N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 maggio 2011
Ordinanza del 24 maggio 2011 emessa dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia sui ricorsi riuniti proposti da Mazzoni Pietro s.p.a. contro Agenzia delle entrate - Dir. prov.le II di Milano. Contenzioso tributario - Tutela cautelare - Sospensione dell'esecutivita' della sentenza della commissione tributaria regionale impugnata con ricorso per cassazione - Possibilita' quando dalla esecuzione possa derivare all'esecutato un "grave ed irreparabile danno" - Mancata previsione - Contrasto con i principi del giusto processo e della parita' delle parti in giudizio - Sottrazione della tutela cautelare al contribuente soccombente (solo) in appello - Ingiustificata differenziazione del processo tributario rispetto al processo civile ed a quello amministrativo - Irragionevole sacrificio irreparabile di diritti soggettivi prima della definizione dell'esito processuale della controversia - Assoggettamento di fatto del contribuente ad una forma di solve et repete comportante il rischio di "giustizia negata" - Violazione del principio di capacita' contributiva, del diritto di azione e difesa e della garanzia della tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione. - Decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, art. 49, comma 1. - Costituzione, artt. 3, 24 (53, primo comma), 111 (commi primo e secondo) e 113; Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 [e resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848], art. 6, comma 1, "in relazione all'art. 10 della Costituzione".(GU n.48 del 16-11-2011 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza. La presente ordinanza viene emessa a seguito dell'esame di tre distinti ricorsi (nn. 312-314-315/2001), presentati in data 3 marzo 2011, nel corso di altrettante controversie tra la societa' Mazzoni Pietro spa e l'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale II di Milano, approdate ora alla Corte di cassazione, mediante ricorsi proposti in data 3 febbraio 2011. Le tre controversie attengono ad altrettanti avvisi di accertamento emessi nei confronti della soc. Mazzoni Pietro spa, a seguito del processo verbale redatto dalla G. di F. in data 30 dicembre 2005, a conclusione di una verifica generale relativamente agli anni di imposta dal 2000 al 2003. Gli accertamenti infatti riguardavano l'IVA degli anni 2001, 2002 ed IVA, IRPEG ed IRAP 2003 e si basavano fondamentalmente su alcuni rilievi principali e cioe' l'omessa fatturazione per cessione di materiale e omessa regolarizzazione di fatture passive. Avverso i predetti accertamenti la societa' contribuente si opponeva alle contestazioni eccependo la infondatezza dei rilievi e faceva presente che, trattandosi di lavori appaltati dalla Telecom spa, e quindi contrattualmente soggetti a certe clausole e garanzia di qualita', aveva provveduto ad acquistare direttamente tutti i materiali necessari per la realizzazione di quanto richiesto, materiali regolarmente caricati all'interno dei propri magazzini e di volta in volta poi consegnati alle imprese sub-appaltatrici in «conto lavorazione». In sede di fatturazione, le quantita' di materiali prelevate erano valorizzate e trattenute sui benestare alla fatturazione. Secondo la ricorrente societa', detti materiali non venivano assolutamente ceduti, ma semplicemente affidati, alle imprese per la realizzazione dell'opera, e quindi consegnati in conto lavorazione; si sottolineava quindi che la vera cessione si concretizzava solo all'atto della fatturazione nei confronti del committente. Con altrettante sentenze, la CTP adita accoglieva i ricorsi ritenendo valide le eccezioni di parte e dette decisioni erano appellate dall'Agenzia delle Entrate Direzione provinciale di Milano, che insisteva nella propria tesi e sulla legittimita' del proprio operato. La CTR, con altrettante distinte decisioni, non condivideva le conclusioni cui erano pervenuti i giudici di prima istanza, i quali - come detto - avevano ritenuto