N. 7 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 16 maggio - 2 agosto 2011
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (merito) depositato in cancelleria il 2 agosto 2011 . Reati ministeriali - Indagini poste in essere dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano e richiesta di giudizio immediato del G.I.P. presso la medesima Procura nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri (membro della Camera dei deputati) - Conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sollevato dalla Camera dei deputati contro la Procura della Repubblica ed il G.I.P. del Tribunale di Milano - Denunciata violazione da parte delle autorita' giudiziarie procedenti dell'obbligo di trasmissione degli atti al Collegio dei reati ministeriali, di cui all'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989 - Conseguente menomazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Camera dei deputati, in ordine alla qualificazione del reato addebitato nonche' all'esercizio della potesta' autorizzatoria, di cui all'art. 96 Cost. e all'art. 9, comma 3, della citata legge costituzionale, in base alla valutazione se "l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di governo" - Richiesta alla Corte di dichiarare la non spettanza alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano di avviare ed esperire indagini nei confronti del Presidente de Consiglio dei ministri in carica, nonche' di procedere alla richiesta di giudizio immediato nei confronti dello stesso. - Richiesta di giudizio immediato della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano del 9 febbraio 2011; Decreto di giudizio immediato del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano-Sezione GIP del 15 febbraio 2011. - Costituzione, art. 96; legge costituzionale 16 gennaio 1989, n. 1, artt. 6 e 9, comma 3.(GU n.34 del 10-8-2011 )
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato della Camera dei deputati, in persona del presidente on. Gianfranco Fini, come da deliberazione dell'Assemblea della Camera dei Deputati in data 5 aprile 2011, rappresentato e difeso, in virtu' di procura ad litem per notar Paolo Silvestro, in Roma, rep. n. 92983 del 16 maggio 2011, dall'avv. prof. Roberto Nania, ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Via Carlo Poma n. 2; Nei confronti: della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in persona del Procuratore della Repubblica; del Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Milano - Sezione Giudice per le indagini preliminari; In relazione: alle indagini poste in essere dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica nonche' membro della Camera dei deputati on. Silvio Berlusconi (nell'ambito del procedimento penale n. 55781/2010 R.G.N.R.), nonche' alla richiesta di giudizio immediato, di cui al decreto del GIP di seguito indicato, presentata dalla medesima Procura in data 9 febbraio 2011 (nell'ambito del procedimento penale n. 5657/11 R.G.N.R.), relativamente al contestato delitto di concussione, omettendo di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1/1989, in tal modo precludendo alla competente Camera dei deputati l'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza dare la comunicazione di sua spettanza alla Camera medesima; al decreto di giudizio immediato, in data 15 febbraio 2011, del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano - Sezione GIP nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica on. Silvio Berlusconi (nell'ambito del procedimento n. 1297/11 R.G.G.I.P.), col quale, in relazione al contestato delitto di concussione, affermandone nella specie la natura non ministeriale, ha omesso di rilevare la necessaria attivazione del Collegio per i reati ministeriali con i provvedimenti del caso, in tal modo precludendo alla competente Camera dei deputati l'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza adottare i provvedimenti opportuni al fine di dare alla Camera medesima la comunicazione di sua spettanza. Fatto 1. - In occasione della ricezione da parte della Camera dei deputati in data 14 gennaio 2011 della domanda di autorizzazione avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ad eseguire perquisizioni domiciliari (nell'ambito del procedimento penale n.55781/2010 RGNR, per i delitti di cui agli artt.317, 61 n.2, 81 cpv. e 600-bis comma 2, del codice penale), integrata in data 26 gennaio 2011 con atti trasmessi dalla stessa Procura, la Camera veniva ad apprendere, come si poteva leggere nella medesima richiesta, che, in relazione al citato procedimento penale, «questo ufficio sta svolgendo indagini (...) nei confronti di (...) On.Silvio Berlusconi». La Giunta per le autorizzazioni a procedere,relazione di maggioranza, rilevava, con specifico riguardo al contestato reato di concussione di cui all'art. 317 c.p., come a fronte della omissione da parte della Procura «di qualsivoglia argomentazione circa la non ministerialita'», fosse prospettabile, in forza di una molteplicita' di elementi, «l'ipotesi che si versi nel reato ministeriale». Si evidenziava pertanto «che la competenza primaria a qualificare come ministeriale il reato sia essenzialmente attribuita dalla legge al tribunale dei ministri (...) cio' quanto meno per i fatti per i quali sussista un ragionevole dubbio circa il ricorrere di questo requisito»; si osservava altresi' che «l'attivazione della procedura di rimessione al Tribunale dei ministri ha, nella sistematica del procedimento, la funzione di garantire l'interesse costituzionalmente tutelato delle Camere ad operare un'autonoma valutazione sulla ministerialita' del reato rispetto a quella operata dalla magistratura, garanzia che e' totalmente esclusa se quel Tribunale non venga attivato». Conseguentemente, la Giunta proponeva di deliberare che «la Camera restituisca gli atti all'autorita' giudiziaria procedente»: proposta che in data 3 febbraio 2011 veniva accolta dall'Assemblea della Camera dei deputati. In data 1° marzo 2011, perveniva alla Presidenza della Camera una missiva, con relativi allegati, sottoscritta da tre Presidenti di Gruppo, recante la richiesta alla Camera dei deputati di «accertare la sussistenza delle condizioni per sollevare un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale, a tutela delle prerogative delle Camera lese ...dall'operato omissivo della magistratura procedente (procura della repubblica e giudice per le indagini preliminari di Milano) nei confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi». Ricollegandosi alla precedente decisione in ordine alla restituzione degli atti alla Procura di Milano, ci si doleva del fatto che la decisione medesima «non ha sortito alcun effetto (gli atti - come noto - non sono stati trasmessi al tribunale dei ministri)», e che anzi il giudice per le indagini preliminari si fosse espresso nel senso di «confermare l'atteggiamento della procura», con quel che ne conseguiva sotto il profilo della «portata lesiva delle prerogative della Camera». 