N. 260 ORDINANZA 19 - 30 settembre 2011

Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. 
 
Reati e pene - Reati elettorali - Elezioni amministrative - Divieto a
  tutte  le  pubbliche  amministrazioni  di  svolgere  attivita'   di
  propaganda  di  qualsiasi  genere,  ancorche'  inerente  alla  loro
  attivita' istituzionale, nei  trenta  giorni  antecedenti  l'inizio
  della campagna elettorale e per tutta  la  durata  della  stessa  -
  Trattamento  sanzionatorio  in  caso  di  inosservanza  -  Asserita
  violazione  del  principio  di   ragionevolezza   -   Insufficiente
  descrizione della fattispecie, con  conseguente  impossibilita'  di
  verificare  la  rilevanza  della  questione  -  Petitum  oscuro   -
  Manifesta inammissibilita'. 
- Legge 25 marzo 1993, n. 81, art. 29, comma 5, in relazione al comma
  6 dello stesso articolo. 
- Costituzione, art. 3. 
(GU n.42 del 5-10-2011 )
 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
composta dai signori: 
Presidente: Alfonso QUARANTA; 
Giudici: Alfio FINOCCHIARO, Franco  GALLO,  Luigi  MAZZELLA,  Gaetano
  SILVESTRI,  Sabino   CASSESE,   Giuseppe   TESAURO,   Paolo   Maria
  NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO,  Alessandro  CRISCUOLO,  Paolo  GROSSI,
  Giorgio LATTANZI; 
ha pronunciato la seguente 
 