corretto il comportamento della societa' contribuente, atteso che, secondo questo secondo giudice, il concetto «in conto lavorazione» non poteva essere usato in modo non conforme al dettato legislativo, che, per superare la presunzione di cessione di beni, tende ad evitare che il trasferimento di un bene da un soggetto ad un altro, effettuato per motivi non collegati ad un vendita, possa in ogni caso concretizzare una vera e propria cessione di beni. Nella specie, la CTR riteneva che, per superare la suddetta presunzione, sarebbe stato opportuno che la merce, con le modifiche del caso, fosse ritornata in capo alla cedente e che di cio' fosse rimasta un' incontestabile traccia. Mancando l'ultima condizione, la presunzione riprendeva vita e non si poteva non presumere che il bene fosse stato effettivamente ceduto. La cessione, pertanto, avrebbe dovuto formare oggetto di un'apposita fattura, rilevante non solo ai fini IVA per il recupero del tributo relativamente all'operazione posta in essere, ma anche ai fini delle imposte dirette, non risultando di conseguenza evidenziati e contabilizzati i ricavi correlati alla avvenuta cessione. Invero, sosteneva la CTR, dalle indagini della G. di F. era emerso che i beni apparivano ceduti non «in conto lavorazione», dato che era stata rilevata, nella documentazione relativa, la dicitura «addebito materiali», che poteva in qualche modo essere interpretata quale prova indiretta dell'avvenuta cessione, perche' rappresentativa del costo del materiale, che avrebbe dovuto formare invece oggetto di apposita e regolare fatturazione. Per la CTR appariva del tutto incomprensibile la connessione tra la supposta consegna dei materiali in conto lavorazione e la susseguente detrazione operata in sede di fatturazione, da parte della societa' subappaltatrice, di un importo relativo ai materiali stessi, e dunque tutte le sentenze di primo grado erano riformate dalla CTR in senso negativo per la tesi della societa' originaria ricorrente. Ora, con tre distinti atti, la Mazzoni Pietro spa, ora segnala, producendo copia dei relativi atti, di avere proposto tre distinti ricorsi per cassazione avverso le tre sentenze sopra citate e avanza istanza di sospensione dell'esecutivita' delle decisioni impugnate, rilevando come, in caso di esecuzione, per la rilevanza degli importi in questione, la societa' sarebbe praticamente costretta al dissesto, con perdita del posto di lavoro di tutti i 433 dipendenti. Con successiva memoria la Mazzoni Pietro spa richiama, quanto al fumus boni iuris, cio' che ha dedotto nel ricorso per cassazione, mentre, quanto al periculum in mora, ribadisce e documenta (anche con i decreti di approvazione del programma di cassa integrazione, di crisi aziendale, di approvazione del programma di riorganizzazione aziendale, per mano del Direttore Generale pro tempore degli ammortizzatori sociali e degli incentivi alla occupazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, emessi tra il febbraio 2009 ed il febbraio 2011, e con gli accordi sindacali siglati presso il competente Ministero) lo stato di attuale difficolta' finanziaria, connesso con la riduzione delle commesse Telecom spa e con i ritardati pagamenti da parte della committente. Costituitasi l'Agenzia, eccepisce la inammissibilita' del ricorso ex art. 327 cpc, per essere le ipotesi di sospensione dell'esecuzione specificamente previste dalla normativa processuale tributaria in contrasto con la predetta disciplina civilistica, come dimostrato dagli artt. 47 e 68 del d.lgs. n. 546/1992, potendo, nelle more del giudizio di appello, essere disposta la sola sospensione delle sanzioni, ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 472/1997. Il tutto, quindi, con un apparato normativo che ha superato il vaglio di legittimita' della Corte costituzionale con la sentenza n. 165/2000, ed in accordo anche con una recente decisione della Corte di cassazione in data 13 settembre 2010, n. 7815. Nel merito l'Agenzia nega la sussistenza del fumus boni iuris e del