2. - Alla richiesta veniva, appunto, allegato il decreto citato in epigrafe del Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano, dr.ssa Cristina Di Censo, in data 15 febbraio 2011, col quale si e' disposto di procedere con giudizio immediato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. Nel provvedimento si dava conto della richiesta di giudizio immediato presentata dalla Procura in data 9 febbraio 2011, relativamente alla quale alla Camera competente non era stata data alcuna comunicazione. Nel menzionato decreto, per quanto interessa in questa sede, il GIP, senza tener in alcun conto gli elementi e le posizioni emerse in sede parlamentare in ordine alla natura del reato ipotizzato a carico del Presidente del Consiglio, sull'implicito presupposto di potersi esprimere in via esclusiva in ordine alla natura del reato, postulava, nel rigettare la eccezione di incompetenza funzionale sollevata dalla difesa rispetto alla cognizione riservata al cosiddetto Tribunale dei Ministri, «che nel caso di specie l'affermazione su cui si fonda l'eccezione difensiva non e' condivisibile, attesa l'evidente natura "comune" e non "ministeriale" del contestato delitto di concussione». Deduceva inoltre «che l'art.96 Cost., come sostituito dalla legge cost.le 16 gennaio 1989 n.1 stabilisce che il Presidente del Consiglio dei Ministri ed i Ministri, anche se cessati dalla carica sono sottoposti per i reati commessi nell'esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei deputati, secondo le norme stabilite dalla legge costituzionale», sicche' l'ipotesi criminosa dovrebbe essere a tal fine «promanazione immediata e diretta dell'esercizio delle funzioni proprie del Presidente del Consiglio o del Ministro». Ribadiva pertanto la conclusione che «nel caso di specie l'analisi dell'imputazione» avrebbe reso «evidente» che il reato e' stato compiuto «sicuramente, con abuso della qualita' di Presidente del Consiglio, ma altrettanto certamente al di fuori di qualsivoglia prerogativa istituzionale e funzionale propria del Presidente del Consiglio dei Ministri», in particolare non disponendo egli di «poteri di intervento gerarchico nei confronti dell'autorita' di P.S. ovvero di P.G.» e non ravvisando il GIP un effettivo «intento di tutela delle relazioni diplomatiche» con uno Stato estero. 3. - In data 23 marzo 2011, la Giunta per le autorizzazioni approvava la proposta di parere nella quale veniva ritenuto che «la Camera, a tutela delle sue prerogative costituzionali, debba elevare un conflitto d'attribuzioni nei confronti dell'autorita' giudiziaria di Milano, essendo stata da quest'ultima lesa nella sfera delle sue attribuzioni riconosciutele dall'art. 96 della Costituzione». Successivamente, nella seduta del 5 aprile 2011, l'Assemblea della Camera dei deputati approvava la richiesta di «elevare un conflitto di attribuzione nei confronti della procura della Repubblica di Milano e del giudice per le indagini preliminari di Milano a tutela delle attribuzioni spettanti alla Camera ai sensi dell'art. 96 della Costituzione». 4. - Come si puo' trarre dalla esposizione in fatto, l'autorita' giudiziaria, mediante i provvedimenti specificati in epigrafe (apertura e svolgimento di indagini da parte della Procura a carico del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, il successivo esercizio dell'azione penale mediante la richiesta di giudizio immediato, e infine l'accoglimento da parte del GIP della richiesta medesima) ha tenuto una condotta incompatibile con quanto stabilito dall'art. 6 della legge costituzionale n. 1 del 1989 relativamente all'obbligo di trasmissione degli atti al Collegio dei reati ministeriali ai fini della attivazione delle indagini e, all'esito di queste, dell'adozione delle sue determinazioni. Cio' che ridonda in menomazione delle attribuzioni costituzionali spettanti alla Camera dei deputati, a seguito della comunicazione che in tutti i casi il Procuratore della Repubblica ha l'obbligo di assicurare (art. 8, comma 4, legge cost. n. 1/1989): attribuzioni in ordine alla qualificazione del reato addebitato nonche' all'esercizio della potesta' autorizzatoria di cui all'art. 96 Cost. e all'art. 9 della citata legge costituzionale alla stregua delle ulteriori valutazioni di cui allo stesso art. 9, comma 3 (ossia che «l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo»). Diritto Sulla ammissibilita' del ricorso. 1. E' da osservare in via preliminare che nella specie sussistono i requisiti richiesti ai fini della ammissibilita' del ricorso per conflitto di attribuzione. In punto di legittimazione attiva, e' appena da rammentare che secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale la Camera dei deputati, in quanto abilitata ad esprimere in via definitiva la volonta' del potere che essa rappresenta, e' facoltizzata a sollevare conflitto di attribuzione volto a dedurre la lesione delle proprie prerogative costituzionali ed e' legittimata, segnatamente, a difendere mediante conflitto le attribuzioni di sua spettanza di cui all'art. 96, Cost. (cfr. l'ordinanza n. 217/1994, sentenze n. 403/1994 e n. 241/2009): con la precisazione che, ai sensi dell'art.5 legge costituzionale n.1 del 1989, la Camera dei deputati risulta titolare nella specie del potere autorizzatorio previsto dal medesimo art. 96 Cost., essendo il Presidente del Consiglio in carica anche membro della Camera dei deputati. Con riferimento agli organi giudiziari indicati in epigrafe, giova rammentare che la giurisprudenza costituzionale ne ha riconosciuta la legittimazione ad essere parti nei conflitti di attribuzione. Per quanto riguarda la legittimazione a resistere della Procura della Repubblica, anche con specifica attinenza ai conflitti inerenti le attribuzioni di cui all'art. 96 Cost. e alla legge costituzionale n.1 del 1989, in quanto ufficio investito delle funzioni previste dall'art. 112 Cost.