N. 250 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 2011
Ordinanza del 9 giugno 2011 emessa dalla Corte d'appello di Potenza nel procedimento civile promosso da Sasso Antonio contro Equitalia Basilicata S.p.a.. Lavoro e occupazione - Contratto di lavoro a tempo determinato - Conversione in contratto a tempo indeterminato a causa dell'illegittima opposizione del termine - Condanna del datore di lavoro al risarcimento in favore del lavoratore - Prevista liquidazione da parte del giudice di una indennita' onnicomprensiva, determinata tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto - Contrasto con i principi di ragionevolezza e di effettivita' della tutela giurisdizionale - Lesione del diritto al lavoro - Sproporzione tra l'indennita' ed il danno effettivo, crescente con il perdurare dell'illecito - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU (e, in specie, del diritto di ogni persona al giusto processo) - Interferenza sul potere giurisdizionale. - Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5. - Costituzione, artt. 3, 4, 24 e 117, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali. Lavoro e occupazione - Contratto di lavoro a tempo determinato - Conversione in contratto a tempo indeterminato per illegittima opposizione del termine - Condanna del datore di lavoro al risarcimento in favore del lavoratore - Liquidazione dell'indennita' onnicomprensiva da parte del giudice - Prevista dimidiazione del limite massimo in presenza di contratti o accordi collettivi che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori gia' occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie - Prevista applicazione retroattiva della disciplina di cui ai commi 5 e 6 della "novella" - Contrasto con i principi di ragionevolezza e di effettivita' della tutela giurisdizionale - Lesione del diritto al lavoro - Sproporzione tra l'indennita' ed il danno effettivo, crescente con il perdurare dell'illecito - Violazione degli obblighi internazionali derivanti dalla CEDU (in specie, del diritto al giusto processo e del principio di parita' delle armi processuali) - Interferenza sulla funzione giurisdizionale. - Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 6 e 7. - Costituzione, artt. 3, 4, 24 e 117, in relazione all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali.(GU n.50 del 30-11-2011 )
LA CORTE DI APPELLO Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 241/10 R.G., avente ad oggetto: «rapporto di lavoro subordinato: declaratoria di nullita' della clausola appositiva del termine» e vertente tra Sasso Antonio, nato a Potenza il 16 luglio 1971 e residente in Brienza (PZ) alla via Cataldo Pizzicara 1ª tr. sx n. 7, rappresentato e difeso in giudizio, giusta mandato a margine del ricorso depositato in data 16 aprile 2010 dall'avv. Rocco Mariano Romanierllo e con questi elettivamente domiciliato in Potenza in Viale Dante Alighieri n. 100, appellante, s.p.a. Equitalia Basilicata in p. del l.r. pro tempore, con sede legale in potenza, alla via Della Tecnica, 18, in persona del legale rappresentante pro tempore dott. Pipoli Giordano, rappresentata e difesa dall'avv. Isabella Vitale entrambe elettivamente domiciliate in Potenza, alla via Due Torri, 3, presso e nello studio dell'avv. Nicola Edoardo Perri, giusta mandato a margine della memoria di costituzione e risposta dell'11 ottobre 2010, appellata. All'udienza in data 9 giugno 2011, gli avvocati delle parti rassegnavano le seguenti conclusioni. Per parte appellante: voglia l'adita Corte cosi' pronunciare: a) accogliere il presente gravame e, per l'effetto, riformare integralmente la sentenza impugnata; b) accertare e dichiarare che il ricorrente ha svolto mansioni di messo notificatore di atti esattoriali o comunque mansioni rientranti nella II area professionale III livello del C.C.N.L. di categoria del 12 luglio 1995 alle dipendenze della SEM s.p.a. - oggi Equitalia Potenza s.p.a. - presso gli uffici di Lauria (PZ) dall'11 gennaio 2000 al 7 aprile 2000 e dal 2 maggio 2000 al 28 luglio 2000 in forza di contratti di lavoro subordinato a termine del 10 gennaio 2000 e 27 aprile 2000; c) accertare e dichiarare la nullita' e l'illegittimita' del termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato tra il ricorrente e S.E.M. s.p.a. - oggi Equitalia Potenza S.p.A., in data 10 gennaio 2000 ed al contratto individuale di lavoro subordinato stipulato, tra le stesse parti, il successivo 27 