periculum in mora. Questa CTR rileva preliminarmente che, in relazione alle richieste di sospensione dell'esecutivita' delle sentenze di appello, presentate dalla Mazzoni Pietro spa, paiono certamente sussistere i requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora di un grave ed irreparabile danno derivante dall'esecuzione delle sentenze impugnate con ricorsi per cassazione. Quanto al fumus, si deve considerare non solo la pure evidenziata circostanza del contrasto delle decisioni di appello con le decisioni di primo grado favorevoli alla ricorrente, ma, soprattutto, occorre tenere conto della non del tutto esaustiva motivazione posta a base delle sentenze ora impugnate con ricorso per cassazione, laddove le ragioni dell'Amministrazione finanziaria vengono fondate essenzialmente su una formale valutazione della complessa operazione coinvolgente le societa' subappaltatrici, senza particolare apprezzamento della concreta realta' produttiva ed in particolare delle sue modalita', e sul rilievo della dicitura contabile «addebito materiali» apposta nelle proprie scritture dalla Mazzoni Pietro spa, ritenuta indizio di avvenute cessioni di materiale, che invece avrebbe dovuto formare oggetto di apposita e regolare fatturazione, indizio invero assai labile e non privo di equivocita'. Peraltro, tale conclusione adottata nelle sentenze della CTR gravate di ricorso per cassazione, oltre a presentare margini di incertezza in relazione a quanto evidenziato dalla Mazzoni Pietro spa nei suoi ultimi gravami in merito allo svolgimento della propria attivita' lavorativa nel rapporto con Telecom spa e con i subappaltatori di sola manodopera, si pone in contrasto anche con tutte le decisioni di primo grado emesse dalle Commissioni Tributarie provinciali territorialmente competenti, che hanno risolto le conseguenti controversie dell'Amministrazione finanziaria con i predetti subappaltatori in favore di questi ultimi (come da prospetto allegato dalla ricorrente ai ricorsi in esame). In merito al periculum in mora, e' sufficiente evidenziare invece che le somme richieste complessivamente alla societa' ricorrente assommano a diversi milioni di euro, con la conseguenza che, anche tenendo conto di possibili rateizzazione, l'ingente importo globale dei versamenti a suo carico e' di ammontare tale da poter indurre un grave ed irreparabile danno, cagionando, come denunciato, il dissesto dell'azienda, gia' posta in difficolta' dalla riduzione delle commesse Telecom spa, ovvero da crearle comunque elevatissime difficolta' economiche, le quali non potrebbero non riflettersi sia sulla sua competitivita', con perdite di quote di mercato la cui riconquista sarebbe poi del tutto ipotetica, sia, in ultima analisi, sui livelli occupazionali del personale dipendente. Cio', tacendo peraltro, il fatto che, data esecuzione al dictum delle sentenze di appello impugnate, possono dirsi costituire fatto notorio i tempi materiali occorrenti per il recupero effettivo dell'indebito da parte del contribuente assoggettato all'esecuzione dalla pubblica amministrazione. Sussiste dunque a giudizio di questa commissione, il rischio di un danno grave ed irreparabile a carico della societa' Mazzoni Pietro spa, e, cio' ritenuto, diviene evidentemente rilevante nella specie dare soluzione al problema della disciplina applicabile, atteso che, se si potesse fare ricorso alla normativa che il codice di procedura civile appronta in materia di esecuzione delle sentenze civili, questa CTR potrebbe valutare se disporre o meno la sospensione dell'esecutivita' delle sentenze, a mente dell'art. 373 c.p.c., il quale, pur stabilendo che il ricorso per cassazione non comporta di per se' la sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata, consente, su istanza di parte e qualora dall'esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno, al giudice a quo di disporre con ordinanza non impugnabile, che l'esecuzione sia sospesa o che sia prestata idonea cauzione. E' noto, tuttavia, come la legislazione tributaria