(ordinanze n. 73/2006, n. 276/2008, e, da ultimo, n. 104/2011); per quanto riguarda il Giudice per le indagini preliminari ne e' stata riconosciuta la legittimazione alla luce della costante impostazione della Corte a mente della quale i singoli organi giurisdizionali, svolgendo le loro funzioni in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, sono abilitati attivamente e passivamente ad essere parti in conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato (ordinanze n. 269/1996, n. 320 del 1999, n. 338/2007). Egualmente sussistente e' il requisito oggettivo del presente conflitto di attribuzione. E' noto che il conflitto risolvibile ai sensi degli articoli 134, Cost., e 37, legge n. 87/1953, si configura quando - sia sotto forma di vindicatio potestatis, sia sotto forma di conflitto da menomazione o da interferenza - si controverta in ordine alla delimitazione della sfera delle attribuzioni costituzionali di cui sono titolati i poteri dello Stato. Ora, nella specie la controversia presenta appunto siffatta natura. Ed invero l'attuale conflitto, come gia' anticipato in narrativa e come ulteriormente si dimostrera' in prosieguo, muove dalla circostanza che gli organi giudiziari indicati in epigrafe hanno posto in essere l'attivita' indicata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in violazione dell'apposita procedura prevista dalla legge n. 1 del 1989 in materia di reati ministeriali di cui all'art. 96 Cost. che prevede la competenza dello speciale Collegio per i reati ministeriali. Dal che discende in via immediata la lesione delle attribuzioni di rango costituzionale che sono riconosciute alla Camera ricorrente ossia, ricevuta comunque per il tramite della Procura della Repubblica apposita comunicazione delle risultanze delle indagini condotte con i provvedimenti assunti dal Collegio, di poter esprimere con cognizione di causa la propria valutazione in ordine al carattere ministeriale del reato nonche', ai fini della eventuale autorizzazione a procedere nei confronti del titolare della carica di Governo, in ordine alla sussistenza delle esimenti idonee a legittimare il diniego della medesima autorizzazione. Ove mai ve ne fosse bisogno, e' da evidenziare, sotto il profilo dell'interesse, che, come concorrono a comprovare i termini del conflitto e la prospettazione appena riassunta, il presente ricorso e' diretto a reintegrare le specifiche attribuzioni di pertinenza della Camera che sono correlate alle competenze del c.d. Tribunale dei ministri nel sistema configurato dalla normativa costituzionale facente parte integrante dell'art. 96 Cost.: sicche' la loro elusione comporta, il che e' accaduto nella fattispecie concreta, la immediata menomazione delle competenze camerali in materia. Per mera completezza va detto che l'ammissibilita' del ricorso non puo' trovare alcun ostacolo nell'art. 37, comma 2, della legge n. 87/1953 laddove, in sede di deferimento alla Corte costituzionale dei conflitti di attribuzione tra poteri dello Stato, dispone che «restano ferme le norme vigenti per le questioni di giurisdizione». Si puo' prescindere qui dal fatto che i conflitti di giurisdizione, cui fa specifico riferimento la menzionata disposizione, investono il rapporto tra giudice ordinario e giudice speciale, e tale non e' il Collegio per i reati ministeriali; come si puo' tacere che in ogni caso sia i conflitti di giurisdizione sia i conflitti di competenza hanno come presupposto che piu' giudici «contemporaneamente» prendono o ricusano di prendere cognizione di uno stesso fatto (art. 28 c.p.p.), presupposto che non ricorre nel caso di specie. Quel che e' certo e' che la Camera col presente conflitto ovviamente non rivendica per se' funzioni giudiziarie, bensi' lamenta la menomazione delle diverse e specifiche attribuzioni che le sono riconosciute in materia di reati ministeriali: lesione che sarebbe destinata a rimanere priva di tutela, essendo soltanto la Camera dei deputati, in capo alla quale si e' consumata, ad essere legittimata a dolersene sotto il profilo qui considerato, e non avendo essa altro strumento per la reintegrazione della predetta lesione. Mette conto aggiungere che soltanto la sede del conflitto di attribuzione deve ritenersi deputata alla soluzione delle controversie concernenti l'interpretazione dell'art. 96 Cost. e della legge costituzionale n. 1 del 1989, posto che in tale sede il thema decidendum, come nella odierna fattispecie, esula dalle posizioni del soggetto interessato ed investe invece le attribuzioni costituzionali dei poteri dello Stato che discendono dalle disposizioni appena citate: un oggetto quindi che postula la messa in opera di quell'attivita' di interpretazione della Costituzione e delle leggi costituzionali che, ai sensi dell'art. 134, secondo capoverso, Cost., non puo' che spettare alla Corte costituzionale. Sul merito. Come gia' si e' esposto, sia la Procura di Milano sia il GIP del Tribunale di Milano, nonostante il coinvolgimento del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica quale sottoposto alle attivita' di indagine e quale destinatario delle ipotesi accusatorie, e segnatamente del delitto di concussione, hanno mancato di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali presso il medesimo Tribunale, ritenendo di poter procedere nelle vie ordinarie in quanto titolari in via esclusiva del potere di qualificazione dell'illecito. Nel caso della Procura in via di mero fatto ossia senza che risulti fornita alcuna motivazione al riguardo; nel caso del GIP, in sede di esplicito rigetto dell'eccezione avanzata dalla difesa del Presidente del Consiglio: con l'argomentazione a suo dire che - in base agli esiti delle indagini preliminari, alla propria ricostruzione della vicenda in oggetto, nonche' alla propria valutazione della posizione funzionale del Presidente del Consiglio dei ministri nel nostro ordinamento giuridico - nella fattispecie non ricorressero i presupposti atti a radicare la competenza dell'organo giudiziario specializzato, e quindi escludendo che l'ipotizzato reato di concussione potesse integrare gli estremi del «reato ministeriale». Peraltro, ambedue gli organi giudiziari (Procura di Milano e GIP) hanno omesso qualunque comunicazione alla Camera in ordine alle determinazioni cui sono addivenuti, ossia alla pretesa possibilita' di procedere nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri secondo le forme ordinarie e non gia' alla stregua delle specifiche modalita' previste dalla legge costituzionale n. 1 del 1989. E cio' senza tenere in alcun conto le osservazioni sulla specifica procedura apprestata dal sistema costituzionale con riferimento ai reati ascritti a membri del Governo che, in una prospettiva cooperativa, la Camera dei deputati aveva prospettato e che, come si e' ricordato nella parte in fatto, l'avevano indotta alla determinazione di restituire gli atti all'autorita' giudiziaria richiedente l'autorizzazione alle perquisizioni domiciliaci. Di talche' alla Camera non e' restato che dar seguito alle anzidette osservazioni critiche elevando il presente conflitto a tutela delle proprie attribuzioni. Difatti, cosi' operando (in senso attivo, ponendo in essere attivita' di indagine ed esercitando l'azione penale nonche' disponendo il giudizio immediato; in senso omissivo, venendo meno all'obbligo di trasmissione al Tribunale dei Ministri, e comunque delle prescritte comunicazioni) i menzionati organi giudiziari hanno interferito con le prerogative di cui risulta titolare in materia la ricorrente Camera dei deputati ai sensi dell'art. 96 Cost. e della legge costituzionale n. 1 del 1989, come integrata dalla legge n. 219 del 1989, determinandone la vulnerazione. 