N. 234 SENTENZA 19 - 22 luglio 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Previdenza - Lavoratori  che  fruiscono  di  assegno  o  pensione  di
  invalidita' ed aventi diritto ai trattamenti  di  disoccupazione  -
  Diritto di optare tra tali trattamenti  e  quelli  di  invalidita',
  limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato  -  Mancata
  previsione - Denunciata violazione della garanzia  previdenziale  -
  Difetto di motivazione  autosufficiente  specificamente  riferibile
  all'evocato parametro - Inammissibilita' della questione. 
- D.l. 20 maggio 1993, n. 148,  art.  6,  comma  7  (convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236); legge 19 luglio
  1993, n. 236, art. 1. 
- Costituzione, art. 38. 
Previdenza - Lavoratori  che  fruiscono  di  assegno  o  pensione  di
  invalidita' ed aventi diritto ai trattamenti  di  disoccupazione  -
  Diritto di optare tra tali trattamenti  e  quelli  di  invalidita',
  limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato  -  Mancata
  previsione - Eccezione di inammissibilita' della questione  siccome
  motivata, in punto di non manifesta infondatezza, per relationem  -
  Reiezione. 
- D.l. 20 maggio 1993, n. 148,  art.  6,  comma  7  (convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236); legge 19 luglio
  1993, n. 236, art. 1. 
- Costituzione, art. 3. 
Previdenza - Lavoratori  che  fruiscono  di  assegno  o  pensione  di
  invalidita' ed aventi diritto ai trattamenti  di  disoccupazione  -
  Diritto di optare tra tali trattamenti  e  quelli  di  invalidita',
  limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato  -  Mancata
  previsione - Eccezione di inammissibilita' della questione per  non
  essere il  richiesto  intervento  additivo  «a  rime  obbligate»  -
  Reiezione. 
- D.l. 20 maggio 1993, n. 148,  art.  6,  comma  7  (convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236); legge 19 luglio
  1993, n. 236, art. 1. 
- Costituzione, art. 3. 
Previdenza - Lavoratori  che  fruiscono  di  assegno  o  pensione  di
  invalidita' ed aventi diritto ai trattamenti  di  disoccupazione  -
  Diritto di optare tra tali trattamenti  e  quelli  di  invalidita',
  limitatamente al periodo di disoccupazione indennizzato  -  Mancata
  previsione - Lesione del principio di uguaglianza tra i  lavoratori
  - Illegittimita' costituzionale in parte qua. 
- D.l. 20 maggio 1993, n. 148,  art.  6,  comma  7  (convertito,  con
  modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236); legge 19 luglio
  1993, n. 236, art. 1. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.32 del 27-7-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Alfonso QUARANTA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano
  SILVESTRI,  Sabino   CASSESE,   Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Sentenza 
 
    nel giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  6,
comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148 (Interventi urgenti
a sostegno dell'occupazione), convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 19 luglio 1993, n. 236, e dell'articolo 1 della stessa legge n.
236 del 1993, promosso dal  Tribunale  di  Bologna  nel  procedimento
vertente tra M.L. e l'Istituto nazionale per  la  previdenza  sociale
(INPS), con ordinanza del 4 maggio  2010,  iscritta  al  n.  375  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di costituzione di  M.  L.  e  dell'INPS,  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del 5 luglio 2011 il Giudice relatore
Luigi Mazzella; 
    uditi gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini  per  M.L.,
Antonietta Coretti per l'INPS  e  l'avvocato  dello  Stato  Gabriella
D'Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 4 maggio 2010, il Tribunale di  Bologna  ha
sollevato, in riferimento agli articoli 3 e  38  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'articolo  6,  comma  7,
del decreto-legge 20  maggio  1993,  n.  148  (Interventi  urgenti  a
sostegno  dell'occupazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' dell'articolo  1  della  stessa
legge n. 236 del 1993, «nella parte in cui tali norme  non  prevedono
che i lavoratori che fruiscono di assegno o pensione di  invalidita',
nel  caso  si  trovino   ad   avere   diritto   ai   trattamenti   di
disoccupazione, possono optare  tra  tali  trattamenti  e  quelli  di
invalidita',   limitatamente    al    periodo    di    disoccupazione
indennizzato». 
