difendersi rispetto alle  accuse
che gli verrebbero mosse», sia  per  la  ontologica  inesistenza  del
soggetto stesso, sia per la carenza di un sistema  di  rappresentanza
che sia effettivo e plausibile. 
    In particolare, quanto  al  profilo  della  "rappresentanza"  del
deceduto, la Difesa richiamava gli orientamenti della  giurisprudenza
di legittimita'  che  affermano  la  inesistenza  della  sentenza  di
condanna emessa nei confronti di un imputato dopo la sua morte (Cass.
Sez. V 25 luglio 2003 n. 31470) e la previsione del  codice  di  rito
che non ammette la possibilita' di una interlocuzione  di  terzi  sul
provvedimento di proscioglimento per morte del reo, in quanto  l'art.
568 comma 3 c.p.p. limita la operativita' del diritto di impugnazione
esclusivamente al soggetto al quale lo riconosce, tra i quali appunto
non  e'  compreso  espressamente  l'erede  dell'imputato  che  voglia
ottenere una diversa formula di proscioglimento del  deceduto  (Cass.
23 dicembre 1999 n. 14631). 
    Quanto alla portata  del  procedimento  di  prevenzione  rispetto
all'elusione  delle  garanzie  difensive  conseguente  alla   riforma
legislativa dell'art. 2-ter legge n. 575/65, la Difesa  richiamava  -
oltre  alle  pronunce  della  Corte  Europea  dei  diritti  dell'uomo
(sentenze Bocellari e Rizza contro  Italia  e  sentenza  Pene  contro
Italia il recente intervento  del  giudice  costituzionale,  laddove,
nell'affermare che il procedimento di prevenzione non puo'  sottrarsi
alla udienza pubblica, ha ribadito  le  specifiche  peculiarita'  del
procedimento  di  prevenzione  all'esito  del  quale  il  giudice  e'
chiamato ad esprimere un giudizio di merito, idoneo  ad  incidere  in
modo  diretto,  definitivo  e  sostanziale  su  beni   dell'individuo
costituzionalmente tutelati quali la liberta' personale (art. 13)  ed
il patrimonio e sulla stessa liberta' di iniziativa economica, incisa
dalle misure anche gravemente  inabilitanti  previste  a  carico  del
soggetto cui e' applicata la misura di prevenzione. 
    In tale ottica, il giusto procedimento di  prevenzione  non  puo'
che richiedere l'effettiva partecipazione del soggetto interessato al
procedimento di accertamento della propria pericolosita' sociale, non
essendo  possibile  ad  alcuno  nell'ordinamento  processuale  penale
succedere nella sua difesa. 
    Seguiva a dette considerazioni la puntuale analisi del  compendio
sequestrato al fine di escludere la provenienza illecita dei  singoli
beni. 
    All'esito della camera di consiglio, ritiene il collegio doveroso
sollevare questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  2-ter
comma 11 legge n. 55/1965, per le ragioni di seguito esposte. 
 
                              Rilevanza 
 
    3. Ritiene il collegio,  anche  alla  luce  delle  argomentazioni
difensive sopra richiamate, che la disciplina dettata dall'art. 2-ter
comma 11 della legge 575 del 1965, norma  posta  a  fondamento  della
presente procedura di prevenzione patrimoniale, presenti  profili  di
contrasto con norme di rango costituzionale e, segnatamente, come  di
seguito esposto, con i principi costituzionali del diritto di  difesa
e del giusto processo consacrati negli artt. 24, 27 (1) e  111  della
Costituzione, con conseguente necessita' di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale della norma  che  consente  l'attivazione
della procedura di prevenzione patrimoniale nei confronti di soggetto
deceduto prima della formulazione della richiesta. 
    Al  fine  di  evidenziare  il  requisito  della  rilevanza  della
questione di legittimita' sollevata in tale sede, appare al  Collegio
doveroso ripercorrere l'evoluzione normativa e  giurisprudenziale  in
materia  di  rapporto  tra  misure   di   prevenzione   personali   e
patrimoniali. 
    Come gia' esposto in sede di sequestro, l'art. 2-ter della  legge
n. 575 del 1965 contemplava, nella formulazione precedente ai recenti
interventi legislativi, un rapporto di  pregiudizialita'  tra  misure
personali e misure patrimoniali, consentendo il sequestro dei beni di
un  soggetto  "indiziato  di  appartenere  ad  associazioni  di  tipo
mafioso, alla camorra o ad  altre  associazioni  comunque  localmente
denominate  che  agiscono  con   metodi   corrispondenti   a   quelli
dell'associazione di tipo  mafioso"  (art.  1  legge  575/1965)  solo
nell'ambito di  un  procedimento  instaurato  per  l'applicazione  di
misure   personali   e   la   confisca   solo    successivamente    o
contemporaneamente alla irrogazione della misura personale. 
    Il descritto rapporto di pregiudizialita',  sebbene  ritenuto  da
piu' parti non  idoneo  a  consentire  una  efficace  aggressione  ai
patrimoni mafiosi, e' stato  ritenuto  conforme  a  Costituzione  con
ordinanza della Corte costituzionale  23  giugno  1988  n.  721  che,
investita della questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
2-ter in relazione agli artt. 41 e 42 Cost., nella parte in  cui  non
consentiva la confisca dei beni dell'indiziato di appartenere ad  una
associazione mafiosa deceduto nelle  more  del  procedimento  o  dopo
l'irrogazione della misura personale, ha dichiarato inammissibile  la
questione, sul rilievo  che  l'esigenza  di  eliminare  dal  circuito
giuridico la «proprieta'  mafiosa»  indipendentemente  dalle  vicende
riguardanti la persona del  proprietario  poteva  essere  soddisfatta
solo dal legislatore, non potendosi ammettere un intervento  additivo
in materia sanzionatoria, precluso dal principio di legalita'. 
    L'esigenza di attenuare il vincolo  di  stretta  pregiudizialita'
tra la misura di  prevenzione  personale  e  patrimoniale  e'  stata,
peraltro, avvertita e risolta in via interpretativa da una  serie  di
pronunce della  giurisprudenza  di  legittimita'  in  relazione  alle
ipotesi  di  sopravvenuta  morte  della  persona  pericolosa   e   di
cessazione della preesistente pericolosita' sociale. 
    In  particolare,  nell'esaminare   l'esito   procedimentale   sul
versante patrimoniale nel caso di morte presunta  del  prevenuto,  le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione (cfr. Sez. Un.,  3-17  luglio
1996, Simonelli) hanno affermato il principio secondo  cui  anche  in
caso di  morte  del  soggetto  sottoposto  a  misura  di  prevenzione
personale con decreto divenuto definitivo, intervenuto  anteriormente
alla irrevocabilita' del provvedimento  di  confisca  dei  suoi  beni
patrimoniali, l'intervento ablatorio conserva  la  sua  efficacia,  e
cio' sul rilievo che "il venire meno del "proposto" - una  volta  che
siano rimasti accertati ai fini specifici della speciale legislazione
in materia i presupposti di pericolosita' qualificata (nel  senso  di
indiziato di appartenenza ad un'associazione di tipo  mafioso)  e  di
indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca - non
fa venir meno quest'ultima misura, posto che le finalita'  perseguite
dal   legislatore,   non   prescindono,   ne'    potrebbero,    dalla
"preesistenza"   del   soggetto,   e   neppure   possono    ritenersi
necessariamente legate alla  sua  "persistenza  in  vita";  principio
quest'ultimo  strettamente  connesso  con   la   ratio   sottesa   ai
provvedimenti di  applicazione  della  misura  di  prevenzione  della
confisca, da invidiare nell'esigenza di colpire beni  e  proventi  di
natura presuntivamente illecita per escluderli dal circuito economico
collegato ad attivita' e soggetti criminosi:  di  qui  il  corollario
che, accertata la provenienza illecita dei  beni  e  l'ingiustificata
disponibilita'  da   parte   di   persona   socialmente   pericolosa,
l'applicazione della misura diventa obbligatoria a prescindere  dalla
sopravvenuta morte del prevenuto, essendo necessario, a tal fine,  la
mera esistenza di un collegamento tra la misura  personale  e  quella
patrimoniale (Cass. I, 24 novembre 1998,  Marchese,  in  Cass.  Pen.,
1999, 3558; Cass. I, 22 settembre 1999, Calamia ed altro, ivi,  2000,
1410; Cass.11, 14 aprile 1999, ivi, 2000, 1411). 
    Nel formulare il principio in esame, la Corte  osservava  che  la
confisca prevista nell'ambito del procedimento di prevenzione non  ha
il carattere  sanzionatorio  di  natura  penale,  ne'  quello  di  un
provvedimento di prevenzione,  dovendo  piuttosto  essere  ricondotta
nell'ambito  di  quel  tertium  genus  costituito  da  una   sanzione
amministrativa, equiparabile, quanto al  contenuto  e  agli  effetti,
alla misura di sicurezza prevista dall'art. 240 comma 2 c.p. 
