N. 213 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 maggio 2011

Ordinanza del 31 maggio 2011  emessa  dal  Tribunale  di  Urbino  nel
procedimento civile  promosso  da  D.S.  e  D.F.  nella  qualita'  di
genitori di D.S. contro I.N.P.S.. 
 
Straniero - Indennita' di accompagnamento - Condizione -  Titolarita'
  della carta di soggiorno - Violazione del principio di  uguaglianza
  -  Lesione  del  diritto  alla  salute  -   Lesione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge 23 dicembre 2000, n. 388, art. 80, comma 19. 
- Costituzione, artt. 3, 32 e 117, primo comma. 
(GU n.44 del 19-10-2011 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    A scioglimento della riserva assunta all'udienza  del  13  maggio
2011, pronuncia la seguente ordinanza. 
    1. Con ricorso depositato in data 8 luglio 2010, D. S, e  D.  E.,
nella qualita' di genitori esercenti la  potesta'  sul  minore  D.S.,
esponevano  di  aver  inoltrato  domanda  di   riconoscimento   della
indennita' di accompagnamento in  favore  del  figlio  minore,  e  di
essersi visti respingere la domanda da parte dell'Inps per  «mancanza
della carta di soggiorno». 
    I ricorrenti esponevano dunque che il  nucleo  familiare  era  in
possesso del permesso di soggiorno, sin  dal  2007  con  riguardo  ai
genitori e dal 12 giugno 2009 con riguardo al figlio  minore  (mentre
la domanda era stata inoltrata in data 25 luglio 2009). 
    I ricorrenti ed il figlio minore non erario tuttavia in  possesso
del permesso di soggiorno  CE  per  soggiornanti  di  lungo  periodo;
deducevano i ricorrenti, tuttavia, che  l'art.  80,  comma  19  della
legge 388 del 2000 era stato dichiarato incostituzionale con sentenza
n. 306 del 2008 della Corte Costituzionale, con la conseguenza che la
mancanza di tale permesso non poteva essere posta  a  fondamento  del
diniego della prestazione assistenziale richiesta. 
    Si costituiva tempestivamente in giudizio l'Inps,  rilevando  che
le sentenze della Corte Costituzionale emesse in materia non  avevano
dichiarato  la  totale  illegittimita'  costituzionale  della  norma.
richiamata  (che   subordina   la   concessione   delle   prestazioni
assistenziali  al  possesso  del  permesso  di  soggiorno  di   lungo
periodo),   essendosi   piuttosto   limitate   a   dichiarare    tale
illegittimita' costituzionale, per  quanto  qui  di  interesse,  solo
nella parte in cui si esclude  che  l'indennita'  di  accompagnamento
possa essere concessa in assenza dei requisiti di  reddito  richiesti
per il rilascio del permesso di soggiorno di lunga  durata  (sentenza
n. 306/08). 
    2. Ritiene questo Giudice che, all'esito della instaurazione  del
contraddittorio tra le parti sul punto, debba sollevarsi questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma  19,  legge  388  del
2000 nella parte in cui subordina la concessione della indennita'  di
accompagnamento al possesso della carta di soggiorno. 
    3. In punto di rilevanza della questione occorre premettere  che,
a norma dell'art. 80, comma 19, legge 388/00, «ai sensi dell'articolo
41 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, l'assegno  sociale
e le provvidenze economiche che costituiscono diritti  soggettivi  in
base alla legislazione vigente in materia  di  servizi  sociali  sono
concesse alle condizioni previste dalla legislazione  medesima,  agli
stranieri che siano titolari di carta  di  soggiorno;  per  le  altre
prestazioni  e  servizi  sociali  l'equiparazione  con  i   cittadini
italiani e' consentita a favore  degli  stranieri  che  siano  almeno
titolari di permesso di soggiorno di durata non inferiore ad un anno.
Sono fatte salve le disposizioni previste dal decreto legislativo  18
giugno 1998, n. 237, e dagli articoli 65 e 66 della legge 23 dicembre
1998, n. 448, e successive modificazioni.» 
