N. 143 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 novembre 2011 (della Regione Trentino-Alto Adige). Regioni a statuto speciale - Finanza regionale - Riserva all'erario statale delle maggiori entrate derivanti dall'accisa sui tabacchi lavorati e da altre entrate tributarie previste dal decreto impugnato nonche' dalla lotta all'evasione fiscale - Previsione di un decreto ministeriale che stabilisca le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione - Contrasto con il contenuto e le modalita' procedurali di cui all'accordo Stato-Regione Trentino-Alto Adige in attuazione del «federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge delega n. 42 del 2009, lamentata deroga con legge ordinaria unilaterale al sistema di concorso della Regione agli obiettivi di finanza pubblica, indebita sottrazione all'erario regionale delle entrate gia' di sua spettanza derivanti dalla lotta all'evasione, mancata previsione di intesa - Ritenuta possibilita' di interpretare le norme censurate nel senso della loro inapplicabilita' alle Province autonome - Ricorso della Regione Trentino-Alto Adige - Denunciata violazione dell'autonomia finanziaria speciale della Regione Trentino-Alto Adige, violazione dei principi di leale collaborazione e ragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 settembre 2011, n. 148, art. 2, commi 3, ultimo periodo, e 36. - Statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 69, comma 2, lett. c) e b), 79, 103, 104 e 107; legge 23 dicembre 2009, n. 191, art. 2, commi 107-125; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 268, artt. 9, 10 e 10-bis. Regioni a statuto speciale - Disposizioni sui consiglieri regionali - Determinazione del numero massimo dei consiglieri e degli assessori regionali, previsione di un limite massimo degli emolumenti e delle indennita', commisurazione del trattamento economico alla effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio, introduzione del trattamento previdenziale contributivo, istituzione e disciplina di un organo regionale denominato «Collegio dei revisori dei conti» - Necessita' di adeguamento anche per le Regioni a statuto speciale ai fini dell'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente - Contrasto con lo speciale regime organizzativo e finanziario riconosciuto alla Regione Trentino-Alto Adige, deroga unilaterale con fonte ordinaria a norme statutarie - Ricorso della Regione Trentino-Alto Adige - Denunciata violazione della speciale autonomia organizzativa e finanziaria della Regione, violazione dei principi di leale collaborazione e ragionevolezza. - Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, nella legge 14 agosto 2011, n. 148, art. 14, comma 2. - Costituzione, artt. 117, comma sesto, e 119; legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, art. 10; statuto della Regione Trentino-Alto Adige, artt. 4, n.1, 25, 36, 48, 79, 103, 104 e 107; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, art. 2; d.P.R. 15 luglio 1988, n. 305, artt. 2, 6 e 10.(GU n.54 del 28-12-2011 )
della regione Trentino-Alto Adige/Autonome region Trentino-Südtirol (codice fiscale n. 80003690221), in persona del Presidente della Giunta regionale pro-tempore Lorenzo Dellai, autorizzato con deliberazione della Giunta regionale n. 237 del 26 ottobre 2011 (doc. 1), rappresentata e difesa, come da procura speciale numero rep. 3028 del 4 novembre 2011 (doc. 2), rogata dall'avv. Edith Engl, ufficiale rogante della Regione, dal prof. avv. Giandomenico Falcon di Padova (codice fiscale n. FLCGDM45C06L736E) e dall'avv. Luigi Manzi di Roma (codice fiscale n. MNZLGU34E15H501Y), con domicilio eletto presso quest'ultimo in Roma, via Confalonieri n. 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale: dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, se ritenuti applicabili alla Regione; dell'art. 14, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 216 del 16 settembre 2011, per violazione: degli articoli 4, n. 1, 25, 36 e 48 dello Statuto speciale; del Titolo VI dello Statuto speciale, e in particolare degli articoli 69 e 79; degli articoli 103, 104 e 107 del medesimo Statuto speciale; delle relative norme di attuazione, tra le quali il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 (in particolare, art. 2), il decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (in particolare articoli 9, 10 e 10-bis), ed il decreto del Presidente della repubblica 15 luglio 1988, n. 305; dell'art. 117, comma 6, Cost., dell'art. 119 Cost. e dell'art. 10 1. cost. n. 3/2001; nonche' dei principi di leale collaborazione e ragionevolezza, per i profili di seguito illustrati. Fatto Il presente ricorso riguarda due distinti ambiti delle disposizioni di cui al decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148: da un lato - se ritenute applicabili alla Regione - le disposizioni dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, relative alla riserva all'erario statale delle maggiori entrate derivanti dal decreto stesso, dall'altro l'applicazione alla Regione delle disposizioni dell'art. 14, comma 1, relative ai consiglieri regionali e ad altri aspetti dell'organizzazione regionale, nei termini in cui essa e' disposta dal comma 2 dello stesso articolo. Quanto alla riserva delle entrate all'erario, conviene in primo luogo ricordare lo speciale regime di autonomia finanziaria della Regione autonoma Trentino-Alto Adige, disciplinato dal Titolo VI dello Statuto di autonomia. In particolare, l'art. 69 stabilisce che «sono devoluti alla regione i proventi delle imposte ipotecarie percette nel suo territorio, relative ai beni situati nello stesso» (comma 1). Inoltre, in base al comma 2, «sono altresi' devolute alla regione le seguenti quote del gettito delle sottoindicate entrate tributarie dello Stato, percette nel territorio regionale: a) i nove decimi delle imposte sulle successioni e donazioni e sul valore netto globale delle successioni; b) i due decimi dell'imposta sul valore aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione ...; c) i nove decimi del provento del lotto, al netto delle vincite». Accanto a tale attribuzione di entrate, il Titolo VI dello Statuto regola anche altri profili dell'autonomia finanziaria della Regione: e per molti di tali profili la disciplina statutaria e' stata da poco modificata per meglio armonizzare la speciale autonomia della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome di Trento e di Bolzano con le esigenze della situazione finanziaria dello Stato italiano, anche nel quadro degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea, e per tenere conto delle esigenze di solidarieta' derivanti anche dalla attuazione del «federalismo fiscale», quale prefigurato dalla legge di delega n. 42 del 2009. Le modifiche hanno formato oggetto di uno specifico accordo tra lo Stato e la Regione e le Province autonome, e sono state adottate, con la procedura di cui all'art. 104 dello Statuto speciale, attraverso l'art. 2, commi da 107 a 125, della legge n. 191 del 2009. In particolare, il comma 107, lettera h) della legge n. 191/2009 ha introdotto un nuovo testo dell'art. 79 dello Statuto, il quale ora stabilisce al comma 1 che «la regione e le province concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» nei modi che di seguito sono elencati e descritti. Il comma 2 dell'art. 79 aggiunge che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1». Il comma 3 dispone poi che, «al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo». Il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo». Infine, per i rapporti con le norme statali che non siano direttamente misure di finanza pubblica, lo stesso comma 4 precisa che «la regione e le province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5», cioe' secondo le regole ordinarie dei rapporti tra legislazione regionale e legislazione statale. Le previsioni del sopra citato art. 69 dello Statuto sono state completate e meglio definite dalle norme di attuazione di cui al decreto legislativo n. 268/1992. Per quanto qui rileva, l'art. 9 di tale decreto dispone che «il gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge, per finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis, alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali, e' riservato allo Stato, purche' risulti temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile»; si aggiunge poi che «fuori dei casi contemplati nel presente articolo si applica quanto disposto dagli articoli 10 e 10-bis». L'art. 10 regola la quota variabile di cui all'art. 78 dello Statuto (ora soppressa; essa, comunque, riguardava solo le province) ed il comma 6 stabilisce che «una quota del previsto incremento del gettito tributario, escludendo comunque gli incrementi derivanti dall'evoluzione tendenziale, spettante alle province autonome e derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica previste dalla legge finanziaria e dai relativi provvedimenti collegati, nonche' dagli altri provvedimenti legislativi aventi le medesime finalita' e non considerati ai fini della determinazione dell'accordo relativo all'esercizio finanziario precedente, da valutarsi al netto delle eventuali previsioni di riduzione di gettito conseguenti all'applicazione di norme connesse, puo' essere destinata, limitatamente agli esercizi previsti dall'accordo, al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica previsti dai precedenti provvedimenti». A sua volta, l'art. 10-bis dispone che «entro la data di cui al comma 2 dell'art. 10 e' altresi' definito l'accordo tra il Governo e il presidente della giunta regionale che individua: a) la quota da destinare al bilancio dello Stato del gettito tributario derivante da maggiorazioni di aliquote di tributi o dall'istituzione di nuovi tributi, se destinato per legge alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, delle spese di cui all'art. 9, qualora il predetto gettito non risulti distintamente contabilizzato nel bilancio dello Stato, ovvero temporalmente delimitato; b) l'eventuale quota delle spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione, che rimane a carico del bilancio della regione medesima, in relazione alle disposizioni di cui al comma 6 dell'art. 10, da determinarsi nei limiti del previsto incremento del gettito tributario derivante dalle manovre correttive di finanza pubblica, nonche' tenuto conto della quota di cui alla lettera a)». Sulla base di tali premesse e regole, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige deve contestare - almeno in via cautelativa, come di seguito meglio si dira' - la legittimita' costituzionale dei commi 3 e 36 dell'art. 2 del decreto-legge n. 138/2011, inserito nel Titolo I, Disposizioni per la stabilizzazione finanziaria, che detta Disposizioni in materia di entrate. Il comma 3 riguarda le entrate derivanti da giochi pubblici. Esso statuisce in primo luogo che «il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ... emana tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra l'altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea, adottare nuove modalita' di gioco del Lotto, nonche' dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l'assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti vendita». Stabilito poi il possibile aumento dell'aliquota di base dell'accisa sui tabacchi lavorati, si precisa che «l'attuazione delle disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate in misura non inferiore a 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012» e di seguito dispone che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono integralmente attribuite allo Stato». Dunque, quest'ultima norma riserva integralmente allo Stato le maggiori entrate derivanti dalle nuove disposizioni in materia di giochi pubblici emanate al fine di assicurare maggiori entrate, fra le quali quelle relative al gioco del Lotto. Mentre il comma 3 ha lo specifico oggetto sopra illustrato, il comma 36 dell'art. 3 si riferisce a tutte le maggiori entrate derivanti dalle disposizioni del decreto legislativo n. 149 del 2011, come quelle derivanti dall'art. 2 (che aumenta l'aliquota IVA al 21%). In termini generali, infatti, esso dispone che «le maggiori entrate derivanti dal presente decreto sono riservate all'Erario, per un periodo di cinque anni, per essere destinate alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale», aggiungendo in termini attuativi che «con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione». Ancora, il comma 36 prevede che, «a partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di contrasto all'evasione», e di seguito dispone che «dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese». Anche il comma 36, dunque, riserva allo Stato le maggiori entrate di natura tributaria risultanti o dalle nuove norme contenute nel decreto o dalla lotta all'evasione. Peraltro, l'art. 19-bis dello stesso decreto-legge n. 138/2011 dispone che «l'attuazione delle disposizioni del presente decreto nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e di Bolzano avviene nel rispetto dei loro statuti e delle relative norme di attuazione e secondo quanto previsto dall'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42». Il comma 1 di quest'ultima disposizione stabilisce che «le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano, nel rispetto degli statuti speciali, concorrono al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' ed all'esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, nonche' al patto di stabilita' interno e all'assolvimento degli obblighi posti dall'ordinamento comunitario, secondo criteri e modalita' stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi, entro il termine di ventiquattro mesi stabilito per l'emanazione dei decreti legislativi di cui all'art. 2 e secondo il principio del graduale superamento del criterio della spesa storica di cui all'art. 2, comma 2, lettera m)». Non e' esclusa, dunque, un'interpretazione delle disposizioni in questione nel senso che la riserva all'Erario non operi per le somme relative alla regione Trentino-Alto Adige. Nel senso dell'interpretazione «adeguatrice» potrebbe far concludere il principio di specialita', confortato anche da quanto considerato nella sentenza di codesta Corte n. 152 del 2011, che ha ritenuto l'applicabilita' anche nella Regione siciliana di norme simili a quelle qui impugnate, che riservavano all'erario il gettito di tributi compartecipati dalla regione Sicilia, «posto che il decreto-legge in esame non contiene alcuna formula che possa configurarsi quale clausola di salvaguardia delle attribuzioni delle regioni ad autonomia speciale»: clausola che invece, come ora esposto, in questo caso esiste. Tuttavia, la drastica formulazione del comma 3 (secondo cui le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono integralmente attribuite allo Stato) e l'assonanza di alcune delle regole del comma 36 con le condizioni che potrebbero legittimare una riserva allo Stato ai sensi dell'art. 9 del decreto legislativo n. 268/1992 (la limitazione della durata a cinque anni e la contabilizzazione separata) inducono a temere che l'art. 2, commi 3 e 36, possa essere inteso nel senso della riserva allo Stato anche nei confronti della ricorrente Regione autonoma. Ove cosi' intese, le norme in questione sarebbero illegittime e lesive delle prerogative di questa Regione. Il secondo aspetto della presente impugnazione e' relativo all'art. 14 del decreto-legge n. 138/2011, che e' inserito nel Titolo IV, Riduzione dei costi degli apparati istituzionali, ed e' intitolato Riduzione del numero dei consiglieri e assessori regionali e relative indennita'. Misure premiali. Il comma 1 dispone che, «per il conseguimento degli obiettivi stabiliti nell'ambito del coordinamento della finanza pubblica, le Regioni, ai fini della collocazione nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, oltre al rispetto dei parametri gia' previsti dal predetto art. 20, debbono adeguare, nell'ambito della propria autonomia statutaria e legislativa, i rispettivi ordinamenti» ad «ulteriori parametri», che riguardano: il numero massimo dei consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione regionale; il numero massimo degli assessori regionali, in proporzione al numero dei consiglieri; la riduzione dell'indennita' dei consiglieri; la previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale; l'istituzione di un Collegio dei revisori dei conti; il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali. Tale disposizione riguarda le sole Regioni ordinarie. Tuttavia, in base al comma 2, «l'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per l'applicazione dell'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato art. 27, assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». L'art. 14, comma 2, dunque, richiama espressamente le Regioni a statuto speciale e, pretendendo di imporre loro l'adeguamento ai parametri fissati nel primo comma, si pone in contrasto con numerose norme statutarie e di attuazione. Anche tale disposizione, ad avviso della ricorrente Regione autonoma, risulta illegittimamente lesiva della propria autonomia. Diritto 1) Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, se ritenuti applicabili alla Regione. a. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, primo periodo. Come sopra esposto, l'art. 2, comma 3, decreto-legge n. 138/2011 prevede che «il Ministero dell'economia e delle finanze - Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato ... emana tutte le disposizioni in materia di giochi pubblici utili al fine di assicurare maggiori entrate, potendo tra l'altro introdurre nuovi giochi, indire nuove lotterie, anche ad estrazione istantanea, adottare nuove modalita' di gioco del Lotto, nonche' dei giochi numerici a totalizzazione nazionale, variare l'assegnazione della percentuale della posta di gioco a montepremi ovvero a vincite in denaro, la misura del prelievo erariale unico, nonche' la percentuale del compenso per le attivita' di gestione ovvero per quella dei punti vendita»; si aggiunge poi che «l'attuazione delle disposizioni del presente comma assicura maggiori entrate in misura non inferiore a 1.500 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2012» e che «le maggiori entrate derivanti dal presente comma sono integralmente attribuite allo Stato». Si e' anche ricordato che, in base all'art. 69 dello Statuto, spettano alla Regione «i nove decimi del provento del lotto, al netto delle vincite». Ne risulta chiaramente il contrasto fra l'art. 2, comma 3, ultimo periodo (qualora ritenuto applicabile alla Regione) e l'art. 69, comma 2, lettera c) dello Statuto speciale. Mentre quest'ultima disposizione riserva alla Regione «i nove decimi del provento del Lotto, al netto delle vincite», la norma impugnata attribuisce «integralmente ... allo Stato» le «maggiori entrate derivanti dal presente comma». E' da notare che la norma impugnata non contiene una delimitazione temporale della riserva ne' una destinazione specifica delle risorse, dato che il suo carattere di specialita' induce a ritenere che essa prevalga, in relazione ai proventi del Lotto, sulla disciplina «generale» di cui all'art. 2, comma 36, prima parte. D'altronde anche il comma 36, primo periodo, seppur differente rispetto al comma 3, ultimo periodo, risulta contrastante con l'art. 69, comma 2, lettera b), dello Statuto, che riserva alla Regione «i due decimi dell'imposta sul valore aggiunto, esclusa quella relativa all'importazione». Esso, infatti, riserva all'Erario, per un periodo di cinque anni, «le maggiori entrate derivanti dal presente decreto», per destinarle «alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale». Si rinvia poi ad un decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, per stabilire «le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione». Ne' e' possibile sostenere che le norme censurate siano giustificate in virtu' del decreto legislativo n. 268/1992. Esse, infatti, non rispettano affatto i requisiti posti dall'art. 9 decreto legislativo n. 268/1992 per la riserva all'Erario del «gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o dall'istituzione di nuovi tributi». Tali requisiti sono stati sintetizzati dalla sentenza di codesta Corte n. 182/2010, secondo la quale «tale articolo richiede, per la legittimita' della riserva statale, che: a) detta riserva sia giustificata da «finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso decreto legislativo n. 268 del 1992, e cioe' da finalita' diverse tanto dal «raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» (art. 10, comma 6) quanto dalla copertura di «spese derivanti dall'esercizio delle funzioni statali delegate alla regione» (art. 10-bis, comma 1, lettera b); b) il gettito sia destinato per legge «alla copertura, ai sensi dell'art. 81 della Costituzione, di nuove specifiche spese di carattere non continuativo che non rientrano nelle materie di competenza della regione o delle province, ivi comprese quelle relative a calamita' naturali»; c) il gettito sia «temporalmente delimitato, nonche' contabilizzato distintamente nel bilancio statale e quindi quantificabile». L'assenza di tali requisiti e' evidente per il gettito di cui all'art. 2, comma 3, dato che mancano la destinazione a «nuove specifiche spese di carattere non continuativo», la delimitazione temporale e la contabilita' distinta. Ma anche il comma 36, primo periodo, non rispetta le condizioni poste dall'art. 9 decreto legislativo n. 268/1992 e riassunte nella sent. 182/2010. Infatti, la prima parte del comma 36 riserva all'Erario «le maggiori entrate derivanti dal presente decreto» (per un periodo di cinque anni, attraverso separata contabilizzazione) per destinarle «alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea, anche alla luce della eccezionalita' della situazione economica internazionale». In questi termini, la norma censurata ha la medesima finalita' di cui all'art. 10, comma 6, decreto legislativo n. 268/1992 («raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica»), il che gia' da se' esclude la sussistenza del requisito indicato sub a) nella sent. 182/2010 (che la riserva sia giustificata da finalita' diverse da quelle di cui al comma 6 dell'art. 10 e al comma 1, lettera b), dell'art. 10-bis» dello stesso decreto legislativo n. 268 del 1992). Ugualmente la disposizione impugnata non soddisfa il requisito sub b), in quanto il comma 36, prima parte, non destina le maggiori entrate a «nuove specifiche spese»: e' da ricordare che la sent. 182/2010 fece salva la norma impugnata in quell'occasione (l'art. 13-bis, comma 8, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78) proprio in quanto essa destinava il gettito dell'imposta «al finanziamento della ripresa economica, quali: il sostegno alle imprese, anche attraverso il finanziamento del fondo di garanzia e l'alleggerimento del carico fiscale ...; gli interventi sul mercato del lavoro, anche attraverso il finanziamento del fondo per l'occupazione ...; il finanziamento degli investimenti pubblici, con particolare riguardo alle infrastrutture e alle attivita' di ricerca e sviluppo ...; il supporto alle famiglie, con misure di salvaguardia del potere d'acquisto, di tutela dei piccoli risparmiatori, di risposta all'emergenza abitativa ...; il finanziamento della cooperazione internazionale allo sviluppo ...; il finanziamento delle opere di ricostruzione dell'Abruzzo». Si tratta, come si puo' vedere, di spese e finalita' ben diverse dal mero e generale «raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea». Escluso che il comma 36, prima parte, possa trovare fondamento nell'art. 9 decreto legislativo n. 268/1992, e' anche da escludere che esso possa ricondursi all'art. 10 e all'art. 10-bis del medesimo decreto. In primo luogo, la disciplina dell'art. 10 riguardava la c.d. quota variabile e, quindi, solo le Province, per cui essa e' a priori inapplicabile alla Regione (che, infatti, non e' menzionata nell'art. 10, comma 6). Inoltre, abrogato l'art. 78 dello Statuto e soppressa la somma spettante in base ad esso (v. anche l'art. 79, comma 1, St.), sono da ritenere comunque inapplicabili le norme attuative dell'art. 78, quale l'art. 10 decreto legislativo n. 268/1992 ... Questo vale anche per l'art. 10, comma 6, strettamente connesso alla disciplina dell'accordo (menzionato in due punti del comma 6) relativo alla determinazione della quota variabile, ora soppressa. Infine, l'art. 10, comma 6, prevedeva un meccanismo consensuale per far partecipare le Province «al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica» che e' stato ora sostituito da quelli, sempre consensuali, regolati dall'art. 79: anche sotto questo profilo, dunque, il meccanismo precedente non risulta piu' operativo. Conferma espressa di cio' si ricava dal testo attuale dell'art. 79, comma 4, secondo cui «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo». Qualora, in denegata ipotesi, non si ritenesse superato l'art. 10, comma 6 e - contro l'evidenza del testo - lo si ritenesse applicabile anche alla Regione, si dovrebbe perlomeno riconoscere che la determinazione della quota in questione dovrebbe pur sempre rispettare il principio di leale collaborazione e, in particolare, il principio consensuale che domina le relazioni finanziarie fra lo Stato e le Regioni speciali. In altre parole, anche venuto meno l'accordo per la determinazione della quota variabile, lo Stato avrebbe pur sempre dovuto cercare l'accordo con la Regione e le Province, non potendo unilateralmente alterare le regole sulle compartecipazioni e gli strumenti con cui la Regione partecipa al risanamento finanziario, disciplinati dall'art. 79 dello Statuto. Del resto, tutto il regime dei rapporti finanziari fra Stato e Regioni speciali e' dominato dal principio dell'accordo, pienamente riconosciuto nella giurisprudenza costituzionale. Cosi', ad esempio, la sent. n. 82 del 2007 ha riconosciuto che «la previsione normativa del metodo dell'accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell'economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonche' dei relativi pagamenti, deve considerarsi un'espressione» della «speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti» (punto 6 del Diritto); e nella sent. n. 353 del 2004 la Corte ha affermato che il metodo dell'accordo (sempre per la determinazione delle spese), introdotto per la prima volta dalla legge finanziaria per il 1998 e riprodotto in tutte le leggi finanziarie successivamente adottate, deve essere tendenzialmente preferito ad altri, dato che «la necessita' di un accordo tra lo Stato e gli enti ad autonomia speciale nasce dall'esigenza di rispettare l'autonomia finanziaria di questi ultimi». Si puo' ricordare anche la sent. n. 39 del 1984, che ha annullato un atto ministeriale che aveva unilateralmente modificato l'elenco delle imposte ai fini dell'art. 49 dello Statuto, precisando che «il legislatore statale ben potrebbe intervenire, se lo ritenesse opportuno, nell'ambito della sua specifica competenza in materia: ma dovrebbe farlo, comunque, dopo aver sentito la Regione (art. 65 Statuto Friuli-Venezia Giulia) e avendo i poteri per mettere ordine nella complessa vicenda senza turbare i delicati rapporti coll'Ente Regione». Pertinente e' anche il richiamo alla sent. n. 98 del 2000, che ha giudicato di alcune norme legislative statali che disponevano la riserva a favore dell'erario delle entrate derivanti da altre disposizioni e che erano contestate per violazione dello Statuto siciliano e delle relative norme di attuazione. La Corte ha riconosciuto l'esistenza del «principio ... di leale cooperazione fra Stato e Regione, che domina le relazioni fra i livelli di governo la' dove si verifichino, come in queste ipotesi accade, interferenze fra le rispettive sfere e i rispettivi ambiti finanziari», e ha sottolineato che «sono espressioni significative di tale esigenza le norme di attuazione di altri statuti speciali, le quali, a tal proposito, contemplano procedimenti cui sono chiamate a partecipare le Regioni». La Corte ha, dunque, statuito che le norme impugnate dovevano prevedere «procedimenti non unilaterali, ma che contemplino una partecipazione della Regione direttamente interessata». Il principio consensuale e' stato ribadito piu' di recente, in relazione alla Provincia di Trento, dalla sent. 133/2010. La Provincia aveva impugnato l'art. 9-bis, comma 5, decreto-legge n. 78/2009, che attribuiva al Presidente del Consiglio dei ministri il potere di fissare «i criteri per la rideterminazione, a decorrere dall'anno 2009, dell'ammontare dei proventi spettanti a regioni e province autonome, compatibilmente con gli statuti di autonomia delle regioni ad autonomia speciale e delle citate province autonome, ivi compresi quelli afferenti alla compartecipazione ai tributi erariali statali». La Corte ha accolto le questioni sollevate nel ricorso, ritenendo che tale norma incidesse sui rapporti finanziari intercorrenti tra lo Stato, la Regione e le Province autonome, e che «pertanto avrebbe dovuto essere approvata con il procedimento previsto dal citato art. 104 dello Statuto speciale, ove e' richiesto il necessario accordo preventivo di Stato e Regione». In effetti, e' assolutamente inaccettabile che lo Stato, con una fonte primaria unilateralmente adottata, alteri in modo cosi' rilevante l'assetto dei rapporti finanziari tra Stato e Regione autonoma, laddove il principio consensuale e' da tempo riconosciuto in questa materia ed e' stato ribadito proprio con la recente riforma statutaria. Inoltre, la norma impugnata non rispetta Part. 10, comma 6 (sempre nella denegata ipotesi che essi sia ritenuto applicabile), anche perche' riserva all'erario tutte «le maggiori entrate», mentre la norma di attuazione limita ad «una quota del previsto incremento del gettito tributario» la possibilita' di destinazione «al raggiungimento degli obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica». Ancora, l'art. 2, comma 36, primo periodo del decreto-legge n. 138/2011 si pone in contrasto con l'art. 79 dello Statuto, che - come visto - definisce le modalita' con cui la Regione e le Province concorrono «all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» (comma 1), e aggiunge che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1» (comma 2), e che, «al fine di assicurare il concorso agli obiettivi di finanza pubblica, la regione e le province concordano con il Ministro dell'economia e delle finanze gli obblighi relativi al patto di stabilita' interno con riferimento ai saldi di bilancio da conseguire in ciascun periodo» (comma 3). Sia il comma 3 («Non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale») che il comma 4, poi, stabiliscono la non applicazione alla Regione e alle Province delle norme statali che, in questa materia, valgono per altre Regioni. Poiche' l'art. 2, comma 36, prima parte riserva le maggiori entrate «alle esigenze prioritarie di raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati in sede europea», ne deriva la violazione delle norme - sopra citate - contenute nell'art. 79 St., che configurano un sistema completo di concorso della Regione e delle Province agli obiettivi di finanza pubblica, non derogabile se non con le modalita' previste dallo Statuto. Infine, proprio perche' agli articoli 69 e 79 St. si e' derogato con una fonte primaria «ordinaria» (in realta', un decreto-legge convertito), l'art. 2, commi 3 e 36, prima parte, violano anche gli articoli 103 (che prevede il procedimento di revisione costituzionale per le modifiche dello Statuto), 104 (che prevede la possibilita' di modificare «le norme del titolo VI ... con legge ordinaria dello Stato su concorde richiesta del Governo e, per quanto di rispettiva competenza, della regione o delle due province») e l'art. 107 (che disciplina la speciale procedura per l'adozione delle norme di attuazione dello Statuto) dello Statuto speciale. b. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, secondo periodo. Il secondo periodo del comma 36 dell'art. 2 dispone che «con apposito decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalita' di individuazione del maggior gettito, attraverso separata contabilizzazione». Si tratta dunque di una norma volta a regolare l'attuazione del primo periodo: la quale, pertanto, e' affetta dai medesimi vizi sopra illustrati. In subordine, essa e' poi censurabile specificamente ed autonomamente sotto un ulteriore aspetto, cioe' per la mancata previsione dell'intesa con la Regione Trentino-Alto Adige in relazione al decreto che stabilisce le modalita' di individuazione del maggior gettito. Infatti, poiche' si tratta di intervenire in relazione a risorse che spetterebbero alla Regione, in una materia dominata dal principio consensuale, risulta specificamente illegittima, per violazione del principio di leale collaborazione, la previsione di un decreto ministeriale. senza intesa con questa Regione. c. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 36, terzo e quarto periodo. Il terzo ed il quarto periodo del comma 36 dell'art. 2 dispongono, rispettivamente, che «a partire dall'anno 2014, il Documento di economia e finanza conterra' una valutazione delle maggiori entrate derivanti, in termini permanenti, dall'attivita' di contrasto all'evasione» e che «dette maggiori entrate, al netto di quelle necessarie al mantenimento del pareggio di bilancio ed alla riduzione del debito, confluiranno in un Fondo per la riduzione strutturale della pressione fiscale e saranno finalizzate alla riduzione degli oneri fiscali e contributivi gravanti sulle famiglie e sulle imprese». Il quarto periodo risulta, ad avviso della ricorrente Regione autonoma, del tutto illegittimo, mentre il terzo periodo e' impugnato solo in quanto l'attivita' di rilevazione in esso prevista e' finalizzata all'attuazione del quarto periodo. Si tratta, infatti, di maggiori entrate che non derivano dall'aumento delle aliquote o dall'introduzione di nuovi tributi, ma semplicemente dalla lotta all'evasione, cioe' da un piu' rigoroso accertamento degli obblighi tributari preesistenti. Le maggiori entrate che ne derivano sono pur sempre entrate connesse alle aliquote e ai tributi esistenti, quelli il cui gettito spetta in parte alla Regione, secondo le disposizioni statutarie sopra citate (art. 69). Manca dunque qualunque fondamento per la destinazione ad un Fondo statale di tali maggiori entrate, che risulta pertanto in frontale contrasto con lo Statuto. La fondatezza di tale censura e' confermata anche dalla recente sent. 152/2011, che ha dichiarato «costituzionalmente illegittimo l'art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 40 del 2010, nella parte in cui stabilisce che le entrate derivanti dal recupero dei crediti d'imposta "sono riversate all'entrata del bilancio dello Stato e restano acquisite all'erario", anche con riferimento a crediti d'imposta inerenti a tributi che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio della Regione siciliana». La sentenza stabilisce che «e' alla 'Regione siciliana ... che spetta, non solo provvedere al detto recupero, ma anche acquisire il gettito da esso derivante, posto che tale gettito, lungi dal costituire frutto di una nuova entrata tributaria erariale, non e' altro che l'equivalente del gettito del tributo previsto (al di fuori dei casi nei quali e' concesso il credito d'imposta), che compete alla Regione sulla base e nei limiti dell'art. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965». La medesima sent. 152/2011 ha poi annullato l'art. 3, comma 2-bis, decreto-legge n. 40/2010, in quanto «la previsione della esclusiva destinazione a fondi erariali del gettito derivante dalla definizione agevolata di tali controversie inerenti alla contestazione di tributi erariali che avrebbero dovuto essere riscossi nel territorio regionale si pone in contrasto con il principio di cui all'art. 2 delle norme di attuazione, non potendo peraltro neppure ritenersi che le entrate derivanti dalla richiamata definizione agevolata delle controversie tributarie siano "entrate nuove"». Per quanto riguarda poi il terzo periodo del comma 36, esso e' affetto dagli stessi vizi appena illustrati (essendo strettamente collegato al quarto periodo). Inoltre, ove in denegata ipotesi dovesse risultare legittimo il trattenimento delle somme in questione al bilancio dello Stato, esso risulterebbe illegittimo per violazione del principio di leale collaborazione, perche' la quantificazione delle maggiori entrate derivanti dalla lotta all'evasione viene operata senza intesa con la Regione autonoma, benche' tale quantificazione incida direttamente e negativamente sulla dimensione delle risorse che spettano alla Regione. 2) Illegittimita' costituzionale dell'art. 14, comma 2. L'art. 14, comma 1, subordina la collocazione di ogni singola Regione ordinaria nella classe di enti territoriali piu' virtuosa di cui all'art. 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 11, all'ottemperanza ad una serie di criteri e parametri riguardanti: il numero massimo dei consiglieri regionali, in proporzione alla popolazione regionale (lettera a); il numero massimo degli assessori (lettera b); la riduzione dell'indennita' dei consiglieri (lettera c); la previsione che il trattamento economico dei consiglieri regionali sia commisurato all'effettiva partecipazione ai lavori del Consiglio regionale (lettera d); l'istituzione di un Collegio dei revisori dei conti (lettera e); il passaggio al sistema previdenziale contributivo per i consiglieri regionali (lettera f). In base all'art. 14, comma 2, decreto-legge n. 138/2011, «l'adeguamento ai parametri di cui al comma 1 da parte delle Regioni a Statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano costituisce condizione per l'applicazione dell'art. 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, nei confronti di quelle Regioni a statuto speciale e province autonome per le quali lo Stato, ai sensi del citato art. 27, assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarieta', ed elemento di riferimento per l'applicazione di misure premiali o sanzionatorie previste dalla normativa vigente». L'art. 14, comma 2, dunque, richiama espressamente le Regioni speciali e pretende di imporre loro l'adeguamento ai parametri fissati nel primo comma. Tale imposizione e' tuttavia costituzionalmente illegittima per le ragioni di seguito esposte. Premesso che la disposizione del comma 2 (come quella del comma 1 per le Regioni ordinarie) e' chiaramente una norma sanzionatoria - e non una norma premiale come vorrebbe far intendere la rubrica dell'articolo - e' in primo luogo clamorosamente illegittima l'imposizione del dovere di adeguamento al numero di consiglieri previsto dal comma 1, per violazione degli articoli 25 e 48 dello Statuto. L'art. 25, infatti, statuisce che «il Consiglio regionale e' composto dai membri dei Consigli provinciali di Trento e di Bolzano», e l'art. 48 dispone che «ciascun Consiglio provinciale ... e' composto di trentacinque consiglieri e dura in carica cinque anni». Il numero dei consiglieri regionali, dunque, e' fissato direttamente dal combinato disposto degli articoli 25 e 48 dello Statuto. Sembra impossibile dover ricordare che lo Statuto e' una legge costituzionale dello Stato, e che dunque ne' la legge ordinaria ne' atti di qualunque natura della stessa Regione autonoma sono in grado di mutarlo. Per quanto riguarda il numero massimo degli assessori regionali, occorre ricordare che, in base all'art. 36 St., «la giunta regionale e' composta del Presidente della Regione, che la presiede, di due vice Presidenti e di assessori effettivi e supplenti» (comma 1). Il Presidente, i vice Presidenti e gli assessori «sono eletti dal Consiglio regionale nel suo seno a scrutinio segreto ed a maggioranza assoluta» (comma 2). Il comma 3 dispone poi che «la composizione della giunta regionale deve adeguarsi alla consistenza dei gruppi linguistici quali sono rappresentati nel Consiglio della regione», che «i vice Presidenti appartengono uno al gruppo linguistico italiano e l'altro al gruppo linguistico tedesco», e che «al gruppo linguistico ladino e' garantita la rappresentanza nella Giunta regionale anche in deroga alla rappresentanza proporzionale». La Regione Trentino-Alto Adige e' poi dotata di potesta' legislativa primaria in materia di organizzazione interna (art. 4, n. 1, St.). L'art. 12 legge regionale n. 25/1952 dispone che, «nella stessa seduta nella quale e' avvenuta l'elezione del Presidente della Giunta regionale, o nella prossima seduta del Consiglio, si delibera anzitutto il numero degli assessori effettivi e degli assessori supplenti, che devono comporre la Giunta regionale». Il dovere di adeguamento imposto dall'art. 14, comma 2, in merito al numero degli assessori, dunque, viola l'art. 36 dello Statuto, che regola la Giunta regionale senza porre limiti massimi alla sua composizione, lasciando quindi liberta' sul punto alla Regione stessa; e' poi violato, l'art. 4, n. 1, St., che attribuisce potesta' primaria alla Regione in materia di organi regionali (potesta' soggetta al solo limite della Costituzione, che vale per la corrispondente autonomia delle Regioni ordinarie; comunque, l'art. 14, comma 2, non risulta idoneo ad integrare nessuno dei limiti di cui all'art. 4 St., non potendosi certo definire norma fondamentale delle riforme economico-sociali della Repubblica). Anche i doveri di adeguamento imposti dall'art. 14, comma 2, in relazione al trattamento economico dei consiglieri regionali ledono l'autonomia organizzativa regionale (art. 4, n. 1, St.), soggetta al solo limite della Costituzione ex art. 10 l. cost. n. 3/2001. Appare dunque evidente che l'imposizione, diretta o indiretta, di qualunque ulteriore limite, sia pure sotto forma di «onere» di adeguamento, costituisce una illegittima interferenza nell'autonomia costituzionalmente garantita alla Regione, con conseguente illegittimita' costituzionale dell'intero art. 14, comma 2. Ugualmente illegittima appare l'impugnata disposizione ove considerata dal punto di vista della lesione dell'autonomia finanziaria garantita dal Titolo VI dello Statuto nonche' dall'art. 119 della Costituzione. La disposizione qui impugnata viola l'autonomia finanziaria comminando conseguenze finanziariamente negative a comportamenti che costituiscono esercizio dei diritti statutari della Regione. Ne' la disposizione impugnata potrebbe essere giustificata come principio di coordinamento della finanza pubblica. Lo esclude, sul piano generale, il carattere dettagliato delle misure imposte, che vanno a limitare voci minute di spesa e, dunque, non costituiscono principi idonei a far scattare un dovere di adeguamento. Con specifico riferimento alla riduzione delle indennita' di organi regionali, si puo' ricordare che la Corte costituzionale ha gia' dichiarato illegittimo l'art. 1, comma 54, legge n. 266/05, che riduceva del 10% le indennita' corrisposte ai titolari degli organi politici regionali (sentenza n. 157 del 2007). Per quanto riguarda la Regione Trentino-Alto Adige, oltre che l'art. 119 Cost. risulta specificamente violato l'art. 79 dello Statuto, introdotto dalla legge n. 191 del 2009 con la procedura prevista dall'art. 104 dello Statuto, che disciplina esaustivamente il concorso della Regione «al conseguimento degli obiettivi di perequazione e di solidarieta' e all'esercizio dei diritti e dei doveri dagli stessi derivanti nonche' all'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall'ordinamento comunitario, dal patto di stabilita' interno e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale» (comma 1), e che per il rimanente esonera espressamente la Regione e le Province dall'applicazione delle misure di coordinamento che valgono per le altre Regioni. Il comma 2, infatti, dispone che «le misure di cui al comma 1 possono essere modificate esclusivamente con la procedura prevista dall'art. 104 e fino alla loro eventuale modificazione costituiscono il concorso agli obiettivi di finanza pubblica di cui al comma 1», fra i quali «l'assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti ... dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale». Il comma 3 aggiunge che «non si applicano le misure adottate per le regioni e per gli altri enti nel restante territorio nazionale» ed il comma 4 ribadisce che «le disposizioni statali relative all'attuazione degli obiettivi di perequazione e di solidarieta', nonche' al rispetto degli obblighi derivanti dal patto di stabilita' interno, non trovano applicazione con riferimento alla regione e alle province e sono in ogni caso sostituite da quanto previsto dal presente articolo». Infine, lo stesso comma 4 precisa, per i rapporti con le norme statali che non siano direttamente misure di finanza pubblica, che «la regione e le province provvedono alle finalita' di coordinamento della finanza pubblica contenute in specifiche disposizioni legislative dello Stato, adeguando la propria legislazione ai principi costituenti limiti ai sensi degli articoli 4 e 5». Dunque, poiche' l'art. 14, comma 1, contiene norme che sono espressamente volte al coordinamento finanziario, l'applicazione di esse a questa Regione e' esclusa dai primi tre commi dell'art. 79 St. L'art. 14, comma 1, contempla concrete misure di riduzione dei costi di funzionamento degli organi rappresentativi regionali che lo Stato pone come condizione per la valutazione della virtuosita' dell'ente ai fini della determinazione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica. In questo senso, la disposizione introdurrebbe per la Regione Trentino-Alto Adige un ulteriore elemento di determinazione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica diverso ed aggiuntivo rispetto a quello previsto dal predetto art. 79, e quindi in sua violazione. Il generico riferimento alle misure premiali o sanzionatone previste dalla normativa vigente introduce una condizione di virtuosita' che e' in contrasto con il sistema delle relazioni finanziarie con lo Stato definito nel nuovo Titolo VI dello Statuto, ed in particolare nel predetto art. 79. Il contrasto tra l'art. 14, comma 2, e l'art. 79 St. implica anche la violazione degli articoli 103, 104 e 107 dello Statuto e del principio di leale collaborazione, perche' una fonte primaria ordinaria, adottata unilateralmente, ha derogato ad una norma statutaria, adottata con la speciale procedura di cui all'art. 104 St. In subordine, una ulteriore specifica censura la Regione deve svolgere in relazione alla disciplina relativa al Collegio dei revisori dei conti, che dovrebbe essere istituito a decorrere dal 1° gennaio 2012 «quale organo di vigilanza sulla regolarita' contabile, finanziaria ed economica della gestione dell'ente». Il comma 1, lettera e) prevede che «il Collegio, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, opera in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti», e che «i componenti di tale Collegio sono scelti mediante estrazione da un elenco, i cui iscritti devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali, avere la qualifica di revisori legali ..., ed essere in possesso di specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali, secondo i criteri individuati dalla Corte dei conti». In tal modo l'art. 14 non tiene conto della circostanza che - comunque la norma possa essere valutata in relazione alle Regioni ordinarie - il ruolo e le funzioni della Corte dei conti nella regione Trentino-Alto Adige sono compiutamente definiti dal decreto del Presidente della Repubblica n. 305/1988. L'art. 14, dunque, sotto questo profilo invade un settore di competenza delle norme di attuazione, violando l'art. 107 St. ed il decreto del Presidente della Repubblica n. 305/1988 (v. soprattutto gli articoli 2, 6 e 10, che individuano le funzioni della Corte dei conti in relazione alla Regione Trentino-Alto Adige). In particolare, la previsione del dovere del Collegio di operare «in raccordo con le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti» viola l'art. 10, comma 3-ter, decreto del Presidente della Repubblica n. 305/1988 (introdotto dal decreto legislativo n. 166/2011), che considera come facoltativa la richiesta di ulteriori forme di collaborazione alle sezioni della Corte dei conti (3-ter. «La Regione e le Province possono richiedere ulteriori forme di collaborazione alle sezioni della Corte dei conti ai fini della regolare gestione finanziaria e dell'efficienza ed efficacia dell'azione amministrativa, nonche' pareri in materia di contabilita' pubblica anche per conto degli enti locali, singoli o associati, e degli altri enti e organismi individuati dall'art. 79, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670»). Ancora piu' invasiva e' la previsione del potere della Corte dei conti di definire i criteri di qualificazione professionale dei membri del Collegio: si tratta, in sostanza, di un potere normativo secondario in materia di competenza regionale (ordinamento degli uffici: art. 4, n. 1, St.), dato che il Collegio sarebbe un organo interno della Regione. E' da precisare che i componenti di tale Collegio gia' «devono possedere i requisiti previsti dai principi contabili internazionali» e «avere la qualifica di revisori legali di cui al decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39» (art. 14, comma 1, lettera e) decreto-legge n. 138/2011), per cui la «specifica qualificazione professionale in materia di contabilita' pubblica e gestione economica e finanziaria anche degli enti territoriali» dovrebbe essere regolata dalla Regione, nell'esercizio della propria competenza in materia di organizzazione interna. E' dunque illegittima l'attribuzione di un potere normativo secondario ad un organo statale, per contrasto con l'art. 117, comma 6, Cost. e l'art. 2 decreto legislativo n. 266/1992, che ritiene solo gli atti legislativi statali idonei a far sorgere un dovere di adeguamento. L'art. 2 decreto legislativo n. 266/1992 e' violato anche perche' l'art. 14, comma 2, non pone un termine per l'adeguamento, per cui e' da ritenere che valgano i termini fissati dal comma 1, alcuni dei quali (lettere c), d) ed e) sono inferiori ai sei mesi previsti dall'art. 2 decreto legislativo n. 266/1992.
Per le esposte ragioni, la Regione autonoma Trentino-Alto Adige/Autonome Region Trentino-Siidtirol, come sopra rappresentata e difesa, chiede voglia codesta Ecc.ma Corte costituzionale accogliere il ricorso, dichiarando l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 3, ultimo periodo, e comma 36, se ritenuti applicabili alla Regione; dell'art. 14, comma 2, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148, Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, recante ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo. Delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, nelle parti, nei termini e sotto i profili esposti nel presente ricorso. Padova-Roma, 14 novembre 2011 Prof. avv. Giandomenico Falcon Avv. Luigi Manzi Allegati 1) Deliberazione della Giunta regionale n. 237 del 26 ottobre 2011. 2) Procura speciale n. rep. 3028 del 4 novembre 2011.