    Il rimettente riferisce che, nel giudizio sottoposto al suo esame
la  ricorrente,  dopo  la  concessione  dell'assegno  di  invalidita'
parziale,  aveva  continuato  a   prestare   la   propria   attivita'
lavorativa.  Licenziata  per  riduzione  di  personale,  ed   essendo
assicurata contro la disoccupazione presso  l'Istituto  nazionale  di
previdenza sociale (INPS), la predetta ricorrente aveva dichiarato di
optare  per  il  trattamento  piu'  favorevole   tra   l'assegno   di
invalidita'  e  l'indennita'  di   disoccupazione.   La   sede   INPS
competente, tuttavia,  aveva  respinto  la  domanda,  affermando  che
l'assegno  di  invalidita'  era  incompatibile  con  l'indennita'  di
disoccupazione, in forza dell'art. 5 del  decreto-legge  11  dicembre
1992,  n.  478  (Interventi  urgenti  a  salvaguardia   dei   livelli
occupazionali), non convertito in legge, i  cui  effetti  sono  stati
fatti salvi dal successivo decreto-legge n. 148 del 1993, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 236 del 1993. 
    L'art. 6, comma 7, del predetto decreto-legge n.  148  del  1993,
infatti, riferisce il rimettente, inizialmente prevedeva solo  che  i
trattamenti ordinari e speciali di disoccupazione e  l'indennita'  di
mobilita'  fossero  incompatibili  con  i  trattamenti  pensionistici
diretti  a  carico  dell'assicurazione  generale   obbligatoria   per
l'invalidita',  la  vecchiaia  ed   i   superstiti   dei   lavoratori
dipendenti, nonche' dei lavoratori autonomi. In seguito, prosegue  il
rimettente, tale norma e' stata modificata per effetto della sentenza
n. 218 del 1995, con cui questa Corte ha dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dello stesso articolo, nonche' dell'art. 1 della legge
n. 236 del 1993, solo per lavoratori aventi diritto  alla  mobilita',
nella parte in cui non prevedono che, all'atto  di  iscrizione  nelle
liste di mobilita', i lavoratori che fruiscono dell'assegno  o  della
pensione di invalidita', possono optare tra tali trattamenti e quello
di mobilita', nei modi e con gli effetti di cui agli artt.  2,  comma
5,  e  12,  comma  2,  del  decreto-legge  16  maggio  1994,  n.  299
(Disposizioni urgenti in materia di occupazione e di  fiscalizzazione
degli oneri sociali), convertito, con modificazioni, dalla  legge  19
luglio 1994, n. 451. 
    Tornando al caso del giudizio a quo, il rimettente riferisce che,
poiche' la normativa in vigore prevede tale facolta' solo nel caso di
concorso tra il trattamento di mobilita' e l'assegno o la pensione di
invalidita',  la  ricorrente,  avendo  diritto  al  solo  trattamento
ordinario di disoccupazione, non aveva avuto la  facolta'  di  optare
tra l'assegno di invalidita', di  cui  e'  titolare,  e  il  predetto
trattamento di disoccupazione, in concreto piu' favorevole. 
    Ebbene, secondo il Tribunale di Bologna,  la  mancata  previsione
delle facolta' di opzione anche nel caso di concorso  tra  indennita'
di disoccupazione e trattamento di invalidita', si pone in  contrasto
con gli artt. 3 e 38 Cost., per le stesse ragioni poste a  fondamento
della  gia'  citata  sentenza   n.   218   del   1995   della   Corte
costituzionale,  violando  ulteriormente   l'art.   3   della   Carta
costituzionale, sotto l'aspetto della disparita' di  trattamento  tra
chi, fruendo di un trattamento di invalidita', si trova in  stato  di
disoccupazione con o senza collocazione in mobilita', posto  che  nel
primo caso puo' esercitare la facolta'  di  opzione  del  trattamento
piu' favorevole, mentre nel secondo tale facolta' e' preclusa. 