aprile 2000 per violazione delle norme richiamate in narrativa; d) per l'effetto, pronunciare sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c. e, comunque, accertare e dichiarare che tra le parti e' intercorso e tutt'ora intercorre un ordinario rapporto di lavoro a tempo pieno ed indeterminato a far data dal 10 gennaio 2000, ovvero, in subordine, dal 27 aprile 2000; e) per l'effetto, accertare e dichiarare il diritto di Sasso Antonio alla riammissione in servizio alle dipendenze della societa' resistente dalla data di interruzione del rapporto di lavoro od, in subordine, dalla diversa data ritenuta di giustizia e condannare Equitalia Potenza S.p.A., in persona del suo legale rappresentante pro tempore, a riammettere al lavoro il ricorrente sig. Antonio Sasso; f) accertare e dichiarare il diritto del ricorrente a percepire tutte le retribuzioni mensili arretrate, anche a titolo di risarcimento danni, con decorrenza dal 7aprile 2000 (data di scadenza del termine del primo contratto), ovvero, in subordine, dal 28 luglio 2000 (data di scadenza del termine del secondo contratto), ovvero, in via ulteriormente gradata, dalla data del tentativo di conciliazione (21 giugno 2007) in cui e' stata, di fatto, rifiutata dalla controparte la prestazione lavorativa offerta, da calcolarsi secondo l'area ed il profilo professionale di appartenenza del lavoratore (II area professionale III livello del C.C.N.L. di categoria del 12 luglio 1995), oltre interessi e rivalutazione monetaria maturati e maturandi dalle predette date e sino all'effettivo ed integrale soddisfo e, quindi, condannare la controparte, in persona del suo direttore generale e legale rappresentante pro tempore al pagamento delle predette somme, il tutto nel preciso ed esatto ammontare che sara' quantificato in separato giudizio; g) ancora, condannare parte convenuta, in persona del suo direttore generale e legale rappresentante pro tempore al pagamento degli oneri previdenziali ed alla copertura contributiva, in favore della ricorrente, per il periodo di mancata prestazione lavorativa; h) con vittoria di spese e competenze legali del doppio grado di giudizio, oltre accessori di legge, da attribuirsi al sottoscritto procuratore antistatario per dichiarato anticipo; i) si reiterano in via istruttoria le seguenti richieste formulate in primo grado: si chiede ammettersi interrogatorio formale, del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore di Equitalia Potenza S.p.A. e prova testi in ordine alle seguenti conclusioni ... Per l'appellata: si conclude per rigetto del ricorso in appello e l'integrale conferma della sentenza di primo grado, con tutte le conseguenze di legge, anche in ordine alle spese del procedimento, di cui si chiede la distrazione in favore del sottoscritto procuratore anticipatario. In via istruttoria anche in questo grado ci si oppone alle avverse richieste istruttorie, in primo luogo perche' la decisione della controversia dipende dalla risoluzione di questioni di mero diritto, nonche' dall'esame della documentazione in atti, la quale evidenzia la regolarita' e la legittimita' dei contratti. Inoltre, le prove richieste sono inammissibili, posto che le circostanze capitolate da parte avversa sia l'interrogatorio formate che per la prova testimoniale vedono su fatti desumibili documentalmente, a cio' si aggiunga che sono formulate in maniera generica. Ad ogni modo, in caso di ammissione delle avverse richieste si chiede di essere ammessi alla prova contraria con i medesimi testi indicati dal ricorrente, nonche' alla prova diretta per mezzo dei rappresentanti sindacali che hanno siglato l'accordo in data 26 gennaio 1998 (allegato n. 3 fascicolo primo grado), sulle circostanze e sui fatti relativi all'accordo sindacale e ai motivi di cui all'accordo, esposte analiticamente nei punti 2 e 3 della memoria che qui si abbiano per integralmente riportati, privi di valutazione. Fatto salvo ogni mezzo istruttorio ad occorrere anche a seconda dell'avverso comportamento processuale. E discutevano la causa decisa come da dispositivo letto in udienza. Svolgimento del processo Con sentenza n. 502/10 in data 23 febbraio 2010 il Tribunale di Potenza, in composizione monocratica ed in funzione di giudice del lavoro, respingeva la domanda, proposta da Sasso Antonio con ricorso in data 6 marzo 2008, avente ad oggetto la declaratoria di nullita' della clausola appositiva del termine apposta ai contratti