N. 250 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 giugno 2011

Ordinanza del 9 giugno 2011 emessa dalla Corte d'appello  di  Potenza
nel procedimento civile promosso da Sasso  Antonio  contro  Equitalia
Basilicata S.p.a.. 
 
Lavoro e occupazione - Contratto di  lavoro  a  tempo  determinato  -
  Conversione  in   contratto   a   tempo   indeterminato   a   causa
  dell'illegittima opposizione del termine - Condanna del  datore  di
  lavoro  al  risarcimento  in  favore  del  lavoratore  -   Prevista
  liquidazione   da   parte   del   giudice   di    una    indennita'
  onnicomprensiva, determinata tra un minimo di 2,5 ed un massimo  di
  12 mensilita' dell'ultima retribuzione globale di fatto - Contrasto
  con i principi di ragionevolezza e  di  effettivita'  della  tutela
  giurisdizionale - Lesione del diritto al lavoro - Sproporzione  tra
  l'indennita' ed il danno  effettivo,  crescente  con  il  perdurare
  dell'illecito - Violazione degli obblighi internazionali  derivanti
  dalla CEDU (e, in specie, del diritto di  ogni  persona  al  giusto
  processo) - Interferenza sul potere giurisdizionale. 
- Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 24 e 117, in relazione all'art.  6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
Lavoro e occupazione - Contratto di  lavoro  a  tempo  determinato  -
  Conversione in contratto  a  tempo  indeterminato  per  illegittima
  opposizione  del  termine  -  Condanna  del  datore  di  lavoro  al
  risarcimento   in   favore   del    lavoratore    -    Liquidazione
  dell'indennita' onnicomprensiva da parte  del  giudice  -  Prevista
  dimidiazione del limite massimo in presenza di contratti o  accordi
  collettivi che prevedano l'assunzione, anche a tempo indeterminato,
  di lavoratori gia' occupati con contratto a termine nell'ambito  di
  specifiche graduatorie - Prevista  applicazione  retroattiva  della
  disciplina di cui ai commi 5 e 6 della "novella" - Contrasto con  i
  principi  di  ragionevolezza  e  di   effettivita'   della   tutela
  giurisdizionale - Lesione del diritto al lavoro - Sproporzione  tra
  l'indennita' ed il danno  effettivo,  crescente  con  il  perdurare
  dell'illecito - Violazione degli obblighi internazionali  derivanti
  dalla CEDU (in  specie,  del  diritto  al  giusto  processo  e  del
  principio di parita' delle armi processuali) -  Interferenza  sulla
  funzione giurisdizionale. 
- Legge 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 6 e 7. 
- Costituzione, artt. 3, 4, 24 e 117, in relazione all'art.  6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.50 del 30-11-2011 )
 
                         LA CORTE DI APPELLO 
 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza nella causa civile  iscritta
al  n.  241/10  R.G.,  avente  ad  oggetto:   «rapporto   di   lavoro
subordinato: declaratoria di nullita' della clausola  appositiva  del
termine» e vertente tra Sasso Antonio, nato a Potenza  il  16  luglio
1971 e residente in Brienza (PZ) alla via Cataldo Pizzicara 1ª tr. sx
n. 7, rappresentato e difeso in giudizio, giusta  mandato  a  margine
del ricorso depositato in data 16 aprile 2010 dall'avv. Rocco Mariano
Romanierllo e con questi  elettivamente  domiciliato  in  Potenza  in
Viale Dante Alighieri n. 100, appellante, s.p.a. Equitalia Basilicata
in p. del l.r. pro tempore, con sede  legale  in  potenza,  alla  via
Della Tecnica, 18, in persona del legale rappresentante  pro  tempore
dott. Pipoli Giordano,  rappresentata  e  difesa  dall'avv.  Isabella
Vitale entrambe elettivamente domiciliate in Potenza,  alla  via  Due
Torri, 3, presso e  nello  studio  dell'avv.  Nicola  Edoardo  Perri,
giusta mandato a margine della memoria  di  costituzione  e  risposta
dell'11 ottobre 2010, appellata. 