    In  tale  prospettiva,  la  giurisprudenza  di  legittimita'   ha
costantemente   ribadito   che   il   procedimento   di   prevenzione
patrimoniale poteva essere anche iniziato in seguito alla  cessazione
degli effetti dell'applicazione della misura di prevenzione personale
(per  sopravvenuta  incompatibilita'  con  una  misura  di  sicurezza
detentiva o con la liberta' vigilata, ovvero qualora venga meno,  per
eventi successivi, l'accertata pericolosita' sociale  del  prevenuto,
Cass., 14 febbraio 1997, in  Cass.  pen.  1997,  p.  3170)  ed  aveva
espressamente riconosciuto in  relazione  alla  confisca  ma  non  al
sequestro, la non caducazione della misura gia' disposta per  effetto
del decesso del  soggetto  prima  della  definitivita'  del  relativo
provvedimento, sempre che i  presupposti  di  indimostrata  legittima
provenienza  dei  beni  oggetto  di  confisca,  da  un  lato,  e   di
pericolosita'  del   soggetto,   dall'altro,   fossero   gia'   stati
definitivamente accertati: cio' perche' la ratio  della  confisca,  a
differenza di quella delle misure di prevenzione in senso proprio, va
al di la' dell'esigenza di prevenzione nei confronti  di  determinati
soggetti pericolosi e  sorregge  dunque  la  misura  anche  oltre  la
permanenza in vita del soggetto pericoloso;  lo  scopo  della  misura
preventiva  e',  infatti,  quello  di  eliminare  l'utile   economico
proveniente dall'attivita'  criminosa  e  tale  finalita'  resterebbe
frustrata se i familiari o gli  eventuali  prestanome  della  persona
affiliata  ad  organizzazioni  criminali  potessero  riacquistare  la
disponibilita' dei  beni  confiscati  in  seguito  alla  morte  della
persona socialmente pericolosa" (Cass., Sez. Un., 3 luglio  1996,  in
cui  si   evidenzia   che   "il   decesso   [...]   potrebbe   essere
deliberatamente perseguito da terzi proprio al fine  di  riciclare  i
beni"'). 
    Tale orientamento e' stato costantemente richiamato ed  applicato
anche nelle ipotesi di cessazione della pericolosita', nel senso  che
il venir meno, per eventi  successivi,  dell'accertata  pericolosita'
sociale del prevenuto, non esplica alcuna  influenza  sulla  confisca
del patrimonio  a  lui  riconducibile  e  ritenuto  il  frutto  o  il
reimpiego di attivita' illecite. (Cassi, 15 giugno 2005, Libri  Cass.
II, 14 febbraio 1997, Nobile ed altri). 
    L'elaborazione giurisprudenziale citata trovava  peraltro  avallo
anche nella disciplina positiva, nella parte in  cui  non  sempre  la
misura patrimoniale seguiva o affiancava quella personale: si  pensi,
in particolare, a quanto  previsto  dall'art.  2-ter,  comma  7,  che
consente di instaurare il procedimento di prevenzione  nei  confronti
di persona assente, residente  o  dimorante  all'estero,  alla  quale
potrebbe applicarsi la misura di prevenzione personale, ai soli  fini
dell'applicazione  dei  provvedimenti  patrimoniali  di  sequestro  e
confisca; ovvero al disposto dell'art. 2-ter, comma 8, che estende la
medesima disciplina nei confronti di persona gia' sottoposta a misura
di sicurezza detentiva o a liberta' vigilata; ipotesi, queste ultime,
in cui il legislatore  gia'  contemplava  una  deroga  al  necessario
collegamento  tra  misura  di  prevenzione  personale  e  misura   di
prevenzione patrimoniale. 
    L'esigenza di attenuare il vincolo di pregiudizialita' tra misura
di prevenzione personale e patrimoniale,  in  funzione  dell'esigenza
primaria di  sottrarre  dal  circuito  economico  beni  collegati  ad
attivita' criminali ovvero acquisiti in forza della  appartenenza  ad
una associazione mafiosa, e' stata segnalata anche dalla  Commissione
Parlamentare di inchiesta sul fenomeno della criminalita' organizzata
mafiosa o similare che, in sede di relazione conclusiva, sottolineava
l'esigenza di "di recidere il nesso di pregiudizialita' tra le misure
di prevenzione personali e  le  misure  patrimoniali;  di  prevedere,
conseguentemente, la possibilita' che, in caso di morte del proposto,
il procedimento di prevenzione patrimoniale  continui  nei  confronti
degli eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento, senza  la
previsione di alcun termine di decadenza dall'azione". 
    La  prospettiva  indicata  e'  stata  da  ultimo   recepita   dal
legislatore che, con l'art. 10  comma  1,  lett.  C),  n.2  del  d.l.
23.5.2008  n.  92,  convertito  con  modificazioni  dalla  legge   24
luglio 2008 n. 125, ulteriormente modificato con legge 15 luglio 2009
n. 94, ha aggiunto all'art. 2-bis della L.  575  del  1965  il  comma
6-bis  prevedendo  che  "Le  misure  di   prevenzione   personali   e
patrimoniali possono essere richieste ed applicate  disgiuntamene  e,
per le misure di prevenzione  patrimoniali,  indipendentemente  dalla
pericolosita' sociale del soggetto proposto per la loro  applicazione
al momento della richiesta della misura  di  prevenzione.  Le  misure
patrimoniali possono essere disposte anche  nel  caso  di  morte  del
soggetto proposto  per  la  loro  applicazione.  Nel  caso  la  morte
sopraggiunga nel corso del procedimento esso prosegue  nei  confronti
degli eredi o comunque degli aventi causa". 
    Inoltre, l'art. 10 della legge 24 luglio 2008 n. 125 ha  aggiunto
all'art. 2-ter legge n.  575/1965  altri  commi  e,  tra  questi,  la
disposizione che prevede l'inizio del procedimento  finalizzato  alla
confisca delle ricchezze illecite anche dopo la morte  della  persona
pericolosa: "La confisca puo' essere proposta, in caso di  morte  del
soggetto nei  confronti  del  quale  potrebbe  essere  disposta,  nei
riguardi dei successori a titolo universale o particolare,  entro  il
termine di cinque anni dal decesso". 
    Le recenti previsioni legislative hanno,  quindi,  accentuato  la
tendenza  alla  oggettivizzazione   del   procedimento   patrimoniale
antimafia, come  dimostrato  sia  dalla  possibilita',  espressamente
prevista, di  applicazione  disgiunta  delle  misure  di  prevenzione
personali e patrimoniali (potendo queste ultime essere  richieste  ed
applicate indipendentemente dalla pericolosita' sociale del  soggetto
proposto per la loro applicazione al momento  della  richiesta  della
misura: cfr. art.  2-bis  comma  6-bis  legge  575/1965),  sia  dalla
possibilita' di proporre l'azione patrimoniale nei confronti di  beni
gia' appartenuti a soggetto deceduto, purche' la  relativa  richiesta
venga formulata entro cinque armi dal decesso. 
    Pur in presenza di tale tendenza, il vigente sistema  legislativo
postula pur sempre  un  indefettibile  collegamento  con  il  profilo
personale del soggetto cui e' riferibile la proposta di  applicazione
della misura di prevenzione patrimoniale, nel senso che  l'ambito  di
applicazione del sequestro  e  della  confisca  di  prevenzione  deve
intendersi limitata solo nei confronti del  patrimonio  dei  soggetti
indiziati di cui all'art. 1 della legge n. 575/'65: in tale direzione
si pronuncia, d'altra parte, l'art. 1 della legge laddove  stabilisce
che solo i soggetti in questione sono "i destinatari della  legge  in
esame".  In  altri  termini,  la  valutazione  della  ricorrenza  del
presupposto soggetto ("indiziato di appartenere ad  una  associazione
mafiosa") rappresenta un passaggio obbligato per la  valutazione  dei
presupposti per la confisca del bene delineati dall'art. 2-ter e tale
preventiva valutazione, sia pure in via incidentale, si impone - alla
luce del vigente sistema legislativo -  pur  nella  ipotesi  prevista
dall'art. 2-ter comma  11  in  cui  la  proposta  di  confisca  venga
formulata nei confronti di soggetto gia' deceduto (entro il limite di
cinque  anni  dal  decesso):  in  altri  termini,  il   giudizio   di
appartenenza del soggetto deceduto ad una  associazione  mafiosa,  in
ragione dei  comportamenti  posti  in  essere  in  vita,  costituisce
"elemento costitutivo" della fattispecie complessa contemplata  dalla
nonna in tale sede censurata. 
    Inoltre, il vigente sistema legislativo consente di  attivare  la
procedura contemplata dall'art. 2-ter legge  n.  575/1965  pur  nelle
ipotesi in cui nei confronti del soggetto deceduto non vi sia  stato,
in costanza  di  vita,  un  accertamento  definitivo  -  in  sede  di
prevenzione ovvero in  sede  penale  -  della  pericolosita'  sociale
derivante dalla appartenenza ad un sodalizio  mafioso:  tale  profilo
determina, a parere del collegio, per le  considerazioni  di  seguito
esposto, una concreta lesione del diritto di difesa e  del  principio
del giusto processo, apparendo evidente che nell'ipotesi di  soggetto
gia' deceduto  la  valutazione  del  presupposto  soggettivo  di  cui
all'art. 1 della legge 57511965 verrebbe di fatto operata  senza  che
sia possibile instaurare il contraddittorio con il soggetto cui  tale
qualifica e' attribuita. 
 
                     Non manifesta infondatezza 
 
    4.   La   legittimita'   costituzionale   del   procedimento   di
prevenzione. 
    Il tema della compatibilita' delle misure di prevenzione  con  il
dettato costituzionale e' stato affrontato  dalla  Consulta  in  piu'
occasioni. 
    Nell'avallare generalmente l'impianto della prevenzione, la Corte
ha avuto modo di specificare in piu' occasioni come  alcuni  concetti
chiave  di  tale  sistema  vadano  concretamente   interpretati   per
garantirne la compatibilita' con il dettato costituzionale, a partire
da quello di "pericolosita' sociale". Con la sentenza 177 del 1980 la
Consulta - nel dichiarare l'illegittimita' costituzionale della legge
1423/1956  laddove   prevedeva   l'applicazione   delle   misure   di
prevenzione ai cosiddetti  "proclivi  a  delinquere"  -  ha  escluso,
richiamando anche precedenti sentenze sul tema, tra cui  la  sentenza
23 del 1964, che "le misure di prevenzione  possano  essere  adottate
sul fondamento di semplici sospetti",  richiedendosi  piuttosto  «una
oggettiva valutazione di fatti da cui risulti la condotta abituale  e
il tenore di vita della persona o che siano  manifestazioni  concrete
della sua proclivita' al delitto, e siano state accertate in modo  da
escludere valutazioni puramente soggettive e incontrollabili da parte
di chi promuove o applica le misure di prevenzione». 