1. - Al fine di dimostrare la fondatezza delle censure avanzate dalla Camera, e' bene rammentare che a mente dell'art. 6 della legge costituzionale n.1 del 1989, «i rapporti, i referti e le denunzie concernenti i reati indicati dall'art.96 della Costituzione sono presentati o inviati al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto di corte d'appello competente per territorio» (comma 1); «il procuratore della Repubblica, omessa ogni indagine, entro il termine di quindici giorni, trasmette con le sue richieste gli atti relativi al collegio di cui al successivo art. 7, dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perche' questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati» (comma 2). Nel dare seguito alle disposizioni riportate, l'art. 1, comma 2, della legge n. 219 del 1989 dispone esplicitamente che il Collegio per i reati ministeriali procede alle indagini «con i poteri che spettano al pubblico ministero nella fase delle indagini preliminari» (mentre l'art. 1, comma 2, con riferimento al precedente regime processuale, dispone che «il collegio di cui all'articolo 7 della legge costituzionale 16 gennaio 1989 n. 1, procede alle indagini previste dall'articolo 8 della stessa legge con i poteri spettanti al procuratore della Repubblica nell'istruzione sommaria e con l'osservanza delle forme stabilite per tale istruzione»). Cio' posto in ordine alla competenza del c.d. Tribunale dei ministri per l'attivita' investigativa, l'art. 8, comma 1, della legge cost. n. 1/1989 prescrive che «il collegio di cui all'art. 7, entro il termine di novanta giorni dal ricevimento degli atti, compiute indagini preliminari e sentito il pubblico ministero, se non ritiene che si debba disporre l'archiviazione, trasmette gli atti con relazione motivata al procuratore della Repubblica per la loro immediata rimessione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'art. 5». Questi invia «immediatamente» gli atti ricevuti alla Giunta per le autorizzazioni a procedere (art. 9, comma 1), di modo che detta Giunta possa predisporre una relazione scritta per relazionare l'Assemblea (art. 9, comma 2). L'Assemblea, in ogni caso, deve riunirsi entro sessanta giorni dalla ricezione degli atti da parte del Presidente per concedere o negare l'autorizzazione (art. 9, comma 3). Infine, e' stabilito che l'Assemblea, in caso di prosecuzione del giudizio, rimetta gli atti al Collegio perche' il procedimento continui secondo le norme vigenti (art. 9, comma 4). Altrimenti, quando sia negata l'autorizzazione a procedere, a seguito della comunicazione che ne viene data al Collegio, quest'ultimo «dispone l'archiviazione degli atti del procedimento per mancanza della suddetta condizione di procedibilita' nei confronti dei soggetti per i quali l'autorizzazione e' stata negata. Il provvedimento di archiviazione e' irrevocabile» (art. 4, comma 1, della legge n. 219 del 1989). Come noto, a tale diniego dell'autorizzazione la Camera competente puo' addivenire, a maggioranza assoluta dei suoi componenti, «ove reputi, con valutazione insindacabile, che l'inquisito abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato costituzionalmente rilevante ovvero per il perseguimento di un preminente interesse pubblico nell'esercizio della funzione di Governo» (art. 9, comma 3, legge costituzionale n. 1/1989). Come si puo' trarre dall'insieme delle disposizioni sopra riportate che scandiscono il procedimento di cui si tratta e le rispettive competenze dei soggetti che vi partecipano (procura della Repubblica, Collegio, Camera competente), si e' in presenza di una sequenza di disposizioni che sono finalizzate alla realizzazione di un duplice scopo. Anzitutto quello di concentrare in capo al Collegio l'attivita' di indagine: e' probante in questo senso che la legge in esame nel richiedere che la notizia di reato venga rimessa entro il tempo fissato al Collegio da parte del procuratore della Repubblica, al contempo ha cura di vietare a quest'ultimo di procedere a qualunque indagine. Risulta chiaro che la ratio di siffatto divieto e' identificabile con l'esigenza che la stessa conduzione dell'attivita' d'indagine assicuri sempre quelle particolari garanzie cui corrisponde l'apposita istituzione del Tribunale dei ministri e la sua peculiare conformazione: la collegialita' a fronte del carattere monocratico del pubblico ministero, la sua composizione mediante sorteggio e la sorteggiabilita' soltanto di coloro che esercitino funzioni giudicanti, ecc. Garanzie, come subito si dira', la cui precipua finalita' e' assicurare che la Camera competente abbia contezza, ai fini dell'assunzione delle sue decisioni, di un esauriente materiale probatorio, la cui predisposizione e trasmissione alle Camere e' appunto compito del Tribunale dei ministri (Corte costituzionale, sentenza n. 403 del 1994). La seconda, e strettamente connessa, finalita' e' appunto che la Camera competente, proprio sulla scorta delle indagini effettuate dal Collegio, sia posta se del caso - ossia nel caso si addivenga alla richiesta di autorizzazione a procedere, ma anche in ipotesi di archiviazione «anomala», come stabilito dalla sentenza n. 241 del 2009 della Corte costituzionale - nella condizione di poter assumere con adeguata cognizione di causa le determinazioni di propria competenza sia in ordine al carattere ministeriale del reato sia in ordine alla sussistenza delle relative esimenti. E' importante notare anche che i tempi serrati che segnano il procedimento stanno a denotare quanto cogente sia l'esigenza che informa il sistema disegnato dal legislatore costituzionale di far si' che tempestivamente, prima dell'eventuale esercizio dell'azione penale, le ipotesi di reato di cui si tratta vengano sottoposte ad un doppio vaglio: quello in ordine alla meritevolezza circa la prosecuzione del procedimento, che e' appunto assegnato al Collegio specializzato in materia di reati ministeriali; e quello, riguardante l'esistenza dei presupposti per l'attivazione della relativa guarentigia, di spettanza della Camera competente. Preoccupazione ben giustificata se si considerano gli interessi di natura istituzionale che, come attesta la stessa legge costituzionale, sono potenzialmente suscettibili di venire in gioco quando si versi nell'ipotesi di reati di cui siano accusati soggetti che rivestono la carica ministeriale e che in quanto tali devono essere altrettanto tempestivamente scrutinati dalla Camera competente: cio' soprattutto in ragione dell'incidenza che la stessa pendenza del procedimento puo' esprimere a carico del componente dell'esecutivo e, piu' complessivamente, sulla compagine di governo e sulla connessa relazione fiduciaria. 