    Secondo il rimettente, la questione  di  costituzionalita'  della
norma citata, inoltre, e' rilevante nel giudizio  a  quo,  posto  che
l'art. 6, comma 7, del decreto-legge n. 148 del 1993 e l'art. 1 della
legge n. 236 del 1993 non prevedono la suddetta opzione  e  non  sono
superabili in via meramente interpretativa,  stante  il  letterale  e
chiaro disposto delle norme in questione. 
    2.- Con memoria depositata il 22 dicembre  del  2010,  l'Istituto
nazionale per la previdenza  sociale  ha  chiesto  che  la  sollevata
questione sia dichiarata inammissibile e infondata. 
    Quanto alla dedotta inammissibilita', secondo l'INPS, l'ordinanza
di  rimessione  non  sarebbe   motivata   in   modo   esauriente   ed
autosufficiente, facendo rinvio  alle  «ragioni  poste  a  fondamento
della  gia'  citata  sentenza   n.   218   del   1995   della   Corte
costituzionale», senza motivare in ordine  alla  configurabilita'  di
una coincidenza - quanto a natura, presupposti ed effetti  -  tra  il
trattamento di disoccupazione ed il trattamento di  mobilita',  cosi'
riproducendo il profilo di inammissibilita' stigmatizzato dalla Corte
nell'ordinanza n. 297 del  2000,  in  relazione  ad  altra  questione
sollevata con riferimento alla medesima norma. 
    Quanto  al  merito,  l'INPS  ha  chiesto  che  la  questione   di
costituzionalita'   sia   dichiarata   infondata,   attesa   la   non
comparabilita'  tra  l'istituto  dell'indennita'  di  disoccupazione,
rispetto al quale e' intervenuta la sentenza citata dal rimettente, e
quello dell'indennita' di disoccupazione.  Secondo  l'INPS,  infatti,
nei due istituti sarebbero diversi la natura giuridica, i presupposti
di applicabilita' e la struttura, per cui, come rimarcato dalla Corte
nella citata  ordinanza  n.  297  del  2000,  la  pronuncia  additiva
richiesta non sarebbe a rime obbligate. 
    3.- Con memoria, depositata il 23 dicembre 2011,  e'  intervenuto
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  ed  ha  chiesto  che  la
questione di legittimita' sollevata sia  dichiarata  inammissibile  e
comunque infondata. 
    Quanto al primo aspetto, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha sottolineato il carattere eccezionale dell'art. 2,  comma  5,  del
decreto-legge n.  299  del  1994  -  norma  della  cui  efficacia  il
rimettente ha chiesto l'estensione anche alla fattispecie  sottoposta
al suo esame - atteso che, come gia' la Corte costituzionale  avrebbe
evidenziato nell'ordinanza n. 218 del 2000, tale norma,  introducendo
l'opzione soltanto tra l'indennita' di mobilita' e le prestazioni  di
invalidita', costituirebbe eccezione al principio  generale,  dettato
dall'art.  6,  comma  7,  del  decreto-legge  n.  148  del  1993,  di
incompatibilita'   tra   trattamenti   ordinari   e    speciali    di
disoccupazione, indennita' di mobilita' e  trattamenti  pensionistici
diretti. 