    La Corte nella  citata  pronuncia  ebbe  ad  evidenziare  che  la
legittimita'  delle  misure  di  prevenzione   (all'epoca,   soltanto
personali)  e'   necessariamente   subordinata   all'osservanza   del
principio   di   legalita'   ed    all'esistenza    della    garanzia
giurisdizionale, specificando che "l'intervento  del  giudice  (e  la
presenza della difesa, la cui necessita'  e'  stata  affermata  senza
riserve)  nel  procedimento  per  l'applicazione  delle   misure   di
prevenzione  non  avrebbe  significato  sostanziale...se  non   fosse
preordinato  a  garantire,  nel   contraddittorio   tra   le   parti,
l'accertamento di fattispecie legali predeterminate". 
    Prima delle recenti novelle del 2008 e del 2009, il nesso tra  le
misure personali e quelle patrimoniali e' stato oggetto di un  vivace
dibattito in dottrina e giurisprudenza  ed  e'  stato  specificamente
affrontato in alcune pronunce della Corte Costituzionale. 
    Cosi', con la sentenza  335  del  1996  la  Corte  ha  dichiarato
inammissibile  la  questione  di  legittimita'  costituzionale  -  in
riferimento agli arti. 3, 42 e 112 Cost. - dell'art. 9-ter, comma  7,
della legge n. 575/1965 nella parte in cui non prevede che, oltre che
nei casi espressamente previsti di assenza, o di residenza  o  dimora
all'estero, anche  nel  caso  di  morte  della  persona  proposta  il
procedimento di prevenzione possa essere  iniziato  o  proseguito  al
solo fine di irrogare i provvedimenti  patrimoniali  di  sequestro  e
confisca dei beni che si  ritengono  frutto  di  attivita'  illecite.
Nell'affermare  il  principio  in  esame,  la  Corte   rilevava   che
l'adozione di  misure  di  ordine  patrimoniale  il  sequestro  e  la
confisca - accede normalmente all'applicazione delle misure di ordine
personale, secondo una scelta del legislatore che la Corte aveva gia'
ritenuto ragionevole nella sentenza 465 del 1993. 
    Il principio e' che le misure patrimoniali  sono  rivolte  non  a
beni come tali, per la loro mera sospetta provenienza illegittima, ma
piuttosto a  beni  che  rientrano  nella  disponibilita'  di  persone
socialmente pericolose. 
    In particolare, con la sentenza 335 la Corte ha riconosciuto  che
l'intervento richiesto, ossia l'aggiunta del  decesso  della  persona
sospettata alle ipotesi in cui le misure patrimoniali prescindono  da
quelle    personali,    "non    rappresenterebbe     una     semplice
nazionalizzazione  del   sistema",   ma   piuttosto   "un'innovazione
conseguente ad una scelta di politica criminale la quale,  in  quanto
tale, non rientra nei poteri del giudice di' costituzionalita'  delle
leggi". 
    Peraltro, nella medesima pronuncia si ribadiva la  compatibilita'
del  sistema  delle  misure  di  prevenzione  (all'epoca  vigente   e
connotato da una  scelta  normativa  radicalmente  opposta  a  quella
perseguita nel 2008) alla stregua degli articoli 3, 42  e  112  Cost.
proprio in quanto il legislatore era rimasto fermo  nel,  richiedere,
per l'emanazione  dei  provvedimenti  di  sequestro  e  confisca,  un
collegamento tra la cautela patrimoniale e  l'esistenza  di  soggetti
individuati, da ritenere pericolosi. In senso analogo la Corte si era
pronunciata nell'ordinanza n. 721 del 1988, in  cui  la  Corte  aveva
affermato che "un intervento di produzione  normativa"  quale  quello
ipotizzato  "compete  esclusivamente  al  legislatore  e,   pertanto,
esorbita dai poteri di questa Corte". 
    Anche nella sentenza n. 465/93 della Corte costituzionale si  era
incidentalmente ritenuta l'esclusione della possibilita' di  irrogare
misure patrimoniali indipendentemente dalle personali. 
    Il tema e' stato nuovamente sottoposto all'attenzione della Corte
costituzionale nel 2004, quando e' stata sollevata -  in  riferimento
agli  arti.  3,  41,  secondo  comma,  e  42,  secondo  comma,  della
Costituzione - questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.
2-ter, terzo, quarto e sesto comma, della legge  n.  575/1965,  nella
parte in cui non consentiva di disporre  la  confisca  di  beni,  dei
quali si accerti l'illecita provenienza, in  caso  di  rigetto  della
proposta di applicazione della misura di  prevenzione  personale  per
cessazione  della  pericolosita'  sociale  del  proposto   successiva
all'acquisizione illecita dei beni ed antecedente alla decisione. 
    La Corte, con l'ordinanza 368 del 2004, ha reputato la  questione
manifestamente inammissibile, con le  stesse  argomentazioni  esposte
nelle precedenti pronunce sul tema. 
    In specie, in tale ultimo arresto,  la  Corte  ha  dichiarato  la
manifesta   inammissibilita'   della   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'articolo 2-ter comma  3  della  legge  n.  575/65
sollevata in riferimento agli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione,
nella parte in cui non consentiva di disporre la confisca  dei  beni,
dei quali si sia accertata  l'illegittima  provenienza,  in  caso  di
rigetto della proposta di  applicazione  della  misura  personale  di
prevenzione  per  cessazione   della   pericolosita'   del   proposto
antecedente alla decisione. 
    La Consulta ha precisato  -  sulla  base  del  previgente  quadro
normativo - che il sistema rimaneva ancorato al principio per cui  le
misure patrimoniali presuppongono  necessariamente  un  rapporto  tra
beni di cui non sia  provata  la  legittima  provenienza  e  soggetti
portatori di pericolosita' sociale che ne dispongano. 
    Altre questioni di legittimita' costituzionale  delle  misure  in
esame sono state affrontate solo incidentalmente e  in  relazione  ad
altre fattispecie (art. 12-quinques e sexies legge n. 356/92). 
    Si fa riferimento, in primo  luogo,  alla  sentenza  della  Corte
Cost. 17 febbraio 1994, n. 48, che ha affermato la compatibilita' con
i principi costituzionali dell'adozione di  misure  cautelari  reali,
indipendentemente dalla verifica sulla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza,  posto  che  e'  possibile  graduare   i   valori   che
l'ordinamento tutela (da un lato la liberta' personale, dall'altro la
libera disponibilita'  dei  beni),  e  costruire  differentemente  il
"potere" del giudice di adottare le misure  e,  conseguentemente,  la
tipologia del controllo in sede di gravane. 
    Il secondo comma dell'art. 12-quinquies  della  legge  n.  356/92
puniva con la  reclusione  da  due  a  cinque  anni  coloro  nei  cui
confronti pendeva procedimento  penale  per  reati  riconducibili  al
crimine organizzato, ovvero  nei  cui  confronti  era  applicata  una
misura preventiva a carattere personale o si  procedeva  per  la  sua
applicazione, quando gli stessi avevano la  disponibilita'  di  beni,
denaro, utilita'  in  valore  sproporzionato  al  proprio  reddito  o
all'attivita' economica svolta e  non  ne  potevano  giustificare  la
legittima provenienza. Alla pena detentiva si aggiungeva la  confisca
dei valori sproporzionati dei  quali  l'imputato  non  dimostrava  la
lecita origine. 
    La sanzione penale derivava quindi, in siffatta ipotesi, non gia'
dalla commissione di un reato,  ma  dalla  semplice  pendenza  di  un
procedimento, e dunque dal sospetto della commissione di altri reati.
L'utilizzo della figura del reato di sospetto era inoltre ancorata ad
uno  stana  processuale  provvisorio  (soggetto   indagato/proposto),
sollevando dubbi,  sia  in  dottrina  che  in  giurisprudenza,  sulla
compatibilita' della norma  con  il  dettato  costituzionale.  Questi
dubbi erano aggravati  poiche'  la  disposizione,  ponendo  a  carico
dell'indagato/proposto l'onere di dimostrare la legittima provenienza
dei beni per sottrarsi alla sanzione prevista, prevedeva una  vera  e
propria inversione dell'onere della prova,  la  cui  sussistenza  era
stata ammessa dallo stesso Ministro dell'Interno  allora  in  carica,
l'on. Mancino, che la giustificava con l'esigenza di "penetrare  fino
in fondo nei patrimoni della criminalita' organizzata" (Senato  della
Repubblica, 1992: 15), 
    Per questi motivi la fattispecie era stata  fortemente  criticata
dalla dottrina sia per la sua evanescenza, sia per il  contrasto  con
significativi principi, quali,  tra  l'altro,  il  principio  di  non
colpevolezza (art. 27 comma secondo Cost.). ed il diritto  di  difesa
(art. 24 Cost.). 
    Analoghe  considerazioni  avevano  spinto  la  giurisprudenza   a
sottoporre  la  nonna  al  vaglio  della  Corte  costituzionale:   la
Consulta, con la sentenza 48/94, ne ha  pronunciato  l'illegittimita'
costituzionale  per  violazione  dell'art.  27  comma  secondo  della
Costituzione. 