    All'udienza in data 9  giugno  2011,  gli  avvocati  delle  parti
rassegnavano le seguenti conclusioni. 
    Per parte appellante: voglia l'adita Corte cosi' pronunciare: 
        a) accogliere il presente gravame e, per l'effetto, riformare
integralmente la sentenza impugnata; 
        b)  accertare  e  dichiarare  che  il  ricorrente  ha  svolto
mansioni  di  messo  notificatore  di  atti  esattoriali  o  comunque
mansioni rientranti nella  II  area  professionale  III  livello  del
C.C.N.L. di categoria del 12 luglio 1995 alle  dipendenze  della  SEM
s.p.a. - oggi Equitalia Potenza s.p.a. - presso gli uffici di  Lauria
(PZ) dall'11 gennaio 2000 al 7 aprile 2000 e dal 2 maggio 2000 al  28
luglio 2000 in forza di contratti di lavoro subordinato a termine del
10 gennaio 2000 e 27 aprile 2000; 
        c) accertare e dichiarare la nullita' e l'illegittimita'  del
termine apposto al contratto di lavoro subordinato stipulato  tra  il
ricorrente e S.E.M. s.p.a. - oggi Equitalia Potenza S.p.A.,  in  data
10 gennaio 2000 ed al contratto  individuale  di  lavoro  subordinato
stipulato, tra le stesse parti, il  successivo  27  aprile  2000  per
violazione delle norme richiamate in narrativa; 
        d) per l'effetto, pronunciare sentenza  costitutiva  ex  art.
2932 c.c. e, comunque, accertare e dichiarare che  tra  le  parti  e'
intercorso e tutt'ora intercorre un ordinario rapporto  di  lavoro  a
tempo pieno ed indeterminato a far data dal 10 gennaio 2000,  ovvero,
in subordine, dal 27 aprile 2000; 
        e) per l'effetto, accertare e dichiarare il diritto di  Sasso
Antonio alla riammissione in servizio alle dipendenze della  societa'
resistente dalla data di interruzione del rapporto di lavoro  od,  in
subordine, dalla diversa data  ritenuta  di  giustizia  e  condannare
Equitalia Potenza S.p.A., in persona del  suo  legale  rappresentante
pro tempore, a riammettere  al  lavoro  il  ricorrente  sig.  Antonio
Sasso; 
        f)  accertare  e  dichiarare  il  diritto  del  ricorrente  a
percepire tutte le retribuzioni mensili arretrate, anche a titolo  di
risarcimento danni, con decorrenza dal 7aprile 2000 (data di scadenza
del termine del primo contratto), ovvero, in subordine, dal 28 luglio
2000 (data di scadenza del termine del secondo contratto), ovvero, in
via ulteriormente gradata, dalla data del tentativo di  conciliazione
(21  giugno  2007)  in  cui  e'  stata,  di  fatto,  rifiutata  dalla
controparte la prestazione lavorativa offerta, da calcolarsi  secondo
l'area ed il profilo professionale di appartenenza del lavoratore (II
area professionale III livello  del  C.C.N.L.  di  categoria  del  12
luglio 1995), oltre interessi e rivalutazione  monetaria  maturati  e
maturandi dalle predette  date  e  sino  all'effettivo  ed  integrale
soddisfo e, quindi, condannare la controparte,  in  persona  del  suo
direttore generale e legale rappresentante pro tempore  al  pagamento
delle predette somme, il tutto nel preciso ed  esatto  ammontare  che
sara' quantificato in separato giudizio; 
        g) ancora, condannare parte convenuta,  in  persona  del  suo
direttore generale e legale rappresentante pro tempore  al  pagamento
degli oneri previdenziali ed alla copertura contributiva,  in  favore
della ricorrente, per il periodo di mancata prestazione lavorativa; 
    h) con vittoria di spese e competenze legali del doppio grado  di
giudizio, oltre accessori di legge, da  attribuirsi  al  sottoscritto
procuratore antistatario per dichiarato anticipo; 
        i) si reiterano in  via  istruttoria  le  seguenti  richieste
formulate  in  primo  grado:  si  chiede  ammettersi   interrogatorio
formale, del Direttore Generale e legale rappresentante  pro  tempore
di Equitalia Potenza S.p.A. e prova testi  in  ordine  alle  seguenti
conclusioni ... 