    Nel merito, secondo il Presidente del Consiglio  non  vi  sarebbe
coincidenza  tra  l'indennita'  di  mobilita'   e   l'indennita'   di
disoccupazione: mentre la prima, connessa strettamente al trattamento
di integrazione salariale, sarebbe svincolata dall'accertamento dello
stato di bisogno individuale e sarebbe legata a obiettivi di politica
economico-sociale  di  tutela  dell'occupazione  (tanto   da   essere
strettamente  connessa  alla  dimensione  occupazionale  dell'azienda
presso la quale il  lavoratore  presta  la  sua  opera),  la  seconda
avrebbe   natura   prettamente   assicurativa   e   sarebbe    legata
funzionalmente alla situazione di bisogno  del  lavoratore.  Inoltre,
quanto ai presupposti, l'indennita' di  mobilita',  a  differenza  di
quella di disoccupazione  (riconosciuta  a  tutti  i  lavoratori,  in
conseguenza di un licenziamento anche individuale), e' attribuita  ai
soli lavoratori dipendenti di imprese  del  settore  industriale  con
almeno quindici dipendenti e a condizione che possano far  valere  un
minimo di anzianita' lavorativa presso l'azienda datrice di lavoro, e
solo a seguito di licenziamento collettivo e  dopo  l'inizio  di  una
procedura sindacale di messa in mobilita'. 
    Diverse, poi, sarebbero anche la struttura e l'articolazione  dei
due istituti indennitari, sia con riferimento  all'entita'  che  alla
durata dei benefici concessi. 
    4.- Si e'  costituita  in  giudizio  anche  la  ricorrente  L.M.,
chiedendo  che  la  questione  di  costituzionalita'  sollevata   sia
dichiarata rilevante nel giudizio a quo, a causa della impossibilita'
di riconoscere al titolare dell'indennita' di invalidita' il  diritto
di optare per l'indennita' di disoccupazione in  via  interpretativa,
sulla base della legislazione vigente. Essa ha  poi  chiesto  che  la
questione  sia  dichiarata  fondata,  potendosi  desumere  la   ratio
decidendi dell'accoglimento dalla stessa sentenza n.  218  del  1995,
citando alcuni passi della stessa  pronuncia  e  svolgendo  ulteriori
considerazioni a sostegno della tesi della perfetta adattabilita'  di
tale  pronuncia  anche  al  caso  della  opzione  tra  indennita'  di
invalidita' ed indennita' di disoccupazione. 
    5.- Con memoria depositata in  data  14  giugno  2001,  la  parte
privata ha  illustrato  ulteriormente  le  proprie  argomentazioni  a
sostegno della sollevata questione. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Il Tribunale di Bologna dubita, in riferimento agli  articoli
3  e  38  della  Costituzione,  della   legittimita'   costituzionale
dell'articolo 6, comma 7, del decreto-legge 20 maggio  1993,  n.  148
(Interventi urgenti a  sostegno  dell'occupazione),  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  19  luglio  1993,   n.   236,   nonche'
dell'articolo 1 della stessa legge 19  luglio  1993,  n.  236,  nella
parte in cui non prevedono che i lavoratori che fruiscono di  assegno
o pensione di invalidita', nel caso si trovino ad  avere  diritto  ai
trattamenti di disoccupazione, possono optare tra tali trattamenti  e
quelli di invalidita', limitatamente  al  periodo  di  disoccupazione
indennizzato. 
    1.1.- La norma censurata, nella sua originaria  formulazione,  si
limitava ad introdurre il divieto di cumulo dei trattamenti  ordinari
e speciali di disoccupazione e dell'indennita'  di  mobilita'  con  i
trattamenti  pensionistici  diretti   a   carico   dell'assicurazione
generale  obbligatoria  per  l'invalidita'  e  la  vecchiaia   ed   i
superstiti dei lavoratori dipendenti, degli ordinamenti  sostitutivi,
esonerativi ed esclusivi dell'assicurazione medesima,  nonche'  delle
gestioni speciali dei lavoratori autonomi; escludendo, dunque, che  i
soggetti che si trovavano nelle  condizioni  di  poter  astrattamente
fruire, contemporaneamente, di entrambi tali tipologie di prestazioni
previdenziali potessero in concreto godere di entrambe, cumulandole. 