2. - Da quanto sopra esposto discende che eludere, come si e' verificato nella specie, questo peculiare procedimento destinato, salvo il solo caso della archiviazione «definitiva», a sfociare immancabilmente nelle determinazioni di competenza camerale in ordine al reato ipotizzato a carico dei membri del Governo, significa vanificare l'intero sistema disegnato dal legislatore costituzionale nel quale si trovano contemperate «la garanzia della funzione di governo e l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge» (Corte costituzionale, sentenza n. 241 del 2009). Come si afferma ancora nella sentenza appena citata "per realizzare un ragionevole bilanciamento tra questi due principi, sia le norme costituzionali che quelle della legge ordinaria, mirano a porre tanto l'autorita' giudiziaria quanto quella politica in condizione di tutelare, nei loro reciproci rapporti, la prima il potere-dovere di perseguire i reati commessi da qualunque cittadino, indipendentemente dalla carica ricoperta, la seconda, il potere-dovere di attuare in concreto la guarentigia prevista dall'art. 96 Cost. Il risultato ora detto si consegue, da un lato mantenendo all'autorita' giudiziaria ordinaria il potere di svolgere le indagini necessarie rispetto alle notizie di reato a carico dei ministri e, dall'altro, assicurando alla Camera competente, ai sensi dell'art. 5 della legge costituzionale n. 1 del 1989, l'adeguata e tempestiva informazione sugli sviluppi e l'esito dei procedimenti penali a carico dei componenti del Governo». Si puo' dire dunque che il necessario e tempestivo coinvolgimento dell'organo parlamentare occupa una posizione cruciale nello schema procedimentale configurato dalla normazione di rango costituzionale. Lo conferma vieppiu' il fatto che la Corte costituzionale, sempre nella sentenza n. 241 del 2009, ha stabilito che l'obbligo di comunicazione nei confronti della Camera competente operi anche nella eventualita' della archiviazione conseguente alla ritenuta non ministerialita' del reato oggetto della attivita' investigativa, con prosecuzione del procedimento in via ordinaria. Difatti, in tal modo ne viene, per cosi' dire, completato lo schema anzidetto della imprescindibile possibilita' di interlocuzione che deve essere data alla Camera competente, portandolo alle sue logiche conseguenze. 3. - Alla stregua di quanto sin qui svolto, ad avviso della Camera ricorrente, non e' in linea con siffatto sistema e col suo disegno di equilibrato rapporto tra ordine giudiziario e potere politico-rappresentativo ritenere che l'anzidetto iter procedurale possa attivarsi soltanto qualora sia stato previamente accertato dall'autorita' giudiziaria, su cui grava l'obbligo della trasmissione al Collegio, il carattere ministeriale del reato. E' da considerare invero che il postulato da cui muove una simile impostazione, vale a dire che il consueto criterio per il quale il potere di qualificazione del reato sia di esclusiva spettanza dell'autorita' giudiziaria destinataria della relativa notizia resti perfettamente integro anche nel campo di cui si tratta, non tiene conto della specifica procedura dettata da legge di grado costituzionale. Il vero e' che, nella prospettiva del legislatore costituzionale, la preservazione dell'equilibrio tra poteri che e' ravvisabile nel procedimento in questione in tanto puo' realizzarsi in quanto siffatta qualificazione venga in via conclusiva rimessa in ogni caso (ossia anche quando la Procura abbia ritenuto «comune» la natura del reato) al Tribunale dei ministri; di modo che alla Camera sia sempre assicurata la debita informazione - che le e' costituzionalmente dovuta (Corte cost., sentenza n. 241/2009)- in ordine alle vicende processuali che riguardano membri del Governo nonche' l'adozione delle valutazioni che in punto di qualita' del reato e circostanze del medesimo sono di spettanza della Camera: e che potranno o meno convergere con le conclusioni raggiunte dal Collegio (con le conseguenze, in caso di dissenso nel merito, profilate ancora nella sentenza n. 241 del 2009). Sarebbe del tutto errato obiettare che in tal modo lo status di componente del Governo venga elevato ad unico fattore costitutivo della nozione di reato ministeriale: va da se' infatti che sia la prima e «precaria» valutazione operata dal Procuratore, finalizzata alla presentazione delle sue «richieste» al Collegio unitamente alla trasmissione degli atti (art. 6, comma 2, legge cost. n. 1/1989), sia quella conclusiva del Tribunale dei ministri verteranno sui profili atti ad integrare il reato ministeriale. D'altro canto, che sia cosi' sta anzitutto a dimostrarlo il divieto, sopra rammentato, a carico del Procuratore della Repubblica di effettuare qualunque indagine relativamente alla notizia di reato addebitato ad un Ministro. Non sembra disconoscibile come cio', unitamente al breve termine che gli e' assegnato per tale adempimento (quindici giorni), risulti del tutto incompatibile con la possibilita' di effettuare una ponderazione davvero conclusiva ed adeguata alla natura del reato in questione, soprattutto considerando le conseguenze, in termini di coinvolgimento o meno del Tribunale dei ministri e della Camera competente, che da una valutazione tanto approssimativa dovrebbero discendere. Infatti, non per caso l'art. 6, comma 2, della legge costituzionale prevede che il P.M., nel trasmettere gli atti al Collegio, formuli le proprie «richieste»: il che significa che in ogni caso dette richieste, anzitutto con riferimento alla qualificazione del reato, non possono giammai sfuggire al vaglio del Collegio a conclusione del proprio percorso valutativo. Peraltro, la «precarieta'» della qualificazione giuridica di un illecito e' sempre connaturata secondo le regole generali agli addebiti effettuati dal p.m., con la sola differenza che sul terreno in questione essa si manifesta nei modi specifici tipizzati dalla normativa costituzionale. Il riscontro lo si ricava dagli stessi lavori preparatori della legge costituzionale in cui i confini delle competenze del Procuratore della Repubblica hanno ricevuta esplicita considerazione. Ci si vuole riferire in particolare alla relazione all'Aula della Commissione affari costituzionali del Senato della Repubblica, dove si legge che «il Pubblico Ministero e' tenuto ad inoltrare al Collegio la documentazione pervenuta perche' questo conduca indagini preliminari», cui si aggiunge la precisazione che «il Pubblico Ministero svolge in questa fase preliminare una funzione di raccolta delle notizie di reato e di primi elementi, nonche' di consulenza al Collegio». Inoltre, in sede di successivo esame da parte della Camera dei deputati, il testo viene integrato sia riducendo il termine di trasmissione a quindici giorni sia introducendo l'espressione «omessa ogni indagine»: e cio' su indicazione della Commissione giustizia che considerava appunto indispensabili tali integrazioni affinche' si rendesse del tutto chiaro che il Procuratore assolve alla «funzione di semplice tramite al Collegio» e che egli «non possa ne' debba fare alcuna indagine». Funzione che in dottrina, alla stregua di tali intendimenti, e' stata identificata con un'attivita' di carattere esclusivamente materiale. Tutto cio' converge nel confermare la vocazione inquirente e valutativa che il sistema costituzionale assegna al Collegio in vista dell'esercizio delle competenze