    In tale sentenza la Corte ha richiamato anzitutto le  ragioni  di
politica criminale che hanno spinto il Governo  ad  introdurre  della
disposizione contestata, ossia la necessita' di disporre di strumenti
idonei " ...a fronteggiare,  sul  piano  della  prevenzione  e  della
repressione,  il  gravissimo  fenomeno  del   crimine   organizzato",
evidenziando  che,  tuttavia,  nel  perseguire   questo   scopo,   il
legislatore ha preteso di assimilare, "settori  dell'ordinamento  del
tutto eterogenei: quello del  diritto  penale  sostanziale  e  quello
delle misure di prevenzione". 
    Come ha notato la Corte, la struttura della fattispecie mostrava,
infatti, chiaramente delle analogie con  l'impianto  del  sistema  di
prevenzione  ante-delictum:  il  sequestro  di  prevenzione  previsto
dall'art. 2-ter  della  legge  n.  575/65  colpisce  infatti  i  beni
rientranti nella disponibilita' di talune  categorie  di  'indiziati'
non solo quando vi sono sufficienti indizi per ritenere che tali beni
sono il frutto di attivita' illecite o ne costituiscono il reimpiego,
ma anche quando il loro  valore  risulta  sproporzionato  al  reddito
dichiarato  o  all'attivita'  economica  svolta;   la   confisca   di
prevenzione riguarda poi i beni dei quali non sia stata dimostrata la
legittima provenienza. Tuttavia, ha  sostenuto  la  Corte,  se  «puo'
ritenersi non in contrasto con i principi  costituzionali  una  norma
che, al limitato fine di attivare misure di tipo  preventivo,  desume
dalla qualita' di indiziato per  taluni  reati  il  sospetto  che  la
sproporzione tra beni posseduti  e  reddito  dichiarato  possa  esser
frutto  di  illecita  attivita',  altrettanto  non  puo'  dirsi   ove
l'analoga situazione venga ricondotta all'interno di  una  previsione
incriminatrice, giacche' la legittimita' di  una  simile  fattispecie
rinverrebbe un  insormontabile  ostacolo  proprio  nel  principio  di
presunzione  di  non  colpevolezza  che  i  giudici  a  quibus  hanno
correttamente invocato». 
    Dalla violazione della presunzione di  non  colpevolezza  sancita
dall'art. 27  comma  secondo  Cost.  derivavano,  secondo  la  Corte,
ulteriori  conseguenze,  quali  la  violazione   del   principio   di
uguaglianza e del diritto di  difesa.  Il  principio  di  uguaglianza
risultava  violato  in  quanto  soggetti  che  versano  nella  stessa
situazione, cioe' dispongono di  valori  sproporzionati  al  reddito,
subivano  un  trattamento  differenziato  a  seconda  che  nei   loro
confronti venga o meno avviato un procedimento. La mancata osservanza
del diritto di difesa discendeva, invece, dalla  circostanza  che  la
fattispecie in esame  ha  previsto  una  vera  e  propria  inversione
dell'onere della prova, ponendo a  carico  dell'imputato  l'onere  di
fornire  "una  giustificazione  qualificata,  giacche'  questa   deve
consistere nella legittimita' della  provenienza  dei  beni  o  delle
utilita'". 
    Per quel che interessa ai presenti fini va osservato che in  tale
circostanza la Consulta ritenne integrata la lesione dei  diritti  di
difesa a causa dell'inversione dell'onere della prova pur,  comunque,
nell'ambito di un giudizio in cui garantita  la  possibilita'  di  un
contraddittorio pieno ed effettivo con il soggetto indagato. 
    Inoltre, la pronuncia della Consulta del 29 gennaio 1996 n. 18 ha
ritenuto non irragionevole la presunzione ope legis dell'esistenza di
un nesso pertinenziale tra categorie di reati e  i  beni  di  cui  il
condannato non possa giustificare la provenienza e che  risultino  di
valore sproporzionato rispetto al reddito o alla attivita'  economica
del condannato stesso. 
    Con tale ordinanza la  Corte  costituzionale  ha  avuto  modo  di
pronunciarsi sul rapporto della confisca di valori ingiustificati con
alcuni fondamentali diritti costituzionali, giungendo a dichiarare la
manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale
dell'art. 12-sexies della legge n. 356/92 in relazione agli arti.  3,
24 comma secondo, 27  comma  secondo,  42  e  97  comma  primo  della
Costituzione. 
    Si e' a tal fine sostenuto che la norma introduce - piu' che  una
vera e propria rottura del vincolo  pertinenziale  che  lega  cosa  e
reato - una ragionevole presunzione  ex  lege  dell'esistenza  di  un
nesso di pertinenzialita' tra determinate figure di reato  e  i  beni
del condannato che risultano essere di valore sproporzionato  al  suo
reddito ovvero all'attivita' economica svolta, quando questi non  sia
in grado di giustificarne la provenienza. 
    Tale posizione e' stata ulteriormente specificata dalla Corte  di
Cassazione, che nella sentenza Berti (Cass. Pen., Sez. VI, 15  aprile
1996) ha fornito un'interpretazione della norma  compatibile  con  la
Costituzione sotto il profilo probatorio,  sostenendo  che  "l  'art.
12-sexies non richiede  piu'  la  giustificazione  della  provenienza
legittima, bensi' un'attendibile e circostanziata giustificazione, da
valutarsi in concreto da parte  del  giudice,  secondo  il  principio
della liberta' della prova e del libero convincimento". 
    La norma si  limiterebbe  ad  introdurre,  secondo  la  Corte  di
Cassazione, una presunzione  relativa  di  illecita  provenienza  dei
valori  sproporzionati  al  reddito  o  all'attivita'  economica  del
condannato, sul quale viene trasferito un mero onere di allegazione. 
    Giova osservare che anche in tali pronunce ultime (peraltro tutte
precedenti all'introduzione del cd.  giusto  processo  nel  novellato
testo  dell'articolo  111  della  Costituzione)  mai  si  ammette  la
praticabilita' delle misure ablative patrimoniali in assenza non solo
di dati presupposti personali - addirittura un'affermazione di penale
responsabilita' cristallizzata  in  una  condanna  per  taluni  reati
specificamente indicati - ma addirittura  dell'astratta  possibilita'
di un contraddittorio con il soggetto portatore di  siffatti  profili
personali. 
    Non si dimentichi che anche l'ammissibilita'  della  confisca  ex
art.  12-  sexies,  operata  dalla  giurisprudenza  di   legittimita'
nonostante la morte del condannato, presuppone imprescindibilmente un
pieno  accertamento  della  sua  penale  responsabilita'  svolto   in
contraddittorio tra le parti e con tutte  le  garanzie  del  processo
penale. 
    Ancora, deve evidenziarsi che la Corte di Cassazione ha  aggiunto
alcune importanti precisazioni volte a  favorire  una  lettura  delle
misure   di   prevenzione   patrimoniale    conforme    al    dettato
costituzionale, ed in particolare alla presunzione d'innocenza. 
    Ha, infatti, chiarito in numerose  pronunce  che  il  sistema  di
prevenzione patrimoniale non  prevede  alcuna  inversione  dell'onere
della prova, ponendo a carico dell'interessato, piuttosto,  un  onere
di allegazione. 
    Come affermato dalla Suprema Corte, ad  esempio,  nella  sentenza
del  23  giugno  2004,  secondo  un  orientamento   giurisprudenziale
consolidato «l'onere di provare  la  provenienza  illecita  dei  beni
incombe, in primo luogo, sull'organo  procedente,  salvo  l'onere  di
allegazione  imposto  al  prevenuto  per  sminuire  od   elidere   la
situazione probatoria a suo carico». 
    A questa attenta elaborazione giurisprudenziale, iniziata con  la
sentenza della Corte Costituzionale n. 465/93 e ripresa dalla  stessa
Corte con  la  sentenza  n.  335/1996,  si'  e'  affiancata  un'altra
prospettiva ermeneutica portata avanti dalla Corte  di  Cassazione  e
culminata nella sentenza, resa a SS. W., n.  18  del  1996  (la  nota
sentenza  Simonelli)  dal  cui  orientamento  non  ci  si   e'   piu'
discostati. Parte della giurisprudenza di legittimita' (in specie, la
sentenza della I Sezione Penale della Corte di Cassazione,  28  marzo
1995, Ranucci) aveva, infatti, sostenuto che il decesso del proposto,
intervenuto prima che fosse divenuto definitivo il  provvedimento  di
confisca di prevenzione, avrebbe comportato non solo  il  venir  meno
della misura di prevenzione personale, ma anche quello conseguenziale
di natura patrimoniale. 
    In altri arresti (vedasi Cass.  Pen.  Sez.  I,  17  luglio  1995,
D'Antoni), invece, si era affermato  che  la  confisca,  disciplinata
dall'articolo 2-ter della legge n. 575/65,  fosse  correlata  ad  una
precisa connotazione di obiettiva illiceita' della res, che ne  aveva
determinato la pericolosita' in  se',  con  l'effetto  di  consentire
l'ablazione anche quando la  misura  di  prevenzione  personale,  cui
accedeva, fosse cessata in conseguenza della morte del proposto. 
    Le SS.UU. erano state chiamate a risolvere il  contrasto  insorto
tra le sezioni semplici circa la caducazione, o meno,  della  "misura
di prevenzione patrimoniale" della confisca in caso  di  decesso  del
proposto che,  nel  caso  di  specie,  era  intervenuto  prima  della
definizione  del  procedimento  di  prevenzione  personale,  con   la
conseguenza che Corte  di  merito  aveva  dichiarato  la  perdita  di
efficacia del sequestro. 
    Per risolvere il contrasto, le Sezioni Unite hanno  proceduto  ad
una  interpretazione  della  normativa  in  materia  di   misure   di
prevenzione al  fine  di  giungere  all'esatta  individuazione  della
natura del provvedimento di confisca ed alla "ratio" sottesa  al  suo
inserimento nell'ambito del preesistente procedimento di prevenzione. 