sembri approntare una disciplina del tutto difforme in materia di sospensione della esecutivita' delle decisioni del giudice, in modo da far ritenere alla grande maggioranza degli interpreti che la norma di cui all'art. 373 c.p.c. sia con la prima incompatibile. Questa commissione e' a conoscenza di quanto il giudice delle leggi ha da ultimo evidenziato con la sentenza del 9 giugno 2010 n. 217, ma al riguardo osserva quanto segue. Va anzitutto considerato che, mentre per quanto attiene alla sospensione dell'atto impugnato in pendenza del giudizio di primo grado provvede l'art. 47 del d.lgs. n. 546/1992, l'art. 49 del medesimo testo normativo stabilisce espressamente che e' esclusa l'applicazione dell'art. 337 c.p.c. alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie. Ad avviso di questo giudice, la perentorieta' della norma, che menziona tout court l'intero articolo del codice di procedura civile e non gia' una sua sola parte, appare insuperabile e non consente, come sembra ritenere il giudice delle leggi nella decisione dianzi citata, all'interprete di distinguere, nel suo ambito, la statuizione, secondo cui «l'esecuzione della sentenza non e' sospesa per effetto dell'impugnazione di essa...» da quella che segue: «salve le disposizioni degli artt. 283, 373, 401 e 407 c.p.c.», norme che creano un sistema omogeneo che permette, ricorrendone i presupposti, di sospendere l'esecutivita' delle sentenze di primo grado (283 c.p.c.), di appello (373 c.p.c.), o delle decisioni sottoposte a revocazione (401 c.p.c.) ovvero ad opposizione di terzo» (407 c.p.c.). Pare infatti, muovendo allo stato dalla sola interpretazione suggerita dal dato letterale, che in nessun caso la norma di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 possa essere interpretata nel senso di consentire la sospensione della esecuzione delle decisioni delle commissioni, apparendo ragionevole ritenere che tale possibilita' sarebbe di certo stata espressa, al contrario, in forma chiara e diretta, ad esempio, statuendo che «alle impugnazioni delle decisioni delle sentenze delle commissioni tributarie, si applicano....ivi comprese le disposizioni di cui all'art. 373, c.p.c.». Resta infatti del tutto oscuro il meccanismo interpretativo diretto ad approdare alla soluzione opposta, in particolare se si considera che l'esclusione dell'applicabilita' dell'art. 337 c.p.c., (e per conseguenza dell'art. 373 c.p.c., non significativa apparendo a questa commissione la presenza nel suo primo comma di una regola e quindi di un eccezione, analogamente al contenuto dell'art. 337 c.p.c.) si configura come eccezione al richiamo diretto all'applicazione integrativa della disciplina delle disposizioni del titolo III, capo I, del II libro del codice di rito. La soluzione sembra non poter dunque essere che quella per cui, nel processo tributario, vige una normativa specifica, che prescinde totalmente dalla disciplina della sospensione della esecutivita' delle sentenze civili, a nulla rilevando peraltro l'«omogeneizzazione» delle norme processuali, in quanto applicabili, nei diversi gradi di giudizio, disposta dall'art. 61 del d.lgs. n. 546/1992, qualora si sostenga appunto che l'art. 49 del testo normativo citato vieti in ogni caso la sospensione della esecutivita' delle decisioni tributarie. Ma il risultato cui si perviene con la mera interpretazione letterale del dato normativo e' altrettanto utilmente conseguito dall'esame delle norme positive, giunte a dettare ulteriori regole sul punto nel processo tributario, che evidenziano, ad avviso di chi scrive, chiara la volonta' del legislatore di disporre separatamente, in materia tributaria, riguardo alla sospensione dell'esecutivita' delle decisioni. Infatti, va ricordato che l'art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 ha espressamente introdotto la possibilita' della sospensione dell'esecuzione per le sole sanzioni, dal che, a parere della commissione, non si puo' inferire, come alcuni interpreti fanno, che non sussistono ragioni per non ammettere tale rimedio anche rispetto all'imposta, bensi' il contrario, sembrando ragionevole ritenere che, qualora fosse gia' riconosciuto il potere del giudice di appello di sospendere l'esecutivita' della decisione di secondo grado, l'introduzione della citata norma non avrebbe avuto ragione d'essere, posto che tale potere sarebbe gia' stato attribuito al giudice tributario in forza del disposto combinato degli artt. 47, 49 e 61 del d.lgs. n. 546/1992. Peraltro, se all'art. 19 del d.