                              Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  29,  comma
5, e in relazione al successivo comma 6, della legge 25  marzo  1993,
n. 81 (Elezione diretta del sindaco, del presidente della  provincia,
del consiglio comunale e del  consiglio  provinciale),  promosso  dal
Tribunale di Catania nel procedimento penale a carico  di  N.  G.  ed
altri, con ordinanza del 28 settembre 2010, iscritta al  n.  397  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 1, 1ª serie speciale, dell'anno 2011. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del  6  luglio  2011  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
    Ritenuto che il Tribunale di Catania in composizione monocratica,
con ordinanza depositata il  28  settembre  2010,  ha  sollevato,  in
riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di  legittimita'
costituzionale dell'articolo 29, comma 5, in relazione al  successivo
comma 6, della legge 25 marzo  1993,  n.  81  (Elezione  diretta  del
sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del
consiglio provinciale); 
        che il rimettente premette di essere chiamato a  pronunciarsi
in un processo penale a carico di N. G., N. F., S. R.  e  C.  G.,  ai
quali e' stata contestata, in concorso, la fattispecie prevista dalla
norma censurata, «per avere il primo,  nella  qualita'  di  Direttore
Generale dell'Azienda ospedaliera Garibaldi di  Catania,  organizzato
due  incontri  di  propaganda  politico  elettorale  all'interno  del
predetto plesso  ospedaliero  nell'interesse  degli  altri  imputati,
candidati rispettivamente  al  Consiglio  comunale,  alla  carica  di
Sindaco ed alla Presidenza della Provincia regionale di Catania»; 
        che, come il giudice a  quo  riferisce,  in  dibattimento  il
difensore di S. R. ha eccepito l'illegittimita' costituzionale  della
norma recante il reato ascritto al proprio  assistito  per  contrasto
con l'art. 3 Cost., ponendo in  evidenza  l'irragionevolezza  di  una
disposizione che  mantiene  «rilevanza  penale  alla  violazione  del
divieto  di  propaganda   elettorale   da   parte   delle   pubbliche
amministrazioni nell'ambito delle elezioni amministrative laddove  la
norma contenente la  previsione  di  identico  divieto  in  relazione
all'elezione alla Camera dei Deputati e al Senato della Repubblica ha
perso vigenza per intervenuta abrogazione»; 
        che, a fondamento dell'istanza, e' stato addotto: 
          che l'art. 29, comma 6, della legge n. 81  del  1993  cosi'
statuisce: «E' fatto divieto a tutte le pubbliche amministrazioni  di
svolgere attivita'  di  propaganda  di  qualsiasi  genere,  ancorche'
inerente  alla  loro  attivita'  istituzionale,  nei  trenta   giorni
antecedenti l'inizio della campagna elettorale e per tutta la  durata
della stessa», divieto la cui violazione e' sanzionata ai  sensi  del
precedente  comma  5  (secondo  periodo),  alla  stregua  del   quale
«Chiunque  contravviene  alle  restanti  norme  di  cui  al  presente
articolo e' punito con la multa da lire un milione a  lire  cinquanta
milioni»; 
          che  l'art.  5  della  legge  10  dicembre  1993,  n.   515
(Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera  dei
deputati e al Senato della Repubblica), sotto il titolo  «Divieto  di
propaganda istituzionale», prevedeva quanto segue: «E' fatto  divieto
a  tutte  le  pubbliche  amministrazioni  di  svolgere  attivita'  di
propaganda  di  qualsiasi  genere,  ancorche'  inerente   alla   loro
attivita' istituzionale, nei trenta giorni antecedenti l'inizio della
campagna elettorale e per la durata della stessa. Non  rientrano  nel
divieto  del  presente  articolo  le   attivita'   di   comunicazione
istituzionale  indispensabili  per  l'efficace   assolvimento   delle
funzioni proprie delle amministrazioni pubbliche»; 
          che   tale   articolo,   il    cui    testo    risulterebbe
«sovrapponibile alla disposizione della cui legittimita' si  dubita»,
e' stato abrogato dall'art. 13 della legge 22 febbraio  2000,  n.  28
(Disposizioni per la parita' di  accesso  ai  mezzi  di  informazione
durante le campagne elettorali e referendarie e per la  comunicazione
politica),  onde  «non  appare  ragionevole  il  mantenimento   della
sanzione  penale  per  una  condotta   che,   tutt'ora   oggetto   di
incriminazione   nell'ambito   della   disciplina   delle    elezioni
amministrative, non subisce sanzione ove posta in essere in occasione
della competizione elettorale nazionale»; 
          che, a sostegno della tesi cosi' esposta, e' richiamata  la
sentenza di  questa  Corte  n.  287  del  2001,  la  quale  dichiaro'
l'illegittimita' costituzionale dello stesso art. 29, comma 5,  della
legge n. 81 del 1993, in questa sede censurato, nella  parte  in  cui
puniva il fatto previsto dal precedente comma 3  (obbligo  d'indicare
il  nome  del  committente  responsabile   sulle   pubblicazioni   di
propaganda elettorale  in  detta  norma  specificate)  con  la  multa
anziche'  con  una  sanzione  amministrativa   pecuniaria   d'importo
corrispondente; 
          che agli argomenti fin qui esposti il  rimettente  aggiunge
l'osservazione secondo cui la legge n. 28 del 2000, con la  quale  e'
stata disposta l'abrogazione del citato art. 5 (della  legge  n.  515
del 1993), sarebbe diretta a disciplinare in modo uniforme  l'accesso
ai mezzi di  informazione  durante  le  campagne  per  l'elezione  al
Parlamento  europeo,  per  le   elezioni   politiche,   regionali   e
amministrative e per ogni referendum, quindi  con  valenza  estesa  a
tutte le occasioni elettorali; 
          che, prosegue il giudice a  quo,  il  dettato  dell'art.  9
della stessa legge sembra segnalare l'intenzione del  legislatore  di
disciplinare in modo  diverso  ed  unitario  il  tema  relativo  alla
condotta  delle  pubbliche   amministrazioni   in   occasione   delle
competizioni elettorali,  prevedendo  per  le  dette  amministrazioni
(nelle circostanze contemplate dalla norma) il  divieto  di  svolgere
attivita'  di  comunicazione,  eccetto  quelle  effettuate  in  forma
impersonale ed indispensabili per l'assolvimento  delle  funzioni,  e
stabilendo,  in  caso   di   violazione   del   divieto,   interventi
dell'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni; 
          che, infine, ad avviso del rimettente, la questione sarebbe
rilevante nel giudizio in corso,  nel  quale  andrebbe  valutata  «la
responsabilita' degli imputati in ordine  alla  fattispecie  prevista
dalla norma impugnata e ad altro reato aggravato dalla sussistenza di
nesso teleologico con il primo»; 
          che, con atto depositato il 25 gennaio 2011,  nel  giudizio
di legittimita'  costituzionale  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato,  chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente infondata; 
          che, ad avviso della difesa statale, il divieto  per  tutte
le amministrazioni pubbliche  di  svolgere  attivita'  di  propaganda
elettorale realizza un'ipotesi di applicazione concreta del principio
d'imparzialita' dell'azione amministrativa,  stabilito  dall'art.  97
Cost., la cui importanza e', in  particolare,  evidente  nel  periodo
immediatamente precedente la competizione elettorale; 
          che,  inoltre,  il  divieto  e'  diretto  ad  impedire   il
consolidarsi di un vantaggio elettorale a favore dei politici uscenti
nei confronti degli sfidanti, date le facilitazioni,  in  termini  di
comunicazione e di visibilita', di cui  i  primi  dispongono  in  via
esclusiva e gratuita; 
          che l'art. 9 della legge n. 28 del 2000, analogamente  alla
norma censurata, sancisce il divieto  per  tutte  le  amministrazioni
pubbliche, durante il periodo compreso tra la  data  di  convocazione
dei comizi elettorali e la chiusura delle  operazioni  di  voto,  «di
svolgere  attivita'  di  comunicazione,  ad   eccezione   di   quelle
effettuate in forma  impersonale  ed  indispensabili  per  l'efficace
svolgimento delle proprie funzioni»; 
          che, in base al disposto del successivo art. 10 della legge
n. 28 del  2000,  «Le  violazioni  delle  disposizioni  di  cui  alla
presente  legge,  nonche'  di  quelle  emanate  dalla  Commissione  e
dall'Autorita', sono perseguite d'ufficio da quest'ultima secondo  le
disposizioni  del  presente  articolo»  (il   riferimento   e'   alla
Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza  dei
servizi  radiotelevisivi  e  all'Autorita'  per  le  garanzie   nelle
comunicazioni); 
          che,  pertanto,  contrariamente  a  quanto   ritenuto   dal
rimettente, la violazione, da parte delle pubbliche  amministrazioni,
del  divieto  di  comunicazione  istituzionale  durante  la  campagna
elettorale risulterebbe sanzionata, ancorche'  in  forme  differenti,
non  soltanto  con  riferimento  allo  svolgimento   delle   elezioni
amministrative ma anche  con  riguardo  ad  ogni  altra  competizione
elettorale, e cio' escluderebbe  la  possibilita'  di  affermare  che
l'art. 29, comma 5, della legge n. 81 del  1993  violi  il  principio
dettato dall'art. 3 Cost.; 
          che la differenza di trattamento sanzionatorio prevista per
la violazione del divieto di propaganda  elettorale  da  parte  delle
pubbliche amministrazioni, a seconda che la stessa  si  verifichi  in
occasione delle elezioni amministrative (sanzione penale), ovvero  in
relazione alle elezioni politiche, europee e regionali (provvedimenti
sanzionatori  da  parte  dell'Autorita'   per   le   garanzie   nelle
comunicazioni), non sarebbe costituzionalmente illegittima, alla luce
della giurisprudenza di questa Corte; 
          che,  infatti,   essa,   proprio   con   riferimento   alla
legislazione elettorale, avrebbe ritenuto ammissibile l'esistenza  di
sottosistemi   come   «espressione   della    discrezionalita'    (da
riconoscere) al legislatore  per  quanto  attiene  alla  sfera  della
punibilita'»  (sentenza  n.  455  del  1998),  nonche'   «ammissibile
l'esistenza di regimi sanzionatori differenziati,  frutto  di  scelte
discrezionali del legislatore), a condizione che  queste  ultime  non
trasmodino  nella   manifesta   irragionevolezza   o   nell'arbitrio»
(sentenze n. 394 del 2006, n. 144 del 2005, n. 364 del 2004 e n.  287
del 2001); 
          che, nella specie, la scelta  del  legislatore,  diretta  a
sanzionare piu' severamente la violazione del divieto  di  propaganda
elettorale, da parte delle pubbliche amministrazioni, quando essa  si
verifichi  in  occasione  delle  elezioni  amministrative,  non  puo'
ritenersi manifestamente irragionevole o arbitraria; 
          che, invero, l'esigenza di  evitare  che  la  comunicazione
degli enti pubblici possa  determinare  interferenze  e  distorsioni,
rispetto  ad  una  libera  consultazione  elettorale,  sarebbe   piu'
avvertita   con    riferimento    alle    consultazioni    elettorali
amministrative, aventi una  dimensione  locale  rispetto  alle  altre
riguardanti  l'intero  territorio  nazionale  (come  nel  caso  delle
elezioni politiche ed europee) o, comunque, l'ambito regionale. 
    Considerato  che  il  Tribunale  di  Catania,   in   composizione
monocratica,  con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe  dubita  della
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento   all'art.   3   della
Costituzione, dell'art. 29, comma 5, in relazione al successivo comma
6, della legge 25 marzo 1993, n. 81 (Elezione  diretta  del  sindaco,
del  presidente  della  provincia,  del  consiglio  comunale  e   del
consiglio   provinciale),    che,    nell'ambito    delle    elezioni
amministrative, incrimina  la  violazione  del  divieto  di  svolgere
attivita' di propaganda elettorale  di  qualsiasi  genere,  da  parte
delle  pubbliche  amministrazioni,  nei  trenta  giorni   antecedenti
l'inizio della campagna  elettorale  e  per  tutta  la  durata  della
stessa; 
        che la norma censurata sarebbe in contrasto col principio  di
ragionevolezza, perche' l'art. 5 della legge 10 dicembre 1993, n. 515
(Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera  dei
deputati e al Senato della Repubblica),  che  prevedeva  un  identico
divieto con riguardo all'elezione di tali organi, e'  stato  abrogato
dall'art. 13 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la
parita' di accesso ai  mezzi  di  informazione  durante  le  campagne
elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), onde  non
sarebbe  giustificato,  nel  quadro  del  menzionato  principio,  «il
mantenimento della sanzione penale per  una  condotta  che,  tutt'ora
oggetto di incriminazione nell'ambito della disciplina delle elezioni
amministrative, non subisce sanzione ove posta in essere in occasione
della competizione elettorale nazionale»; 
        che la questione e' manifestamente inammissibile, in  ragione
delle gravi carenze che inficiano la  descrizione  della  fattispecie
sottoposta all'esame del giudice a quo (ex  plurimis:  ordinanze  nn.
146 e 85 del 2010; nn. 211 e 181 del 2009); 
        che, infatti, mentre per il primo dei quattro imputati si  fa
riferimento,    per    descrivere    la     condotta     incriminata,
all'organizzazione di due incontri di propaganda  politico-elettorale
all'interno di un complesso ospedaliero, del quale il  prevenuto  era
direttore generale (peraltro, senza indicare le date degli incontri),
per gli altri tre si afferma soltanto  che  l'organizzazione  avrebbe
avuto luogo nel loro  "interesse",  ma  manca  qualsiasi  descrizione
della condotta ai medesimi ascritta, non sono chiariti  i  ruoli  dei
compartecipi e neppure e' detto se essi abbiano o  meno  preso  parte
agli incontri stessi; 
        che tali dati, necessari per consentire  a  questa  Corte  la
verifica della rilevanza della questione proposta in  relazione  alla
fattispecie concreta, non possono  essere  desunti  dall'esame  degli
atti processuali, non  consentito  in  questa  sede  in  ossequio  al
principio di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione; 
        che, sotto altro profilo, detta ordinanza presenta un petitum
oscuro o, comunque, ambiguo, perche' non spiega  se  ritiene  che  si
debba pervenire ad una sentenza caducatoria  della  norma  censurata,
oppure   se   intenda   ottenere   una   pronunzia    che    dichiari
l'illegittimita' costituzionale della norma stessa nella parte in cui
punisce la  condotta  incriminata  con  la  multa  anziche'  con  una
sanzione amministrativa pecuniaria di corrispondente importo, come il
richiamo alla sentenza n. 287 del 2001 lascerebbe intendere. 
    Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,
n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per  i  giudizi  davanti
alla Corte costituzionale. 
 
                          Per questi motivi 
                       LA CORTE COSTITUZIONALE 
 
    Dichiara  la  manifesta  inammissibilita'  della   questione   di
legittimita' costituzionale dell'articolo 29, comma 5,  in  relazione
al successivo comma 6, della legge 25 marzo  1993,  n.  81  (Elezione
diretta del sindaco, del presidente della  provincia,  del  consiglio
comunale e del  consiglio  provinciale),  sollevata,  in  riferimento
all'articolo 3 della  Costituzione,  dal  Tribunale  di  Catania  con
l'ordinanza indicata in epigrafe. 
    Cosi' deciso in Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 19 settembre 2011. 
 
                       Il Presidente: Quaranta 
 
 
                       Il redattore: Criscuolo 
 
 
                       Il cancelliere: Melatti 
 
    Depositata in cancelleria il 30 settembre 2011. 
 
               Il direttore della cancelleria: Melatti