    Per l'appellata: 
        si conclude per rigetto del ricorso in appello e  l'integrale
conferma della sentenza di primo grado, con tutte le  conseguenze  di
legge, anche in ordine alle spese del procedimento, di cui si  chiede
la distrazione in favore del sottoscritto procuratore anticipatario. 
    In via istruttoria anche  in  questo  grado  ci  si  oppone  alle
avverse richieste istruttorie, in primo luogo  perche'  la  decisione
della controversia dipende dalla risoluzione  di  questioni  di  mero
diritto, nonche' dall'esame della documentazione in  atti,  la  quale
evidenzia la regolarita' e la legittimita' dei contratti. Inoltre, le
prove  richieste  sono  inammissibili,  posto  che   le   circostanze
capitolate da parte avversa sia l'interrogatorio formate che  per  la
prova testimoniale vedono su fatti desumibili documentalmente, a cio'
si aggiunga che sono formulate in maniera generica. 
    Ad ogni modo, in caso di ammissione delle  avverse  richieste  si
chiede di essere ammessi alla prova contraria con  i  medesimi  testi
indicati dal ricorrente, nonche' alla prova  diretta  per  mezzo  dei
rappresentanti sindacali che  hanno  siglato  l'accordo  in  data  26
gennaio 1998 (allegato n. 3 fascicolo primo grado), sulle circostanze
e sui fatti  relativi  all'accordo  sindacale  e  ai  motivi  di  cui
all'accordo, esposte analiticamente nei punti 2 e 3 della memoria che
qui si abbiano per integralmente riportati, privi di valutazione. 
    Fatto salvo ogni mezzo istruttorio ad occorrere anche  a  seconda
dell'avverso comportamento processuale. 
    E discutevano la  causa  decisa  come  da  dispositivo  letto  in
udienza. 
 
                      Svolgimento del processo 
 
    Con sentenza n. 502/10 in data 23 febbraio 2010 il  Tribunale  di
Potenza, in composizione monocratica ed in funzione  di  giudice  del
lavoro, respingeva la domanda, proposta da Sasso Antonio con  ricorso
in data 6 marzo 2008, avente ad oggetto la declaratoria  di  nullita'
della clausola appositiva del termine apposta ai contratti di  lavoro
subordinato stipulato con la societa' in data 10 gennaio  2000  e  27
aprile 2000, sul rilievo officioso dell'intervenuta  risoluzione  per
mutuo consenso del contratto di lavoro a tempo determinato. 
    Avverso tale decisione interponeva appello Sasso Antonio con atto
depositato presso la cancelleria di questa Corte in  data  8  ottobre
2010 e 
    Deduceva: 
        «Violazione degli artt. 1362 e ss  c.c.  e  delle  regole  di
ermeneutica contrattuale - violazione dell'art.  2697  c.c.  e  delle
regole in tema di riparto dell'onere probatorio e di valutazione  dei
mezzi di prova - violazione della  legge  n.  230/1963,  degli  artt.
1420, 1422, 1936, 2946 e 2948 c.c. - violazione degli artt. 112 e 416
c.p.c. - violazione del principio della domanda e  del  principio  di
corrispondenza tra chiesto  e  pronunciato  -  vizio  di  extra/ultra
petita,»; e 
    Concludeva: 
        per la riforma dell'impugnata sentenza nei sensi di cui  alle
surriportate conclusioni . 
    Emesso  decreto  presidenziale,  notificato   in   uno   all'atto
introduttivo, si costituiva la controparte per resistere  all'avverso
gravame, e 
    Concludeva: 
        per la conferma della decisione; con rivalsa di spese. 
    Alla fissata udienza comparivano i procuratori delle parti che si
riportavano  ai  rispettivi  atti;  la  Corte  disponeva  adempimento
istruttorio ed all'esito del deposito di note invitava gli avvocati a
discutere oralmente la causa. 