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 si attribuisce l'effetto di consentire la sospensione delle sole sanzioni in sede di giudizio di appello, sarebbe del tutto incongruo assumere la possibilita' della sospensione dell'esecuzione della decisione di secondo grado in pendenza del ricorso per cassazione. Infatti, si verrebbe a riconoscere in questo secondo caso, e dunque generalmente dopo due esami della questione da parte dei giudici e due decisioni, al soccombente una guarentigia cautelare piu' ampia di quella che gli si potrebbe riconoscere dopo una sola decisione. Ai fini di un riconoscimento al giudice tributario di un generale potere di sospensiva potrebbe risultare piu' utile allora l'orientamento dottrinale, secondo cui la riscossione non troverebbe titolo nella sentenza impugnata, ma nello specifico atto di imposizione, dato che l'operato del giudice tributario avrebbe natura di mero accertamento diretto alla reiezione della tesi del ricorrente, decisione che, per sua natura, non ha mai efficacia esecutiva, impregiudicata restando quindi la possibilita' di istanza cautelare avverso l'esecutivita' dell'atto impugnato ovvero quella del successivo provvedimento di riscossione emesso dall'amministrazione finanziaria provvisoriamente vittoriosa. Tuttavia va detto che tale tesi dottrinaria, che ha trovato anche eco nella giurisprudenza dei giudici delle leggi, dovrebbe comportare che l'opposizione vada rivolta, almeno nel caso di iscrizione ruolo, ad un atto di per se' estraneo al processo in corso e dovrebbe essere fondata, peraltro, su vizi neppure propri dell'atto stesso (in ogni caso, va considerato che con il ricorso per sospensione dell'esecutivita' della sentenza di appello, il petitum qui avanzato dal ricorrente e' comunque interpretabile nel senso di una richiesta di essere sottratto, sia pure temporaneamente, all'esecuzione, sia che essa sia dipendente dalla decisione impugnata con ricorso per cassazione, sia che l'esecuzione discenda invero dall'atto impugnato, divenuto eseguibile, in forza del rigetto dell'appello del contribuente). L' impostazione fin qui assunta da questa commissione riflette anzitutto la posizione espressa dall'Amministrazione finanziaria, la quale ha sempre ritenuto, a far tempo dalla circolare 98/E/2006 e da quelle che si sono succedute, come la circolare 73/E/2001, specifica per il caso in questione, che la disciplina degli artt. 47 e 49 del d.lgs. n. 546/1992 sia incompatibile con la sospensione delle esecutivita' delle decisioni tributarie, ma soprattutto quella, in realta' consolidata, della Corte suprema che anche con recenti decisioni (seppure assunte prima della pubblicazione in G.U. della sentenza del giudice delle leggi n. 217/2010, avvenuta il 23 giugno 2010) ha ribadito che, al di fuori dell'ipotesi di cui all'art. 19 del d.lgs. n. 472/1997, e' esclusa ogni possibilita' di tutela cautelare nei confronti della efficacia esecutiva della sentenza di secondo grado (in particolare alla CTR e' stato negato anche il potere di sospendere le sanzioni fino all'esito del giudizio di cassazione, atteso che la sospensiva delle sanzioni ex art. 19 del d.lgs. n. 472/1997 e' consentita nei riguardi della decisione di primo grado e non anche della sentenza di appello: vedi Cass. Sez. V, n. 7815 del 31 marzo 2010, ma anche la piu' recente Cass. Sez. V n. 21121 deliberata il 28 maggio 2010 e depositata il 13 ottobre 2010). Non puo' dunque negarsi che in subiecta materia non vi siano pronunce della Cassazione che evidenzino un consolidamento dell'orientamento, sostenendo per contro l'esistenza di indirizzi giurisprudenziali divergenti all'interno degli stessi giudici di legittimita'. Non dissimili sono stati gli arresti giurisprudenziali della Consulta, prima della apparente «apertura» attuata con la sentenza n. 217/2010, atteso che il giudice delle leggi, con la sentenza n. 165/2000 e un corollario di ordinanze tra il 2000 ed il 2001, non ponendo in discussione un impianto normativo fondato sulla limitazione della sospensione tutelare al primo grado di giudizio, ha ritenuto perfettamente legittima tale limitazione, affermando che la garanzia costituzionale della tutela cautelare debba ritenersi imposta solo fino al momento in cui non intervenga, nel processo, una pronuncia di merito che accolga, con efficacia esecutiva, la domanda, rendendo superflua l'adozione di ulteriori misure cautelari, ovvero la respinga, negando in tal modo con cognizione piena la sussistenza del diritto, e dunque il presupposto dell'invocata tutela. Decisioni a corollario delle quali si puo' ricordare che, per la Consulta, deve escludersi l'esistenza di un principio costituzionalmente rilevante di necessaria uniformita' tra i vari tipi di processo. Rilevato dunque che l'attuale assetto normativo non consente nel caso di specie la sospensione dell'esecutivita' delle sentenze della commissione tributaria regionale impugnate per ricorso per cassazione, secondo il disposto dell'art. 373 c.p.c., questa commissione ritiene che la norma di cui all'art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 ponga una questione di legittimita' costituzionale non manifestamente infondata. In primo luogo, tale questione si pone con l'apparente diretto contrasto tra la teste' citata disposizione e l'art. 111 della Costituzione, novellato con legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, il quale ora stabilisce non solo che la giurisdizione si svolge mediante un giusto processo, come richiede anche l'art. 6, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ma anche, e soprattutto, che ogni processo si svolga in condizione di parita' tra le parti, statuizione che impone che, nel corso del processo e fino alla decisione definitiva, ciascuna delle parti, disponga dei medesimi strumenti di difesa. Nel processo tributario, ad avviso di questa commissione, tale parita' non appare assicurata, se all'Amministrazione finanziaria, in attesa delle conclusione della controversia, e delle decisioni di appello prima e di cassazione poi, viene comunque assicurato il diritto di procedere alla riscossione e, contemporaneamente, al cittadino viene fatto obbligo di soggiacere senza tutela specifica, al recupero del tributo nella sua interezza, fatta salva la sola possibilita' di ottenere la sospensione delle sanzioni e solo, peraltro, durante la pendenza del giudizio di appello, ma non nel giudizio di legittimita'. La questione di legittimita' come sopra proposta puo' quindi in primo luogo prescindere dalla ulteriore questione circa la liceita' delle differenziazioni fra processi, cosa che e' stata ribadita dal giudice delle leggi nelle sue precedenti decisioni, ove si ritenga che, in base ad individuate specificita', dette differenziazioni siano consentite. Tuttavia, le differenziazioni, per restare nella linea tracciata dal dettato costituzionale che regola il «giusto processo», debbono essere ragionevoli, posto che, contrariamente, le specificita' si potrebbero tradurre, di fatto, in anomalie costituzionalmente illegittime. Si tratta allora in primo luogo di valutare se le norme che regolano la sospensione cautelare nel giudizio tributario e, segnatamente, la norma di cui all'art 49 del d.lgs. n. 546/1992, nell'interpretazione che ne da' questa commissione, possano apparire giustificabili secondo il menzionato parametro e la risposta sembra essere negativa. Infatti, come ha osservato autorevole dottrina, se il contribuente e' titolare di un diritto soggettivo, e non quindi di un mero interesse per sua natura cedevole rispetto all'esercizio della potesta' amministrativa di imposizione, non si rileva la ragione per discriminarne la garanzia giurisdizionale rispetto a quella di ogni altro diritto soggettivo, «indipendentemente dalla sede giurisdizionale cui e' affidata la tutela e dalla specificita' del rapporto sostanziale cui tale diritto inerisce», fatta avvertenza che sostenere una significativa compressione del diritto soggettivo del cittadino, a beneficio di una concezione autoritaria della potesta' impositiva dello Stato, sembra apparire ingiustificabile non solo ai sensi dell'art. 111, 1 e 2 comma della Carta costituzionale, ma anche, come accennato, in relazione al disposto dell'art. 6 della citata Convenzione europea. D'altronde, se la ragione della differenziazione fra il processo tributario e l'ordinario processo civile dovesse essere ravvisata nell'esigenza di garantire in modo sollecito, ma preferenziale, le entrate dell'Erario, va per contro rilevato che nella Carta costituzionale non risulta espressa una preminenza dell'interesse dell'Amministrazione finanziaria rispetto a quello del contribuente, posto che, a fronte di un richiamo al principio di contribuzione nei limiti della (accertata) capacita' contributiva di ciascuno di cui all'art. 53, 1 comma Cost., non si rinviene alcuna prevalente tutela costituzionale dell'attivita' di riscossione. Premesso che la limitata tutela cautelare del processo tributario costituisce un unicum non rinvenibile anche nell'ordinario processo amministrativo (vedi infra), non sembra neppure possibile ritenere il cittadino sufficientemente tutelato dalla possibilita' riservata alla Amministrazione finanziaria di procedere ad una riscossione frazionata, poiche' essa, anche a non voler ricordare la dottrina che la considera disposizione a tutela non del contribuente ma della stessa Amministrazione, comunque puo' non costituire rimedio sufficiente al rischio di compromissione del diritto del cittadino ed in particolare che, comunque, possa subire un danno grave ed irreparabile nel corso di un processo tributario che ancora non si e' concluso con la sua sconfitta. Inoltre, come ha gia' rilevato la CTR della Campania nell'ordinanza del 13 ottobre 2008, n. 322, atteso che nella specie la necessita' di tutela sorge per la prima volta in appello (vista la vittoria in primo grado della Mazzoni Pietro spa), la disciplina vigente, finisce con il negare una qualsiasi protezione cautelare alla societa' contribuente, mentre il diniego di almeno un grado di tutela cautelare, allorche' il pericolo di grave ed irreparabile danno, se non sostanzialmente sopravvenuto alla decisione di primo grado, si e' comunque da allora fatto estremamente piu' concreto (nella specie, in base ai citati provvedimenti del competente Ministero e agli accordi sindacali), sembra porsi in contrasto con gli artt. 3, 24, 53, 1 comma, 113 della Costituzione. Invero, quanto all'art. 3 comma 1, il principio di ragionevolezza non sembrerebbe rispettato da un apparato normativo che, con apparente irrazionalita' rispetto ad un sistema processuale a garanzia dei diritti soggettivi tributari, consenta il sacrificio grave ed irreparabile dei diritti del contribuente, stante la non definizione dell'esito processuale della controversia. Non a caso la Corte di giustizia europea da tempo ha intrapreso con numerose decisioni la via di affermare l'esigenza di ampliare l'ambito applicativo della tutela cautelare, onde evitare il rischio sopra indicato, senza contare che, come sopra anticipato nel rilevato apparente contrasto con l'art. 111 della Carta costituzionale, la limitata tutela nel processo tributario si pone come eccezione ad un principio pienamente adottato anche nell'ordinario contenzioso amministrativo, in cui gli artt. 98 e 111 di cui all'allegato al d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 consentono la citata tutela sia in appello che in pendenza del ricorso per cassazione. Quanto agli artt. 24 e 53, 1 comma della Costituzione, si osserva che, come osservato nell'ordinanza della CTR campana sulla quale la Consulta si e' pronunciata con la sentenza n. 217/2010, art. 49 del d.lgs. n. 546/1992 consente l'assoggettamento del presunto debitore ad esecuzione forzata in una fattuale espressione (sia pure parziale, ma obbligata perche' in carenza assoluta di tutela) di solve et repete, lasciando al contribuente, dopo la spoliazione dei beni, la possibilita' di adire nuovamente il giudice per un eventuale ristoro, con le difficolta' ben note in tema di ottemperanza o esecuzione forzata nei confronti della amministrazione finanziaria. Per contro, la disponibilita' di misure cautelari (nella specie appunto insussistente per il contrastante contenuto delle pronunce di primo e secondo grado) dovrebbe costituire una componente essenziale della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 della Carta costituzionale, anche perche' la durata del processo non vada a danno della parte temporaneamente soccombente nel torno di tempo necessario per l'accertamento definitivo delle sue eventuali ragioni, imponendogli il rischio di un danno, rispetto al quale l'eventuale vittoria al termine del giudizio potrebbe configurarsi come inidonea a costituire presupposto concreto per il ristoro. Cio' torna quindi nuovamente in rilievo in relazione sia all'art. 111 della Costituzione sia all'art. 6 comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, sotto il profilo, evidenziato dalla citata ordinanza della CTR campana, della ragionevolezza dei tempi, affinche' il ritardo di giustizia non abbia a tradursi, attraverso il meccanismo di una esecuzione «provvisoria» prescindente dal rischio di danno grave ed irreparabile per l'esecutato, in una sostanziale forma di «giustizia negata». Inoltre, l'art. 53, 1 comma Cost., disponendo che il cittadino possa essere chiamato a contribuire alla spesa pubblica, e dunque possa essere assoggettato all'imposizione tributaria, fa evidentemente riferimento, nella misura, alla sua accertata capacita' contributiva. Consentire, sempre e comunque, un incontrastabile prelievo di risorse nei suoi confronti in pendenza di una situazione patrimoniale non definitivamente accertata, lasciandolo esposto senza tutela ad un grave ed irreparabile danno pur in presenza di una decisione provvisoria apparentemente erronea, sembra contrastare anche con la norma sopra citata. Ed infine, sembra profilarsi anche il gia' denunciato contrasto con l'art. 113 della Costituzione, laddove, a fronte della affermazione della Carta che la tutela dei diritti e degli interessi legittimi e' «sempre» ammessa, appare poco comprensibile escludere anche una tutela cautelare in ogni fase del procedimento, a garanzia di difesa avverso decisioni non definitive di dubbia legittimita', soprattutto quando, come nella specie, lo specifico svolgimento della vicenda processuale abbia sempre sottratto alla soccombente in appello lo strumento di siffatta tutela.
P.Q.M. Visti gli artt. 23 e ss legge 11 marzo 1953, n. 87; dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionalita' dell'art. 49, comma 1, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in riferimento agli artt. 3, 24, 111, 113 della Costituzione e all'art. 6, comma 1 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali in relazione all'art. 10 della Costituzione, nella parte in cui l'art. 49 sopra citato non prevede la possibilita' di sospensione dell'esecutivita' della sentenza di appello impugnata con ricorso per cassazione, quando dalla sua esecuzione possa derivare all'esecutato un «grave ed irreparabile danno». Sospende il ricorso sino all'esito del giudizio incidentale di legittimita' costituzionale. Dispone che la Segreteria della Commissione provveda a trasmettere immediatamente gli atti alla Corte costituzionale, alla notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri ed alle parti processuali costituite nonche' alla sua comunicazione ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Milano, addi' 19 maggio 2011 Il Presidente: Silocchi