    La carta di soggiorno e' ora denominata permesso di soggiorno  CE
per soggiornanti di lungo periodo a norma dell'art. 9 del  D.Lgs.  25
luglio 1998, n. 286, come modificato dall'art. 1 del D.Lgs. 3/07: «Lo
straniero in possesso, da almeno  cinque  anni,  di  un  permesso  di
soggiorno in corso di validita', che dimostra la disponibilita' di un
reddito non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale  e,  nel
caso di richiesta relativa ai familiari, di  un  reddito  sufficiente
secondo i parametri indicati nell'articolo 29, comma 3, lettera b)  e
di un alloggio idoneo che rientri nei parametri minimi previsti dalla
legge regionale per gli alloggi  di  edilizia  residenziale  pubblica
ovvero che sia fornito dei requisiti di idoneita'  igienico-sanitaria
accertati  dall'Azienda  unita'  sanitaria  locale   competente   per
territorio, puo' chiedere al questore il  rilascio  del  permesso  di
soggiorno CE per soggiornanti di lungo  periodo,  per  se'  e  per  i
familiari di cui all'articolo 29, comma l». 
    Dunque, a norma dell'art. 80, comma 19, legge 388/00, al fine  di
ottenere la indennita' di accompagnamento lo  straniero  deve  essere
titolare della carta di soggiorno, ora permesso di soggiorno di lungo
periodo, i cui requisiti sono di tipo reddituale (ed a tal  proposito
vi e' gia' pronuncia di  illegittimita'  costituzionale  della  Corte
Costituzionale,   con   riferimento   alla   stessa   indennita'   di
accompagnamento) e di durata, richiedendosi altresi' che lo straniero
possieda un permesso di soggiorno in corso  di  validita'  da  almeno
cinque anni. 
    Nel  caso  di  specie,  non  e'  contestata  la  sussistenza  del
requisito sanitario in capo al minore  D.S.  poiche'  la  Commissione
medica di  prima  istanza  ha  riconosciuto  che  egli  necessita  di
assistenza continua  non  essendo  in  grado  di  compiere  gli  atti
quotidiani della vita (come si evince dalla memoria difensiva Inps  e
dagli atti di causa). 
    Piuttosto, il diniego della indennita' richiesta consegue al solo
mancato possesso del permesso di soggiorno di lungo  periodo,  avendo
il  minore  acquistato  il  permesso  di  soggiorno  per  motivi   di
ricongiungimento familiare soltanto  nell'anno  2009  e  non  essendo
pertanto decorso il termine di cinque anni che gli  consentirebbe  di
ottenere il permesso di soggiorno di lungo  periodo  (gia'  carta  di
soggiorno). 
    Peraltro, il soggiorno del minore nello Stato italiano  non  puo'
reputarsi meramente episodico,  poiche'  i  suoi  genitori  erano  in
possesso del permesso di soggiorno sin dall'anno 2007  ed  il  minore
stesso  ha  ottenuto  il  permesso  per  motivi  di  ricongiungimento
familiare. 
    E' dunque da  escludere  che,  nel  caso  di  specie,  manchi  il
presupposto del soggiorno in Italia di carattere non  episodico,  che
legittimerebbe il legislatore, anche secondo la interpretazione  resa
dal  giudice  delle  leggi,  a  negare   la   prestazione   di   tipo
assistenziale. 
    Poiche' la previsione del possesso del permesso di  soggiorno  di
lungo periodo preclude in  questa  sede  al  minore  di  ottenere  la
concessione  della  indennita'  di  accompagnamento,  si  ritiene  la
rilevanza del vaglio costituzionale dell'art.  80,  comma  19,  della
legge 388/00 nel presente giudizio. 
    4. In punto di non  manifesta  infondatezza  della  questione  di
legittimita' costituzionale della norma richiamata  occorre  rilevare
quanto segue. 