    1.2.- Successivamente alla sua  emanazione,  la  norma  e'  stata
integrata per effetto dell'art. 2 del decreto-legge 16  maggio  1994,
n.  299  (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  occupazione  e   di
fiscalizzazione degli oneri sociali), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 19 luglio 1994, n. 451, che ha introdotto un temperamento
al divieto di cumulo, consentendo, ai soli lavoratori aventi  diritto
alla mobilita', di scegliere, all'atto di iscrizione nelle  liste  di
mobilita', tra tali trattamenti e quello di  mobilita'  e  stabilendo
che, in caso di  opzione  a  favore  del  trattamento  di  mobilita',
l'erogazione dell'assegno  o  della  pensione  di  invalidita'  resti
sospesa per tutto il periodo di fruizione del predetto trattamento. 
    Tale facolta' di opzione,  invece,  non  risulta  estensibile  ai
lavoratori titolari dell'assegno di invalidita' che  abbiano  diritto
al solo trattamento ordinario di disoccupazione.  Questi  ultimi,  al
momento del  licenziamento,  durante  il  periodo  di  disoccupazione
potranno percepire il solo assegno parziale di invalidita'. 
    1.3.- In seguito, questa Corte, con la sentenza n. 218 del  1995,
ha esteso l'operativita' del diritto  di  opzione  anche  al  periodo
precedente alla riforma del 1994, rendendo,  dunque,  retroattiva  la
norma introdotta dal legislatore appena l'anno precedente. 
    2.- Preliminarmente, deve Osservarsi che la  questione  e'  stata
sollevata con riferimento sia all'art. 6, comma 7, del  decreto-legge
n. 148 del 1993, sia all'art. 1 della legge n. 236 del 1993, che, nel
convertire in legge il predetto decreto, ha fatto salvi  gli  effetti
prodotti da analoghe disposizioni  di  decreti-legge  non  convertiti
(decreto-legge 10 marzo 1993, n. 57, decreto-legge 5 gennaio 1993, n.
1, decreto-legge 5 dicembre 1992, n. 472, decreto-legge  1°  febbraio
1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398,  decreto-legge  11
dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), tra i
quali v'e' quella posta a fondamento dell'impugnato provvedimento  di
reiezione dell'istanza di opzione. 
    2.1.- Sempre in via  preliminare,  l'INPS  e  il  Presidente  del
Consiglio  hanno  eccepito  l'inammissibilita'  della  questione,  in
quanto  la  stessa,  in  punto   di   non   manifesta   infondatezza,
risulterebbe motivata solo per relationem, mediante rinvio  integrale
alle argomentazioni contenute in altra sentenza di questa Corte. 
    Tale eccezione e' fondata solo con riferimento all'art. 38 Cost. 
    Questa Corte ha avuto modo di ribadire (ex plurimis, sentenze  n.
64 del 2009, n. 328 del 2008 e ordinanze n. 354, n. 75 e  n.  42  del
2007, n. 312 del 2005) che, nell'ordinanza di rimessione, il  giudice
deve rendere esplicite le ragioni che lo  portano  a  dubitare  della
costituzionalita' della norma con  una  motivazione  autosufficiente,
non potendosi limitare ad un generico richiamo alla giurisprudenza, o
ad altri atti estranei all'ordinanza stessa. 
    Ebbene, con riferimento al parametro di cui  all'art.  38  Cost.,
l'ordinanza di rimessione, oggi in esame, risulta motivata unicamente
attraverso il rinvio recettizio alle motivazioni contenute nella gia'
citata sentenza n. 218 del 1995. Al di fuori  di  tale  inammissibile
rinvio,  non  e'  rinvenibile   alcuna   motivazione   specificamente
riferibile all'art. 38  cost.  Pertanto,  la  predetta  questione  va
dichiarata, in parte qua, inammissibile. 
    Al contrario, con riferimento al  principio  di  cui  all'art.  3
Cost., l'eccezione  di  inammissibilita'  deve  essere  respinta.  Il
rimettente, infatti, dopo aver richiamato le argomentazioni contenute
nella   motivazione   della   predetta   sentenza,   nel    prosieguo
dell'ordinanza, individua in modo autonomo il  vulnus  costituzionale
denunciato   con   riferimento   al   principio    di    uguaglianza,
identificandolo nella disparita' di trattamento tra lavoratori aventi
diritto alla mobilita' e lavoratori che,  pur  disoccupati,  ne  sono
esclusi. Tale motivazione, ancorche' sintetica, deve ritenersi idonea
a circoscrivere in modo adeguato ed autosufficiente  l'oggetto  dello
scrutinio di costituzionalita' demandato a questa Corte. 
