N. 180 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 maggio 2011
Ordinanza del 9 maggio 2011 emessa dalla Corte d'appello di Messina nel procedimento penale a carico di Gentile Giuseppe ed altri. Reati e pene - Prescrizione - Modifiche normative comportanti un regime piu' favorevole in tema di prescrizione dei reati - Disciplina transitoria - Inapplicabilita' delle nuove norme ai processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione - Lesione del diritto dell'accusato al trattamento piu' lieve, corollario del principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale affermato dall'art. 7 della CEDU, come interpretato dalla Corte europea per i diritti dell'uomo. - Legge 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10, comma 3. - Costituzione, art. 117, primo comma, in relazione all'art. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.38 del 7-9-2011 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso la seguente ordinanza. Vista l'ordinanza n. 22357 emessa alla udienza del 27 maggio 2010, depositata in data 11 giugno 2010, e ordinanza del 17 gennaio 2011, depositata il 27 gennaio 2011 con le quali la Suprema Corte di Cassazione, ha ritenuto non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10, cometa terzo, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi, ai processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione; Osserva La questione di legittimita' costituzionale sollevata con la citata ordinanza dalla S.C., e' rilevante nel presente giudizio, in quanto, ove dovesse venir meno, a seguito dell'accoglimento della stessa, la richiamata disposizione normativa e, quindi, la possibilita' di .applicazione dei termini di prescrizione piu' lunghi (ovverosia di quindici anni per gli imputati che hanno beneficiato delle attenuanti generiche e di anni ventidue e mezzo, per gli altri), per i procedimenti gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione, i reati ascritti agli imputati nel presente procedimento, tenuto conto dell'epoca del commesso reato (da intendersi, cosi' come da contestazione, all'8 ottobre 1992, sarebbero gia' prescritti nel termine di anni dodici e mezzo, e quindi in data 8 aprile 2006, anche tenuto conto dei periodi di sospensione del suo decorso, a causa dei rinvii dei dibattimento disposti, su istanza o per impedimento del difensore o dell'imputato (Cassazione penale, sez. un., 28 novembre 2001, n. 1021 Cremonese - Cass. pen. 2002, 1308, 2798 - Riv. pen. 2002, 358 Giur. it. 2002, 1678 - Giur. it. 2002, 2131) in primo grado, per complessivi mesi dodici, e ancor prima, quindi, dell'intervento delle successive sospensioni in appello a far data dal 22 maggio 2006. Ritiene, altresi', questa Corte che la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte di Cassazione, non sia manifestamente infondata, sulla base delle argomentazioni svolte, autorevolmente, dal Supremo Collegio, a proposito del contrasto tra l'art. 10, comma 3 della legge n. 251 del 2005 e l'art. 117 Cost. 2.1. e che qui si riportano: «.... Con la sentenza n. 393 del 2006 la Corte Costituzionale ha premesso che l'art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato, ed e' stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice delle leggi che di quello di legittimita', nel senso che la locuzione «disposizioni piu' favorevole al reato» si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura sostanziale e con l'effetto che produce, perche' «il decorso del tempo non si limita ad estinguere l'azione penale, ma elimina la punibilita' in se' e per se', in quanto costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potesta' punitiva» (Cass. Sez. 1, 8 maggio 1998 n. 7442). Ha quindi precisato che «il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattivita', non riceve nell'ordinamento la tutela privilegiata di cui all'art. 25 Cost., comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonche' quella altrimenti piu' sfavorevole per reo. «Ne ha tratto la conclusione che "eventuali deroghe al principio di retroattivita' della lex mitior, ai sensi dell'art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficente ragione giustificativa» ed in questa ottica ha rammentato che il principio di retroattivita' della lex mitior e' stato sancito sia a livello internazionale sia a livello comunitario. In primo luogo l'art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con legge 25 ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che «se, posteriormente alla commissione di un reato, la legge prevede l'applicazione di una pena piu' lieve, il colpevole deve beneficiarne», "disposizione alla quale si collega la riserva dell'Italia nel senso dell'applicazione limitata ai procedimenti in corso, e non anche a quelli nei quali sia intervenuta una decisione definitiva». Il ricorrente ha correttamente osservato che gia' questa norma di carattere internazionale, se parametrata non all'art. 3 Cost ma all'art. 117 Cost., comma 1, rende non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della disciplina transitoria in esame, perche' priva l'imputato, il cui processo sia gia' pendente in appello o in Cassazione, dell'ottemperanza alla regola cogente, imposta dalla norma pattizia («deve beneficiarne») per la quale la lex mitior deve essere di immediata applicazione, senza che le deroghe disposte dalla legge ordinaria possano essere giustificate per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo. Tale bilanciamento