camerali. La Corte costituzionale, dal canto suo, nel ricostruire il disegno normativo, ha affermato che il Procuratore «senza compiere alcun atto d'indagine, deve limitarsi ad investire il Collegio inquirente previsto dal successivo art. 7 trasmettendogli gli atti con le sue richieste entro il termine di quindici giorni. E' invece il Collegio che compie le indagini preliminari entro il termine di novanta giorni, all'esito delle quali ... adotta le sue determinazioni» (sentenza n. 403 del 1994). La non plausibilita' dell'opposta lettura, fatta propria dall'autorita' giudiziaria nel caso attuale, viene attestata anche dal fatto che mentre per la Procura quel brevissimo lasso di tempo sarebbe sufficiente per adottare le determinazioni del caso e per di piu' senza alcun ulteriore supporto investigativo, al Collegio vengono viceversa concessi novanta giorni (prorogabili per altri sessanta) anche per addivenire - si badi bene - alla qualificazione del reato, in forza delle investigazioni esperite, come ordinario e non gia' come ministeriale (la c.d. archiviazione anomala). Parimenti non plausibile e' che il supposto potere esclusivo di qualificazione del Procuratore abbia un regime dissociato: per cui, se la relativa determinazione e' di segno negativo (non ministerialita' del reato) su di essa non potrebbe interloquire il Collegio (e conseguentemente la Camera competente) mentre in caso di esito positivo (la ministerialita' del reato) tale valutazione potrebbe essere sovvertita dal medesimo Collegio. Ne' cio' potrebbe spiegarsi con un immaginario favor nei confronti della non ministerialita' di cui non vi e' neppure lontanamente traccia nella disciplina costituzionale: ad essa e' estranea, e non potrebbe essere altrimenti, qualunque sbrigativa presunzione valutativa, risultando anzi protesa a bilanciare i valori in gioco. Identica ed irragionevole dissociazione si determinerebbe per quanto attiene ai poteri della Camera. Basti considerare che nel caso del Collegio, quale che sia la qualificazione che abbia ritenuto di imprimere al reato, resta fermo il potere delle Camere di adottare le determinazioni di propria competenza, atteso che «all'organo parlamentare infatti non puo' essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria» (Corte costituzionale, sentenza n. 241 del 2009).Ebbene, nonostante la perfetta identita' del presupposto ossia la ritenuta non ministerialita' del reato, il potere valutativo della Camera dovrebbe restare inoperativo qualora, come nella specie, la supposta natura comune del reato venga stabilita dall'autorita' giudiziaria ordinaria e non gia' dal Collegio. Per riassumere, non e' disconoscibile che il sistema disegnato dalla legge n. 1 del 1989 poggia sul criterio che la qualita' del reato non sia un dato cristallizabile a priori da parte della Procura in grado di precludere ogni ulteriore e diversa valutazione al punto da estromettere gli stessi protagonisti della materia, ed in particolare la Camera competente: quel dato costituisce viceversa il punto di arrivo di apposite indagini e degli apprezzamenti rimessi all'organo specializzato ed all'organo rappresentativo. 4. - Vi e' un'ultima considerazione da avanzare. Non e' possibile pensare che, nel sistema predisposto dalla legge costituzionale, le attribuzioni della Camera competente inerenti la valutazione della ministerialita' del reato nonche' l'eventuale ricorrenza delle esimenti che ne escludano l'antigiuridicita', restino nella totale disponibilita' dell'autorita' giudiziaria. Essendo invero quelli della Camera e dell'autorita' giudiziaria poteri suscettibili di reciproco condizionamento, non puo' che rigettarsi una lettura della legge costituzionale n. 1 del 1989 che consenta al P.M. di paralizzare, a propria discrezione, le prerogative costituzionali della Camera dei deputati. Lettura che e' stata esclusa dalla sentenza n. 241 del 2009, con riferimento al Tribunale dei ministri, per cui non si vede come possa rivendicarsi un tale potere interdittivo da parte dell'autorita' giudiziaria ordinaria che decida di trattenere il procedimento penale. Difatti, proprio questa conseguenza si determinerebbe qualora fosse sufficiente qualificare il reato quale reato comune per disattivare l'intero procedimento che mette capo alle valutazioni camerali. Cio' che risulta in contrasto con elementari esigenze di certezza delle attribuzioni costituzionali e di ragionevole equilibrio nell'esercizio delle competenze che ai diversi poteri sono rispettivamente attribuite nonche' con il principio di leale collaborazione tra poteri dello Stato; principi tutti che respingono soluzioni ricostruttive che comportino che le competenze delle Camere possano essere messe nel nulla a seguito della unilaterale valutazione dell'autorita' giudiziaria. Ne' si puo' opporre a quanto svolto che alla Camera sarebbe dato in ogni caso il rimedio del conflitto di attribuzione laddove essa ritenga di dissentire dagli assunti del giudice ordinario in ordine al carattere non ministeriale del reato. Anzitutto, in quanto l'esistenza di tale strumento non esime da una corretta ricostruzione del sistema onde consentire che l'esercizio delle prerogative costituzionali avvenga in modo incontrastato e secondo i moduli, anche temporali, che gli sono propri. In secondo luogo, per l'evidente ragione che il procedimento fissato dalla legge costituzionale, come si e' piu' volte ribadito, e' anche strumentale alla assunzione di consapevoli determinazioni da parte della Camera in ordine alla qualita' del reato nonche' alla eventuale sussistenza delle esimenti, per cui la sua elusione intacca le stesse condizioni di esercizio di tali competenze costituzionali. 1. - Sotto un diverso ma convergente profilo, e' da dire che tanto piu' ingiustificata risulta nella specie la mancata trasmissione della notizia di reato al Collegio competente, con la relativa lesione delle attribuzioni della Camera, se si considera quanto emerso in sede parlamentare. Il riferimento e', in particolare, alla deliberazione, specificata nella parte in fatto, assunta dalla Camera dei deputati di restituzione degli atti alla procura di Milano che, ai sensi dell'art. 68 comma 2, Cost., aveva avanzato richiesta di autorizzazione per talune perquisizioni nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri: restituzione motivata, ancorche' sulla base delle informazioni inviate allo specifico fine dalla Procura, dal difetto di competenza dell'organo giudiziario in ragione della possibile natura ministeriale del reato di concussione per il quale si procedeva. Si rilevava tra l'altro nella relazione di maggioranza della Giunta per le autorizzazioni in data 31 gennaio 2011, relativa alla richiesta della procura di autorizzazione a perquisizioni domiciliari, che «nel caso di specie la procura di Milano non ha preso in considerazione in nessun modo tale procedura (ndr: quella di cui alla legge costituzionale n. 1 del 1989), senza quindi minimamente ipotizzare che nel caso in questione potesse trattarsi di uno dei reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione (...) Come e' noto l'espressione "reati indicati dall'articolo 96 della Costituzione" presente nella legge costituzionale e nella legge ordinaria, come e' confermato dalla semplice lettura dell'articolo 96 della Costituzione non rinvia ad un elenco specifico di reati che non e' contenuto nella disposizione costituzionale e che invece consentirebbe un piu' facile accertamento circa l'inerenza ad essi dei rapporti, referti e denunzie inviati al procuratore della Repubblica. La disposizione costituzionale indica invece una formula generale che e' quella dei reati commessi dal Presidente del consiglio e dai ministri nell'"esercizio delle loro funzioni". E' del tutto evidente che il ricorrere di siffatta locuzione richiede volta per volta una delicata attivita' interpretativa cui l'operatore del diritto deve impegnarsi tenendo conto della fattispecie concreta, il cui approfondimento e la cui soluzione costituiscono una fase propedeutica del prosieguo del procedimento e di cui pero' - nel caso in questione - non sembra esservi traccia (almeno nelle carte trasmesse)». Si argomentava anche, con riferimento alla posizione del Presidente del Consiglio, che tale posizione "e' del tutto peculiare e presenta degli evidenti caratteri di specificita'. Egli ha funzioni e competenze che presentano, per certi versi, contorni sicuramente meno netti di quelle dei singoli ministri, ma se facciamo affidamento solo a quest'ultimo criterio, per individuare i reati ministeriali, e' evidente che si rischia di ridurre considerevolmente, per il presidente del consiglio, che non e' collocato a capo di uno specifico ministero, la possibilita' di avvalersi, nell'esercizio del suo delicato ruolo di direzione politica del governo e di mantenimento dell'unita' di indirizzo, della prerogativa di cui all'articolo 96 della Costituzione". I brani riportati, senza dover riprodurre integralmente la documentazione versata in atti, attestano l'insorgenza di dubbi sulla qualita' del reato, non fosse altro che in ragione della discorde valutazione effettuata al riguardo dall'autorita' giudiziaria e dalla Camera. Situazione questa che avrebbe dovuto indurre la Procura, e successivamente il GIP, ad investire di tale qualificazione l'organo specializzato, come peraltro e' stato affermato in sede di giurisprudenza di legittimita' : «l'obbligo di trasmissione al cosiddetto Tribunale dei ministri degli atti concernenti i reati indicati nell'art. 6 legge cost. n. 1 del 1989 sussiste a condizione che venga ravvisata, quantomeno sotto il profilo del dubbio, l'ipotizzabilita' di un reato ministeriale» (Cass., sez. VI pen., 6 agosto 1992, n. 2865). Ne deriva, alla luce della ricostruzione in precedenza data della legge costituzionale, la riprova della violazione del procedimento previsto dalla legge cost. n. 1/1989 con la lesione delle attribuzioni della ricorrente che immediatamente vi si ricollega, attesa l'incidenza che deve annettersi, in termini di integrazione del requisito del «dubbio», alle posizioni ufficializzate in sede camerale, ossia da parte dell'organo che nel sistema costituzionale e' chiamato a interloquire sulla stessa natura del reato. Cio' anche sotto il convergente profilo dell'obbligo di leale collaborazione enucleato dalla giurisprudenza costituzionale con riferimento alla cognizione dei reati ministeriali (ad esempio, sentenza n. 403 del 1994). Ed infatti, quale che sia la ricostruzione, ancorche' non condivisibile, che in astratto si voglia dare dei poteri di qualificazione del reato facenti capo all'autorita' giudiziaria (Cass., sez. VI penale, 3-11 marzo 2011, n. 10130), nella concreta vicenda di cui e' causa vi e' un tratto specifico e differenziale, ossia l'intervenuta delibera camerale di restituzione degli atti con la relativa sollecitazione ad attivare la procedura di cui alla legge n. 1/1989: orientamento valutativo questo che - derivando dall'organo parlamentare cui, come detto, il sistema costituzionale riconosce in materia di reati ministeriali il potere di esprimere «una propria autonoma valutazione» (Corte costituzionale, sentenza n. 241 del 2009) -non poteva essere del tutto ignorato, come e' invece avvenuto, da parte degli organi giudiziari, in tal modo assolutizzando le proprie competenze qualificatorie e compromettendo il gia' richiamato canone del contemperamento tra gli interessi costituzionalmente tutelati (Corte costituzionale, sentenza n. 225 del 2001). Invero, se si vuoi annettere effettiva incidenza al principio di leale collaborazione tra Camera e Autorita' giudiziaria nella vicenda in esame, occorre concludere che la obiettiva divergenza insorta in ordine alla qualificazione del reato ed al procedimento costituzionalmente prescritto (manifestatasi con la delibera camerale del 3 febbraio 2011) avrebbe imposto l'attivazione della speciale procedura di cui alla legge cost. n. 1 del 1989, la sola idonea, attesa la sua peculiare articolazione, a determinarne il superamento. 2. - Ulteriore profilo di lesivita' e' comunque riscontrabile nella motivazione del decreto del GIP (che', come si e' detto, la Procura neppure si e' espressa in alcun modo sul punto), quando, allo scopo di asseverare la natura comune del reato, si e' dovuto impegnare su svariati e problematici aspetti di ordine costituzionale inerenti la complessiva posizione istituzionale della figura del Presidente del Consiglio dei ministri, dalla titolarita' o meno di poteri di «intervento gerarchico» con riguardo agli organi amministrativi alle concrete modalita' di «tutela delle relazioni diplomatiche». Argomenti tutti in relazione ai quali non appare possibile declinare il contributo valutativo offerto dagli organi della Camera in termini di sussistenza degli indici della natura ministeriale del reato. Si e' eccepito in particolare da parte della odierna ricorrente che la posizione del Presidente del Consiglio dei ministri «quanto all'esercizio di funzioni e competenze ed alla eventuale commissione di reati nell'esercizio di queste, e' del tutto peculiare e presenta degli evidenti caratteri di specificita'. Non si puo' ignorare, infatti, che le funzioni essenziali del Presidente del Consiglio - a parte cioe' quelle che l'ordinamento rimette alla sua diretta responsabilita' - sono funzioni di direzione della politica generale del governo, di cui e' responsabile, e di mantenimento dell'unita' di indirizzo politico ed amministrativo, promuovendo e coordinando l'attivita' dei ministri.» (cfr. la relazione di Giunta per le autorizzazioni in data 31 gennaio 2011 approvata dall'Assemblea in data 3 febbraio 2011). Inoltre, con riferimento al potere evocato dal GIP di «tutela delle relazioni diplomatiche», il tema e' stato affrontato nel dibattito presso la Giunta per le autorizzazioni (cfr. resoconto