 
                             Motivazione 
 
    Nella pendenza del giudizio, il 24 novembre 2010, e'  entrata  in
vigore  la  legge  n.  183/10  che  all'art.  32  prevede:  «Art.  32
(Decadenze e disposizioni in materia di contratto di lavoro  a  tempo
determinato). - 1. Il primo e il secondo comma dell'articolo 6  della
legge 15 luglio 1966, n.  604,  sono  sostituiti  dai  seguenti:  "Il
licenziamento  deve  essere  impugnato  a  pena  di  decadenza  entro
sessanta giorni dalla ricezione  della  sua  comunicazione  in  forma
scritta, ovvero dalla comunicazione, anch'essa in forma scritta,  dei
motivi, ove  non  contestuale,  con  qualsiasi  atto  scritto,  anche
extragiudiziale, idoneo a rendere nota  la  volonta'  del  lavoratore
anche attraverso l'intervento dell'organizzazione  sindacale  diretto
ad impugnare il licenziamento stesso. 
    L'impugnazione  e'  inefficace  se  non  e'  seguita,  entro   il
successivo termine  di  duecentosettanta  giorni,  dal  deposito  del
ricorso nella cancelleria del tribunale in funzione  di  giudice  del
lavoro o dalla comunicazione  alla  controparte  della  richiesta  di
tentativo  di  conciliazione   o   arbitrato,   ferma   restando   la
possibilita' di produrre nuovi documenti formatisi dopo  il  deposito
del ricorso. Qualora la conciliazione o l'arbitrato  richiesti  siano
rifiutati o  non  sia  raggiunto  l'accordo  necessario  al  relativo
espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena  di
decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo.". 
    2. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della  legge  15  luglio
1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente  articolo,  si
applicano anche a tutti i casi di invalidita' del licenziamento. 
    3. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della  legge  15  luglio
1966, n. 604, come modificato dal comma 1 del presente  articolo,  si
applicano inoltre: 
        a) ai  licenziamenti  che  presuppongono  la  risoluzione  di
questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro  ovvero
alla legittimita' del termine apposto al contratto; 
        b) al recesso del committente nei rapporti di  collaborazione
coordinata e continuativa, anche nella modalita' a progetto,  di  cui
all'articolo 409, numero 3), del codice di procedura civile; 
        c) al trasferimento ai sensi dell'articolo  2103  del  codice
civile,  con  termine  decorrente  dalla  data  di  ricezione   della
comunicazione di trasferimento; 
        d) all'azione di nullita' del termine apposto al contratto di
lavoro, ai sensi degli articoli 1, 2 e 4 del  decreto  legislativo  6
settembre 2001, n.  368,  e  successive  modificazioni,  con  termine
decorrente dalla scadenza del medesimo. 
    4. Le disposizioni di cui all'articolo 6 della  legge  15  luglio
1966, n. 604, come modificato dal somma 1 del presente  articolo,  si
applicano anche: 
        a) ai contratti di lavoro a termine stipulati ai sensi  degli
articoli 1, 2 e 4 del decreto legislativo 6 settembre 2001,  n.  368,
in corso di esecuzione alla data di entrata in vigore della  presente
legge, con decorrenza dalla scadenza del termine; 
        b) ai contratti di  lavoro  a  termine,  stipulati  anche  in
applicazione  di  disposizioni  di  legge   previgenti   al   decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, e gia' conclusi  alla  data  di
entrata in vigore della presente legge, con decorrenza dalla medesima
data di entrata in vigore della presente legge; 
        c) alla cessione di contratto di  lavoro  avvenuta  ai  sensi
dell'articolo 2112 del codice civile  con  termine  decorrente  dalla
data del trasferimento; 
        d) in ogni altro caso in  cui,  compresa  l'ipotesi  prevista
dalli articolo 27 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n.  276,
si chieda la costituzione o l'accertamento di un rapporto  di  lavoro
in capo a un soggetto diverso dal titolare del contratto. 
    5. Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato,  il
giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento  del  lavoratore
stabilendo un'indennita' onnicomprensiva nella misura compresa tra un
minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilita' dell'ultima retribuzione
globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo  8
della legge 15 luglio 1966, n. 604. 
    6. In presenza di contratti ovvero accordi collettivi  nazionali,
territoriali o aziendali, stipulati con le  organizzazioni  sindacali
comparativamente  piu'  rappresentative  sul  piano  nazionale,   che
prevedano l'assunzione, anche a tempo  indeterminato,  di  lavoratori
gia' occupati con  contratto  a  termine  nell'ambito  di  specifiche
graduatorie, il limite massimo dell'indennita' fissata dal comma 5 e'
ridotto alla meta'. 
    7. Le disposizioni di cui ai commi 5 e 6 trovano applicazione per
tutti i giudizi, ivi compresi quelli pendenti alla data di entrata in
vigore della presente legge. Con riferimento a tali  ultimi  giudizi,
ove necessario, ai soli fini della determinazione della indennita' di
cui ai commi 5 e 6, il  giudice  fissa  alle  parti  un  termine  per
l'eventuale integrazione della domanda e delle relative eccezioni  ed
esercita i poteri istruttori ai sensi dell'articolo 421 del codice di
procedura civile.». 
    Ne consegue che, in caso di accoglimento del gravame e quindi  di
riforma della impugnata decisione  in  ordine  alla  declaratoria  di
nullita' della clausola con le  naturali  conseguenze,  questa  Corte
dovrebbe, e dopo  aver  concesso  il  termine  ex  art.  421  c.p.c.,
emettere pronuncia di condanna del datore di lavoro al pagamento  del
risarcimento del danno, non  in  misura  pari  al  monte  retributivo
maturato  dal  dipendente  dalla  data  di  notifica   dell'atto   di
costituzione in mora  del  creditore  all'effettiva  riammissione  in
servizio, ma ad una «indennita' onnicomprensiva nella misura compresa
tra un minimo di 2,5 ed  un  massimo  di  12  mensilita'  dell'ultima
retribuzione globale di fatto, avuto  riguardo  ai  criteri  indicati
nell'articolo 8 della legge  15  luglio  1966,  n.  604»  (indennita'
secondo  alcuni  comprensiva  anche  del  credito  previdenziale   ed
assistenziale). 
    Dubita l'Ufficio della legittimita'  costituzionale  della  norma
limitativa  del  risarcimento  non  in  se'  stessa,  ma  in   quanto
applicatile ai giudizi in corso. Ed invero, salvo diverso divisamento
di questa Corte costituzionale, gia' da  altri  giudicanti  investita
della questione, non sembra incostituzionale la norma  limitativa  in
se' in quanto e' coerente con  il  sistema  che  gia'  prevede  norme
analoghe, si pensi, per l'appunto, all'art. 8 legge n. 604/66: Quando
risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per
giusta causa o per giustificato motivo, il datore di lavoro e' tenuto
a riassumere il prestatore di lavoro entro il termine di  tre  giorni
o, in mancanza, a risarcire il danno versando una  indennita'  da  un
minimo di cinque ad  un  massimo  di  dodici  mensilita'  dell'ultima
retribuzione,   avuto   riguardo   alla   dimensione    dell'impresa,
all'anzianita'  di  servizio  del  prestatore   di   lavoro   ed   al
comportamento delle parti. 
    La misura massima della predetta indennita'  e'  ridotta  a  otto
mensilita' per i prestatori di  lavoro  con  anzianita'  inferiore  a
trenta mesi e puo' essere maggiorata fino  a  quattordici  mensilita'
per il prestatore di lavoro con anzianita' superiore al venti anni. 
    In ogni caso le misure minime e massime della predetta indennita'
sono ridotte alla meta per i datori di lavoro  che  occupano  fino  a
sessanta dipendenti. 
    Per mensilita' di retribuzione si intende  quella  presa  a  base
della determinazione dell'indennita' di anzianita'. 