di lavoro subordinato stipulato con la societa' in data 10 gennaio 2000 e 27 aprile 2000, sul rilievo officioso dell'intervenuta risoluzione per mutuo consenso del contratto di lavoro a tempo determinato. Avverso tale decisione interponeva appello Sasso Antonio con atto depositato presso la cancelleria di questa Corte in data 8 ottobre 2010 e Deduceva: «Violazione degli artt. 1362 e ss c.c. e delle regole di ermeneutica contrattuale - violazione dell'art. 2697 c.c. e delle regole in tema di riparto dell'onere probatorio e di valutazione dei mezzi di prova - violazione della legge n. 230/1963, degli artt. 1420, 1422, 1936, 2946 e 2948 c.c. - violazione degli artt. 112 e 416 c.p.c. - violazione del principio della domanda e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato - vizio di extra/ultra petita,»; e Concludeva: per la riforma dell'impugnata sentenza nei sensi di cui alle surriportate conclusioni . Emesso decreto presidenziale, notificato in uno all'atto introduttivo, si costituiva la controparte per resistere all'avverso gravame, e Concludeva: per la conferma della decisione; con rivalsa di spese. Alla fissata udienza comparivano i procuratori delle parti che si riportavano ai rispettivi atti; la Corte disponeva adempimento istruttorio ed all'esito del deposito di note invitava gli avvocati a discutere oralmente la causa. Motivazione Nella pendenza del giudizio, il 24 novembre 2010, e' entrata in vigore la legge n. 183/10 che all'art. 32 prevede: «Art. 32 (Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo determinato). - 1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, sono sostituiti dai seguenti: "Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volonta' del lavoratore anche attraverso l'intervento dell'organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso. L'impugnazione e' inefficace se non e' seguita, entro il successivo termine di duecentosettanta giorni, dal deposito del ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione di giudice del lavoro o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato, ferma restando la possibilita' di produrre nuovi documenti formatisi dopo il deposito del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.". 2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano anche a tutti i casi di invalidita' del licenziamento. 3. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente articolo, si applicano inoltre: a) ai licenziamenti che presuppongono la risoluzione di questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro ovvero alla legittimita' del termine apposto al contratto; b) al recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto, di cui all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile; c) al trasferimento ai sensi dell'articolo 2103 del codice civile, con termine decorrente dalla data di ricezione della comunicazione di trasferimento; d) all'azione di nullita' del termine apposto al contratto di lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e successive modificazioni, con termine decorrente dalla scadenza del medesimo. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, come modificato dal somma 1 del presente articolo, si applicano anche: a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; b) ai contratti di lavoro a termine, stipulati anche in applicazione di disposizioni di legge previgenti al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e gia' conclusi alla data di entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima data di entrata in vigore della presente legge; c) alla cessione di contratto di lavoro avvenuta ai sensi dell'articolo 2112 del codice civile con termine decorrente dalla data del trasferimento; d) in ogni altro caso in cui, compresa l'ipotesi prevista dalli articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto di lavoro in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto. 5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604. 6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi nazionali, territoriali o aziendali, stipulati con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato, di lavoratori gia' occupati con contratto a termine nell'ambito di specifiche graduatorie, il limite massimo dell'indennita' fissata dal comma 5 e' ridotto alla meta'. 