    2.3.-  Ne'  sussiste  l'eccepito  profilo  di   inammissibilita',
connesso all'asserito carattere non a rime obbligate  dell'intervento
additivo  richiesto,   perche'   quest'ultimo   costituisce   l'unica
possibile soluzione alla denunciata disparita' di trattamento. 
    3.- Nel merito, la questione e' fondata. 
    3.1.- La disposizione censurata, come integrata dall'art.  2  del
decreto-legge n. 299 del 1994 e  dalla  sentenza  n.  218  del  1995,
determina un'oggettiva diversita' di trattamento  tra  il  lavoratore
inabile, titolare di un assegno o di una pensione di invalidita' che,
al momento del  licenziamento,  rientri  nel  novero  dei  lavoratori
aventi diritto al trattamento di mobilita' e quello che abbia  invece
diritto al solo trattamento ordinario di disoccupazione. 
    Mentre nel primo caso, infatti, il lavoratore che,  a  causa  del
regime di incompatibilita', non puo' percepire entrambi  gli  assegni
(di invalidita' e di mobilita'), ha pero' la  facolta'  di  scegliere
tra le due prestazioni, a seconda di quale dei due  trattamenti  sia,
in  concreto,  piu'  conveniente,  nel  secondo  caso,  non  ha  tale
possibilita' di scelta e si trova, di fatto, obbligato a  beneficiare
di quello connesso al suo stato di invalidita'.  L'impossibilita'  di
optare  per  il  trattamento  di  disoccupazione  in  occasione   del
licenziamento, determina, dunque, per i soli lavoratori  inabili  non
aventi diritto alla mobilita', la concreta inutilizzabilita' di  tale
tutela assicurativa. 
    3.2.-  Come  questa  Corte  ha  affermato,  il  legislatore,  nel
regolamentare il  concorso  tra  piu'  assicurazioni  sociali  e,  in
particolare,  tra  quelle  connesse  allo  stato  di  invalidita'   e
vecchiaia e  quelle  connesse  allo  stato  di  disoccupazione,  gode
certamente della piu' ampia discrezionalita' (e  puo'  ben  valutare,
quindi, come  sufficiente  l'attribuzione  di  un  unico  trattamento
previdenziale al fine di garantire  al  lavoratore  assicurato  mezzi
adeguati alle esigenze di vita sue e della  sua  famiglia),  ma,  nel
fare tale scelta, deve soddisfare il principio di  eguaglianza  e  di
ragionevolezza (sentenza n. 218 del 1995). 
    Nel caso in esame, la  descritta  diversita'  di  disciplina  tra
indennita' di  disoccupazione  ed  indennita'  di  mobilita'  non  e'
ragionevole, perche', non essendo  connessa  a  rilevanti  differenze
strutturali  delle  due  situazioni  poste   a   confronto,   risulta
irragionevolmente discriminatoria. 
    Diversamente, infatti, da  quello  che  sostengono  l'INPS  e  il
Presidente del Consiglio dei ministri, circa la  non  equiparabilita'
dell'assegno ordinario di disoccupazione al trattamento di mobilita',
le differenze tra i due emolumenti (che si assumono essere connesse a
diversita' di presupposti, entita' e  struttura  degli  stessi)  sono
marginali e non giustificano, per i  lavoratori  non  aventi  diritto
alla mobilita', la mancata previsione del diritto di opzione. 
    Infatti, l'indennita' ordinaria di disoccupazione e  l'indennita'
di mobilita' - valutate non in astratto ma con specifico  riferimento
alla ratio  della  disposizione  di  cui  si  chiede  l'estensione  -
presentano, nella finalita' e nella struttura,  assorbenti  analogie,
perche'  tali  sussidi  rientrano  nel   piu'   ampio   genus   delle
assicurazioni sociali contro la disoccupazione. 