    La Corte ha, innanzitutto, sottolineato che le due  normative  di
cui alle leggi 27 dicembre 1956 n. 1423 e 31 maggio  1965  n.  575  e
successive loro modificazioni, seppur correlate tra di loro,  avevano
e continuavano ad avere un ambito di applicazione diverso. 
    La prima, infatti, aveva introdotto misure dirette a proporre  ed
applicare, in via generale, ben individuate misure al fine  specifico
di prevenire, attraverso una serie di  limitazioni,  le  condotte  di
soggetti ritenuti pericolosi per  la  sicurezza  e  per  la  pubblica
moralita'.  Da  qui  l'innegabile   qualificazione   di   misure   di
prevenzione. 
    La seconda, invece, aveva preso  le  mosse  dalla  necessita'  di
predisporre adeguati e specifici mezzi di contrasto nei confronti  di
soggetti "indiziati di appartenere ad associazioni di  tipo  mafioso,
alla camorra o ad altre associazioni, comunque localmente denominate,
che perseguono finalita' ed  agiscono  con  metodi  corrispondenti  a
quelli delle associazioni di tipo  mafioso",  formula  questa  frutto
della modifica apportata dall'art. 13 della legge 13  settembre  1982
n. 646. 
    Con la stessa  legge,  oltre  alla  modifica  sopra  indicata  ed
all'introduzione nell'ambito delle misure  di  prevenzione  personali
vere e proprie, dell'obbligo di soggiorno, erano stati introdotti gli
istituti del sequestro - anche cautelare  -  e  della  confisca  (con
l'art. 2-ter). 
    E - sebbene la legge facesse riferimento sia nel titolo  che  nel
testo  a  "disposizioni  in  materia  di  prevenzione  di   carattere
patrimoniale" e, in via generale  (capo  II  ),  a  "disposizioni  in
materia di misure di prevenzione" - sin da subito si era compreso che
l'istituto della confisca non  poteva  essere  qualificato  come  una
nuova misura di prevenzione  stante  la  sua  finalita'  ablativa  in
favore dello Stato ex art 4 legge 4 agosto 1989 n. 282. 
    A tale qualificazione, al di la' del dato formale frutto evidente
di   una   imprecisione   letterale,   ostava   anche   la    "ratio"
dell'intervento legislativo volto, senza alcun dubbio,  ad  eliminare
dal circuito economico beni provenienti da attivita' ricollegate alla
ritenuta  appartenenza  del  soggetto  ad  un'associazione  di   tipo
mafioso. 
    Una volta escluso sia 1l carattere sanzionatorio di natura penale
(essendo  la  stessa  inserita  nell'ambito   del   procedimento   di
prevenzione), sta quello di un  provvedimento  di  "prevenzione",  la
Corte ha concluso che la confisca andava  ricondotta  nell'ambito  di
quel  tertium  genus  costituito  da  una  sanzione   amministrativa,
equiparabile (quanto al contenuto ed agli  effetti)  alla  misura  di
sicurezza prevista dall'art. 240 cpv. C.P., applicata, per scelta non
sindacabile del legislatore, nell'ambito  dell'autonomo  procedimento
di prevenzione previsto e disciplinato dalla  legge.  n.  575/1965  e
successive modificazioni. 
    La tesi della natura autonoma  della  confisca  avrebbe  trovato,
poi, un preciso riscontro nelle modificazioni introdotte dalla  legge
19  marzo  1990  n.  55  che  hanno  sancito  l'autonomia   dei   due
procedimenti - penale e di prevenzione (art. 9) - e  la  possibilita'
di applicazione della confisca anche in caso di assenza, residenza  o
dimora all'estero del  soggetto  al  quale  "potrebbe  applicarsi  la
misura  di  prevenzione",  ancorche'  il  relativo  procedimento   di
prevenzione non fosse stato iniziato. 
    Invero, nel corso dei lavori preparatori della legge n. 55/90,  e
piu' precisamente nella seduta  del  20  settembre  1989,  era  stata
prospettata   la   possibilita'   del   superamento   del   principio
dell'accessorieta', ma l'idea non era stata poi  trasfusa  nel  testo
licenziato. 
    Sulla scorta delle argomentazioni svolte  la  Corte  ha,  quindi,
ritenuto che il quadro normativo di riferimento, pur restando  sempre
collegato ad un soggetto avente una  pericolosita'  qualificata  (per
come evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 465/93)
aveva spostato la sua attenzione verso la disponibilita'  dei  "beni"
in capo al proposto in  quanto  ritenuti,  se  frutto  dell'attivita'
illecita, di alimentare e rafforzare l'attivita' criminale. 
    Partendo da questa considerazione e dall'assoluta  autonomia  tra
il procedimento penale e  quello  di  prevenzione  (che  comporta  la
possibilita'  di  applicazione  dei  provvedimenti,   personali   e/o
patrimoniali,  anche  in  contrasto  con  le  conclusioni  cui  possa
pervenire il giudizio penale) la Corte ha concluso che il venire meno
del  "proposto",  una  volta  accertati  i  presupposti   della   sua
pericolosita' qualificata e di indimostrata legittima provenienza dei
beni oggetto di confisca, non faceva venir meno quest'ultima  misura,
posto che le  finalita'  perseguite  dal  legislatore,  prescindevano
dalla "preesistenza"  del  soggetto,  e  neppure  potevano  ritenersi
necessariamente legate alla sua "persistenza in vita". 
    La Corte, sulla base di tali  presupposti,  ha  chiarito  che  la
confisca, prevista nello specifico procedimento  di  prevenzione,  ha
per presupposto  la  pericolosita'  del  soggetto-destinatario  delle
misure di prevenzione  (personali)  vere  e  proprie,  ancorche'  non
eseguite o non eseguibili a causa del decesso di questi e, per  altro
verso, essa e' diretta - a differenza delle misure  personali  e  del
sequestro - a sottrarre i beni in via definitiva alla  disponibilita'
dell'indiziato  di   appartenenza,   sebbene   tale   risultato   sia
conseguibile solo all'esito definitivo del giudizio. 
    Invero, va evidenziato che ai presenti fini appare rilevante come
la Corte pur ritenendo percorribile la via della confisca  nonostante
il decesso del proposto prima della definitivita'  del  provvedimento
ablativo - non solo non l'ha affatto ricostruita come  sganciata  dal
presupposto della pericolosita'  dello  stesso,  ma  ha  testualmente
affermato  l'impossibilita'   di   "prescindere   dalla   valutazione
obiettiva di una concreta pericolosita', anche su base indiziaria"  e
ribadito che "anche il venir meno del proposto - una volta che  siano
rimasti accertati ai fini specifici della  speciale  legislazione  in
materia i presupposti di  pericolosita'  qualificata  (nel  senso  di
indiziato di appartenenza ad un'associazione di tipo  mafioso)  e  di
indimostrata legittima provenienza dei beni oggetto di confisca - non
fa venir meno quest'ultima misura". 
    Del resto, anche le ipotesi residue citate dalla Corte a sostegno
della tesi  prospettata  (possibilita'  di  applicazione  della  sola
confisca anche in caso di assenza,  residenza  o  dimora  all'estero,
applicabilita' dell'ablazione anche  nei  confronti  di  un  proposto
latitante  ovvero  nelle  ipotesi  di  revoca/modifica  della  misura
personale e, potrebbe aggiungersi, anche  nei  confronti  di  persone
sottoposte ad una misura di sicurezza detentiva ovvero alla  liberta'
vigilata, nonche' nelle ipotesi  di  cui  agli  articoli  3-quater  e
3-quinquies della legge n.575) hanno tutte in  comune  non  certo  la
possibilita'  di  prescindere  dall'accertamento   di   pericolosita'
qualificata del proposto - che dovra' essere svolto nel  giudizio  di
prevenzione oppure lo e' gia' stato in caso  di  revoca  sopravvenuta
della misura personale - quanto la possibilita' di prescindere  dalla
concreta possibile applicazione della sorveglianza speciale di P.S. 
    In  effetti,  come  rilevato  gia'  in  precedenza  dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 335/96, in  tali  ipotesi  non  puo'
affatto  dirsi  che  il  sequestro  e  la  confisca  si  siano   resi
indipendenti dall'esistenza di individuate persone pericolose, atteso
che "nel caso dell'assenza o della residenza all'estero la  pronuncia
della misura patrimoniale  presuppone  comunque  una  valutazione  di
pericolosita'  della  persona...  in  altri  casi,   la   misura   di
prevenzione personale e', per cosi' dire, resa superflua o  assorbita
da  altre  misure  gia'  in  atto,  come  quelle  di  sicurezza,  che
presuppongono  anch'esse  una  valutazione  di  pericolosita'   della
persona. In altri ancora, la pericolosita' viene dalla legge  desunta
dall'esistenza di indizi di situazioni  personali,  anche  penalmente
rilevanti, di particolare gravita'. E, infine, vi sono ipotesi in cui
la rilevanza della pericolosita' soggettiva non e'  abolita  ma,  per
cosi' dire, spostata da chi ha la disponibilita' economica dei beni a
chi  dal  loro  impiego  viene  avvantaggiato  nella  sua   attivita'
criminosa". 
    Ma  in  nessuna  di   tali   fattispecie   puo'   osservarsi   la
pretermissione, originaria e presupposta, del contraddittorio con  il
proposto sia in ordine ai  profili  personali  che  patrimoniali  del
giudizio: e', infatti, evidente che in tutti i casi indicati innanzi,
ed a differenza di quello che interessa il collegio  attualmente,  il
proposto e' messo nella condizione di scegliere liberamente se e come
difendersi (partecipando  personalmente,  nelle  forme  del  rito  di
prevenzione, ovvero a mezzo di difensore di fiducia o di  ufficio)  e
fruisce  comunque  della  garanzia  dell'assistenza  tecnica,   anche
qualora non possa o non voglia essere presente alle udienze. 