    Ha osservato la Corte Costituzionale con sentenza n.  306/08  che
«l'indennita'  di  accompagnamento  -  spettante  ai   disabili   non
autonomamente deambulanti, o che non siano in grado  di  compiere  da
soli gli  atti  quotidiani  della  vita,  per  il  solo  fatto  delle
minorazioni  e,  quindi,  indipendentemente  da  qualsiasi  requisito
reddituale - rientra  nelle  prestazioni  assistenziali  e,  piu'  in
generale,  anche  nella  terminologia   adottata   dalla   Corte   di
Strasburgo, attiene alla "sicurezza o assistenza sociale"».  In  tale
ambito, questa corte  ha  affermato  che  "le  scelte  connesse  alla
individuazione delle categorie dei beneficiari -  necessariamente  da
circoscrivere in ragione della limitatezza delle risorse  finanziarie
- debbano essere operate, sempre e comunque, in ossequio al principio
di  ragionevolezza",  ma  anche  che  al  legislatore  e'  consentito
"introdurre regimi differenziati, circa il trattamento  da  riservare
ai singoli consociati, soltanto in presenza di una "causa"  normativa
non palesemente irrazionale o, peggio, arbitraria" (sentenza  n.  432
del 2005). 
    Tutto cio' premesso, la  Corte  ritiene  che  sia  manifestamente
irragionevole   subordinare   l'attribuzione   di   una   prestazione
assistenziale  quale  l'indennita'  di  accompagnamento   -   i   cui
presupposti sono, come si e' detto, la totale disabilita' al  lavoro,
nonche' l'incapacita' alla deambulazione autonoma o al compimento  da
soli degli atti quotidiani della vita - al possesso di un  titolo  di
legittimazione alla permanenza del soggiorno in Italia  che  richiede
per il suo rilascio, tra l'altro, la titolarita' di un reddito.  Tale
irragionevolezza incide sul diritto alla salute,  inteso  anche  come
diritto  ai  rimedi  possibili  e,  come  nel  caso,  parziali,  alle
menomazioni  prodotte  da  patologie  di  non  lieve  importanza.  Ne
consegue il contrasto delle disposizioni censurate non  soltanto  con
l'art. 3 Cost., ma anche con gli artt.  32  e  38  Cost.,  nonche'  -
tenuto conto che quello alla salute  e'  diritto  fondamentale  della
persona (vedi, per tutte, le sentenze n. 252 del 2001 e  n.  432  del
2005) - con l'art. 2 della Costituzione. Sotto tale profilo e  per  i
medesimi motivi, la normativa censurata viola l'art. 10, primo comma,
della  Costituzione,  dal  momento  che  tra  le  norme  del  diritto
internazionale generalmente riconosciute rientrano  quelle  che,  nel
garantire i  diritti  fondamentali  della  persona  indipendentemente
dall'appartenenza   a   determinate   entita'   politiche,    vietano
discriminazioni  nei  confronti   degli   stranieri,   legittimamente
soggiornanti nel territorio dello Stato. Al legislatore  italiano  e'
certamente consentito dettare norme, non palesemente irragionevoli  e
non contrastanti con obblighi internazionali, che regolino l'ingresso
e la permanenza di extracomunitari in Italia (da ultimo, sentenza  n.