7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge. Con riferimento a tali ultimi giudizi, ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennita' di cui ai commi 5 e 6, il giudice fissa alle parti un termine per l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni ed esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di procedura civile.». Ne consegue che, in caso di accoglimento del gravame e quindi di riforma della impugnata decisione in ordine alla declaratoria di nullita' della clausola con le naturali conseguenze, questa Corte dovrebbe, e dopo aver concesso il termine ex art. 421 c.p.c., emettere pronuncia di condanna del datore di lavoro al pagamento del risarcimento del danno, non in misura pari al monte retributivo maturato dal dipendente dalla data di notifica dell'atto di costituzione in mora del creditore all'effettiva riammissione in servizio, ma ad una «indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604» (indennita' secondo alcuni comprensiva anche del credito previdenziale ed assistenziale). Dubita l'Ufficio della legittimita' costituzionale della norma limitativa del risarcimento non in se' stessa, ma in quanto applicatile ai giudizi in corso. Ed invero, salvo diverso divisamento di questa Corte costituzionale, gia' da altri giudicanti investita della questione, non sembra incostituzionale la norma limitativa in se' in quanto e' coerente con il sistema che gia' prevede norme analoghe, si pensi, per l'appunto, all'art. 8 legge n. 604/66: Quando risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro e' tenuto a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di tre giorni o, in mancanza, a risarcire il danno versando una indennita' da un minimo di cinque ad un massimo di dodici mensilita' dell'ultima retribuzione, avuto riguardo alla dimensione dell'impresa, all'anzianita' di servizio del prestatore di lavoro ed al comportamento delle parti. La misura massima della predetta indennita' e' ridotta a otto mensilita' per i prestatori di lavoro con anzianita' inferiore a trenta mesi e puo' essere maggiorata fino a quattordici mensilita' per il prestatore di lavoro con anzianita' superiore al venti anni. In ogni caso le misure minime e massime della predetta indennita' sono ridotte alla meta per i datori di lavoro che occupano fino a sessanta dipendenti. Per mensilita' di retribuzione si intende quella presa a base della determinazione dell'indennita' di anzianita'. Tale norma ha gia' superato il vaglio di legittimita': «Non sono fondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 8, comma primo, della legge 15 luglio 1966, n. 604, sui licenziamenti individuali, con riferimento agli artt. 3, 4, comma primo, 35 e 41, comma secondo, della Costituzione. La norma impugnata, che ha limitato il diritto di recesso del datore di lavoro (prima illimitato ai sensi dell'art. 2118 del codice civile) ai casi di giusta causa e di giustificato motivo, e sancito, in mancanza di riassunzione del lavoratore, il pagamento in suo favore di una indennita', costituisce attuazione, sia pure iniziale e non completa, dei principi costituzionali che esprimono l'esigenza di un contenimento della liberta' di recesso del datore di lavoro e dell'ampliamento della tutela del lavoratore, in ordine alla conservazione del posto di lavoro. E poiche' l'attuazione di questi principi resta affidata alla discrezionalita' del legislatore ordinario, per quanto attiene alla scelta dei modi e dei tempi, in rapporto ovviamente alla situazione economica generale, e' evidente che l'attuazione iniziale di tali principi, per altro gia' superata dalla piu' efficace tutela del lavoratore stabilita dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, non puo' essere considerata, per cio' solo, costituzionalmente illegittima. (Sent. n. 45 del 1965)». (Sent. n. 0194 del 1970; ved. anche Sent. n. 2 del 1986). Appare invece incostituzionale la disposizione che rende applicabile la norma limitativa del monte risarcitorio (con l'ulteriore limitazione di cui al comma VI), in caso di clausola appositiva del termine dichiarata nulla e quindi di conversione del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche ai giudizi in corso, ovverosia introdotti prima dell'entrata in vigore del c.d. Collegato lavoro. La scelta discrezionale del legislatore di limitazione del monte risarcitorio in caso di declaratoria di illegittimita' del recesso datoriale era conforme (ex art. 8 legge n. 604/1966), alla Carta in quanto inserita in un sistema: a) che imponeva alla parte - solo in caso di recesso privo di giusta causa