N. 7 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 maggio - 2 agosto 2011

Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito)
depositato in cancelleria il 2 agosto 2011 . 
 
Reati ministeriali - Indagini poste in  essere  dalla  Procura  della
  Repubblica presso il Tribunale di Milano e  richiesta  di  giudizio
  immediato del G.I.P. presso la medesima Procura nei  confronti  del
  Presidente del Consiglio dei  ministri  (membro  della  Camera  dei
  deputati) -  Conflitto  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
  sollevato  dalla  Camera  dei  deputati  contro  la  Procura  della
  Repubblica ed il  G.I.P.  del  Tribunale  di  Milano  -  Denunciata
  violazione  da  parte  delle   autorita'   giudiziarie   procedenti
  dell'obbligo di trasmissione  degli  atti  al  Collegio  dei  reati
  ministeriali, di cui all'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del
  1989 - Conseguente menomazione  delle  attribuzioni  costituzionali
  spettanti alla Camera dei deputati, in ordine  alla  qualificazione
  del  reato  addebitato   nonche'   all'esercizio   della   potesta'
  autorizzatoria, di cui all'art. 96 Cost. e  all'art.  9,  comma  3,
  della citata legge costituzionale,  in  base  alla  valutazione  se
  "l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello  Stato
  costituzionalmente rilevante ovvero  per  il  perseguimento  di  un
  preminente interesse  pubblico  nell'esercizio  della  funzione  di
  governo" - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza alla
  Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano  di  avviare
  ed esperire indagini nei confronti del Presidente de Consiglio  dei
  ministri in carica, nonche' di procedere alla richiesta di giudizio
  immediato nei confronti dello stesso. 
- Richiesta di giudizio  immediato  della  Procura  della  Repubblica
  presso il Tribunale di Milano  del  9  febbraio  2011;  Decreto  di
  giudizio immediato del Giudice per le indagini  preliminari  presso
  il Tribunale di Milano-Sezione GIP del 15 febbraio 2011. 
- Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n.  1,
  artt. 6 e 9, comma 3. 
(GU n.34 del 10-8-2011 )
    Ricorso per conflitto di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato
della Camera dei deputati, in persona del presidente  on.  Gianfranco
Fini, come da deliberazione dell'Assemblea della Camera dei  Deputati
in data 5 aprile 2011, rappresentato e difeso, in virtu'  di  procura
ad litem per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep.  n.  92983  del  16
maggio  2011,  dall'avv.  prof.  Roberto  Nania,   ed   elettivamente
domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Carlo Poma n. 2; 
    Nei confronti: 
    della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano,  in
persona del Procuratore della Repubblica; 
    del Giudice delle indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di
Milano - Sezione Giudice per le indagini preliminari; 
    In relazione: 
    alle indagini poste in  essere  dalla  Procura  della  Repubblica
presso il Tribunale  di  Milano  nei  confronti  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri in carica  nonche'  membro  della  Camera  dei
deputati on. Silvio Berlusconi (nell'ambito del  procedimento  penale
n.  55781/2010  R.G.N.R.),  nonche'  alla   richiesta   di   giudizio
immediato, di cui al decreto del GIP di seguito indicato,  presentata
dalla medesima Procura in  data  9  febbraio  2011  (nell'ambito  del
procedimento penale n. 5657/11 R.G.N.R.), relativamente al contestato
delitto di concussione, omettendo di trasmettere gli atti al Collegio
per  i  reati  ministeriali  ai  sensi  dell'art.   6   della   legge
costituzionale n. 1/1989, in tal  modo  precludendo  alla  competente
Camera  dei   deputati   l'esercizio   delle   proprie   attribuzioni
costituzionali in materia di cui all'art.  96  Cost.  ed  alla  legge
costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza dare la  comunicazione
di sua spettanza alla Camera medesima; 
    al decreto di giudizio immediato, in data 15 febbraio  2011,  del
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di  Milano  -
Sezione GIP nei confronti del Presidente del Consiglio  dei  ministri
in carica on. Silvio  Berlusconi  (nell'ambito  del  procedimento  n.
1297/11 R.G.G.I.P.), col quale, in relazione al contestato delitto di
concussione, affermandone nella specie la natura non ministeriale, ha
omesso di rilevare la necessaria attivazione del Collegio per i reati
ministeriali con i provvedimenti del caso, in  tal  modo  precludendo
alla  competente  Camera  dei  deputati  l'esercizio  delle   proprie
attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art.  96  Cost.  ed
alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza adottare  i
provvedimenti opportuni al fine  di  dare  alla  Camera  medesima  la
comunicazione di sua spettanza. 
 
                                Fatto 
 
    1. - In occasione della  ricezione  da  parte  della  Camera  dei
deputati in data 14 gennaio  2011  della  domanda  di  autorizzazione
avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano
ad eseguire perquisizioni domiciliari (nell'ambito  del  procedimento
penale n.55781/2010 RGNR, per i delitti di cui agli artt.317, 61 n.2,
81 cpv. e 600-bis comma 2, del codice penale), integrata in  data  26
gennaio 2011 con atti  trasmessi  dalla  stessa  Procura,  la  Camera
veniva  ad  apprendere,  come  si  poteva  leggere   nella   medesima
richiesta, che, in relazione al citato procedimento  penale,  «questo
ufficio sta svolgendo indagini (...) nei confronti di (...) On.Silvio
Berlusconi». 
    La  Giunta  per  le  autorizzazioni  a   procedere,relazione   di
maggioranza, rilevava, con specifico riguardo al contestato reato  di
concussione di cui all'art. 317 c.p., come a fronte  della  omissione
da parte della Procura «di qualsivoglia argomentazione circa  la  non
ministerialita'», fosse prospettabile, in forza di una  molteplicita'
di elementi, «l'ipotesi che si  versi  nel  reato  ministeriale».  Si
evidenziava pertanto «che la competenza primaria a  qualificare  come
ministeriale il reato sia essenzialmente attribuita  dalla  legge  al
tribunale dei ministri (...) cio' quanto meno per i fatti per i quali
sussista  un  ragionevole  dubbio  circa  il  ricorrere   di   questo
requisito»; si osservava altresi' che «l'attivazione della  procedura
di rimessione al Tribunale dei ministri  ha,  nella  sistematica  del
procedimento, la funzione di garantire l'interesse costituzionalmente
tutelato  delle  Camere  ad  operare  un'autonoma  valutazione  sulla
ministerialita'  del  reato   rispetto   a   quella   operata   dalla
magistratura, garanzia che e' totalmente esclusa  se  quel  Tribunale
non venga attivato». 
    Conseguentemente, la  Giunta  proponeva  di  deliberare  che  «la
Camera restituisca gli atti  all'autorita'  giudiziaria  procedente»:
proposta che in data 3 febbraio 2011  veniva  accolta  dall'Assemblea
della Camera dei deputati. 
    In data 1° marzo 2011, perveniva alla Presidenza della Camera una
missiva, con relativi allegati, sottoscritta  da  tre  Presidenti  di
Gruppo, recante la richiesta alla Camera dei deputati  di  «accertare
la  sussistenza  delle  condizioni  per  sollevare  un  conflitto  di
attribuzione   tra   poteri   dello   Stato   davanti   alla    Corte
costituzionale,  a  tutela  delle  prerogative  delle   Camera   lese
...dall'operato omissivo della magistratura procedente (procura della
repubblica e giudice per  le  indagini  preliminari  di  Milano)  nei
confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi». 
    Ricollegandosi  alla  precedente   decisione   in   ordine   alla
restituzione degli atti alla Procura di  Milano,  ci  si  doleva  del
fatto che la decisione medesima «non ha sortito  alcun  effetto  (gli
atti - come  noto  -  non  sono  stati  trasmessi  al  tribunale  dei
ministri)», e che anzi il giudice  per  le  indagini  preliminari  si
fosse  espresso  nel  senso  di  «confermare  l'atteggiamento   della
procura», con quel che ne conseguiva sotto il profilo della  «portata
lesiva delle prerogative della Camera». 