148   del   2008).   E'   possibile,   inoltre,   subordinare,    non
irragionevolmente, l'erogazione  di  determinate  prestazioni  -  non
inerenti a rimediare a gravi situazioni di urgenza - alla circostanza
che il titolo di legittimazione  dello  straniero  al  soggiorno  nel
territorio dello Stato ne dimostri il carattere non  episodico  e  di
non breve durata; una volta, pero', che il diritto a soggiornare alle
condizioni  predette  non  sia  in  discussione,   non   si   possono
discriminare  gli  stranieri,   stabilendo,   nei   loro   confronti,
particolari limitazioni per il  godimento  dei  diritti  fondamentali
della persona, riconosciuti  invece  ai  cittadini.  Le  disposizioni
censurate sono, pertanto, illegittime nella parte in cui -  oltre  ai
requisiti sanitari e di durata del soggiorno  in  Italia  e  comunque
attinenti alla persona, gia' stabiliti per il rilascio della carta di
soggiorno ed ora (per effetto del d.lgs. n. 3 del 2007) del  permesso
di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo, non sospettati  di
illegittimita' dal remittente - esigono,  ai  fini  dell'attribuzione
dell'indennita' di accompagnamento, anche requisiti  reddituali,  ivi
compresa la disponibilita' di un alloggio, avente le  caratteristiche
indicate dal nuovo testo dell'art. 9, comma 1, del d.lgs. n. 286  del
1998.» 
    Nel caso esaminato dalla Corte Costituzionale con tale  sentenza,
il  giudice  remittente   aveva   sospettato   della   illegittimita'
costituzionale della norma con esclusivo riguardo alla previsione  di
un  limite  di  reddito,  posto  a  discriminare  gli  stranieri  dai
cittadini italiani nella fruizione della provvidenza in esame. 
    Dunque, la Corte Costituzionale ha effettivamente riconosciuto la
illegittimita'  costituzionale  della  norma  richiamata   sotto   il
limitato profilo della previsione di un requisito reddituale,  mentre
la pronuncia  non  si  e'  estesa  alla  previsione  degli  ulteriori
requisiti richiesti per ottenere il permesso di  soggiorno  di  lungo
periodo, tra cui la durata del soggiorno stesso. 
    Tale questione e' invece stata valutata con sentenze  successive,
in cui la Corte Costituzionale  si  e'  occupata  della  legittimita'
della  norma  in  esame  con  riguardo   alle   diverse   prestazioni
dell'assegno mensile di assistenza e  della  pensione  di  inabilita'
(rispettivamente, sentenze n.ri 187/10 ed 11/09). 
    In particolare, con sentenza n.  187/10,  che  ha  dichiarato  la
illegittimita' costituzionale della norma in esame nella parte in cui
subordina  la  concessione  dell'assegno  mensile  di  assistenza  al
possesso  del  permesso  di  soggiorno  di  lunga  durata,  la  Corte
Costituzionale ha osservato (con respiro  piu'  ampio  rispetto  alla
precedente pronuncia, che riguardava la sola previsione del requisito
reddituale) che «La giurisprudenza della Corte  europea  dei  diritti
dell'uomo ha, in varie occasioni, avuto modo di sottolineare come  la
Convenzione  non  sancisca  un  obbligo  per  gli  Stati  membri   di
realizzare un sistema  di  protezione  sociale  o  di  assicurare  un
determinato livello delle prestazioni  assistenziali;  tuttavia,  una
volta che tali prestazioni  siano  state  istituite  e  concesse,  la
relativa   disciplina   non   potra'   sottrarsi   al   giudizio   di
compatibilita' con le norme della Convenzione e, in particolare,  con
l'art. 14 che vieta la previsione di trattamenti  discriminatori  (in
tal  senso,  Stec  ed  altri  contro  Regno  Unito,  decisione  sulla
ricevibilita'  del  6  luglio  2005;  Koua  Poirrez  contro  Francia,
sentenza del 30 settembre 2003; Gaygusuz contro Austria, sentenza del
16 settembre 1996; Salesi contro Italia,  sentenza  del  26  febbraio
1993). Al tempo stesso, la Corte di Strasburgo ha anche  sottolineato
l'ampio margine di apprezzamento di cui i  singoli  Stati  godono  in
materia di prestazioni sociali,  in  particolare  rilevando  come  le
singole autorita' nazionali,  in  ragione  della  conoscenza  diretta
delle peculiarita' che caratterizzano le  rispettive  societa'  ed  i
correlativi bisogni, si  trovino,  in  linea  di  principio,  in  una
posizione privilegiata rispetto a quella del  giudice  internazionale
per determinare  quanto  risulti  di  pubblica  utilita'  in  materia
economica e sociale. Da qui  l'assunto  secondo  il  quale  la  Corte
rispetta, in linea di massima, le scelte a tal proposito operate  dal
legislatore nazionale, salvo che la relativa  valutazione  si  riveli
manifestamente irragionevole (Carson ed  altri  contro  Regno  Unito,
sentenza del 16 marzo 2010; Luczak contro Polonia,  sentenza  del  27
novembre 2007). A proposito, poi, dei limiti entro i quali  opera  il
divieto di trattamenti discriminatori stabilito  dall'art.  14  della
Convenzione, la stessa Corte non ha mancato di segnalare il carattere
relazionale che contraddistingue  il  principio,  nel  senso  che  lo
stesso non assume un risalto autonomo, "ma gioca un importante  ruolo
di complemento rispetto alle altre disposizioni della  Convenzione  e
dei suoi protocolli,  perche'  protegge  coloro  che  si  trovano  in
situazioni analoghe da  discriminazioni  nel  godimento  dei  diritti
garantiti da altre disposizioni" (da ultimo, Orsus  ed  altri  contro
Croazia, sentenza del 16 marzo 2010). Il trattamento  diviene  dunque
discriminatorio - ha puntualizzato la giurisprudenza  della  Corte  -
ove esso non trovi una giustificazione oggettiva e  ragionevole;  non
realizzi cioe' un rapporto di proporzionalita' tra i mezzi  impiegati
e  l'obiettivo  perseguito  (ad  es.,  Niedzwiecki  contro  Germania,
sentenza del 25 ottobre 2005). Non senza l'ulteriore puntualizzazione
secondo  la  quale  soltanto  "considerazioni  molto  forti  potranno
indurre a far ritenere compatibile con la Convenzione una  differenza
di trattamento fondata esclusivamente sulla nazionalita'" (da ultimo,
Si Amer contro Francia, sentenza del 29 ottobre 2009, ed i precedenti
ivi citati). 
    Poste tali  premesse,  la  Corte  ha  evidenziato  che  la  norma
scrutinata e' evidentemente  finalizzata  a  ridurre  l'accesso  alle
prestazioni  sociali  da   parte   dei   cittadini   extracomunitari.
Interrogandosi  dunque   sulla   ragionevolezza   del   criterio   di
contenimento di tale accesso, con specifico riguardo alla prestazione
consistente nell'assegno mensile  di  assistenza,  il  giudice  delle
leggi ha evidenziato che  «Occorre  accertare  se,  alla  luce  della
configurazione normativa e della funzione sociale che e'  chiamato  a
svolgere nel  sistema,  lo  specifico  "assegno"  che  viene  qui  in
discorso integri o meno un rimedio destinato a consentire il concreto
soddisfacimento dei "bisogni primari" inerenti alla stessa  sfera  di
tutela  della  persona  umana,  che  e'  compito   della   Repubblica
promuovere e salvaguardare; rimedio costituente, dunque,  un  diritto
fondamentale  perche'  garanzia  per  la  stessa  sopravvivenza   del
soggetto. D'altra parte, la giurisprudenza della Corte di  Strasburgo
ha sottolineato  come,  "in  uno  Stato  democratico  moderno,  molti
individui, per tutta o parte della loro vita, non possono  assicurare
il loro sostentamento che grazie a delle prestazioni di  sicurezza  o
di previdenza sociale". Sicche', "da parte  di  numerosi  ordinamenti
giuridici  nazionali  viene  riconosciuto  che  tali  individui  sono
bisognosi di una certa sicurezza e prevedono, dunque,  il  versamento
automatico di prestazioni,  a  condizione  che  siano  soddisfatti  i
presupposti stabiliti per il riconoscimento dei diritti in questione"
(la gia' citata decisione sulla  ricevibilita'  del  6  luglio  2005,
Staic ed altri contro Regno Unito). Ove, pertanto, si versi  in  tema
di provvidenza  destinata  a  far  fronte  al  "sostentamento"  della
persona, qualsiasi discrimine tra cittadini e stranieri  regolarmente
soggiornanti nel territorio dello Stato, fondato su requisiti diversi
dalle condizioni soggettive finirebbe per risultare in contrasto  con
il principio sancito  dall'art.  14  della  Convenzione  europea  dei
diritti dell'uomo avuto riguardo alla relativa lettura che,  come  si
e' detto, e'  stata  in  piu'  circostanze  offerta  dalla  Corte  di
Strasburgo.» 