e' stato operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perche' come parametro e' stato assunto quello dell'art. 3 Cost. Osserva il Collegio che successive pronunce della Corte costituzionale, da ultimo la sentenza n. 93 dell'8-12 marzo 2010, hanno affermato in maniera costante che «le norme della CEDU - nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) integrano, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall'art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali" (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008)». Ne consegue che «nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice nazionale comune, deve, quindi, preventivamente verificare la praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilita' proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al parametro dianzi indicato». La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell'uomo, in seguito al ricorso n. 1024912003 presentato da Scoppola Franco, con sentenza del 17 settembre 2009 ha imposto alla Stato italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione e di assicurare che la pena dell'ergastolo inflitta al ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a quella della reclusione di anni trenta. La CEDU e' pervenuta alla citata decisione avendo affermato che l'art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell'accusato al trattamento - piu' lieve. In particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver rammentato le proprie precedenti pronunce sull'interpretazione dell'art. 7 della Convenzione (par 103), la Corte europea ha stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere internazionale e di pronunce applicative e interpretative di esse imponeva un «approccio dinamico ed evolutivo nell'interpretazione dell'art. 7». Allo scopo richiamava (par. 104) l'art. 491 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea (c.d. Carta di Nizza), la sentenza 3 maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunita' europee (sentenza Berlusconi) e lo stesso art. 2 c.p. italiano. Affermava in conseguenza il principio (par. 109) secondo il quale «l'art. 7 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattivita' della legge penale piu' severa, ma anche, implicitamente, il principio della retroattivita' della legge penale meno severa» per cui ......se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono piu' favorevoli all'imputato». Risulta evidente il «nuovo» significato attribuito all'art. 7 della Convenzione, integrante «norma interposta», in relazione al parametro costituzionale di cui all'art. 117 Cost.il Giudice delle leggi con la citata sentenza n. 93 del 2010, richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007, ha spiegato che la Corte Costituzionale, nel procedere allo scrutinio di sua competenza, «resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione - norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale - si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale dovra' essere esclusa la idoneita' della norma convenzionale a integrare il parametro considerato". Lo scrutinio relativo e' sottratto al giudice ordinario. Ne' esso risulta effettuato con la gia' citata sentenza n. 393 del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha osservato che "Il livello di rilevanza dell'interesse preservato dal principio di retroattivita' della lex mitior. ...impone di ritenere che il valore da esso tutelato puo' essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo (quali -a titolo esemplificativo - quelli dell'efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell'intera collettivita' nazionale connessi a valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)".Cio' non tanto perche' il parametro di riferimento e' stato l'art. 3 Cost., quanto piuttosto perche' gli elementi assunti come tertium comparationis sono costituiti da «interessi di analogo valore», senza indicazione specifica di «conflitto» con altre norme della Costituzione (ipotesi che la Corte costituzionale nelle ricordate sentenze definisce "eccezionale" e riserva alla sua competenza, di guisa che non sembra corretta una valutazione interpretativa, da parte del giudice ordinario, di motivazione non esplicita di altra sentenza della Corte costituzionale). Sulla scorta delle superiori considerazioni, autorevolmente sostenute dal Supremo Collegio, accoglie l'eccezione di legittimita' costituzionale, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dell'art. 10, comma terzo, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se piu' brevi; ai processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione, - ricorrendone i presupposti della rilevanza nel presente procedimento e della non manifesta infondatezza.
P.Q.M. Visti gli artt. 134 Cost., 1 legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1, 23 e segg. legge 11 marzo 1953 n. 87; Ritenutane la rilevanza nel presente processo e non manifestamente infondata, la questione di legittimita' costituzionale in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dell'art. comma terzo, della legge n. 251 del 2005, nella parte in cui esclude l'applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se Piu' brevi, ai processi gia' pendenti in grado di appello o avanti alla Corte di cassazione. Sospende il giudizio in corso e i termini di prescrizione e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Messina, addi' 9 maggio 2011 Il Presidente: Faranda