    Come si puo' osservare, quindi,  la  sentenza  Simonelli  per  un
verso lascia sullo sfondo e non considera le eventuali  problematiche
determinate, in tema di corretta instaurazione del contraddittorio  e
di tutela  del  diritto  di  difesa,  dal  sopravvenuto  decesso  del
proposto e, per altro verso, continua  a  pretendere  ai  fini  della
confisca un vero e proprio accertamento dei presupposti  personali  e
patrimoniali richiesti dalla legge antimafia  e,  parallelamente,  la
mancata dimostrazione della legittima provenienza dei beni. 
    Attivita' dimostrative,  queste,  che  non  spiega  se  dovessero
essere soltanto quelle gia' svolte nel  procedimento  di  prevenzione
(nel caso di specie erano stati superati due gradi  di  giudizio  con
conferma delle  misure  irrogate  al  proposto,  deceduto  prima  del
ricorso in Cassazione) ovvero anche quelle che,  dopo  la  morte  del
proposto, avrebbero potuto essere teoricamente disposte,  nell'ambito
di una diversa ipotesi -  ad  esempio,  allorche'  il  decesso  fosse
sopravvenuto nelle more del primo grado di giudizio -  ad  opera  del
Pubblico  Ministero  e/o  dei  terzi  intestatari   in   assenza   di
qualsivoglia possibile interlocuzione sul punto da parte del proposto
medesimo. 
    Cio' a maggior ragione quando, come nella vicenda Passarelli,  la
proposta di misure di prevenzione patrimoniali e' stata  avanzata  ai
sensi dell'articolo 2-ter comma il della legge n. 575/65,  anni  dopo
il decesso del proposto, il quale era stato prosciolto nel merito  in
un precedente  giudizio  di  prevenzione  ed  era  morto  durante  la
sottoposizione a processo penale per un  delitto  associativo,  prima
della sentenza di primo grado. 
    Nonostante le conclusioni che  discendevano  dalla  ricostruzione
formulata dalle Sezioni Unite nella sentenza Simonelli, tuttavia,  in
epoca successiva  la  Corte  costituzionale  -  pronunciandosi  sulla
questione relativa al rapporto tra misure di prevenzione personali  e
misure patrimoniali - con la sentenza 29 novembre 2004,  n.  368,  ha
escluso un rapporto di completa autonomia tra le stesse. 
    La Corte costituzionale del 2004,  infatti,  argomentava  che  il
vigente sistema legislativo, pur in presenza della tendenza a rendere
in  alcuni  casi  le  misure  di  prevenzione  patrimoniali  autonome
rispetto a quelle personali, rimane  ancorato  al  principio  che  le
misure patrimoniali presuppongono  necessariamente  un  rapporto  tra
beni di cui non sia provata la legittima  provenienza  e  i  soggetti
portatori di pericolosita' sociale che ne  dispongano,  o  che  siano
avvantaggiati dal loro reimpiego nell'ambito di attivita' delittuose,
essendo la pericolosita' del bene «considerata dalla  legge  derivare
dalla pericolosita' della persona che ne puo' disporre». 
    Conseguentemente,  un  intervento,  volto  a  rendere   possibile
l'applicazione della confisca in caso di  contestuale  rigetto  della
richiesta  di  misura  di  prevenzione  personale  per  mancanza  del
requisito  della  pericolosita'  sociale,  si  tradurrebbe   in   una
«innovazione conseguente ad una scelta di politica criminale» che non
rientra nei poteri della Corte costituzionale,  ma  e'  di  esclusiva
spettanza del Legislatore. 
    La  Corte  costituzionale  sembrava,   dunque,   contemplare   la
possibilita' che il legislatore operasse delle modifiche nel senso di
uno sganciamento tra misura  di  prevenzione  patrimoniale  e  misura
personale. 
    In questo complesso quadro interpretativo  sono  sopravvenute  le
riforme ascrivibili alla legge n. 125/08 ed alla legge n. 94/09. 
    La seconda parte del novellato comma  6-bis  dell'art.  2-bis  L.
565/75 ha, appunto, trasfuso  in  legge  la  richiamata  elaborazione
giurisprudenziale introducendo - quale logico corollario  all'opzione
legislativa in favore del principio dell'autonomia tra i procedimenti
per l'applicazione di misura di prevenzione personale  e  quelli  per
l'applicazione di misura di prevenzione patrimoniale - la  previsione
che, nel caso di decesso del proposto, le misure patrimoniali possono
comunque  essere  disposte  e  che,  nel  caso   la   morte   dovesse
sopraggiungere  nel  corso  del  procedimento,  esso   prosegue   nei
confronti degli eredi o comunque degli aventi causa. 
    La nuova  previsione  normativa  va  poi  coordinata  con  quella
contenuta nel nuovo comma 10  dell'art  2-ter  legge  n.  565/75  che
stabilisce un limite temporale massimo  di  5  anni,  decorrente  dal
decesso, entro il quale e' possibile  attivare  il  procedimento  per
l'applicazione della misura patrimoniale nei confronti dei successori
a titolo universale o particolare. 
    Le  premesse  ideologiche  delle   summenzionate   riforme   sono
chiaramente esplicitate nei lavori preparatori della riforma (Disegno
di legge  A.S.  n.  733-B,  "Disposizioni  in  materia  di  sicurezza
pubblica"). Si legge che la novella legislativa intende porre rimedio
alle "difficolta' operative nell'aggressione dei beni mafiosi  dovute
all'obsolescenza della normativa di prevenzione",  ritenute  elemento
determinante  del  "profondo  senso  di  insicurezza  e  timore"  che
attanaglia la popolazione italiana nel presente  momento  storico,  e
affermando la sussistenza  dei  presupposti  della  necessita'  e  di
urgenza a fondamento dell'utilizzo del  decreto  legge,  al  fine  di
effettuare una compiuta rivisitazione della  normativa  regolante  le
misure di prevenzione patrimoniale. 
    Il ricorso sempre  piu'  incisivo  agli  strumenti  di  ablazione
patrimoniale, li ha resi progressivamente assimilabili  all'astio  in
rem ispirata ad un concetto di pericolosita'  in  se'  del  bene,  in
quanto proveniente dal delitto, piuttosto che di pericolosita'  della
persona, potendosi anche prescindere -alla stregua  delle  evoluzioni
giurisprudenziali poi consacrate in norma di legge  -  dall'esistenza
in vita del soggetto attinto dalla misura prima della conclusione del
procedimento prevenzionale, che potra' spiegare i suoi effetti  anche
in danno degli eredi. 
    Nei lavori preparatori si evidenzia che tale modifica andava  nel
senso  segnalato,  nel  corso   della   scorsa   legislatura,   dalla
Commissione nazionale antimafia che, nella relazione sullo  stato  di
attuazione della normativa e delle prassi applicative in  materia  di
sequestro,  confisca  e  destinazione  dei  beni  della  criminalita'
organizzata  (Doc.  XXIII,  n.  3),  affermava  che  "L'indissolubile
relazione che la norma fissa tra la pericolosita' del soggetto  e  la
possibilita'  di  sottoporre  a  confisca  i  patrimoni   nella   sua
disponibilita' espone, dunque, i provvedimenti ablatori dei patrimoni
alle sorti dei provvedimenti giudiziari concernenti la  pericolosita'
sociale del soggetto stesso. Appare, pertanto opportuno  procedere  a
modche normative  nel  senso  della  separazione  tra  le  misure  di
prevenzione personali e le misure patrimoniali...  Questo  renderebbe
possibile, innanzitutto, che, in  caso  di  morte  del  proposto,  il
procedimento di prevenzione patrimoniale continui nei confronti degli
eredi quali beneficiari di un illecito arricchimento. In sintesi,  si
immagina una sorta di 'Perdurante illiceita' dei  beni"  strettamente
connessa alla formazione degli stessi". La ratio e' quella di evitare
il proliferare di ricchezze non giustificate, immesse in un  circuito
economico connotato da forte valenza criminale. 
    La legge n. 94/09 e' tornata sulla questione  ed  e'  intervenuta
nuovamente sull'art.  2-bis  della  legge  575/1965  (attraverso  una
novella al gia' ricordato art. 10 del decreto-legge n.  92/2008),  al
fine di prevedere che le misure di prevenzione  patrimoniali  possono
essere richieste e applicate "indipendentemente  dalla  pericolosita'
sociale del soggetto proposto per la  loro  applicazione  al  momento
della richiesta della misura di prevenzione" . 
    L'ulteriore tassello costituito dal predetto  inciso  sembrerebbe
alludere ad un'intrinseca pericolosita' del bene, considerato viziato
da   presunta   provenienza   illecita,   in   quanto   fosse   nella
disponibilita'  di  un  soggetto  indiziato  di  appartenenza  ad  un
sodalizio mafioso o ad esso equiparato e perche'  riveste  un  valore
sproporzionato rispetto alle risorse economiche del proposto. 
    Orbene, non sfugge che un'interpretazione letterale del  suddetto
inciso potrebbe indurre a ritenere che il  legislatore  abbia  inteso
prescindere  dall'accertamento  della   pericolosita'   sociale   del
soggetto attinto da confisca. 
    Si e', tuttavia, osservato in- giurisprudenza  che  tale  lettura
porrebbe rilevanti problemi di compatibilita' della  disposizione  in
esame con i principi costituzionali di cui agli artt.  27,  41  e  42
Cost., tacendo il fatto che, comunque, gli articoli 2-ter (comma 1) e
2-bis  testualmente   ancorano   la   procedibilita'   delle   misure
patrimoniali ad «un procedimento  per  l'applicazione  di  una  delle
misure di prevenzione...iniziato nei confronti delle persone indicate
nell'articolo 1». 
    Si e', dunque, proposta una lettura costituzionalmente  orientata
della norma, per cui  la  misura  di  prevenzione  patrimoniale  deve
ritenersi applicabile non soltanto nei casi normativamente  previsti,
ma pure in ulteriori ipotesi in  cui  la  misura  personale,  pur  in
presenza di un individuo pericoloso, o  che  e'  stato  a  suo  tempo
pericoloso, non puo' essere irrogata, per  il  ravvisato  difetto  di
attualita' della pericolosita' sociale  ovvero  perche'  sia  cessata
l'esecuzione della misura personale medesima. 
    Acclarata,    pertanto,    nell'elaborazione    giurisprudenziale
assolutamente  prevalente,  l'impossibilita'   di   prescindere   nel
giudizio finalizzato all'irrogazione della confisca di prevenzione da
un vaglio - sia pure incidentale - sulla pericolosita'  del  soggetto
proposto, si pone in maniera sempre  piu'  evidente  un  problema  di
compatibilita'  delle  moderne  sanzioni  patrimoniali   con   taluni
fondamentali principi costituzionali, mancando, infatti, allo  stato,
una  pronuncia  della  Corte  costituzionale  che  abbia  svolto  una
compiuta valutazione dei profili di legittimita' costituzionale delle
disposizioni da ultimo citate. 
    Cio' anche in  considerazione  del  fatto  che  buona  parte  dei
richiamati precedenti della  Consulta,  nonche'  la  stessa  sentenza
Simonelli,  avevano  per   presupposto   un   quadro   costituzionale
profondamente differente rispetto a  quello  attuale,  caratterizzato
dalla cristallizzazione nel nuovo articolo 111 dei principi  del  ed.
giusto processo, tra cui spiccano il  contraddittorio  e  la  parita'
delle armi tra le parti. 
    Peraltro, giova evidenziare che anche nella recente  sentenza  n.
6684 del 18 febbraio 2010, Santomauro, la Corte  di  Cassazione,  nel
dichiarare manifestamente  infondata  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, sollevata con riferimento agli articoli 3, 24  e  111
Cost., dell'articolo 2-ter della legge n. 575/65 nella parte in  cui,
prevedendo la  confisca  dei  beni  di  cui  non  sia  dimostrata  la
legittima provenienza, pregiudicherebbe  il  diritto  di  difesa  per
l'impossibilita' di provare la liceita'  di  proventi  risalenti  nel
tempo, ha precisato che ai fini dell'operativita' della  disposizione
censurata non e' sufficiente la mancata allegazione  dell'interessato
in ordine alla legittima provenienza dei beni (trattandosi altrimenti
di  un'inammissibile  inversione  dell'onere   probatorio),   ma   e'
necessario che l'affermazione dell'illegittima provenienza  dei  beni
costituisca  l'epilogo  di  una  decisione  assunta  in  esito   alla
delibazione di elementi indiziari di inequivoca sintomaticita'. 
    Appare assai significativo ai fini del presente giudizio che - al
di la' della decisione della Suprema Corte sulla specifica  eccezione
- si sia ribadito (dopo l'entrata in vigore sia  del  nuovo  articolo
111 della Costituzione che delle citate riforme del 2008 e 2009)  che
la legge predispone ai  fini  dell'emanazione  del  provvedimento  di
confisca "un vero e proprio procedimento, nel quale,  come  in  altre
procedure, ha valore centrale il contraddittorio, si da assicurare il
compiuto dispiegamento delle ragioni della difesa". 
    S'impone, a giudizio del collegio,  proprio  alla  stregua  della
sopravvenienza, per un verso, di tale  fondamentale  disposizione  e,
per altro verso,  della  possibilita'  di  agire  con  le  misure  di
prevenzione patrimoniali nei confronti dei successori  del  de  cuius
pericoloso, un vaglio sulla compatibilita' tra siffatti  principi  di
rango  costituzionale  ed  il   nuovo   assetto   della   prevenzione
patrimoniale disciplinato dal legislatore del 2008-2009. 
    Non possono naturalmente essere ignorati i  pronunciamenti  della
Corte Europea dei diritti dell'uomo, che in generale ha si  affermato
la conformita' della confisca antimafia prevista  dalla  legislazione
speciale italiana, ma in quanto la misura sia prevista  dalla  legge,
finalizzata ad uno  scopo  legittimo  (quale  e'  il  contrasto  alle
organizzazioni criminali di stampo mafioso) proporzionata allo  scopo
perseguito ed imposta  secondo  un  procedimento  qualificabile  come
pienamente giurisdizionale. 
    5. Profili di illegittimita' costituzionale dell'art. 2 ter comma
11 della legge n.575/1965 
    Ritiene  il  collegio  che  -   al   di   la'   della   specifica
regolamentazione del contraddittorio prevista per il procedimento  di
prevenzione e degli interventi  giurisprudenziali  in  materia  -  la
possibilita'    di    assicurare    la    partecipazione    personale
dell'interessato al giudizio  rivesta  un'  indiscutibile  importanza
tanto dal punto di vista della salvaguardia  dei  diritti  soggettivi
dell'individuo  giudicabile  quanto  da  quello,   oggettivo,   della
legalita' della procedura rispetto alle posizioni delle parti. 
    Se, infatti, sotto il primo profilo la  partecipazione  -  almeno
astrattamente   ipotizzabile   e   non   fisicamente,    prima    che
giuridicamente, possibile come nel caso in esame  -  costituisce  una
condizione essenziale per l'esplicazione dei diritti che competono al
soggetto in quanto contraddittore (e, quindi, del diritto  di  essere
ascoltato,  di  controllare  l'esattezza   delle   sue   affermazioni
confrontandole con quelle delle altre parti, di rivolgere  domande  e
chiedere chiarimenti a testimoni e periti, di prospettare circostanze
di fatto solo a lui note al  fine  di  contestare  la  prospettazione
accusatoria  in  ordine  alla  genesi  del   patrimonio,   ovvero   a
ricostruire la propria effettiva capacita'  reddituale,  etc...),  in
ordine al secondo aspetto puo' dirsi che sia  la  stessa  definizione
costituzionale dei processo (di qualsiasi processo, alla stregua  del
dato   testuale   dell'articolo   111   della   Costituzione)    come
contraddittorio  a  determinare   l'essenzialita'   della   possibile
partecipazione del soggetto in ipotesi qualificabile  come  portatore
di pericolosita' personale in quanto momento di realizzazione di  una
situazione processuale giuridicamente rilevante. 
    Va ribadito, quindi, che in ogni processo di  parti  la  presenza
fisica  dell'interessato  (o  almeno  la  possibilita'  astratta   di
partecipare)   costituisce   momento   fondamentale   del    rapporto
processuale, che condiziona la correttezza globale  del  giudizio  in
quanto, come sostenuto dalla Corte europea dei diritti dell'uomo  "il
principio dell'eguaglianza delle armi  postula  la  possibilita'  per
ciascuna parte di presentare la sua causa in condizioni tali  da  non
trovarsi in una posizione  di  svantaggio  in  rapporto  con  l'altra
parte". 
    Peraltro, il Patto O.N.U. espressamente, all'articolo  14,  comma
3, lettera d), enuncia il diritto "ad essere presente  al  processo",
mentre la Raccomandazione n. 11,  adottata  il  21  maggio  1975  dal
Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa e relativa  alle  regole
minime cui informare il giudizio contumaciale, individua  chiaramente
ai punti i e 6 l'esigenza dell' "effettivita'" della  citazione  come
momento che va oltre la mera  "conoscenza  del  giudizio",  ritenendo
quest'ultima essenziale alla partecipazione  effettiva  dell'accusato
al suo processo. 
    E' evidente, nel caso in esame, l'inosservanza di tali  principi,
atteso che il legislatore ha costruito  la  fattispecie  prescindendo
dalla posizione del de cuius  pericoloso  e  ritenendo  integrato  il
contraddittorio formale nei confronti dei suoi  successori  a  titolo
universale o particolare. 
    Al contrario, posta la correlazione tra presenza nel  giudizio  e
possibilita'  di  autodifesa,  la  compressione  di  tale   modalita'
difensiva determinata dall'impossibilita' oggettiva dell'imputato  di
partecipazione al giudizio presenta profili di incompatibilita' con i
principi minimi del contraddittorio, dal  momento  che  -  libero  il
proposto in vita di difendersi avvalendosi dell'attivita' tecnica  di
un difensore o di non difendersi  affatto  -  tale  liberta'  risulta
vistosamente compressa nel caso  della  impossibilita'  materiale  di
essere presente. 
    In effetti, anche per la Corte Europea  di  Strasburgo  (cfr.  le
sentenze 10 novembre 2004, Sejdovic e. Italia; 23 marzo 1998, Belziuk
e. Polonia; 12 ottobre 1992, T. c. Italia; 12 febbraio 1985,  Colozza
c. Italia) la partecipazione personale dell'interessato alle fasi del
processo a suo carico non soltanto costituisce un diritto  che  trova
il suo fondamento nelle facolta' concesse dall'articolo  6  paragrafo
3, lett. c), della CEDU (di dire cio'  che  ritiene  utile  alla  sua
difesa,  di  interrogare  personalmente  i  testi   a   discarico   e
controinterrogare quelli a carico, nonche' di  proporre  direttamente
istanze al giudice), ma ha fondamento oggettivo per l'importanza  che
riveste la necessita' di verificare  l'esattezza  delle  affermazioni
dell'interessato e di compararle con quelle delle altre  parti  (cfr.