    Esaminando dunque la funzione  essenziale  di  sostentamento  per
soggetti invalidi ricoperta dall'assegno mensile  di  assistenza,  la
Corte  ha   reputato   costituzionalmente   illegittima   in   quanto
irragionevolmente discriminatoria la norma che qui si esamina. 
    In particolare, la Corte Costituzionale ha  ritenuto  che,  avuto
riguardo alla essenziale funzione di sostentamento della  prestazione
in esame, la previsione dell'ulteriore requisito  richiesto  rispetto
alla esistenza di un valido titolo di soggiorno  (cioe'  il  possesso
della carta  di  soggiorno,  oggi  permesso  di  soggiorno  di  lungo
periodo) risulti discriminatoria e dunque in contrasto con l'art.  14
della CEDU, con conseguente violazione dell'art. 117  comma  1  della
Costituzione. 
    Tali principi devono essere applicati anche nella presente sede. 
    Ebbene, occorre qui rilevare che la indennita' di accompagnamento
svolge la essenziale funzione  di  garantire  al  soggetto  posto  in
condizione di assoluta e permanente impossibilita' di provvedere alle
proprie esigenze di vita e deambulare in  autonomia  di  ricevere  un
sostegno economico al fine di ottenere quell'ausilio  essenziale  per
la  stessa  sopravvivenza.   L'indennita'   di   accompagnamento,   a
differenza delle altre prestazioni di tipo assistenziale,  presuppone
un quadro patologico di tale gravita' da non consentire in alcun modo
al soggetto di provvedere finanche alle minime ed essenziali esigenze
di vita, quali il lavarsi od il vestirsi od il deambulare. 
    E'  dunque  evidente  la  finalita'  essenziale  di  sostegno   e
sostentamento perseguita con la indennita'  di  accompagnamento,  che
costituisce uno strumento di necessario  ausilio  per  assicurare  le
minime ed essenziali esigenze di vita della persona che si  trova  in
condizioni fisiche di assoluta gravita'. 
    Anche  alla  indennita'  di  accompagnamento  si  ritiene  dunque
debbano essere estese le considerazioni che la  Corte  Costituzionale
ha svolto, con sentenza n. 187/10, con riguardo  all'assegno  mensile
di assistenza. 
    Dunque, anche con riguardo alla provvidenza in  esame  si  reputa
che la norma che subordina la concessione della  indennita'  per  gli
stranieri all'ulteriore requisito del soggiorno di lungo  periodo  e,
comunque, al possesso della  carta  di  soggiorno  (ora  permesso  di
soggiorno di lungo  periodo),  non  afferente  alle  mere  condizioni
soggettive,  si  ponga  in  contrasto  con  l'art.   14   CEDU   come
interpretato dalla Corte di Strasburgo  e,  quindi,  con  l'art.  117
primo comma Cost. 
    5.  Peraltro,  a  fronte  del  chiaro  ed  inequivocabile  tenore
letterale dell'art. 80, comma 19,  legge  388/00,  non  e'  possibile
fornire una interpretazione costituzionalmente orientata della norma,
ne'  tantomeno  ritenere  che  la  stessa  sia  stata  gia'   espunta
dall'ordinamento giuridico sulla base delle pronunce emesse  sino  ad
ora dal Giudice delle leggi, sempre aventi  efficacia  limitata  alle
prestazioni  di  volta  in  volta  esaminate  e,  con  riguardo  alla
indennita' di accompagnamento, al solo requisito reddituale  previsto
per il rilascio del permesso di soggiorno di lunga durata. 