o giustificato motivo - l'onere di iniziativa, pena la decadenza (art. 6 Lex n. 604/66); b) che prevedeva meccanismi risolutivi alternativi alla giurisdizione (come era il tentativo obbligatorio di conciliazione); c) che prevedeva tutela indennitaria contro l'irragionevole durata (tutela prima dinanzi alla CEDU ora anche dinanzi all'AGO, ma solo limitatamente all'eccessiva durata) indipendentemente dall'esito del giudizio ovverosia in un sistema che non esponeva eccessivamente il datore di lavoro alla tardiva iniziativa del lavoratore e che soprattutto garantiva al lavoratore meccanismi obbligatori di tutela preventiva alternativi alla giurisdizione e di tutela del diritto ad un processo in tempi ragionevoli. Ne consegue che nel momento in cui si introduce un onere di tempestiva reazione anche a carico del lavoratore assunto con contratto di lavoro a tempo determinato risolto (e quindi non piu' al solo dipendente licenziato illegittimamente) e nel momento in cui si prevedono ulteriori strumenti alternativi alla giurisdizione come la conciliazione non piu' obbligatoria ma soprattutto l'arbitrato, ovverosia ove l'ordinamento appresta le premesse per una possibile sollecita soluzione, solo allora e' ragionevole introdurre una norma limitativa del monte risarcitorio; soprattutto ove si rilevi che mentre la norma limitativa ex art. 8 cit. e' applicabile «nei confronti dei lavoratori dipendenti da datori di lavoro non imprenditori o da imprese di minori dimensioni, o impiegati in unita' produttive di minori dimensioni», e trova nelle dinamiche di una realta' produttiva di ridotte dimensioni la sua ragionevolezza, la presente norma e' applicabile anche alle grandi imprese, che ove avviate ad un generale e generico processo di riassorbimento del personale precario godono di una ulteriore limitazione premiale in termini di monte risarcitorio (riduzione ex co. VI 9). In altre parole il grande imprenditore che abbia inserito una clausola appositiva del termine nulla ad un contratto di lavoro, si avvantaggia di una norma limitativa della sua responsabilita' patrimoniale, al pari di un piccolo imprenditore, salva ovviamente la conversione del rapporto, senza che questo limite sia logicamente riconducibile ad un sistema funzionale ad una pari riduzione dei tempi di esposizione del lavoratore. Al contrario nel momento in cui il legislatore vuole applicare anche ai giudizi in corso (introdotti senza limite temporale alcuno, neppure di prescrizione, data l'imprescrittibilita' dell'azione di nullita' della clausola oppositiva del termine,) la norma limitativa del monte risarcitorio, altera anche l'astratta posizione di parita' delle parti contrattuali: a) poiche' da un lato il lavoratore che ha legittimamente agito anche a distanza di tempo dalla risoluzione, provvedendo alla previa rituale costituzione in mora, si vede ridotto il ristoro del danno patrimoniale e quindi leso il suo diritto alla tutela integrale anche nei confronti di una grande impresa, b) dall'altro il datore di lavoro, cui e' imputabile l'apposizione della clausola nulla, si giova di una previsione normativa successiva, c) ed infine poiche' i tempi della giustizia finiscono con il ridondare a danno della parte che alla nullita' non aveva dato causa. La intrinseca ragionevolezza della norma limitativa e' data dall'inserimento in un sistema acceleratorio, laddove alla imprescrittibilita' dell'azione fa' da contrappesso la sanzione della decadenza ed alla impossibilita' di controllo sui tempi (quali quelli processuali) fa' da contrappeso la possibilita' di coltivare soluzioni alternative quali la condizione e l'arbitrato. Nel sistema attuale nel caso di declaratoria di illegittimita' di licenziamento intimato in una piccola azienda senza giusta causa o giustificato motivo, consegue a favore del lavoratore la sola tutela obbligatoria, essendo in facolta' del debitore scegliere alternativamente se riammettere in servizio il dipendete o liquidargli una indennita' legalmente predeterminata in un massimo ed un minimo; nel caso invece di declaratoria giudiziale di nullita' della clausola appositiva del termine, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda, e' prevista la conversione del rapporto di lavoro in uno alla liquidazione di un danno in misura anch'essa predeterminata. Orbene, posto che e' espressione della sovrana discrezionalita' del legislatore stabilire la sanzione dell'ordinamento alla condotta datoriale