    Tale norma ha gia' superato il vaglio di legittimita': «Non  sono
fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  8,
comma primo, della legge 15 luglio 1966, n.  604,  sui  licenziamenti
individuali, con riferimento agli artt. 3, 4, comma primo, 35  e  41,
comma  secondo,  della  Costituzione.  La  norma  impugnata,  che  ha
limitato il diritto di recesso del datore di lavoro (prima illimitato
ai sensi dell'art. 2118 del codice civile) ai casi di giusta causa  e
di giustificato motivo, e sancito, in mancanza  di  riassunzione  del
lavoratore, il pagamento in suo favore di una indennita', costituisce
attuazione,  sia  pure  iniziale  e  non   completa,   dei   principi
costituzionali che esprimono  l'esigenza  di  un  contenimento  della
liberta' di recesso del datore di  lavoro  e  dell'ampliamento  della
tutela del lavoratore, in ordine  alla  conservazione  del  posto  di
lavoro. E poiche' l'attuazione di questi principi resta affidata alla
discrezionalita' del legislatore ordinario, per quanto  attiene  alla
scelta dei modi e dei tempi, in rapporto ovviamente  alla  situazione
economica generale, e' evidente che  l'attuazione  iniziale  di  tali
principi, per altro gia' superata  dalla  piu'  efficace  tutela  del
lavoratore stabilita dall'art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300,
non  puo'  essere  considerata,  per  cio'  solo,  costituzionalmente
illegittima. (Sent. n. 45 del 1965)». (Sent. n. 0194 del  1970;  ved.
anche Sent. n. 2 del 1986). 
    Appare  invece  incostituzionale  la   disposizione   che   rende
applicabile  la  norma  limitativa  del   monte   risarcitorio   (con
l'ulteriore limitazione di cui al comma  VI),  in  caso  di  clausola
appositiva del termine dichiarata nulla e quindi di  conversione  del
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato in  contratto  di
lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche ai giudizi in  corso,
ovverosia introdotti prima dell'entrata in vigore del c.d.  Collegato
lavoro. 
    La scelta discrezionale del legislatore di limitazione del  monte
risarcitorio in caso di declaratoria di  illegittimita'  del  recesso
datoriale era conforme (ex art. 8 legge n. 604/1966), alla  Carta  in
quanto inserita in un sistema: 
        a) che imponeva alla parte - solo in caso di recesso privo di
giusta causa o giustificato motivo - l'onere di iniziativa,  pena  la
decadenza (art. 6 Lex n. 604/66); 
        b)  che  prevedeva  meccanismi  risolutivi  alternativi  alla
giurisdizione (come era il tentativo obbligatorio di conciliazione); 
        c) che prevedeva tutela indennitaria  contro  l'irragionevole
durata (tutela prima dinanzi alla CEDU ora anche dinanzi all'AGO,  ma
solo limitatamente all'eccessiva durata) indipendentemente dall'esito
del giudizio 
ovverosia in un sistema che non esponeva eccessivamente il datore  di
lavoro alla tardiva  iniziativa  del  lavoratore  e  che  soprattutto
garantiva al lavoratore meccanismi obbligatori di  tutela  preventiva
alternativi alla giurisdizione e di tutela del diritto ad un processo
in tempi ragionevoli. 
    Ne consegue che nel momento in  cui  si  introduce  un  onere  di
tempestiva  reazione  anche  a  carico  del  lavoratore  assunto  con
contratto di lavoro a tempo determinato risolto (e quindi non piu' al
solo dipendente licenziato illegittimamente) e nel momento in cui  si
prevedono ulteriori strumenti alternativi alla giurisdizione come  la
conciliazione  non  piu'  obbligatoria  ma  soprattutto  l'arbitrato,
ovverosia ove l'ordinamento appresta le premesse  per  una  possibile
sollecita soluzione, solo allora e' ragionevole introdurre una  norma
limitativa del monte risarcitorio;  soprattutto  ove  si  rilevi  che
mentre la norma  limitativa  ex  art.  8  cit.  e'  applicabile  «nei
confronti  dei  lavoratori  dipendenti  da  datori  di   lavoro   non
imprenditori o da imprese di minori dimensioni, o impiegati in unita'
produttive di minori dimensioni», e  trova  nelle  dinamiche  di  una
realta' produttiva di ridotte dimensioni la  sua  ragionevolezza,  la
presente norma e' applicabile anche  alle  grandi  imprese,  che  ove
avviate ad un generale e  generico  processo  di  riassorbimento  del
personale precario godono di una ulteriore  limitazione  premiale  in
termini di monte risarcitorio (riduzione  ex  co.  VI  9).  In  altre
parole  il  grande  imprenditore  che  abbia  inserito  una  clausola
appositiva  del  termine  nulla  ad  un  contratto  di   lavoro,   si
avvantaggia  di  una  norma  limitativa  della  sua   responsabilita'
patrimoniale, al pari di un piccolo imprenditore, salva ovviamente la
conversione del rapporto, senza che  questo  limite  sia  logicamente
riconducibile ad un sistema funzionale  ad  una  pari  riduzione  dei
tempi di esposizione del lavoratore. 
    Al contrario nel momento in cui il  legislatore  vuole  applicare
anche ai giudizi in corso (introdotti senza limite temporale  alcuno,
neppure di prescrizione, data  l'imprescrittibilita'  dell'azione  di
nullita' della clausola oppositiva del termine,) la norma  limitativa
del monte risarcitorio, altera anche l'astratta posizione di  parita'
delle parti contrattuali: 
        a) poiche' da un lato il  lavoratore  che  ha  legittimamente
agito anche a distanza di tempo dalla risoluzione,  provvedendo  alla
previa rituale costituzione in mora, si vede ridotto il  ristoro  del
danno patrimoniale e quindi leso il suo diritto alla tutela integrale
anche nei confronti di una grande impresa, 
        b)  dall'altro  il  datore  di  lavoro,  cui  e'   imputabile
l'apposizione della  clausola  nulla,  si  giova  di  una  previsione
normativa successiva, 
        c) ed infine poiche' i tempi della giustizia finiscono con il
ridondare a danno della parte che alla nullita' non aveva dato causa. 
    La intrinseca  ragionevolezza  della  norma  limitativa  e'  data
dall'inserimento  in   un   sistema   acceleratorio,   laddove   alla
imprescrittibilita' dell'azione fa' da contrappesso la sanzione della
decadenza ed alla impossibilita' di controllo sui tempi (quali quelli
processuali)  fa'  da  contrappeso  la  possibilita'   di   coltivare
soluzioni alternative quali la condizione e l'arbitrato. Nel  sistema
attuale nel caso di declaratoria di illegittimita'  di  licenziamento
intimato in una piccola azienda senza  giusta  causa  o  giustificato
motivo, consegue a favore del lavoratore la sola tutela obbligatoria,
essendo  in  facolta'  del  debitore  scegliere  alternativamente  se
riammettere in servizio il dipendete  o  liquidargli  una  indennita'
legalmente predeterminata in un massimo ed un minimo; nel caso invece
di declaratoria giudiziale di nullita' della clausola appositiva  del
termine, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda, e' prevista
la conversione del rapporto di lavoro in uno alla liquidazione di  un
danno in  misura  anch'essa  predeterminata.  Orbene,  posto  che  e'
espressione della sovrana discrezionalita' del legislatore  stabilire
la sanzione dell'ordinamento alla condotta  datoriale  illegittima  e
quindi modulare  la  reazione  anche  in  funzione  della  dimensione
aziendale, e posto che il diritto al ripristino del posto  di  lavoro
costituisce certamente soddisfazione primaria dell'interesse leso del
datore di lavoro, il risarcimento  del  danno  puo'  avere  un  ruolo
esclusivo o  concorrente,  con  l'ovvia  conseguenza  che  in  questo
secondo caso la tutela della parte c.d. debole ne resta incrementata.
Cionondimeno anche in caso di tutela concorrente, soprattutto  quando
non vi siano ragioni  per  contemperare  le  ragioni  del  dipendente
vittorioso con quelle del datore  di  lavoro  autore  della  condotta
illegittima, la norma limitativa del risarcimento dei  danno  (deroga
al principio del pieno risarcimento del danno  subito  ex  art.  1223
c.c.) deve avere una sua intrinseca  ragionevolezza.  Ritiene  questa
Corte che tale ragionevolezza «riposi» in  un  intento  acceleratorio
della procedura, che da un lato impone  al  ricorrente  un  onere  di
tempestiva reazione, cosi'  non  esponendo  il  datore  di  lavoro  a
resipiscenze non operose, dall'altro incoraggia il datore  di  lavoro
ad una minor resistenza al giudicato,  limitando  il  suo  obbligo  e
riducendolo vieppiu' quando abbia comunque avviato una  procedura  di
riassorbimento del personale precario. 