    Piuttosto, per tutti  i  motivi  esposti,  deve  dubitarsi  della
legittimita' costituzionale della norma nella parte in cui  subordina
la concessione della indennita' di accompagnamento agli stranieri  al
possesso del permesso della carta di soggiorno (ora  permesso  CE  di
lungo periodo), non solo per contrasto con  l'art.  117  primo  comma
Cost., ma anche per contrasto con l'art. 3 Cost. (ponendo  in  essere
una evidente ed ingiustificata disparita' di trattamento in ordine  a
diritti  fondamentali  della  persona  tra   cittadini   italiani   e
stranieri) e con l'art. 32 della Costituzione (negando la tutela  del
diritto alla salute a parita' di condizioni  ai  cittadini  stranieri
legalmente soggiornanti nel territorio dello Stato). 
    6.   Non   si   reputa   peraltro   possibile   procedere    alla
disapplicazione della norma interna in contrasto  con  la  disciplina
comunitaria, senza ricorrere all'intervento del Giudice delle  leggi,
anche a seguito della entrata in vigore del Trattato di  Lisbona  che
ha riconosciuto i  principi  fondamentali  di  cui  alla  Convenzione
Europea dei Diritti  dell'Uomo,  come  principi  interni  al  diritto
dell'Unione. 
    Infatti, le disposizioni della CEDU  hanno  natura  di  norme  di
principio,  con  la  conseguenza   che   non   possono   considerarsi
direttamente applicabili negli Stati membri. 
    Tale conclusione deve rimanere invariata anche  a  seguito  della
entrata in  vigore  del  Trattato  di  Lisbona,  e  la  stessa  Corte
Costituzionale ha ribadito, anche con sentenza  n.  93  del  2010,  i
principi in proposito enucleati sin dalle sentenze n.ri  348/349  del
2007: «le norme della CEDU - nel significato  loro  attribuito  dalla
Corte europea dei diritti  dell'uomo,  specificamente  istituita  per
dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32,  paragrafo  1,
della  Convenzione)  -  integrano,  quali  "norme   interposte",   il
parametro costituzionale espresso dall'art. 117, primo comma,  Cost.,
nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna
ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali" (sentenze n. 317
e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008). Nel caso in  cui  si  profili  un
eventuale contrasto tra una norma interna e una norma della CEDU,  il
giudice nazionale comune deve, quindi, preventivamente verificare  la
praticabilita' di una interpretazione della prima conforme alla norma
convenzionale, ricorrendo a tutti normali  strumenti  di  ermeneutica
giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale  soluzione  risulti
impercorribile  (non  potendo  egli  disapplicare  la  norma  interna
contrastante),   deve   denunciare   la   rilevata   incompatibilita'
proponendo questione di legittimita' costituzionale in riferimento al
parametro dianzi indicato.» 
    In virtu' di tutte le considerazioni su  esposte  questo  Giudice
ritiene non manifestamente infondata  e  rilevante  nel  giudizio  la
questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  80,  comma  19,
legge 388/00 per contrasto con gli artt. 3, 32, 117  comma  1  Cost.,
nella parte in cui  subordina  la  concessione  della  indennita'  di
accompagnamento al possesso della carta di soggiorno, e dunque  anche
al requisito della durata del soggiorno medesimo nel territorio dello
Stato. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 80, comma 19, legge 388/00  per
contrasto con gli artt. 3, 32, 117 comma 1 Cost., nella parte in  cui
subordina la  concessione  della  indennita'  di  accompagnamento  al
possesso della carta di soggiorno, e dunque anche al requisito  della
durata del soggiorno medesimo nel territorio dello Stato. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata  alle  parti  ed  al  Presidente  del  Consiglio   nonche'
comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Urbino, 31 maggio 2011 
 
                         Il Giudice: Marrone