    2. - Alla richiesta veniva, appunto, allegato il  decreto  citato
in epigrafe  del  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
Tribunale di Milano, dr.ssa Cristina Di Censo, in  data  15  febbraio
2011, col quale si e' disposto di procedere  con  giudizio  immediato
nei  confronti  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.   Nel
provvedimento si dava conto della  richiesta  di  giudizio  immediato
presentata dalla Procura in data 9 febbraio 2011, relativamente  alla
quale alla Camera competente non era stata data alcuna comunicazione. 
    Nel menzionato decreto, per quanto interessa in questa  sede,  il
GIP, senza tener in alcun conto gli elementi e le posizioni emerse in
sede parlamentare in ordine alla natura del reato ipotizzato a carico
del Presidente del Consiglio, sull'implicito presupposto  di  potersi
esprimere  in  via  esclusiva  in  ordine  alla  natura  del   reato,
postulava, nel rigettare  la  eccezione  di  incompetenza  funzionale
sollevata  dalla  difesa  rispetto  alla  cognizione   riservata   al
cosiddetto  Tribunale  dei  Ministri,  «che  nel   caso   di   specie
l'affermazione  su  cui  si  fonda  l'eccezione  difensiva   non   e'
condivisibile, attesa l'evidente natura "comune" e non "ministeriale"
del  contestato  delitto  di  concussione».  Deduceva  inoltre   «che
l'art.96 Cost., come sostituito dalla legge cost.le 16  gennaio  1989
n.1 stabilisce che il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  ed  i
Ministri, anche se cessati dalla carica sono sottoposti per  i  reati
commessi  nell'esercizio  delle  loro  funzioni,  alla  giurisdizione
ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o  della
Camera  dei  deputati,  secondo  le  norme  stabilite   dalla   legge
costituzionale», sicche' l'ipotesi criminosa dovrebbe  essere  a  tal
fine «promanazione immediata e diretta dell'esercizio delle  funzioni
proprie del  Presidente  del  Consiglio  o  del  Ministro».  Ribadiva
pertanto  la  conclusione  che  «nel   caso   di   specie   l'analisi
dell'imputazione» avrebbe reso  «evidente»  che  il  reato  e'  stato
compiuto «sicuramente, con abuso della  qualita'  di  Presidente  del
Consiglio, ma altrettanto certamente  al  di  fuori  di  qualsivoglia
prerogativa istituzionale e funzionale  propria  del  Presidente  del
Consiglio dei  Ministri»,  in  particolare  non  disponendo  egli  di
«poteri di intervento gerarchico nei confronti dell'autorita' di P.S.
ovvero di P.G.» e non ravvisando il  GIP  un  effettivo  «intento  di
tutela delle relazioni diplomatiche» con uno Stato estero. 
    3. - In data 23 marzo  2011,  la  Giunta  per  le  autorizzazioni
approvava la proposta di parere nella quale veniva ritenuto  che  «la
Camera, a tutela delle sue prerogative costituzionali, debba  elevare
un conflitto d'attribuzioni nei confronti dell'autorita'  giudiziaria
di Milano, essendo stata da quest'ultima lesa nella sfera  delle  sue
attribuzioni riconosciutele dall'art. 96 della Costituzione». 
    Successivamente, nella seduta  del  5  aprile  2011,  l'Assemblea
della Camera dei deputati  approvava  la  richiesta  di  «elevare  un
conflitto  di  attribuzione  nei  confronti   della   procura   della
Repubblica di Milano e del giudice per  le  indagini  preliminari  di
Milano a tutela delle attribuzioni spettanti  alla  Camera  ai  sensi
dell'art. 96 della Costituzione». 
    4. - Come si puo' trarre dalla esposizione in fatto,  l'autorita'
giudiziaria,  mediante  i  provvedimenti  specificati   in   epigrafe
(apertura e svolgimento di indagini da parte della Procura  a  carico
del Presidente del Consiglio dei ministri in  carica,  il  successivo
esercizio  dell'azione  penale  mediante  la  richiesta  di  giudizio
immediato, e infine l'accoglimento da parte del GIP  della  richiesta
medesima) ha tenuto una condotta incompatibile con  quanto  stabilito
dall'art. 6 della legge costituzionale n. 1  del  1989  relativamente
all'obbligo  di  trasmissione  degli  atti  al  Collegio  dei   reati
ministeriali ai fini della attivazione delle indagini e, all'esito di
queste, dell'adozione delle sue determinazioni. Cio' che  ridonda  in
menomazione delle attribuzioni costituzionali spettanti  alla  Camera
dei deputati, a seguito della comunicazione che in tutti  i  casi  il
Procuratore della Repubblica ha  l'obbligo  di  assicurare  (art.  8,
comma  4,  legge  cost.  n.  1/1989):  attribuzioni  in  ordine  alla
qualificazione  del  reato  addebitato  nonche'  all'esercizio  della
potesta' autorizzatoria di cui all'art. 96 Cost. e all'art.  9  della
citata legge costituzionale alla stregua delle ulteriori  valutazioni
di cui allo stesso art. 9, comma  3  (ossia  che  «l'inquisito  abbia
agito per la tutela di un interesse  dello  Stato  costituzionalmente
rilevante ovvero per il  perseguimento  di  un  preminente  interesse
pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»). 
 
                               Diritto 
 
Sulla ammissibilita' del ricorso. 
    1. E' da osservare in via preliminare che nella specie sussistono
i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita'  del  ricorso  per
conflitto di attribuzione. 
    In punto di legittimazione attiva, e' appena  da  rammentare  che
secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale  la  Camera  dei
deputati, in quanto abilitata  ad  esprimere  in  via  definitiva  la
volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare
conflitto di attribuzione volto a dedurre la  lesione  delle  proprie
prerogative  costituzionali  ed  e'  legittimata,   segnatamente,   a
difendere mediante conflitto le attribuzioni di sua spettanza di  cui
all'art.  96,  Cost.  (cfr.  l'ordinanza  n.  217/1994,  sentenze  n.
403/1994 e n. 241/2009): con la precisazione che, ai sensi dell'art.5
legge costituzionale n.1 del 1989, la  Camera  dei  deputati  risulta
titolare nella specie del potere autorizzatorio previsto dal medesimo
art. 96 Cost., essendo il Presidente del Consiglio  in  carica  anche
membro della Camera dei deputati. 
    Con riferimento agli  organi  giudiziari  indicati  in  epigrafe,
giova  rammentare  che  la  giurisprudenza   costituzionale   ne   ha
riconosciuta la legittimazione  ad  essere  parti  nei  conflitti  di
attribuzione. Per quanto riguarda la legittimazione a resistere della
Procura della Repubblica, anche con specifica attinenza ai  conflitti
inerenti le attribuzioni di  cui  all'art.  96  Cost.  e  alla  legge
costituzionale n.1  del  1989,  in  quanto  ufficio  investito  delle
funzioni  previste  dall'art.  112  Cost.(ordinanze  n.  73/2006,  n.
276/2008, e, da ultimo, n. 104/2011); per quanto riguarda il  Giudice
per  le  indagini   preliminari   ne   e'   stata   riconosciuta   la
legittimazione alla luce della costante impostazione  della  Corte  a
mente della quale i singoli organi giurisdizionali, svolgendo le loro
funzioni in posizione di indipendenza  costituzionalmente  garantita,
sono  abilitati  attivamente  e  passivamente  ad  essere  parti   in
conflitti di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato  (ordinanze  n.
269/1996, n. 320 del 1999, n. 338/2007). 
    Egualmente sussistente e' il  requisito  oggettivo  del  presente
conflitto di attribuzione. E' noto che il  conflitto  risolvibile  ai
sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge n. 87/1953, si configura
quando - sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia sotto forma di
conflitto da menomazione o da interferenza - si controverta in ordine
alla delimitazione della sfera delle attribuzioni  costituzionali  di
cui sono titolati i poteri dello Stato. 