    Un tale inquadramento e' stato gia' avallato,  da  questa  Corte,
nella sentenza  n.  184  del  2000,  laddove  si  e'  affermato  che,
nell'ambito dei cosiddetti ammortizzatori  sociali,  l'indennita'  di
mobilita' - a differenza della Cassa integrazione guadagni,  connessa
ad un mero stato transitorio di crisi dell'impresa - e' finalizzata a
favorire il ricollocamento del lavoratore in  altre  imprese  ed  e',
dunque, collegata ad  una  crisi  irreversibile  dell'impresa.  Essa,
cioe',  deve  considerarsi  un  vero   e   proprio   trattamento   di
disoccupazione. 
    3.3.- D'altra parte, la norma censurata,  come  da  questa  Corte
sottolineato (per i lavoratori in mobilita') nella citata sentenza n.
218  del  1995,  presenta  un'ulteriore  disparita'  di  trattamento,
perche' discrimina i  lavoratori  disoccupati  invalidi,  non  aventi
diritto  alla  mobilita',  anche  rispetto  agli   altri   lavoratori
disoccupati pienamente validi. I primi, infatti, secondo la normativa
attualmente vigente, percepiscono la sola indennita'  di  invalidita'
(che potrebbe, peraltro, essere solo parziale), mentre i  secondi,  a
partire dal momento del licenziamento, godono  del  piu'  vantaggioso
trattamento, ordinario o speciale, di disoccupazione. 
    Anche sotto tale profilo, pertanto, la norma censurata  determina
una lesione del principio  di  uguaglianza,  dal  momento  che,  come
questa Corte ha avuto  modo  di  chiarire  nella  piu'  volte  citata
sentenza n. 218 del 1995, «il lavoratore parzialmente  invalido,  ove
collocato in mobilita', viene a trovarsi in una  situazione  di  piu'
urgente  bisogno  del  lavoratore  valido,  anch'egli  collocato   in
mobilita', essendo prevedibile che  egli,  rispetto  a  quest'ultimo,
abbia maggiori esigenze di  mantenimento»,  e  considerato  che  «chi
subisce plurimi  eventi  pregiudizievoli  si  trova  esposto  ad  una
situazione di bisogno maggiore di chi ne subisce uno solo e quindi il
primo non potra',  rispetto  a  quest'ultimo,  avere  un  trattamento
deteriore». 
    4.- Va, pertanto, dichiarata l'illegittimita' costituzionale,  in
parte qua, delle norme censurate. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'articolo  6,  comma
7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n.  148  (Interventi  urgenti  a
sostegno  dell'occupazione),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 19 luglio 1993, n. 236, nonche' dell'articolo  1  della  stessa
legge n. 236 del 1993, che ha fatti salvi  gli  effetti  prodotti  da
analoghe disposizioni di decreti-legge non convertiti  (decreto-legge
10  marzo  1993,  n.  57,  decreto-legge  5  gennaio  1993,   n.   1,
decreto-legge 5 dicembre 1992,  n.  472,  decreto-legge  1°  febbraio
1993, n. 26, decreto-legge 8 ottobre 1992, n. 398,  decreto-legge  11
dicembre 1992, n. 478 e decreto-legge 12 febbraio 1993, n. 31), nella
parte in  cui  dette  norme  non  prevedono,  per  i  lavoratori  che
fruiscono di assegno o pensione di invalidita', nel caso  si  trovino
ad avere diritto ai trattamenti  di  disoccupazione,  il  diritto  di
optare tra tali trattamenti e quelli di invalidita', limitatamente al
periodo di disoccupazione indennizzato. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 luglio 2011. 
 
                       Il Presidente: Quaranta 
 
 
                       Il redattore: Mazzella 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositato in cancelleria il 22 luglio 2011 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti