N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2011

Ordinanza del 24 maggio  2011  emessa  dalla  Commissione  tributaria
regionale per la Lombardia sui ricorsi riuniti  proposti  da  Mazzoni
Pietro s.p.a. contro Agenzia delle  entrate  -  Dir.  prov.le  II  di
Milano. 
 
Contenzioso   tributario   -   Tutela   cautelare    -    Sospensione
  dell'esecutivita'  della  sentenza  della  commissione   tributaria
  regionale impugnata  con  ricorso  per  cassazione  -  Possibilita'
  quando dalla esecuzione possa derivare all'esecutato un  "grave  ed
  irreparabile danno" - Mancata previsione - Contrasto con i principi
  del giusto processo e della  parita'  delle  parti  in  giudizio  -
  Sottrazione della  tutela  cautelare  al  contribuente  soccombente
  (solo) in appello - Ingiustificata  differenziazione  del  processo
  tributario rispetto al processo civile ed a quello amministrativo -
  Irragionevole sacrificio irreparabile di diritti  soggettivi  prima
  della  definizione  dell'esito  processuale  della  controversia  -
  Assoggettamento di fatto del contribuente ad una forma di solve  et
  repete comportante il rischio di "giustizia  negata"  -  Violazione
  del principio di capacita' contributiva, del diritto  di  azione  e
  difesa e della garanzia della  tutela  giurisdizionale  contro  gli
  atti della pubblica amministrazione. 
- Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49, comma 1. 
- Costituzione, artt. 3, 24 (53, primo comma),  111  (commi  primo  e
  secondo)  e  113;  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
  dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  firmata  a  Roma  il  4
  novembre 1950 [e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848],
  art. 6, comma 1, "in relazione all'art. 10 della Costituzione". 
(GU n.48 del 16-11-2011 )
 
                 LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    La presente ordinanza viene emessa a seguito  dell'esame  di  tre
distinti ricorsi (nn. 312-314-315/2001), presentati in data  3  marzo
2011, nel corso di altrettante controversie tra la  societa'  Mazzoni
Pietro spa e l'Agenzia delle  Entrate  Direzione  Provinciale  II  di
Milano, approdate ora alla  Corte  di  cassazione,  mediante  ricorsi
proposti in data 3 febbraio 2011. 
    Le  tre  controversie  attengono   ad   altrettanti   avvisi   di
accertamento emessi nei confronti della soc. Mazzoni  Pietro  spa,  a
seguito del processo verbale redatto  dalla  G.  di  F.  in  data  30
dicembre 2005, a conclusione di una verifica  generale  relativamente
agli anni di imposta dal 2000 al 2003. 
    Gli accertamenti infatti riguardavano l'IVA degli anni 2001, 2002
ed IVA, IRPEG ed IRAP 2003 e si basavano fondamentalmente  su  alcuni
rilievi principali e cioe'  l'omessa  fatturazione  per  cessione  di
materiale e omessa regolarizzazione di fatture passive. 
    Avverso i  predetti  accertamenti  la  societa'  contribuente  si
opponeva alle contestazioni eccependo la infondatezza dei  rilievi  e
faceva presente che, trattandosi di lavori  appaltati  dalla  Telecom
spa, e quindi contrattualmente soggetti a certe clausole  e  garanzia
di qualita', aveva provveduto  ad  acquistare  direttamente  tutti  i
materiali  necessari  per  la  realizzazione  di  quanto   richiesto,
materiali regolarmente caricati all'interno dei propri magazzini e di
volta in volta poi consegnati alle imprese sub-appaltatrici in «conto
lavorazione». 
    In sede di fatturazione,  le  quantita'  di  materiali  prelevate
erano valorizzate  e  trattenute  sui  benestare  alla  fatturazione.
Secondo  la  ricorrente  societa',  detti  materiali   non   venivano
assolutamente ceduti, ma semplicemente affidati, alle imprese per  la
realizzazione dell'opera, e quindi consegnati in  conto  lavorazione;
si sottolineava quindi che la vera  cessione  si  concretizzava  solo
all'atto della fatturazione nei confronti del committente. 
    Con altrettante sentenze,  la  CTP  adita  accoglieva  i  ricorsi
ritenendo valide le  eccezioni  di  parte  e  dette  decisioni  erano
appellate dall'Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Milano,
che insisteva nella propria tesi e  sulla  legittimita'  del  proprio
operato. 
    La CTR, con altrettante distinte decisioni,  non  condivideva  le
conclusioni cui erano pervenuti i giudici di prima istanza, i quali -
come  detto  -  avevano  ritenuto  corretto  il  comportamento  della
societa' contribuente, atteso che, secondo questo secondo giudice, il
concetto «in conto lavorazione» non poteva essere usato in  modo  non
conforme al dettato legislativo, che, per superare la presunzione  di
cessione di beni, tende ad evitare che il trasferimento di un bene da
un soggetto ad un altro, effettuato per motivi non  collegati  ad  un
vendita, possa in ogni caso concretizzare una vera e propria cessione
di beni. 
    Nella specie, la CTR  riteneva  che,  per  superare  la  suddetta
presunzione, sarebbe stato opportuno che la merce, con  le  modifiche
del caso, fosse ritornata in capo alla cedente e che  di  cio'  fosse
rimasta un' incontestabile traccia. Mancando l'ultima condizione,  la
presunzione riprendeva vita e non si poteva non presumere che il bene
fosse stato effettivamente ceduto.  La  cessione,  pertanto,  avrebbe
dovuto formare oggetto di un'apposita fattura, rilevante non solo  ai
fini IVA per il recupero  del  tributo  relativamente  all'operazione
posta in  essere,  ma  anche  ai  fini  delle  imposte  dirette,  non
risultando di  conseguenza  evidenziati  e  contabilizzati  i  ricavi
correlati alla avvenuta cessione. 
    Invero, sosteneva la CTR, dalle  indagini  della  G.  di  F.  era
emerso che i beni apparivano ceduti non «in conto lavorazione»,  dato
che era stata rilevata, nella documentazione  relativa,  la  dicitura
«addebito materiali», che poteva in qualche modo essere  interpretata
quale prova indiretta dell'avvenuta cessione, perche' rappresentativa
del costo del materiale, che avrebbe dovuto formare invece oggetto di
apposita e regolare fatturazione. 
    Per la CTR appariva del tutto incomprensibile la connessione  tra
la  supposta  consegna  dei  materiali  in  conto  lavorazione  e  la
susseguente detrazione operata in  sede  di  fatturazione,  da  parte
della societa' subappaltatrice, di un importo relativo  ai  materiali
stessi, e dunque tutte le sentenze di  primo  grado  erano  riformate
dalla CTR in senso negativo per la  tesi  della  societa'  originaria
ricorrente. 
    Ora, con tre distinti atti, la Mazzoni Pietro spa,  ora  segnala,
producendo copia dei relativi atti, di avere  proposto  tre  distinti
ricorsi per cassazione avverso le tre sentenze sopra citate e  avanza
istanza di sospensione dell'esecutivita' delle  decisioni  impugnate,
rilevando come, in caso di esecuzione, per la rilevanza degli importi
in questione, la societa' sarebbe praticamente costretta al dissesto,
con perdita del posto di lavoro di tutti i 433 dipendenti. 
    Con successiva memoria la Mazzoni Pietro spa richiama, quanto  al
fumus boni iuris, cio' che ha dedotto  nel  ricorso  per  cassazione,
mentre, quanto al periculum in mora, ribadisce e documenta (anche con
i decreti di approvazione del programma  di  cassa  integrazione,  di
crisi aziendale, di approvazione del  programma  di  riorganizzazione
aziendale,  per  mano  del  Direttore  Generale  pro  tempore   degli
ammortizzatori  sociali  e  degli  incentivi  alla  occupazione   del
Ministero del  Lavoro  e  delle  Politiche  sociali,  emessi  tra  il
febbraio 2009 ed il  febbraio  2011,  e  con  gli  accordi  sindacali
siglati  presso  il  competente  Ministero)  lo  stato   di   attuale
difficolta' finanziaria, connesso con  la  riduzione  delle  commesse
Telecom spa e con i ritardati pagamenti da parte della committente. 
    Costituitasi l'Agenzia, eccepisce la inammissibilita' del ricorso
ex art. 327 cpc, per essere le ipotesi di sospensione dell'esecuzione
specificamente previste dalla  normativa  processuale  tributaria  in
contrasto con la predetta  disciplina  civilistica,  come  dimostrato
dagli artt. 47 e 68 del d.lgs. n. 546/1992, potendo, nelle  more  del
giudizio di  appello,  essere  disposta  la  sola  sospensione  delle
sanzioni, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs.  n.  472/1997.  Il  tutto,
quindi, con un apparato  normativo  che  ha  superato  il  vaglio  di
legittimita' della Corte costituzionale con la sentenza n.  165/2000,
ed in  accordo  anche  con  una  recente  decisione  della  Corte  di
cassazione in data 13 settembre 2010, n. 7815. Nel  merito  l'Agenzia
nega la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora. 
    Questa  CTR  rileva  preliminarmente  che,  in   relazione   alle
richieste di sospensione dell'esecutivita' delle sentenze di appello,
presentate dalla Mazzoni Pietro spa, paiono certamente  sussistere  i
requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora di un grave ed
irreparabile danno derivante dall'esecuzione delle sentenze impugnate
con ricorsi per cassazione. 
    Quanto al fumus, si deve considerare non solo la pure evidenziata
circostanza del contrasto delle decisioni di appello con le decisioni
di primo grado favorevoli alla ricorrente, ma,  soprattutto,  occorre
tenere conto della non del tutto esaustiva motivazione posta  a  base
delle sentenze ora impugnate con ricorso per cassazione,  laddove  le
ragioni    dell'Amministrazione    finanziaria    vengono     fondate
essenzialmente su una formale valutazione della complessa  operazione
coinvolgente   le   societa'   subappaltatrici,   senza   particolare
apprezzamento della concreta realta'  produttiva  ed  in  particolare
delle sue modalita', e sul rilievo della dicitura contabile «addebito
materiali» apposta nelle proprie scritture dalla Mazzoni Pietro  spa,
ritenuta indizio  di  avvenute  cessioni  di  materiale,  che  invece
avrebbe dovuto formare oggetto di apposita e  regolare  fatturazione,
indizio invero assai labile e non privo di equivocita'. 
    Peraltro, tale conclusione  adottata  nelle  sentenze  della  CTR
gravate di ricorso per cassazione,  oltre  a  presentare  margini  di
incertezza in relazione a quanto evidenziato dalla Mazzoni Pietro spa
nei suoi ultimi gravami in  merito  allo  svolgimento  della  propria
attivita'  lavorativa  nel  rapporto  con  Telecom  spa   e   con   i
subappaltatori di sola manodopera, si pone  in  contrasto  anche  con
tutte le decisioni di primo grado emesse dalle Commissioni Tributarie
provinciali  territorialmente  competenti,  che  hanno   risolto   le
conseguenti  controversie  dell'Amministrazione  finanziaria  con   i
predetti subappaltatori in favore di questi ultimi (come da prospetto
allegato dalla ricorrente ai ricorsi in esame). 
    In merito al periculum in mora, e' sufficiente evidenziare invece
che le somme  richieste  complessivamente  alla  societa'  ricorrente
assommano a diversi milioni di euro, con la  conseguenza  che,  anche
tenendo conto di possibili rateizzazione, l'ingente  importo  globale
dei versamenti a suo carico e' di ammontare tale da poter indurre  un
grave ed irreparabile danno, cagionando, come denunciato, il dissesto
dell'azienda,  gia'  posta  in  difficolta'  dalla  riduzione   delle
commesse  Telecom  spa,  ovvero  da  crearle  comunque   elevatissime
difficolta' economiche, le quali non potrebbero non  riflettersi  sia
sulla sua competitivita', con perdite di  quote  di  mercato  la  cui
riconquista sarebbe poi del tutto ipotetica, sia, in ultima  analisi,
sui livelli occupazionali del personale dipendente. 
    Cio', tacendo peraltro, il fatto che, data esecuzione  al  dictum
delle sentenze di appello impugnate, possono dirsi  costituire  fatto
notorio i  tempi  materiali  occorrenti  per  il  recupero  effettivo
dell'indebito da parte del contribuente  assoggettato  all'esecuzione
dalla pubblica amministrazione. 
    Sussiste dunque a giudizio di questa commissione, il  rischio  di
un danno grave ed irreparabile a carico della societa' Mazzoni Pietro
spa, e, cio' ritenuto, diviene evidentemente rilevante  nella  specie
dare soluzione al problema della disciplina applicabile, atteso  che,
se si potesse fare ricorso alla normativa che il codice di  procedura
civile appronta in  materia  di  esecuzione  delle  sentenze  civili,
questa CTR potrebbe  valutare  se  disporre  o  meno  la  sospensione
dell'esecutivita' delle sentenze, a mente dell'art.  373  c.p.c.,  il
quale, pur stabilendo che il ricorso per cassazione non  comporta  di
per se' la  sospensione  dell'esecuzione  della  sentenza  impugnata,
consente,  su  istanza  di  parte  e  qualora  dall'esecuzione  possa
derivare grave ed irreparabile danno, al giudice a  quo  di  disporre
con ordinanza non impugnabile, che l'esecuzione sia sospesa o che sia
prestata idonea cauzione. 
    E'  noto,  tuttavia,  come  la  legislazione  tributaria   sembri
approntare  una  disciplina  del  tutto  difforme   in   materia   di
sospensione della esecutivita' delle decisioni del giudice,  in  modo
da far ritenere alla grande maggioranza degli interpreti che la norma
di cui all'art. 373 c.p.c. sia con la prima incompatibile. 
    Questa commissione e' a conoscenza di  quanto  il  giudice  delle
leggi ha da ultimo evidenziato con la sentenza del 9 giugno  2010  n.
217, ma al riguardo osserva quanto segue. 
    Va anzitutto considerato che,  mentre  per  quanto  attiene  alla
sospensione dell'atto impugnato in pendenza  del  giudizio  di  primo
grado provvede l'art. 47  del  d.lgs.  n.  546/1992,  l'art.  49  del
medesimo testo normativo  stabilisce  espressamente  che  e'  esclusa
l'applicazione dell'art. 337 c.p.c. alle impugnazioni delle  sentenze
delle commissioni tributarie. 
    Ad avviso di questo giudice, la perentorieta'  della  norma,  che
menziona tout court l'intero articolo del codice di procedura  civile
e non gia' una sua sola parte, appare insuperabile  e  non  consente,
come sembra ritenere il giudice delle leggi  nella  decisione  dianzi
citata,  all'interprete  di   distinguere,   nel   suo   ambito,   la
statuizione, secondo cui «l'esecuzione della sentenza non e'  sospesa
per effetto dell'impugnazione di essa...» da quella che segue: «salve
le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407  c.p.c.»,  norme  che
creano un sistema omogeneo che permette, ricorrendone i  presupposti,
di sospendere l'esecutivita'  delle  sentenze  di  primo  grado  (283
c.p.c.), di appello (373 c.p.c.),  o  delle  decisioni  sottoposte  a
revocazione  (401  c.p.c.)  ovvero  ad  opposizione  di  terzo»  (407
c.p.c.). 
    Pare infatti, muovendo  allo  stato  dalla  sola  interpretazione
suggerita dal dato letterale, che in nessun  caso  la  norma  di  cui
all'art. 49 del d.lgs. n.  546/1992  possa  essere  interpretata  nel
senso di consentire la sospensione della esecuzione  delle  decisioni
delle  commissioni,   apparendo   ragionevole   ritenere   che   tale
possibilita' sarebbe di certo stata espressa, al contrario, in  forma
chiara e diretta, ad esempio, statuendo che «alle impugnazioni  delle
decisioni   delle   sentenze   delle   commissioni   tributarie,   si
applicano....ivi  comprese  le  disposizioni  di  cui  all'art.  373,
c.p.c.». 
    Resta infatti  del  tutto  oscuro  il  meccanismo  interpretativo
diretto ad approdare alla soluzione opposta,  in  particolare  se  si
considera che l'esclusione dell'applicabilita' dell'art. 337  c.p.c.,
(e per conseguenza dell'art. 373 c.p.c., non significativa  apparendo
a questa commissione la presenza nel suo primo comma di una regola  e
quindi di un  eccezione,  analogamente  al  contenuto  dell'art.  337
c.p.c.)   si   configura   come   eccezione   al   richiamo   diretto
all'applicazione integrativa della disciplina delle disposizioni  del
titolo III, capo I, del II libro del codice di rito. 
    La soluzione sembra non poter dunque essere che quella  per  cui,
nel processo tributario, vige una normativa specifica, che  prescinde
totalmente dalla  disciplina  della  sospensione  della  esecutivita'
delle    sentenze    civili,    a    nulla     rilevando     peraltro
l'«omogeneizzazione» delle norme processuali, in quanto  applicabili,
nei diversi gradi di giudizio, disposta dall'art. 61  del  d.lgs.  n.
546/1992, qualora  si  sostenga  appunto  che  l'art.  49  del  testo
normativo citato vieti in ogni caso la sospensione della esecutivita'
delle decisioni tributarie. 
    Ma il risultato cui  si  perviene  con  la  mera  interpretazione
letterale del dato  normativo  e'  altrettanto  utilmente  conseguito
dall'esame delle norme positive, giunte a  dettare  ulteriori  regole
sul punto nel processo tributario, che evidenziano, ad avviso di  chi
scrive, chiara la volonta' del legislatore di disporre separatamente,
in materia tributaria, riguardo  alla  sospensione  dell'esecutivita'
delle decisioni. 
    Infatti, va ricordato che l'art. 19 del d.lgs. 18 dicembre  1997,
n. 472 ha espressamente introdotto la possibilita' della  sospensione
dell'esecuzione per  le  sole  sanzioni,  dal  che,  a  parere  della
commissione, non si puo' inferire, come alcuni interpreti fanno,  che
non sussistono ragioni per non ammettere tale rimedio anche  rispetto
all'imposta, bensi' il contrario, sembrando ragionevole ritenere che,
qualora fosse gia' riconosciuto il potere del giudice di  appello  di
sospendere  l'esecutivita'  della   decisione   di   secondo   grado,
l'introduzione della citata norma non avrebbe avuto ragione d'essere,
posto che tale  potere  sarebbe  gia'  stato  attribuito  al  giudice
tributario in forza del disposto combinato degli artt. 47,  49  e  61
del d.lgs. n. 546/1992. 
    Peraltro, se all'art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997  n.  472  si
attribuisce  l'effetto  di  consentire  la  sospensione  delle   sole
sanzioni in sede di giudizio di appello, sarebbe del tutto  incongruo
assumere la  possibilita'  della  sospensione  dell'esecuzione  della
decisione di secondo grado in pendenza del ricorso per cassazione. 
    Infatti, si verrebbe a riconoscere  in  questo  secondo  caso,  e
dunque generalmente dopo due  esami  della  questione  da  parte  dei
giudici e due decisioni, al  soccombente  una  guarentigia  cautelare
piu' ampia di quella che gli si potrebbe riconoscere  dopo  una  sola
decisione. 
    Ai fini di un riconoscimento al giudice tributario di un generale
potere  di  sospensiva   potrebbe   risultare   piu'   utile   allora
l'orientamento dottrinale, secondo cui la riscossione non  troverebbe
titolo  nella  sentenza  impugnata,  ma  nello  specifico   atto   di
imposizione, dato che l'operato del giudice tributario avrebbe natura
di  mero  accertamento  diretto  alla  reiezione   della   tesi   del
ricorrente, decisione che, per  sua  natura,  non  ha  mai  efficacia
esecutiva, impregiudicata restando quindi la possibilita' di  istanza
cautelare avverso l'esecutivita' dell'atto  impugnato  ovvero  quella
del    successivo     provvedimento     di     riscossione     emesso
dall'amministrazione finanziaria provvisoriamente vittoriosa. 
    Tuttavia va detto che tale tesi dottrinaria, che ha trovato anche
eco nella giurisprudenza dei giudici delle leggi, dovrebbe comportare
che l'opposizione vada rivolta, almeno nel caso di iscrizione  ruolo,
ad un atto di per se' estraneo al processo in corso e dovrebbe essere
fondata, peraltro, su vizi neppure propri dell'atto stesso  (in  ogni
caso,  va  considerato   che   con   il   ricorso   per   sospensione
dell'esecutivita' della sentenza di appello, il petitum qui  avanzato
dal ricorrente e' comunque interpretabile nel senso di una  richiesta
di essere sottratto, sia pure  temporaneamente,  all'esecuzione,  sia
che essa sia dipendente dalla decisione  impugnata  con  ricorso  per
cassazione, sia che l'esecuzione discenda invero dall'atto impugnato,
divenuto  eseguibile,  in  forza   del   rigetto   dell'appello   del
contribuente). 
    L' impostazione fin qui assunta da  questa  commissione  riflette
anzitutto la posizione espressa dall'Amministrazione finanziaria,  la
quale ha sempre ritenuto, a far tempo dalla circolare 98/E/2006 e  da
quelle che si sono succedute, come la circolare 73/E/2001,  specifica
per il caso in questione, che la disciplina degli artt. 47 e  49  del
d.lgs.  n.  546/1992  sia  incompatibile  con  la  sospensione  delle
esecutivita' delle decisioni tributarie, ma  soprattutto  quella,  in
realta' consolidata,  della  Corte  suprema  che  anche  con  recenti
decisioni (seppure assunte prima della pubblicazione  in  G.U.  della
sentenza del giudice delle leggi n. 217/2010, avvenuta il  23  giugno
2010) ha ribadito che, al di fuori dell'ipotesi di  cui  all'art.  19
del d.lgs. n.  472/1997,  e'  esclusa  ogni  possibilita'  di  tutela
cautelare nei confronti della efficacia esecutiva della  sentenza  di
secondo grado (in particolare alla  CTR  e'  stato  negato  anche  il
potere di sospendere le  sanzioni  fino  all'esito  del  giudizio  di
cassazione, atteso che la sospensiva delle sanzioni ex  art.  19  del
d.lgs. n. 472/1997 e' consentita  nei  riguardi  della  decisione  di
primo grado e non anche della sentenza di appello: vedi Cass. Sez. V,
n. 7815 del 31 marzo 2010, ma anche la piu' recente Cass. Sez.  V  n.
21121 deliberata il 28 maggio 2010 e depositata il 13 ottobre 2010). 
    Non puo' dunque negarsi che in  subiecta  materia  non  vi  siano
pronunce  della   Cassazione   che   evidenzino   un   consolidamento
dell'orientamento, sostenendo per  contro  l'esistenza  di  indirizzi
giurisprudenziali divergenti  all'interno  degli  stessi  giudici  di
legittimita'. 
    Non dissimili sono  stati  gli  arresti  giurisprudenziali  della
Consulta, prima della apparente «apertura» attuata con la sentenza n.
217/2010, atteso che il giudice  delle  leggi,  con  la  sentenza  n.
165/2000 e un corollario di ordinanze tra il 2000  ed  il  2001,  non
ponendo  in  discussione  un   impianto   normativo   fondato   sulla
limitazione della sospensione tutelare al primo grado di giudizio, ha
ritenuto perfettamente legittima tale limitazione, affermando che  la
garanzia  costituzionale  della  tutela  cautelare  debba   ritenersi
imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una
pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda,
rendendo superflua l'adozione di ulteriori misure  cautelari,  ovvero
la respinga, negando in tal modo con cognizione piena la  sussistenza
del diritto, e dunque il presupposto dell'invocata tutela.  Decisioni
a corollario delle quali si puo' ricordare che, per la Consulta, deve
escludersi l'esistenza di un principio  costituzionalmente  rilevante
di necessaria uniformita' tra i vari tipi di processo. 
    Rilevato dunque che l'attuale assetto normativo non consente  nel
caso di specie la sospensione dell'esecutivita' delle sentenze  della
commissione  tributaria   regionale   impugnate   per   ricorso   per
cassazione,  secondo  il  disposto  dell'art.  373   c.p.c.,   questa
commissione ritiene che la norma di cui all'art.  49  del  d.lgs.  n.
546/1992 ponga  una  questione  di  legittimita'  costituzionale  non
manifestamente infondata. 
    In primo luogo, tale questione si pone  con  l'apparente  diretto
contrasto tra la  teste'  citata  disposizione  e  l'art.  111  della
Costituzione, novellato con legge costituzionale 23 novembre 1999, n.
2, il quale ora stabilisce non solo che la  giurisdizione  si  svolge
mediante un giusto processo, come richiede anche l'art.  6,  comma  1
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, ma anche, e soprattutto, che ogni processo  si
svolga in condizione di parita' tra le parti, statuizione che  impone
che, nel  corso  del  processo  e  fino  alla  decisione  definitiva,
ciascuna delle parti, disponga dei medesimi strumenti di difesa. 
    Nel processo tributario, ad avviso di  questa  commissione,  tale
parita' non appare assicurata, se all'Amministrazione finanziaria, in
attesa delle conclusione della controversia,  e  delle  decisioni  di
appello prima e di  cassazione  poi,  viene  comunque  assicurato  il
diritto di  procedere  alla  riscossione  e,  contemporaneamente,  al
cittadino viene fatto obbligo di soggiacere senza  tutela  specifica,
al recupero del tributo nella sua  interezza,  fatta  salva  la  sola
possibilita' di  ottenere  la  sospensione  delle  sanzioni  e  solo,
peraltro, durante la pendenza del giudizio di  appello,  ma  non  nel
giudizio di legittimita'. 
    La questione di legittimita' come sopra proposta puo'  quindi  in
primo luogo prescindere dalla ulteriore questione circa  la  liceita'
delle differenziazioni fra processi, cosa che e' stata  ribadita  dal
giudice delle leggi nelle sue precedenti decisioni,  ove  si  ritenga
che, in base  ad  individuate  specificita',  dette  differenziazioni
siano consentite. 
    Tuttavia, le differenziazioni, per restare nella linea  tracciata
dal dettato costituzionale che regola il «giusto  processo»,  debbono
essere ragionevoli, posto che,  contrariamente,  le  specificita'  si
potrebbero  tradurre,  di  fatto,  in   anomalie   costituzionalmente
illegittime. 
    Si tratta allora in primo luogo  di  valutare  se  le  norme  che
regolano  la  sospensione  cautelare  nel  giudizio   tributario   e,
segnatamente, la norma di cui all'art  49  del  d.lgs.  n.  546/1992,
nell'interpretazione che ne da' questa commissione, possano  apparire
giustificabili secondo il menzionato parametro e la  risposta  sembra
essere negativa. 
    Infatti,  come  ha   osservato   autorevole   dottrina,   se   il
contribuente e' titolare di un diritto soggettivo, e non quindi di un
mero interesse per sua natura cedevole rispetto  all'esercizio  della
potesta' amministrativa di imposizione, non si rileva la ragione  per
discriminarne la garanzia giurisdizionale rispetto a quella  di  ogni
altro   diritto    soggettivo,    «indipendentemente    dalla    sede
giurisdizionale cui e' affidata la tutela e  dalla  specificita'  del
rapporto sostanziale cui tale diritto inerisce», fatta avvertenza che
sostenere una significativa compressione del diritto  soggettivo  del
cittadino, a beneficio di una concezione autoritaria  della  potesta'
impositiva dello Stato, sembra apparire ingiustificabile non solo  ai
sensi dell'art. 111, 1 e  2  comma  della  Carta  costituzionale,  ma
anche, come accennato, in relazione al  disposto  dell'art.  6  della
citata Convenzione europea. 
    D'altronde, se la ragione della differenziazione fra il  processo
tributario e l'ordinario processo  civile  dovesse  essere  ravvisata
nell'esigenza di garantire in modo sollecito,  ma  preferenziale,  le
entrate  dell'Erario,  va  per  contro  rilevato  che   nella   Carta
costituzionale non risulta  espressa  una  preminenza  dell'interesse
dell'Amministrazione finanziaria rispetto a quello del  contribuente,
posto che, a fronte di un richiamo al principio di contribuzione  nei
limiti della (accertata) capacita' contributiva di  ciascuno  di  cui
all'art. 53, 1 comma Cost., non si rinviene alcuna prevalente  tutela
costituzionale dell'attivita' di riscossione. 
    Premesso che la limitata tutela cautelare del processo tributario
costituisce un unicum non rinvenibile anche  nell'ordinario  processo
amministrativo (vedi infra), non sembra neppure possibile ritenere il
cittadino sufficientemente tutelato dalla possibilita' riservata alla
Amministrazione  finanziaria  di   procedere   ad   una   riscossione
frazionata, poiche' essa, anche a non voler ricordare la dottrina che
la considera disposizione a tutela  non  del  contribuente  ma  della
stessa  Amministrazione,  comunque  puo'   non   costituire   rimedio
sufficiente al rischio di compromissione del diritto del cittadino ed
in  particolare  che,  comunque,  possa  subire  un  danno  grave  ed
irreparabile nel corso di un processo tributario che ancora non si e'
concluso con la sua sconfitta. 
    Inoltre,  come  ha  gia'   rilevato   la   CTR   della   Campania
nell'ordinanza del 13 ottobre 2008, n. 322, atteso che  nella  specie
la necessita' di tutela sorge per la prima volta in appello (vista la
vittoria in primo grado della  Mazzoni  Pietro  spa),  la  disciplina
vigente, finisce con il negare  una  qualsiasi  protezione  cautelare
alla societa' contribuente, mentre il diniego di almeno un  grado  di
tutela cautelare, allorche' il  pericolo  di  grave  ed  irreparabile
danno, se non sostanzialmente sopravvenuto alla  decisione  di  primo
grado, si e' comunque da  allora  fatto  estremamente  piu'  concreto
(nella  specie,  in  base  ai  citati  provvedimenti  del  competente
Ministero e agli accordi sindacali), sembra porsi  in  contrasto  con
gli artt. 3, 24, 53, 1 comma, 113 della Costituzione. 
    Invero, quanto all'art. 3 comma 1, il principio di ragionevolezza
non  sembrerebbe  rispettato  da  un  apparato  normativo  che,   con
apparente  irrazionalita'  rispetto  ad  un  sistema  processuale   a
garanzia dei diritti soggettivi  tributari,  consenta  il  sacrificio
grave ed irreparabile dei diritti del  contribuente,  stante  la  non
definizione dell'esito processuale della controversia. 
    Non a caso la Corte di giustizia europea da tempo  ha  intrapreso
con numerose decisioni la via di  affermare  l'esigenza  di  ampliare
l'ambito applicativo della tutela cautelare, onde evitare il  rischio
sopra indicato, senza contare che, come sopra anticipato nel rilevato
apparente contrasto con l'art. 111  della  Carta  costituzionale,  la
limitata tutela nel processo tributario si pone come eccezione ad  un
principio  pienamente  adottato  anche   nell'ordinario   contenzioso
amministrativo, in cui gli artt. 98 e  111  di  cui  all'allegato  al
d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104  consentono  la  citata  tutela  sia  in
appello che in pendenza del ricorso per cassazione. 
    Quanto agli artt. 24 e 53, 1 comma della Costituzione, si osserva
che, come osservato nell'ordinanza della CTR campana sulla  quale  la
Consulta si e' pronunciata con la sentenza n. 217/2010, art.  49  del
d.lgs. n. 546/1992 consente l'assoggettamento del  presunto  debitore
ad esecuzione forzata in una fattuale espressione (sia pure parziale,
ma obbligata perche' in carenza  assoluta  di  tutela)  di  solve  et
repete, lasciando al contribuente, dopo la spoliazione dei  beni,  la
possibilita' di adire nuovamente il giudice per un eventuale ristoro,
con le difficolta' ben note in  tema  di  ottemperanza  o  esecuzione
forzata nei confronti della amministrazione finanziaria. 
    Per contro, la disponibilita' di misure cautelari  (nella  specie
appunto insussistente per il contrastante contenuto delle pronunce di
primo e secondo grado) dovrebbe costituire una componente  essenziale
della tutela  giurisdizionale  garantita  dall'art.  24  della  Carta
costituzionale, anche perche' la durata del processo non vada a danno
della parte temporaneamente soccombente nel torno di tempo necessario
per  l'accertamento   definitivo   delle   sue   eventuali   ragioni,
imponendogli il rischio di un danno, rispetto  al  quale  l'eventuale
vittoria al termine del giudizio potrebbe configurarsi come  inidonea
a costituire presupposto concreto per il ristoro. 
    Cio' torna quindi nuovamente in rilievo in relazione sia all'art.
111 della Costituzione sia all'art. 6 comma 1 della  Convenzione  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
sotto il  profilo,  evidenziato  dalla  citata  ordinanza  della  CTR
campana, della ragionevolezza dei  tempi,  affinche'  il  ritardo  di
giustizia non abbia a  tradursi,  attraverso  il  meccanismo  di  una
esecuzione «provvisoria» prescindente dal rischio di danno  grave  ed
irreparabile per l'esecutato, in una sostanziale forma di  «giustizia
negata». 
    Inoltre, l'art. 53, 1 comma Cost., disponendo  che  il  cittadino
possa essere chiamato a contribuire alla  spesa  pubblica,  e  dunque
possa   essere   assoggettato    all'imposizione    tributaria,    fa
evidentemente riferimento, nella misura, alla sua accertata capacita'
contributiva. 
    Consentire, sempre e comunque,  un  incontrastabile  prelievo  di
risorse nei suoi confronti in pendenza di una situazione patrimoniale
non definitivamente accertata, lasciandolo esposto senza tutela ad un
grave  ed  irreparabile  danno  pur  in  presenza  di  una  decisione
provvisoria apparentemente erronea, sembra contrastare anche  con  la
norma sopra citata. 
    Ed infine, sembra profilarsi anche il gia'  denunciato  contrasto
con  l'art.  113  della  Costituzione,  laddove,   a   fronte   della
affermazione della Carta che la tutela dei diritti e degli  interessi
legittimi e' «sempre» ammessa, appare  poco  comprensibile  escludere
anche una tutela cautelare in ogni fase del procedimento, a  garanzia
di difesa avverso decisioni non definitive  di  dubbia  legittimita',
soprattutto quando, come nella specie, lo specifico svolgimento della
vicenda  processuale  abbia  sempre  sottratto  alla  soccombente  in
appello lo strumento di siffatta tutela. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Visti gli artt. 23 e ss legge 11 marzo 1953, n. 87; 
    dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionalita'  dell'art.  49,  comma  1,  d.lgs.  31
dicembre 1992, n. 546, in riferimento agli  artt.  3,  24,  111,  113
della Costituzione e all'art. 6, comma 1  della  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  in
relazione all'art. 10 della Costituzione, nella parte in  cui  l'art.
49  sopra  citato  non  prevede  la   possibilita'   di   sospensione
dell'esecutivita' della sentenza di appello impugnata con ricorso per
cassazione, quando dalla sua esecuzione possa derivare  all'esecutato
un «grave ed irreparabile danno». 
    Sospende il ricorso sino all'esito del  giudizio  incidentale  di
legittimita' costituzionale. 
    Dispone  che  la  Segreteria   della   Commissione   provveda   a
trasmettere immediatamente gli atti alla Corte  costituzionale,  alla
notifica della presente ordinanza al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri ed  alle  parti  processuali  costituite  nonche'  alla  sua
comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del  Senato
della Repubblica. 
        Milano, addi' 19 maggio 2011 
 
                       Il Presidente: Silocchi