    La norma potrebbe essere legittima (lo scrutinio di  legittimita'
e'  ancora  in  corso)  ove  applicata  ai  giudizi  introdotti  dopo
l'entrata in vigore del  d.lgs.  n.  183/10  che  ha  introdotto  sia
l'onere di tempestiva reazione sia nuove procedure  di  conciliazione
ed arbitrato,  non  appare  invece  costituzionalmente  conforme  ove
applicata a giudizi che non prevedevano decadenza alcuna,  in  quanto
in contrasto con: 
        a) l'art. 3, per l'evidente irragionevolezza di  limitare  il
risarcimento del danno a carico della parte  che  alla  nullita'  non
abbia dato causa, senza aver prima apprestato le cautele necessarie a
limitare i tempi fonte di quei danni; 
        b) l'art. 24 e 111 in quanto attinge alla effettivita'  della
tutela  giurisdizionale  che  diventa  ex  lege   non   integralmente
risarcitoria senza giustificazione alcuna, e 
        c) l'art.4 nella misura in cui dimidia la tutela del  diritto
al  lavoro,   secondo   alcuni   anche   «estinguendo»   il   credito
previdenziale, 
        d) l'art. 111 nella misura in cui  il  principio  del  giusto
processo e' applicabile anche alla fase introduttiva del  giudizio  e
quindi alle misure acceleratorie dei tempi di reazione alla  condotta
ritenuta illegittima, 
        e) art. 117 Cost  primo  comma  per  violazione  dell'obbligo
assunto  dall'Italia  con  la   sottoscrizione   e   ratifica   della
Convenzione  Europea  dei  diritti  dell'uomo  poiche'  non  sembrano
sussistere le ragioni di interesse  generali  che  giustifichino  una
tale  incidenza  del  potere  legislativo  nella  giurisdizione,  nel
momento in cui l'applicabilita' anche ai giudizi in corso della norma
limitativa del monte risarcitorio  sembra  dettata  da  esigenze  di'
opportunita' economica e non gia' da ragioni imperative di  interesse
generale. Infatti la norma e' applicabile a casi specifici (contratti
di lavoro a tempo determinato convertiti) ed  assume,  ad  avviso  di
questa Corte aspetti di  irragionevolezza  in  quanto  applicabile  a
determinati giudizi, ovverosia  quelli  introdotti  prima  della  sua
entrata in vigore, opera esclusivamente nell'ambito  di  rapporti  di
diritto privato (stante per il rapporto di pubblico impiego il limite
di cui all'art. 97 Cost.), non  ha  una  efficacia  di  sanatoria  di
situazioni  irregolari  ma  comunque   riconducibili   ad   interessi
socialmente rilevanti, ma anzi costituisce una disposizione a  favore
del datore di lavoro, non solo comunemente ritenuto contraente  forte
quanto autore della clausola nulla. 
    La questione quindi non  solo  non  e'  manifestamente  infondata
quanto e' rilevante poiche' la norma  impugnata  va  a  regolare  una
delle domande azionate nella presente controversia e, ove  applicata,
previa  riforma   dell'impugnata   decisone,   condurrebbe   ad   una
limitazione quantitativa della pretesa avanzata. 
 
                              P. Q. M. 
 
    Dichiara   non   manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale  dell'art.  32  commi  5  e  6  legge  n.
183/2010, con riferimento agli artt. 3, 4, 24, e 117 Cost. 
    Dispone la trasmissione degli atti alla  Corte  costituzionale  e
sospende il giudizio in corso. 
    Dispone che presente ordinanza gia' comunicata alle parti tramite
lettura, sia comunque ad esse notificata,nonche'  al  Presidente  del
Consiglio dei ministri ed ai presidenti della Camera dei  deputati  e
del Senato della Repubblica. 
        Potenza, addi' 9 giugno 2011 
 
                       Il presidente: Ferrone