Corte Europea, sent. 21 gennaio 1999, Van  Gejseghem  c.  Belgio;  25
marzo 1998, Belziuk c. Polonia; 13 maggio 1980, Artico c. Italia). 
    Non sfugge che tale specificazione si attaglia perfettamente alle
peculiarita' del  giudizio  di  prevenzione  patrimoniale,  dovendosi
sovente valutare le differenti ricostruzioni delle vicende  formative
del patrimonio prospettate dal  proposto  e  dai  terzi  intestatari,
portatori di un interesse potenzialmente contrapposto  a  quello  dei
soggetto pericoloso e finalizzato  ad  ottenere  in  loro  favore  la
restituzione del bene sequestrato. 
    Ancora, si e' ritenuto integrare violazione dell'articolo 6, par.
I e 3, della CEDU per grave aggiramento dei  diritti  di  difesa,  il
mancato  riconoscimento  del  diritto   dell'imputato   a   comparire
personalmente alle udienze, atteso  che  la  partecipazione  del  suo
difensore  seppur  sufficiente  a  garantire  la  difesa  tecnica  su
questioni processali, non consentiva di  dire  "giusto"  il  processo
celebrato in tali condizioni (in tal senso,  Corte  eur.,  3  ottobre
2000, Pobornikoff c. Austria). 
    La Corte europea ha anche precisato che e' la nozione  stessa  di
giusto processo ad  implicare  la  facolta',  per  l'interessato,  di
assistere al suo giudizio (Corte eur., 15 luglio 2003, Porcellini  e.
San Marino). 
    Piu' in generale, la Corte ha evidenziato che "tutti  i  processi
penali devono rivestire un carattere contraddittorio e  garantire  la
parita' delle armi tra l'accusa e la  difesa:  questo  e'  uno  degli
aspetti fondamentali del diritto ad un processo equo" (Corte eur.,  8
dicembre 2009, Previti c. Italia). 
    Quanto alla rilevanza degli interessi in gioco,  possono  citarsi
le conclusioni cui e' giunta recentemente la Consulta nella  sentenza
n. 93/10 (con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale
delle norme sul giudizio  di  prevenzione  nella  parte  in  cui  non
consentivano, su richiesta di parte, la procedibilita' dei giudizi di
merito con le forme dell'udienza pubblica). 
    Ne' puo' ignorarsi che anche nella sentenza delle  Sezioni  Unite
della   Cassazione   n.   7/2010,   ric.   Cagnazzo,   in   tema   di
inutilizzabilita' delle intercettazioni telefoniche nel  giudizio  di
prevenzione, si e' richiamata  la  giurisprudenza  della  CEDU  nella
parte in cui fa riferimento alle specifiche peculiarita' del giudizio
di prevenzione - che valgono a  differenziarlo  dal  complesso  delle
altre procedure camerali - trattandosi  di  una  procedura  all'esito
della quale il giudice e' chiamato a esprimere un giudizio di  merito
idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale su  beni
dell'individuo  costituzionalmente  tutelati,   quali   la   liberta'
personale (articolo 13 comma 1 Cost.),  il  patrimonio  (quest'ultimo
aggredito, normalmente, in maniera  massiccia  ed  in  componenti  di
particolare  rilievo),  nonche'  la  stessa  liberta'  di  iniziativa
economica, incisa dalle misure  gravemente  inabilitanti  previste  a
carico dei soggetti sottoposti. 
    In quella sede, si e' giunti, come visto, ad estendere  anche  in
tale settore dell'ordinamento un principio di valutazione della prova
squisitamente proprio del rito penale. 
    Nel caso in esame - esclusa la possibilita' di una partecipazione
personale del soggetto qualificabile come portatore di  pericolosita'
ai sensi dell'articolo i della legge n. 575/65 e succ. mod.  -  giova
evidenziare  che   neppure   sarebbe   ipotizzabile   immaginare   un
contraddittorio instaurato validamente con un eventuale difensore del
de cuius (che si facesse carico di difendere la sua posizione sia  in
ordine ai profili personali che patrimoniali della procedura), sia in
quanto testualmente il novellato articolo 2-ter comma 11 della  legge
citata contempla  unicamente  i  successori  come  soggetti  nei  cui
confronti avanzare  la  proposta  di  confisca  di  prevenzione,  sia
perche'  il  nostro  ordinamento  non   contempla   tale   evenienza,
determinando,  nel  giudizio  penale  (le  cui   regole   procedurali
risultano normalmente applicabili al giudizio di prevenzione in  tema
di rappresentanza e difesa del proposto), la  morte  dell'interessato
l'estinzione immediata  dei  rapporto  processuale,  con  conseguente
inammissibilita' per difetto di legittimazione di atti  compiuti  dal
difensore del soggetto gia' deceduto (il principio e' stato elaborato
dalla giurisprudenza di legittimita' in materia di  impugnazioni,  ai
sensi dell'articolo 571 c.p.p.). 
    Infine,  occorre  esaminare  la   praticabilita'   di   una   via
alternativa al ricorso al  giudice  delle  leggi  che,  nel  caso  di
specie, potrebbe essere quella di ritenere sufficiente  ai  fini  del
vaglio incidentale sulla pericolosita' del  de  cuius  "il  materiale
istruttorio"  raccolto,  in  contraddittorio,   nell'ambito   di   un
procedimento gia' svoltosi nei confronti del  proposto  poi  deceduto
per reati dai  quali  sia  possibile  desumere  la  sua  qualita'  di
indiziato ai sensi dell'articolo della legge n. 575/65. 
    Tale soluzione, tuttavia, soprattutto nelle ipotesi, come  quella
in esame, in cui non si sia formato un accertamento di  merito  sulla
pericolosita' del soggetto, non appare soddisfacente proprio sotto il
profilo del diritto di difesa e del principio del  contraddittorio  e
della parita' delle armi, sanciti dagli articoli  24  e  i  11  della
Costituzione. 
    Cio', in primo luogo, perche'  prescinde  per  definizione  dalla
possibilita' che il soggetto nei cui confronti si formula pur  sempre
un  giudizio  di   pericolosita'   (ma   anche   di   disponibilita',
sproporzione ed illecita provenienza dei beni) si difenda  sul  punto
in quella che e'  la  sede  propria  dell'accertamento,  ossia  nella
procedura di prevenzione instaurata dopo la  morte  ed  in  relazione
alle finalita' specifiche di tale procedura: esigenza di  difesa  che
non appare adeguatamente soddisfatta dal meccanismo  contemplato  dal
legislatore, ossia quello dell'instaurazione del contraddittorio  con
successori a titolo universale o particolare, con una previsione  che
appare dettata  piu'  al  fine  di'  consentire  l'instaurazione  del
procedimento, che non  un  valido  ed  effettivo  contraddittorio  su
ciascuna delle valutazioni demandate al  giudice  (sussistenza  degli
indizi di appartenenza del proposto deceduto ad associazioni mafiose;
verifica della disponibilita'  da  parte  di  quest'ultimo  di  beni;
verifica dei presupposti di sproporzione ed illecita provenienza). In
altri  termini,  mal  si  comprende  come  potrebbero  i   successori
difendersi efficacemente (e non ricoprire soltanto un  ruolo  formale
di  parte  processuale)  su  vicende  che  hanno  coinvolto  il  loro
ascendente e delle quali potrebbero non essere a conoscenza. 
    Inoltre, non appare convincente, utilizzare, in assenza di  reale
contraddittorio, gli esiti  probatori  di  un  diverso  procedimento,
svoltosi  in  costanza  di  vita  del  soggetto,  nel   giudizio   di
prevenzione instarato posi mortern: del resto, se  e'  vero  che  nel
processo penale e' possibile acquisire e valutare (sia pure  entro  i
limiti dell'articolo 192 c.p.p.) le  sentenze  irrevocabili  rese  in
altro giudizio penale (art. 238 bis c.p.), nonche' i verbali di prove
di   altro   procedimento   penale   (la    cui    acquisizione    e'
significativamente ammessa ai sensi dell'articolo 238 c.p.p. solo  se
trattasi di prove assunte in contraddittorio e la  cui  utilizzazione
risulta  preclusa  salvo  che  il   difensore   dell'imputato   abbia
partecipato all'assunzione della relativa prova), e' altrettanto  che
cio' avviene nell'ambito di due giudizi omogenei e che,  soprattutto,
l'acquisizione e l'utilizzabilita' degli atti sono valutate nel pieno
contraddittorio tra le parti  nell'ambito  del  processo  in  cui  si
desidera valorizzare la prova in questione e,  quindi,  nel  rispetto
dei diritti di difesa e  del  principio  del  contraddittorio  e  del
giusto processo. 
    In definitiva,  la  previsione  censurata  appare  in  insanabile
contrasto con principi costituzionali di cui agli articoli 24,  commi
l e 2 e 111 della Carta Costituzionale, con conseguente necessita' di
adire il Giudice delle leggi. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli articoli 134 Cost., 23 e ss. legge 11  marzo  1953,  n.
87, 
    Solleva questione di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo
2-ter, comma  11,  della  legge  31  maggio  1965,  n.  575,  recante
Disposizioni contro le organizzazioni criminali di tipo mafioso anche
straniere, per contrasto con gli articoli 24,  commi 1  e  2,  e  111
della Costituzione. 
    Sospende la decisione del giudizio in corso  ed  ordina  che  gli
atti siano trasmessi alla Corte costituzionale. 
    Manda alla cancelleria per le  comunicazioni  alle  parti  e  gli
adempimenti di rito, per la  notifica  della  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei  ministri  e  per  la  comunicazione  al
Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
dei Deputati. 
    Cosi' deciso  in  Santa  Maria  Capua  Vetere,  nella  Camera  di
consiglio del 3 marzo 2011. 
 
                       Il Presidente: Casella