    Ora, nella  specie  la  controversia  presenta  appunto  siffatta
natura. Ed  invero  l'attuale  conflitto,  come  gia'  anticipato  in
narrativa e come ulteriormente si  dimostrera'  in  prosieguo,  muove
dalla circostanza che gli  organi  giudiziari  indicati  in  epigrafe
hanno  posto  in  essere  l'attivita'  indicata  nei  confronti   del
Presidente del Consiglio dei  ministri  in  violazione  dell'apposita
procedura prevista dalla legge n. 1 del  1989  in  materia  di  reati
ministeriali di cui all'art. 96 Cost. che prevede la competenza dello
speciale Collegio per i reati ministeriali. Dal che discende  in  via
immediata la lesione delle attribuzioni di rango  costituzionale  che
sono riconosciute alla Camera ricorrente ossia, ricevuta comunque per
il tramite della  Procura  della  Repubblica  apposita  comunicazione
delle risultanze delle indagini condotte con i provvedimenti  assunti
dal Collegio, di poter esprimere con cognizione di causa  la  propria
valutazione in ordine al carattere ministeriale del reato nonche', ai
fini della eventuale autorizzazione a  procedere  nei  confronti  del
titolare della carica di Governo, in ordine  alla  sussistenza  delle
esimenti   idonee   a   legittimare   il   diniego   della   medesima
autorizzazione. 
    Ove mai ve ne fosse bisogno, e' da evidenziare, sotto il  profilo
dell'interesse, che, come  concorrono  a  comprovare  i  termini  del
conflitto e la prospettazione appena riassunta, il  presente  ricorso
e' diretto a reintegrare le  specifiche  attribuzioni  di  pertinenza
della Camera che sono correlate alle competenze  del  c.d.  Tribunale
dei ministri nel sistema configurato dalla  normativa  costituzionale
facente parte integrante dell'art. 96 Cost.: sicche' la loro elusione
comporta, il che e' accaduto nella fattispecie concreta, la immediata
menomazione delle competenze camerali in materia. 
    Per mera completezza va detto che  l'ammissibilita'  del  ricorso
non puo' trovare alcun ostacolo nell'art. 37, comma 2, della legge n.
87/1953 laddove, in sede di deferimento alla Corte costituzionale dei
conflitti  di  attribuzione  tra  poteri  dello  Stato,  dispone  che
«restano ferme le norme vigenti per le questioni  di  giurisdizione».
Si puo' prescindere qui dal fatto che i conflitti  di  giurisdizione,
cui fa specifico riferimento la menzionata disposizione, investono il
rapporto tra giudice ordinario e giudice speciale, e tale non  e'  il
Collegio per i reati ministeriali; come si puo' tacere  che  in  ogni
caso sia i conflitti di giurisdizione sia i conflitti  di  competenza
hanno come presupposto che piu' giudici «contemporaneamente» prendono
o ricusano di prendere  cognizione  di  uno  stesso  fatto  (art.  28
c.p.p.), presupposto che non ricorre nel caso di specie. 
    Quel che e'  certo  e'  che  la  Camera  col  presente  conflitto
ovviamente non rivendica per se' funzioni giudiziarie, bensi' lamenta
la menomazione delle diverse e specifiche attribuzioni  che  le  sono
riconosciute in materia di reati ministeriali:  lesione  che  sarebbe
destinata a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera  dei
deputati, in capo alla quale si e' consumata, ad essere legittimata a
dolersene sotto il profilo qui considerato, e non avendo  essa  altro
strumento per la reintegrazione della predetta lesione. 
    Mette conto aggiungere che soltanto  la  sede  del  conflitto  di
attribuzione   deve   ritenersi   deputata   alla   soluzione   delle
controversie concernenti l'interpretazione dell'art. 96 Cost. e della
legge costituzionale n. 1 del 1989, posto che in tale sede  il  thema
decidendum, come nella odierna fattispecie, esula dalle posizioni del
soggetto interessato ed investe invece le attribuzioni costituzionali
dei poteri dello  Stato  che  discendono  dalle  disposizioni  appena
citate:  un  oggetto  quindi  che  postula  la  messa  in  opera   di
quell'attivita' di interpretazione della Costituzione e  delle  leggi
costituzionali che, ai sensi dell'art. 134, secondo capoverso, Cost.,
non puo' che spettare alla Corte costituzionale. 
Sul merito. 
    Come gia' si e' esposto, sia la Procura di Milano sia il GIP  del
Tribunale di Milano, nonostante il coinvolgimento del Presidente  del
Consiglio dei Ministri in carica quale sottoposto alle  attivita'  di
indagine  e  quale  destinatario   delle   ipotesi   accusatorie,   e
segnatamente del delitto di concussione, hanno mancato di trasmettere
gli atti al Collegio per i  reati  ministeriali  presso  il  medesimo
Tribunale, ritenendo di poter procedere nelle vie ordinarie in quanto
titolari in via esclusiva del potere di qualificazione dell'illecito. 
    Nel caso della Procura in via  di  mero  fatto  ossia  senza  che
risulti fornita alcuna motivazione al riguardo; nel caso del GIP,  in
sede di esplicito rigetto dell'eccezione avanzata  dalla  difesa  del
Presidente del Consiglio: con l'argomentazione a suo dire  che  -  in
base  agli   esiti   delle   indagini   preliminari,   alla   propria
ricostruzione  della  vicenda  in  oggetto,  nonche'   alla   propria
valutazione della posizione funzionale del Presidente  del  Consiglio
dei ministri nel nostro ordinamento giuridico - nella fattispecie non
ricorressero i presupposti atti a radicare la competenza  dell'organo
giudiziario specializzato, e quindi escludendo che l'ipotizzato reato
di   concussione   potesse   integrare   gli   estremi   del   «reato
ministeriale». 
    Peraltro, ambedue gli organi giudiziari (Procura di Milano e GIP)
hanno omesso qualunque  comunicazione  alla  Camera  in  ordine  alle
determinazioni cui sono addivenuti, ossia alla  pretesa  possibilita'
di procedere nei confronti del Presidente del Consiglio dei  ministri
secondo le forme ordinarie e non gia' alla stregua  delle  specifiche
modalita' previste dalla legge costituzionale n. 1 del 1989. 
    E  cio'  senza  tenere  in  alcun  conto  le  osservazioni  sulla
specifica  procedura  apprestata  dal  sistema   costituzionale   con
riferimento ai reati ascritti  a  membri  del  Governo  che,  in  una
prospettiva cooperativa, la Camera dei deputati aveva  prospettato  e
che, come si e' ricordato nella parte  in  fatto,  l'avevano  indotta
alla determinazione di restituire gli atti all'autorita'  giudiziaria
richiedente  l'autorizzazione  alle  perquisizioni  domiciliaci.   Di
talche' alla Camera non e' restato che  dar  seguito  alle  anzidette
osservazioni critiche elevando il presente conflitto a  tutela  delle
proprie attribuzioni. 
    Difatti, cosi' operando  (in  senso  attivo,  ponendo  in  essere
attivita'  di  indagine  ed  esercitando  l'azione   penale   nonche'
disponendo il giudizio immediato; in  senso  omissivo,  venendo  meno
all'obbligo di trasmissione al Tribunale  dei  Ministri,  e  comunque
delle prescritte comunicazioni) i menzionati organi giudiziari  hanno
interferito con le prerogative di cui risulta titolare in materia  la
ricorrente Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96  Cost.  e  della
legge costituzionale n. 1 del 1989, come integrata dalla legge n. 219
del 1989, determinandone la vulnerazione. 
    1. - Al fine di dimostrare la fondatezza delle  censure  avanzate
dalla Camera, e' bene rammentare che a mente dell'art. 6 della  legge
costituzionale n.1 del 1989, «i rapporti, i  referti  e  le  denunzie
concernenti i reati  indicati  dall'art.96  della  Costituzione  sono
presentati o  inviati  al  procuratore  della  Repubblica  presso  il
tribunale del capoluogo del distretto di corte  d'appello  competente
per territorio» (comma 1); «il procuratore della  Repubblica,  omessa
ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con  le
sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo art.
7, dandone immediata comunicazione ai  soggetti  interessati  perche'
questi possano presentare memorie al collegio o  chiedere  di  essere
ascoltati» (comma 2). 
    Nel dare seguito alle disposizioni riportate, l'art. 1, comma  2,
della legge n. 219 del 1989 dispone esplicitamente  che  il  Collegio
per i reati ministeriali procede alle  indagini  «con  i  poteri  che
spettano al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari»
(mentre l'art. 1, comma  2,  con  riferimento  al  precedente  regime
processuale, dispone che «il collegio di  cui  all'articolo  7  della
legge costituzionale 16 gennaio 1989  n.  1,  procede  alle  indagini
previste dall'articolo 8 della stessa legge con i poteri spettanti al
procuratore  della  Repubblica   nell'istruzione   sommaria   e   con
l'osservanza delle forme stabilite per tale istruzione»). 
    Cio' posto in ordine  alla  competenza  del  c.d.  Tribunale  dei
ministri per l'attivita' investigativa,  l'art.  8,  comma  1,  della
legge cost. n. 1/1989 prescrive che «il collegio di cui  all'art.  7,
entro il termine  di  novanta  giorni  dal  ricevimento  degli  atti,
compiute indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, se non
ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con
relazione motivata  al  procuratore  della  Repubblica  per  la  loro
immediata rimessione al Presidente della Camera competente  ai  sensi
dell'art. 5». 
    Questi invia «immediatamente» gli atti ricevuti alla  Giunta  per
le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di  modo  che  detta
Giunta  possa  predisporre  una  relazione  scritta  per  relazionare
l'Assemblea (art. 9,  comma  2).  L'Assemblea,  in  ogni  caso,  deve
riunirsi entro sessanta giorni dalla ricezione degli  atti  da  parte
del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9, comma
3). 
    Infine, e' stabilito che l'Assemblea, in caso di prosecuzione del
giudizio, rimetta  gli  atti  al  Collegio  perche'  il  procedimento
continui secondo le norme vigenti  (art.  9,  comma  4).  Altrimenti,
quando sia negata  l'autorizzazione  a  procedere,  a  seguito  della
comunicazione che ne viene data al  Collegio,  quest'ultimo  «dispone
l'archiviazione  degli  atti  del  procedimento  per  mancanza  della
suddetta condizione di procedibilita' nei confronti dei soggetti  per
i  quali  l'autorizzazione  e'  stata  negata.  Il  provvedimento  di
archiviazione e' irrevocabile» (art. 4, comma 1, della legge  n.  219
del 1989). Come noto, a tale diniego  dell'autorizzazione  la  Camera
competente  puo'  addivenire,  a  maggioranza   assoluta   dei   suoi
componenti,  «ove  reputi,   con   valutazione   insindacabile,   che
l'inquisito abbia agito per la tutela di  un  interesse  dello  Stato
costituzionalmente  rilevante  ovvero  per  il  perseguimento  di  un
preminente  interesse  pubblico  nell'esercizio  della  funzione   di
Governo» (art. 9, comma 3, legge costituzionale n. 1/1989). 
    Come  si  puo'  trarre  dall'insieme  delle  disposizioni   sopra
riportate che scandiscono il procedimento  di  cui  si  tratta  e  le
rispettive competenze dei soggetti che vi partecipano (procura  della
Repubblica, Collegio, Camera competente), si e' in  presenza  di  una
sequenza di disposizioni che sono finalizzate alla  realizzazione  di
un duplice scopo. Anzitutto quello di concentrare in capo al Collegio
l'attivita' di indagine: e' probante in questo senso che la legge  in
esame nel richiedere che la notizia di reato venga rimessa  entro  il
tempo fissato al Collegio da parte del procuratore della  Repubblica,
al contempo  ha  cura  di  vietare  a  quest'ultimo  di  procedere  a
qualunque indagine. Risulta chiaro che la ratio di  siffatto  divieto
e'  identificabile  con   l'esigenza   che   la   stessa   conduzione
dell'attivita' d'indagine assicuri sempre quelle particolari garanzie
cui corrisponde l'apposita istituzione del Tribunale dei  ministri  e
la  sua  peculiare  conformazione:  la  collegialita'  a  fronte  del
carattere monocratico del pubblico  ministero,  la  sua  composizione
mediante sorteggio e  la  sorteggiabilita'  soltanto  di  coloro  che
esercitino funzioni giudicanti, ecc. Garanzie, come subito si  dira',
la cui precipua finalita' e'  assicurare  che  la  Camera  competente
abbia contezza, ai fini dell'assunzione delle sue  decisioni,  di  un
esauriente   materiale   probatorio,   la   cui   predisposizione   e
trasmissione  alle  Camere  e'  appunto  compito  del  Tribunale  dei
ministri (Corte costituzionale, sentenza n. 403 del 1994). 
    La seconda, e strettamente connessa, finalita' e' appunto che  la
Camera competente, proprio sulla scorta delle indagini effettuate dal
Collegio, sia posta se del caso - ossia nel caso  si  addivenga  alla
richiesta di autorizzazione a  procedere,  ma  anche  in  ipotesi  di
archiviazione «anomala», come stabilito dalla  sentenza  n.  241  del
2009 della Corte costituzionale - nella condizione di poter  assumere
con  adeguata  cognizione  di  causa  le  determinazioni  di  propria
competenza sia in ordine al carattere ministeriale del reato  sia  in
ordine alla sussistenza delle relative esimenti. 
    E' importante notare anche che i tempi  serrati  che  segnano  il
procedimento stanno a denotare  quanto  cogente  sia  l'esigenza  che
informa il sistema disegnato dal legislatore  costituzionale  di  far
si' che tempestivamente, prima dell'eventuale  esercizio  dell'azione
penale, le ipotesi di reato di cui si tratta vengano sottoposte ad un
doppio  vaglio:  quello  in  ordine  alla  meritevolezza   circa   la
prosecuzione del procedimento, che e' appunto assegnato  al  Collegio
specializzato in materia di reati ministeriali; e quello, riguardante
l'esistenza  dei  presupposti  per   l'attivazione   della   relativa
guarentigia, di spettanza della Camera competente. 
    Preoccupazione ben giustificata se si considerano  gli  interessi
di  natura  istituzionale  che,  come   attesta   la   stessa   legge
costituzionale, sono potenzialmente suscettibili di venire  in  gioco
quando si versi nell'ipotesi di reati di cui siano accusati  soggetti
che rivestono la carica ministeriale e  che  in  quanto  tali  devono
essere   altrettanto   tempestivamente   scrutinati   dalla    Camera
competente: cio' soprattutto in ragione dell'incidenza che la  stessa
pendenza del procedimento puo'  esprimere  a  carico  del  componente
dell'esecutivo e, piu' complessivamente, sulla compagine di governo e
sulla connessa relazione fiduciaria. 
    2. - Da quanto sopra esposto discende che  eludere,  come  si  e'
verificato nella specie,  questo  peculiare  procedimento  destinato,
salvo il solo  caso  della  archiviazione  «definitiva»,  a  sfociare
immancabilmente nelle determinazioni di competenza camerale in ordine
al reato ipotizzato  a  carico  dei  membri  del  Governo,  significa
vanificare l'intero sistema disegnato dal legislatore  costituzionale
nel quale si trovano contemperate  «la  garanzia  della  funzione  di
governo e l'uguaglianza di tutti  i  cittadini  davanti  alla  legge»
(Corte costituzionale, sentenza n. 241 del 2009). 