illegittima e quindi modulare la reazione anche in funzione della dimensione aziendale, e posto che il diritto al ripristino del posto di lavoro costituisce certamente soddisfazione primaria dell'interesse leso del datore di lavoro, il risarcimento del danno puo' avere un ruolo esclusivo o concorrente, con l'ovvia conseguenza che in questo secondo caso la tutela della parte c.d. debole ne resta incrementata. Cionondimeno anche in caso di tutela concorrente, soprattutto quando non vi siano ragioni per contemperare le ragioni del dipendente vittorioso con quelle del datore di lavoro autore della condotta illegittima, la norma limitativa del risarcimento dei danno (deroga al principio del pieno risarcimento del danno subito ex art. 1223 c.c.) deve avere una sua intrinseca ragionevolezza. Ritiene questa Corte che tale ragionevolezza «riposi» in un intento acceleratorio della procedura, che da un lato impone al ricorrente un onere di tempestiva reazione, cosi' non esponendo il datore di lavoro a resipiscenze non operose, dall'altro incoraggia il datore di lavoro ad una minor resistenza al giudicato, limitando il suo obbligo e riducendolo vieppiu' quando abbia comunque avviato una procedura di riassorbimento del personale precario. La norma potrebbe essere legittima (lo scrutinio di legittimita' e' ancora in corso) ove applicata ai giudizi introdotti dopo l'entrata in vigore del d.lgs. n. 183/10 che ha introdotto sia l'onere di tempestiva reazione sia nuove procedure di conciliazione ed arbitrato, non appare invece costituzionalmente conforme ove applicata a giudizi che non prevedevano decadenza alcuna, in quanto in contrasto con: a) l'art. 3, per l'evidente irragionevolezza di limitare il risarcimento del danno a carico della parte che alla nullita' non abbia dato causa, senza aver prima apprestato le cautele necessarie a limitare i tempi fonte di quei danni; b) l'art. 24 e 111 in quanto attinge alla effettivita' della tutela giurisdizionale che diventa ex lege non integralmente risarcitoria senza giustificazione alcuna, e c) l'art.4 nella misura in cui dimidia la tutela del diritto al lavoro, secondo alcuni anche «estinguendo» il credito previdenziale, d) l'art. 111 nella misura in cui il principio del giusto processo e' applicabile anche alla fase introduttiva del giudizio e quindi alle misure acceleratorie dei tempi di reazione alla condotta ritenuta illegittima, e) art. 117 Cost primo comma per violazione dell'obbligo assunto dall'Italia con la sottoscrizione e ratifica della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo poiche' non sembrano sussistere le ragioni di interesse generali che giustifichino una tale incidenza del potere legislativo nella giurisdizione, nel momento in cui l'applicabilita' anche ai giudizi in corso della norma limitativa del monte risarcitorio sembra dettata da esigenze di' opportunita' economica e non gia' da ragioni imperative di interesse generale. Infatti la norma e' applicabile a casi specifici (contratti di lavoro a tempo determinato convertiti) ed assume, ad avviso di questa Corte aspetti di irragionevolezza in quanto applicabile a determinati giudizi, ovverosia quelli introdotti prima della sua entrata in vigore, opera esclusivamente nell'ambito di rapporti di diritto privato (stante per il rapporto di pubblico impiego il limite di cui all'art. 97 Cost.), non ha una efficacia di sanatoria di situazioni irregolari ma comunque riconducibili ad interessi socialmente rilevanti, ma anzi costituisce una disposizione a favore del datore di lavoro, non solo comunemente ritenuto contraente forte quanto autore della clausola nulla. La questione quindi non solo non e' manifestamente infondata quanto e' rilevante poiche' la norma impugnata va a regolare una delle domande azionate nella presente controversia e, ove applicata, previa riforma dell'impugnata decisone, condurrebbe ad una limitazione quantitativa della pretesa avanzata.
P. Q. M. Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 32 commi 5 e 6 legge n. 183/2010, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, e 117 Cost. Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e sospende il giudizio in corso. Dispone che presente ordinanza gia' comunicata alle parti tramite lettura, sia comunque ad esse notificata,nonche' al Presidente del Consiglio dei ministri ed ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Potenza, addi' 9 giugno 2011 Il presidente: Ferrone