sommario della seduta del 27 gennaio 2011, pp. 12-13); sulla base delle cui risultanze la posizione della Giunta e' stata nel senso di «rafforzare l'ipotesi che si versi nel reato ministeriale», proponendo la restituzione degli atti, inerenti la richiesta di perquisizioni domiciliari, alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano (cfr. resoconto sopra citato, p. 14): proposta questa approvata, come ricordato in narrativa, dall'Assemblea della Camera in data 3 febbraio 2011. Ed infatti, assegnando l'art. 95, comma 1, Cost. al Presidente del Consiglio la funzione di mantenere «l'unita' di indirizzo politico-amministrativo, promuovendo e coordinando l'attivita' del ministri», puo' ravvisarsi in detta disposizione costituzionale la fonte di competenze, anche innominate, suscettibili di trascendere la rigidita' delle competenze ministeriali e di investire l'attivita' delle pubbliche amministrazioni che ricadono nei singoli dicasteri, nonche' della titolarita' di un autonomo margine di apprezzamento quanto alle modalita' di gestione di tali competenze. Vi e' da aggiungere che, come si legge nella sopra citata relazione della Giunta per le autorizzazioni, proprio l'abuso di potere addotto dal GIP e' tutt'altro che risolutivo per escludere la ricorrenza del reato ministeriale ed anzi "puo' essere uno dei casi nei quali riconoscere che il fatto e' stato commesso nell'esercizio delle funzioni di governo, conseguentemente assumendo natura ministeriale». Sicche' non e' affatto «evidente», come si vorrebbe nel decreto del GIP, la natura non ministeriale dell'ipotesi di reato, per cui resta ferma la doglianza per la mancata attivazione della speciale procedura prevista dalle menzionate disposizioni costituzionali nonche' per la vanificazione dei poteri spettanti in materia alla Camera dei deputati che cio' ha comportato. Non resta quindi che ribadire la sussistenza nella specie dei presupposti per l'attivazione della procedura che, grazie al concorso dell'organo giudiziario specializzato e dell'organo politico-rappresentativo che vi prendono parte, il legislatore ha innegabilmente tipizzato come la piu' idonea in vista delle determinazioni in materia. 3. - In via subordinata, e' da ritenere comunque lesivo il comportamento dei menzionati organi del potere giudiziario, avendo omesso di informare a tempo debito e nelle forme richieste la Camera dei deputati della conduzione del procedimento nelle vie ordinarie, in particolare con riferimento alla richiesta di giudizio immediato avanzata dalla procura nonche' al relativo decreto adottato dal GIP. Difetto di informazione da cui e' derivata la inibizione del potere della Camera di procedere alle apposite determinazioni di sua pertinenza circa la natura del reato ed eventualmente circa la sussistenza delle esimenti di cui all'art. 9, comma 3, legge cost. n.1/1989. Ed invero le esigenze costituzionali che sono alla base della inaggirabile interlocuzione della Camera competente rispetto al procedimento relativo ai reati che investono titolari delle cariche di Governo, sono state apprezzate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 241 del 2009 in sede di accoglimento del conflitto di attribuzione relativo all'apposita comunicazione susseguente all'archiviazione anomala da parte del Tribunale dei ministri. Tali esigenze non possono non rilevare in eguale misura - ed anzi in misura ancora maggiore - nel caso di valutazione di non ministerialita' del reato operata in via autonoma da altri organi giudiziari. E' chiaro difatti che una volta che tali organi si siano attribuiti il potere qualificatorio in luogo del Tribunale dei ministri, non puo' che discenderne anche l'assunzione degli obblighi di comunicazione e di coinvolgimento della Camera competente posto che ad essa, secondo quanto richiesto dall'art. 96 Cost., «non puo' essere sottratta una propria autonoma valutazione sulla natura ministeriale o non ministeriale dei reati oggetto di indagine giudiziaria» (Corte costituzionale, sentenza n. 241/2009). Va quindi affermato, alla stregua dei basilari canoni di ragionevolezza e idoneita' allo scopo che a mente dell'art. 3 Cost. presiedono alla interpretazione della legge, come anche di quella costituzionale specie quando sia volta a definire ambiti di prerogative per i poteri, che le richieste incombenze correlate alla valutazione di non ministerialita' devono restare ferme ed ineludibili in quanto intese alla tutela delle predette prerogative costituzionali degli organi rappresentativi ai sensi dell'art. 96 Cost. Si aggiunga che sarebbe insostenibile che in simili evenienze la Camera competente debba rimettersi all'iniziativa del singolo titolare della carica di governo, peraltro non necessariamente interessato a far valere il carattere ministeriale del reato, posto che il compito assegnato alle Camere, a seguito della novellazione dell'art. 96 Cost., e' oggi quello di assicurare nel suo complesso il corretto funzionamento del sistema parlamentare e dell'integrita' delle funzioni di governo.
P.Q.M. Si chiede che la Corte costituzionale voglia statuire che nella specie non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano avviare ed esperire indagini nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica, nonche' procedere alla richiesta di giudizio immediato di cui in epigrafe, relativamente al contestato delitto di concussione, omettendo di trasmettere gli atti al Collegio per i reati ministeriali ai sensi dell'art. 6 della legge costituzionale n. 1/1989, in tal modo precludendo alla competente Camera dei deputati l'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art. 96 Cost. ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza dare la dovuta comunicazione alla ricorrente Camera dei deputati. Cosi' come voglia statuire che nella specie non spettava al Giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Milano procedere in via ordinaria ed emettere il decreto di giudizio immediato nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in carica di cui in epigrafe, ne' affermare, in relazione al contestato delitto di concussione, la natura non ministeriale dello stesso, omettendo di rilevare la necessaria trasmissione degli atti al Collegio per i reati ministeriali con i provvedimenti del caso, in tal modo precludendo alla Camera dei deputati l'esercizio delle proprie attribuzioni costituzionali in materia di cui all'art. 96 ed alla legge costituzionale n. 1 del 1989, e comunque senza provvedere in modo che venisse data la dovuta comunicazione alla ricorrente Camera dei deputati. Con annullamento delle attivita' poste in essere e degli atti adottati nell'ambito dei procedimenti epigrafati. Roma, addi' 16 maggio 2011 Pres. Gianfranco Fini - prof. avv. Roberto Nania Avvertenza: L'ammissibilita' del presente conflitto e' stata decisa con ordinanza n. 241/2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, 1ª s.s., n. 32 del 27 luglio 2011.