    Come  si  afferma  ancora  nella  sentenza  appena  citata   "per
realizzare un ragionevole bilanciamento tra questi due principi,  sia
le norme costituzionali che quelle della legge  ordinaria,  mirano  a
porre  tanto  l'autorita'  giudiziaria  quanto  quella  politica   in
condizione di tutelare, nei loro  reciproci  rapporti,  la  prima  il
potere-dovere di perseguire i reati commessi da qualunque  cittadino,
indipendentemente   dalla   carica   ricoperta,   la   seconda,    il
potere-dovere  di  attuare  in  concreto  la   guarentigia   prevista
dall'art. 96 Cost. Il risultato ora detto si  consegue,  da  un  lato
mantenendo all'autorita' giudiziaria ordinaria il potere di  svolgere
le indagini necessarie rispetto alle notizie di reato  a  carico  dei
ministri e, dall'altro, assicurando alla Camera competente, ai  sensi
dell'art. 5 della legge costituzionale n. 1 del  1989,  l'adeguata  e
tempestiva informazione sugli sviluppi  e  l'esito  dei  procedimenti
penali a carico dei componenti del Governo». 
    Si puo' dire dunque che il necessario e tempestivo coinvolgimento
dell'organo parlamentare occupa una posizione cruciale  nello  schema
procedimentale configurato dalla normazione di rango  costituzionale.
Lo conferma vieppiu' il fatto che  la  Corte  costituzionale,  sempre
nella sentenza n.  241  del  2009,  ha  stabilito  che  l'obbligo  di
comunicazione nei confronti della Camera competente operi anche nella
eventualita'  della  archiviazione  conseguente  alla  ritenuta   non
ministerialita' del reato oggetto della attivita' investigativa,  con
prosecuzione del procedimento in via ordinaria. Difatti, in tal  modo
ne viene, per  cosi'  dire,  completato  lo  schema  anzidetto  della
imprescindibile possibilita' di interlocuzione che deve  essere  data
alla Camera competente, portandolo alle sue logiche conseguenze. 
    3. - Alla stregua di quanto  sin  qui  svolto,  ad  avviso  della
Camera ricorrente, non e' in linea con siffatto  sistema  e  col  suo
disegno di equilibrato  rapporto  tra  ordine  giudiziario  e  potere
politico-rappresentativo ritenere che  l'anzidetto  iter  procedurale
possa attivarsi soltanto  qualora  sia  stato  previamente  accertato
dall'autorita' giudiziaria, su cui grava l'obbligo della trasmissione
al Collegio, il carattere ministeriale del reato. 
    E' da considerare invero che il postulato da cui muove una simile
impostazione, vale a dire che il consueto criterio per  il  quale  il
potere  di  qualificazione  del  reato  sia  di  esclusiva  spettanza
dell'autorita' giudiziaria destinataria della relativa notizia  resti
perfettamente integro anche nel campo di cui  si  tratta,  non  tiene
conto  della  specifica  procedura  dettata   da   legge   di   grado
costituzionale. 
    Il vero e' che, nella prospettiva del legislatore costituzionale,
la preservazione dell'equilibrio tra poteri che  e'  ravvisabile  nel
procedimento  in  questione  in  tanto  puo'  realizzarsi  in  quanto
siffatta qualificazione venga in via conclusiva rimessa in ogni  caso
(ossia anche quando la Procura abbia ritenuto «comune» la natura  del
reato) al Tribunale dei ministri; di modo che alla Camera sia  sempre
assicurata la debita informazione  -  che  le  e'  costituzionalmente
dovuta (Corte cost., sentenza n. 241/2009)- in  ordine  alle  vicende
processuali che riguardano  membri  del  Governo  nonche'  l'adozione
delle valutazioni che in punto di qualita' del  reato  e  circostanze
del medesimo sono di spettanza della Camera: e che  potranno  o  meno
convergere  con  le  conclusioni  raggiunte  dal  Collegio  (con   le
conseguenze, in caso di dissenso nel merito, profilate  ancora  nella
sentenza n. 241 del 2009). 
    Sarebbe del tutto errato obiettare che in tal modo lo  status  di
componente del Governo venga elevato  ad  unico  fattore  costitutivo
della nozione di reato ministeriale: va da se'  infatti  che  sia  la
prima e «precaria» valutazione operata dal  Procuratore,  finalizzata
alla presentazione delle sue «richieste» al Collegio unitamente  alla
trasmissione degli atti (art. 6, comma 2, legge cost. n. 1/1989), sia
quella conclusiva del Tribunale dei ministri verteranno  sui  profili
atti ad integrare il reato ministeriale. 
    D'altro canto, che sia  cosi'  sta  anzitutto  a  dimostrarlo  il
divieto, sopra rammentato, a carico del Procuratore della  Repubblica
di effettuare qualunque indagine relativamente alla notizia di  reato
addebitato ad un  Ministro.  Non  sembra  disconoscibile  come  cio',
unitamente al breve termine che gli e' assegnato per tale adempimento
(quindici  giorni),  risulti   del   tutto   incompatibile   con   la
possibilita' di effettuare una  ponderazione  davvero  conclusiva  ed
adeguata alla natura del reato in questione, soprattutto considerando
le conseguenze, in termini di coinvolgimento o meno del Tribunale dei
ministri e della Camera competente,  che  da  una  valutazione  tanto
approssimativa dovrebbero discendere. 
    Infatti,  non  per  caso  l'art.  6,   comma   2,   della   legge
costituzionale prevede che il  P.M.,  nel  trasmettere  gli  atti  al
Collegio, formuli le proprie «richieste»: il  che  significa  che  in
ogni  caso  dette   richieste,   anzitutto   con   riferimento   alla
qualificazione del reato, non possono giammai sfuggire al vaglio  del
Collegio a conclusione del proprio percorso valutativo. Peraltro,  la
«precarieta'» della qualificazione giuridica di un illecito e' sempre
connaturata secondo le regole generali agli addebiti  effettuati  dal
p.m., con la sola differenza che sul terreno  in  questione  essa  si
manifesta   nei   modi   specifici    tipizzati    dalla    normativa
costituzionale. 
    Il riscontro lo si ricava dagli stessi lavori  preparatori  della
legge  costituzionale  in  cui  i  confini   delle   competenze   del
Procuratore della Repubblica hanno ricevuta esplicita considerazione.
Ci si vuole riferire in particolare  alla  relazione  all'Aula  della
Commissione affari costituzionali del Senato della  Repubblica,  dove
si legge che  «il  Pubblico  Ministero  e'  tenuto  ad  inoltrare  al
Collegio la documentazione pervenuta perche' questo conduca  indagini
preliminari», cui  si  aggiunge  la  precisazione  che  «il  Pubblico
Ministero svolge in questa fase preliminare una funzione di  raccolta
delle notizie di reato e di primi elementi, nonche' di consulenza  al
Collegio». 
    Inoltre, in sede di successivo esame da parte  della  Camera  dei
deputati, il testo  viene  integrato  sia  riducendo  il  termine  di
trasmissione a quindici giorni sia introducendo l'espressione «omessa
ogni indagine»: e cio' su indicazione della Commissione giustizia che
considerava appunto indispensabili  tali  integrazioni  affinche'  si
rendesse del tutto chiaro che il Procuratore assolve  alla  «funzione
di semplice tramite al Collegio» e che egli «non possa ne' debba fare
alcuna indagine». Funzione che in  dottrina,  alla  stregua  di  tali
intendimenti, e' stata identificata  con  un'attivita'  di  carattere
esclusivamente materiale. 
    Tutto cio' converge nel  confermare  la  vocazione  inquirente  e
valutativa che il sistema costituzionale assegna al Collegio in vista
dell'esercizio delle competenze camerali. 
    La Corte  costituzionale,  dal  canto  suo,  nel  ricostruire  il
disegno normativo, ha affermato che il  Procuratore  «senza  compiere
alcun atto  d'indagine,  deve  limitarsi  ad  investire  il  Collegio
inquirente previsto dal successivo art. 7  trasmettendogli  gli  atti
con le sue richieste entro il termine di quindici giorni.  E'  invece
il Collegio che compie le indagini preliminari entro  il  termine  di
novanta  giorni,  all'esito   delle   quali   ...   adotta   le   sue
determinazioni» (sentenza n. 403 del 1994). 
    La  non  plausibilita'  dell'opposta   lettura,   fatta   propria
dall'autorita' giudiziaria nel caso attuale,  viene  attestata  anche
dal fatto che mentre per la Procura quel brevissimo  lasso  di  tempo
sarebbe sufficiente per adottare le determinazioni del caso e per  di
piu'  senza  alcun  ulteriore  supporto  investigativo,  al  Collegio
vengono viceversa concessi  novanta  giorni  (prorogabili  per  altri
sessanta) anche per addivenire - si badi bene -  alla  qualificazione
del reato, in forza delle investigazioni esperite, come  ordinario  e
non gia' come ministeriale (la c.d. archiviazione anomala). Parimenti
non plausibile e' che il supposto potere esclusivo di  qualificazione
del Procuratore abbia un regime dissociato: per cui, se  la  relativa
determinazione e' di segno negativo (non ministerialita'  del  reato)
su di essa non potrebbe interloquire il Collegio (e  conseguentemente
la  Camera  competente)  mentre  in  caso  di  esito   positivo   (la
ministerialita'  del  reato)   tale   valutazione   potrebbe   essere
sovvertita dal medesimo Collegio. Ne' cio' potrebbe spiegarsi con  un
immaginario favor nei confronti della non ministerialita' di cui  non
vi e' neppure lontanamente traccia nella  disciplina  costituzionale:
ad essa e' estranea, e  non  potrebbe  essere  altrimenti,  qualunque
sbrigativa  presunzione  valutativa,  risultando   anzi   protesa   a
bilanciare i valori in gioco. 
    Identica ed irragionevole  dissociazione  si  determinerebbe  per
quanto attiene ai poteri della Camera. Basti considerare che nel caso
del Collegio, quale che sia la qualificazione che abbia  ritenuto  di
imprimere al reato, resta fermo il potere delle Camere di adottare le
determinazioni  di  propria  competenza,   atteso   che   «all'organo
parlamentare infatti non puo' essere sottratta una  propria  autonoma
valutazione sulla natura ministeriale o non  ministeriale  dei  reati
oggetto di indagine giudiziaria» (Corte costituzionale,  sentenza  n.
241  del  2009).Ebbene,  nonostante   la   perfetta   identita'   del
presupposto ossia la  ritenuta  non  ministerialita'  del  reato,  il
potere valutativo della Camera dovrebbe restare inoperativo  qualora,
come  nella  specie,  la  supposta  natura  comune  del  reato  venga
stabilita  dall'autorita'  giudiziaria  ordinaria  e  non  gia'   dal
Collegio. 
    Per riassumere, non e' disconoscibile che  il  sistema  disegnato
dalla legge n. 1 del 1989 poggia sul criterio  che  la  qualita'  del
reato non sia un dato cristallizabile a priori da parte della Procura
in grado di precludere ogni ulteriore e diversa valutazione al  punto
da  estromettere  gli  stessi  protagonisti  della  materia,  ed   in
particolare la Camera competente: quel dato costituisce viceversa  il
punto di arrivo di apposite indagini e  degli  apprezzamenti  rimessi
all'organo specializzato ed all'organo rappresentativo. 
    4. - Vi e' un'ultima considerazione da avanzare. 
    Non e' possibile pensare che, nel sistema predisposto dalla legge
costituzionale, le attribuzioni della Camera competente  inerenti  la
valutazione  della  ministerialita'  del  reato  nonche'  l'eventuale
ricorrenza  delle  esimenti  che  ne  escludano   l'antigiuridicita',
restino  nella  totale  disponibilita'  dell'autorita'   giudiziaria.
Essendo invero  quelli  della  Camera  e  dell'autorita'  giudiziaria
poteri  suscettibili  di  reciproco  condizionamento,  non  puo'  che
rigettarsi una lettura della legge costituzionale n. 1 del  1989  che
consenta  al  P.M.  di  paralizzare,  a   propria   discrezione,   le
prerogative costituzionali della Camera dei deputati. Lettura che  e'
stata esclusa dalla sentenza n. 241  del  2009,  con  riferimento  al
Tribunale dei ministri, per cui non si vede come  possa  rivendicarsi
un tale  potere  interdittivo  da  parte  dell'autorita'  giudiziaria
ordinaria che decida di trattenere il procedimento penale. 
    Difatti, proprio questa  conseguenza  si  determinerebbe  qualora
fosse  sufficiente  qualificare  il  reato  quale  reato  comune  per
disattivare l'intero procedimento che  mette  capo  alle  valutazioni
camerali. Cio' che risulta in contrasto con  elementari  esigenze  di
certezza  delle  attribuzioni   costituzionali   e   di   ragionevole
equilibrio nell'esercizio delle competenze che ai diversi poteri sono
rispettivamente  attribuite  nonche'  con  il  principio   di   leale
collaborazione tra poteri dello Stato; principi tutti che  respingono
soluzioni ricostruttive che comportino che le competenze delle Camere
possano  essere  messe  nel  nulla  a   seguito   della   unilaterale
valutazione dell'autorita' giudiziaria. 
    Ne' si puo' opporre a quanto svolto che alla Camera sarebbe  dato
in ogni caso il rimedio del conflitto di  attribuzione  laddove  essa
ritenga di dissentire dagli assunti del giudice ordinario  in  ordine
al  carattere  non  ministeriale  del  reato.  Anzitutto,  in  quanto
l'esistenza di tale strumento non esime da una corretta ricostruzione
del  sistema  onde  consentire  che  l'esercizio  delle   prerogative
costituzionali avvenga in modo  incontrastato  e  secondo  i  moduli,
anche  temporali,  che  gli  sono  propri.  In  secondo  luogo,   per
l'evidente  ragione  che  il   procedimento   fissato   dalla   legge
costituzionale, come si e' piu' volte ribadito, e' anche  strumentale
alla assunzione di consapevoli determinazioni da parte  della  Camera
in ordine alla qualita' del reato nonche' alla eventuale  sussistenza
delle esimenti, per cui la sua elusione intacca le stesse  condizioni
di esercizio di tali competenze costituzionali. 
    1. - Sotto un diverso ma convergente  profilo,  e'  da  dire  che
tanto  piu'  ingiustificata   risulta   nella   specie   la   mancata
trasmissione della notizia di reato al Collegio  competente,  con  la
relativa lesione delle attribuzioni della  Camera,  se  si  considera
quanto emerso in sede parlamentare. 
    Il  riferimento   e',   in   particolare,   alla   deliberazione,
specificata nella parte in fatto, assunta dalla Camera  dei  deputati
di restituzione degli atti alla  procura  di  Milano  che,  ai  sensi
dell'art.  68  comma  2,   Cost.,   aveva   avanzato   richiesta   di
autorizzazione per talune perquisizioni nei confronti del  Presidente
del Consiglio dei ministri: restituzione  motivata,  ancorche'  sulla
base delle informazioni inviate allo specifico  fine  dalla  Procura,
dal difetto di competenza dell'organo giudiziario  in  ragione  della
possibile natura ministeriale del reato di concussione per  il  quale
si procedeva. 
    Si rilevava tra l'altro  nella  relazione  di  maggioranza  della
Giunta per le autorizzazioni in data 31 gennaio 2011,  relativa  alla
richiesta   della   procura   di   autorizzazione   a   perquisizioni
domiciliari, che «nel caso di specie la  procura  di  Milano  non  ha
preso in considerazione in nessun modo tale procedura (ndr: quella di
cui  alla  legge  costituzionale  n.  1  del  1989),   senza   quindi
minimamente ipotizzare che nel caso in questione potesse trattarsi di
uno dei reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione (...) Come
e'  noto  l'espressione  "reati  indicati  dall'articolo   96   della
Costituzione" presente  nella  legge  costituzionale  e  nella  legge
ordinaria, come e' confermato dalla semplice lettura dell'articolo 96
della Costituzione non rinvia ad un elenco specifico di reati che non
e'  contenuto  nella  disposizione  costituzionale   e   che   invece
consentirebbe un piu' facile accertamento circa  l'inerenza  ad  essi
dei  rapporti,  referti  e  denunzie  inviati  al  procuratore  della
Repubblica. La disposizione costituzionale indica invece una  formula
generale  che  e'  quella  dei  reati  commessi  dal  Presidente  del
consiglio e dai ministri nell'"esercizio delle loro funzioni". E' del
tutto evidente che il ricorrere di siffatta locuzione richiede  volta
per volta una delicata attivita' interpretativa cui  l'operatore  del
diritto deve impegnarsi tenendo conto della fattispecie concreta,  il
cui  approfondimento  e  la  cui  soluzione  costituiscono  una  fase
propedeutica del prosieguo del procedimento e di cui pero' - nel caso
in questione  -  non  sembra  esservi  traccia  (almeno  nelle  carte
trasmesse)». 
    Si  argomentava  anche,  con  riferimento  alla   posizione   del
Presidente del Consiglio, che tale posizione "e' del tutto  peculiare
e presenta degli evidenti caratteri di specificita'. Egli ha funzioni
e competenze che presentano, per certi  versi,  contorni  sicuramente
meno netti di quelle dei singoli ministri, ma se facciamo affidamento
solo a quest'ultimo criterio, per individuare i  reati  ministeriali,
e' evidente che si  rischia  di  ridurre  considerevolmente,  per  il
presidente del  consiglio,  che  non  e'  collocato  a  capo  di  uno
specifico ministero, la possibilita' di avvalersi, nell'esercizio del
suo  delicato  ruolo  di  direzione  politica  del   governo   e   di
mantenimento dell'unita'  di  indirizzo,  della  prerogativa  di  cui
all'articolo 96 della Costituzione". 
    I  brani  riportati,  senza  dover  riprodurre  integralmente  la
documentazione versata in atti, attestano l'insorgenza di dubbi sulla
qualita' del reato, non fosse altro che  in  ragione  della  discorde
valutazione effettuata al riguardo dall'autorita' giudiziaria e dalla
Camera. Situazione questa che avrebbe dovuto indurre  la  Procura,  e
successivamente il GIP, ad investire di tale qualificazione  l'organo
specializzato,  come  peraltro  e'  stato  affermato   in   sede   di
giurisprudenza  di  legittimita'  :  «l'obbligo  di  trasmissione  al
cosiddetto Tribunale dei ministri  degli  atti  concernenti  i  reati
indicati nell'art. 6 legge cost. n. 1 del 1989 sussiste a  condizione
che  venga  ravvisata,  quantomeno  sotto  il  profilo  del   dubbio,
l'ipotizzabilita' di un reato ministeriale» (Cass., sez. VI  pen.,  6
agosto 1992, n. 2865). 
    Ne deriva, alla luce della ricostruzione in precedenza data della
legge costituzionale, la riprova della  violazione  del  procedimento
previsto  dalla  legge  cost.  n.  1/1989  con   la   lesione   delle
attribuzioni della ricorrente che  immediatamente  vi  si  ricollega,
attesa l'incidenza che deve annettersi, in  termini  di  integrazione
del requisito del «dubbio», alle  posizioni  ufficializzate  in  sede
camerale, ossia da parte dell'organo che nel  sistema  costituzionale
e' chiamato a interloquire sulla stessa natura del reato. 
    Cio' anche sotto il convergente  profilo  dell'obbligo  di  leale
collaborazione  enucleato  dalla  giurisprudenza  costituzionale  con
riferimento alla  cognizione  dei  reati  ministeriali  (ad  esempio,
sentenza n. 403 del 1994). 
    Ed  infatti,  quale  che  sia  la  ricostruzione,  ancorche'  non
condivisibile,  che  in  astratto  si  voglia  dare  dei  poteri   di
qualificazione  del  reato  facenti  capo  all'autorita'  giudiziaria
(Cass., sez. VI penale, 3-11 marzo 2011, n.  10130),  nella  concreta
vicenda di cui e' causa vi e' un tratto  specifico  e  differenziale,
ossia l'intervenuta delibera camerale di restituzione degli atti  con
la relativa sollecitazione ad attivare la procedura di cui alla legge
n. 1/1989: orientamento valutativo questo che - derivando dall'organo
parlamentare cui, come detto, il sistema costituzionale riconosce  in
materia di reati ministeriali il potere  di  esprimere  «una  propria
autonoma valutazione» (Corte  costituzionale,  sentenza  n.  241  del
2009) -non poteva essere del tutto ignorato, come e' invece avvenuto,
da parte degli organi  giudiziari,  in  tal  modo  assolutizzando  le
proprie competenze qualificatorie e compromettendo il gia' richiamato
canone  del  contemperamento  tra  gli  interessi  costituzionalmente
tutelati (Corte costituzionale, sentenza n. 225 del 2001). 
    Invero, se si vuoi annettere effettiva incidenza al principio  di
leale collaborazione tra Camera e Autorita' giudiziaria nella vicenda
in esame, occorre concludere che la obiettiva divergenza  insorta  in
ordine   alla   qualificazione   del   reato   ed   al   procedimento
costituzionalmente prescritto (manifestatasi con la delibera camerale
del 3 febbraio 2011) avrebbe  imposto  l'attivazione  della  speciale
procedura di cui alla legge cost. n. 1  del  1989,  la  sola  idonea,
attesa la sua peculiare articolazione, a determinarne il superamento. 
    2. - Ulteriore profilo di  lesivita'  e'  comunque  riscontrabile
nella motivazione del decreto del GIP (che', come  si  e'  detto,  la
Procura neppure si e' espressa in alcun modo sul punto), quando, allo
scopo di  asseverare  la  natura  comune  del  reato,  si  e'  dovuto
impegnare su svariati e problematici aspetti di ordine costituzionale
inerenti la complessiva  posizione  istituzionale  della  figura  del
Presidente del Consiglio dei ministri, dalla titolarita'  o  meno  di
poteri  di  «intervento  gerarchico»   con   riguardo   agli   organi
amministrativi alle concrete modalita'  di  «tutela  delle  relazioni
diplomatiche». Argomenti tutti  in  relazione  ai  quali  non  appare
possibile declinare il contributo  valutativo  offerto  dagli  organi
della Camera in termini di  sussistenza  degli  indici  della  natura
ministeriale del reato. 
    Si e' eccepito in particolare da parte della  odierna  ricorrente
che la posizione del Presidente del Consiglio  dei  ministri  «quanto
all'esercizio di funzioni e competenze ed alla eventuale  commissione
di reati nell'esercizio di queste, e' del tutto peculiare e  presenta
degli evidenti caratteri  di  specificita'.  Non  si  puo'  ignorare,
infatti, che le funzioni essenziali del Presidente del Consiglio -  a
parte  cioe'  quelle  che  l'ordinamento  rimette  alla  sua  diretta
responsabilita' - sono funzioni di direzione della politica  generale
del governo, di cui e' responsabile, e di mantenimento dell'unita' di
indirizzo  politico  ed  amministrativo,  promuovendo  e  coordinando
l'attivita' dei ministri.»  (cfr.  la  relazione  di  Giunta  per  le
autorizzazioni in data 31 gennaio 2011  approvata  dall'Assemblea  in
data 3 febbraio 2011). Inoltre, con riferimento al potere evocato dal
GIP di «tutela  delle  relazioni  diplomatiche»,  il  tema  e'  stato
affrontato nel dibattito presso la Giunta per le autorizzazioni (cfr.
resoconto sommario della seduta del  27  gennaio  2011,  pp.  12-13);
sulla base delle cui risultanze la posizione della  Giunta  e'  stata
nel  senso  di  «rafforzare  l'ipotesi  che  si   versi   nel   reato
ministeriale», proponendo la restituzione  degli  atti,  inerenti  la
richiesta di perquisizioni domiciliari, alla procura della Repubblica
presso il Tribunale di Milano (cfr. resoconto sopra citato,  p.  14):
proposta   questa   approvata,   come   ricordato    in    narrativa,
dall'Assemblea della Camera in data 3 febbraio 2011. 
    Ed infatti, assegnando l'art. 95, comma 1,  Cost.  al  Presidente
del  Consiglio  la  funzione  di  mantenere  «l'unita'  di  indirizzo
politico-amministrativo, promuovendo e  coordinando  l'attivita'  del
ministri», puo' ravvisarsi in detta  disposizione  costituzionale  la
fonte di competenze, anche innominate, suscettibili di trascendere la
rigidita' delle competenze ministeriali e  di  investire  l'attivita'
delle pubbliche amministrazioni che ricadono nei  singoli  dicasteri,
nonche' della titolarita' di un  autonomo  margine  di  apprezzamento
quanto alle modalita' di gestione di tali competenze. 
    Vi e' da  aggiungere  che,  come  si  legge  nella  sopra  citata
relazione della Giunta per  le  autorizzazioni,  proprio  l'abuso  di
potere addotto dal GIP e' tutt'altro che risolutivo per escludere  la
ricorrenza del reato ministeriale ed anzi "puo' essere uno  dei  casi
nei quali riconoscere che il fatto e' stato  commesso  nell'esercizio
delle  funzioni  di  governo,   conseguentemente   assumendo   natura
ministeriale». 
    Sicche' non e' affatto «evidente», come si vorrebbe  nel  decreto
del GIP, la natura non ministeriale dell'ipotesi di  reato,  per  cui
resta ferma la doglianza per la mancata  attivazione  della  speciale
procedura  prevista  dalle  menzionate  disposizioni   costituzionali
nonche' per la vanificazione dei poteri  spettanti  in  materia  alla
Camera dei deputati che cio' ha comportato. 
    Non resta quindi che ribadire la  sussistenza  nella  specie  dei
presupposti per l'attivazione della procedura che, grazie al concorso
dell'organo     giudiziario     specializzato      e      dell'organo
politico-rappresentativo che vi prendono  parte,  il  legislatore  ha
innegabilmente  tipizzato  come  la  piu'  idonea  in   vista   delle
determinazioni in materia. 
    3. - In via  subordinata,  e'  da  ritenere  comunque  lesivo  il
comportamento dei menzionati organi del  potere  giudiziario,  avendo
omesso di informare a tempo debito e nelle forme richieste la  Camera
dei deputati della conduzione del procedimento nelle  vie  ordinarie,
in particolare con riferimento alla richiesta di  giudizio  immediato
avanzata dalla procura nonche' al relativo decreto adottato dal  GIP.
Difetto di informazione da cui e' derivata la inibizione  del  potere
della  Camera  di  procedere  alle  apposite  determinazioni  di  sua
pertinenza circa la  natura  del  reato  ed  eventualmente  circa  la
sussistenza delle esimenti di cui all'art. 9, comma  3,  legge  cost.
n.1/1989. 
    Ed invero le esigenze costituzionali che  sono  alla  base  della
inaggirabile  interlocuzione  della  Camera  competente  rispetto  al
procedimento relativo ai reati che investono titolari  delle  cariche
di Governo, sono state apprezzate dalla  Corte  costituzionale  nella
sentenza n. 241 del 2009 in sede di  accoglimento  del  conflitto  di
attribuzione   relativo   all'apposita   comunicazione    susseguente
all'archiviazione anomala da parte del Tribunale dei  ministri.  Tali
esigenze non possono non rilevare in  eguale  misura  -  ed  anzi  in
misura  ancora  maggiore  -  nel   caso   di   valutazione   di   non
ministerialita' del reato operata in via  autonoma  da  altri  organi
giudiziari. 
    E' chiaro  difatti  che  una  volta  che  tali  organi  si  siano
attribuiti il  potere  qualificatorio  in  luogo  del  Tribunale  dei
ministri, non puo' che discenderne anche l'assunzione degli  obblighi
di comunicazione e di coinvolgimento della  Camera  competente  posto
che ad essa, secondo quanto richiesto dall'art. 96 Cost.,  «non  puo'
essere  sottratta  una  propria  autonoma  valutazione  sulla  natura
ministeriale  o  non  ministeriale  dei  reati  oggetto  di  indagine
giudiziaria» (Corte costituzionale, sentenza n. 241/2009). 
    Va  quindi  affermato,  alla  stregua  dei  basilari  canoni   di
ragionevolezza e idoneita' allo scopo che a mente dell'art.  3  Cost.
presiedono alla interpretazione della legge,  come  anche  di  quella
costituzionale  specie  quando  sia  volta  a  definire   ambiti   di
prerogative per i poteri, che le richieste incombenze correlate  alla
valutazione  di  non  ministerialita'   devono   restare   ferme   ed
ineludibili in quanto intese alla tutela delle  predette  prerogative
costituzionali degli organi rappresentativi  ai  sensi  dell'art.  96
Cost. 
    Si aggiunga che sarebbe insostenibile che in simili evenienze  la
Camera  competente  debba  rimettersi  all'iniziativa   del   singolo
titolare  della  carica  di  governo,  peraltro  non  necessariamente
interessato a far valere il carattere ministeriale del  reato,  posto
che il compito assegnato alle Camere, a  seguito  della  novellazione
dell'art. 96 Cost., e' oggi quello di assicurare nel suo complesso il
corretto funzionamento del  sistema  parlamentare  e  dell'integrita'
delle funzioni di governo. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Si chiede che la Corte costituzionale voglia statuire  che  nella
specie non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale
di Milano avviare ed esperire indagini nei confronti  del  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri  in  carica,  nonche'  procedere   alla
richiesta di giudizio immediato di cui in epigrafe, relativamente  al
contestato delitto di concussione, omettendo di trasmettere gli  atti
al Collegio per i reati ministeriali ai sensi dell'art. 6 della legge
costituzionale n. 1/1989, in tal  modo  precludendo  alla  competente
Camera  dei   deputati   l'esercizio   delle   proprie   attribuzioni
costituzionali in materia di cui all'art.  96  Cost.  ed  alla  legge
costituzionale n. 1  del  1989,  e  comunque  senza  dare  la  dovuta
comunicazione alla ricorrente Camera dei deputati. 
    Cosi' come voglia statuire  che  nella  specie  non  spettava  al
Giudice delle indagini preliminari  presso  il  Tribunale  di  Milano
procedere in  via  ordinaria  ed  emettere  il  decreto  di  giudizio
immediato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri  in
carica di cui in epigrafe, ne' affermare, in relazione al  contestato
delitto di concussione, la  natura  non  ministeriale  dello  stesso,
omettendo di  rilevare  la  necessaria  trasmissione  degli  atti  al
Collegio per i reati ministeriali con i provvedimenti  del  caso,  in
tal modo precludendo  alla  Camera  dei  deputati  l'esercizio  delle
proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art. 96  ed
alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza  provvedere
in modo che venisse data  la  dovuta  comunicazione  alla  ricorrente
Camera dei deputati. 
    Con annullamento delle attivita' poste in  essere  e  degli  atti
adottati nell'ambito dei procedimenti epigrafati. 
        Roma, addi' 16 maggio 2011 
 
          Pres. Gianfranco Fini - prof. avv. Roberto Nania 
 
Avvertenza: 
    L'ammissibilita' del  presente  conflitto  e'  stata  decisa  con
ordinanza n. 241/2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s.,
n. 32 del 27 luglio 2011.