N. 154 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011
Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 novembre 2011 (della Regione Campania). Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica del Presidente della Giunta regionale - Previsione, in caso di grave dissesto finanziario, dello scioglimento del Consiglio regionale e della rimozione del Presidente della Giunta regionale - Ricorso della Regione Campania - Lamentata violazione dei limiti costituzionali allo scioglimento dei consigli regionali, per l'introduzione di una fattispecie autonoma di responsabilita' politica diversa da quella verso il corpo elettorale prevista dalla Costituzione - Denunciata illegittima attribuzione alla Corte dei conti di poteri di accertamento nei confronti delle Regioni non previsti dalla Costituzione - Denunciata violazione dei principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione per la mancanza di qualsivoglia meccanismo di preavviso che consenta alle regioni di non incorrere nella gravissima sanzione - Denunciata irragionevolezza per la mancata precisazione della natura giurisdizionale o di controllo del potere di accertamento attribuito alla Corte dei conti. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 2. - Costituzione, artt. 120, 122 e 126. Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica del Presidente della Giunta regionale - Previsione della non candidabilita' del Presidente della Giunta regionale rimosso per grave dissesto finanziario alle cariche elettive a livello locale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni - Previsione, altresi', che lo stesso non possa essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle regioni, dello Stato e dell'unione europea per un periodo di dieci anni - Ricorso della Regione Campania - Denunciata irragionevolezza e mancanza di proporzionalita' della sanzione dell'incandidabilita', in comparazione con altre ipotesi legislativamente previste, tutte connesse a gravissimi episodi di criminalita'. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 3. - Costituzione, artt. 120, 122 e 126. Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica del Presidente della Giunta regionale - Previsione, nelle more dell'insediamento del nuovo Presidente della giunta regionale, in luogo di quello rimosso, della nomina, con deliberazione del consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di un nuovo commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della giunta regionale concernenti l'ordinaria amministrazione e gli atti improrogabili - Ricorso della Regione Campania - Denunciata violazione dell'autonomia costituzionale regionale per la mancanza di forme procedimentali di coinvolgimento della Regione e il parere della Commissione bicamerale - Denunciata lesione dell'autonomia regionale per la mancata limitazione della nomina del commissario ad acta a singole attivita' specificamente individuate e per la mancata indicazione del termine in cui debbono essere celebrate le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale - Denunciata violazione dell'autonomia regionale per l'assenza delle garanzie dell'intervento del decreto motivato del Presidente della Repubblica e del parere della Commissione bicamerale. - Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 5. - Costituzione, artt. 120, 122 e 126.(GU n.4 del 25-1-2012 )
Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del Presidente della Giunta regionale pro tempore, on. dott. Stefano Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi delle delibere della Giunta regionale n. 616 dell'11 novembre 2011, giusta procura a margine del presente atto, unitamente e disgiuntamente, dall'avv. Maria D'Elia (c.f. DLEMRA53H42F839H), dell'Avvocatura regionale, e dal prof. avv. Beniamino Caravita di Toritto (c.f. CRVBMN54D19H501A), del libero foro, ed elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza della Regione Campania sito in Roma alla via Poli n. 29 (fax: 06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it); Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi 2, 3 e 5, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, avente ad oggetto «Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 settembre 2011, n. 219, per violazione degli articoli 122, 126, 120 della Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza. Fatto Con decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 149, il Governo, nell'esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42 in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell'art. 119 della Costituzione, ha emanato un complesso di disposizioni recanti «Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a regioni, province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio 2009, n. 42». L'intervento normativo, articolato in 17 articoli ripartiti in tre capi, costituisce attuazione delle innovazioni istituzionali introdotte con l'attuazione del federalismo fiscale. Esso si prefigge lo scopo di responsabilizzare gli enti territoriali mediante l'individuazione di fattispecie di «responsabilita'» e favorendo altresi' la trasparenza delle decisioni di spesa e la loro precisa imputabilita'. Il primo capo e' dedicato ai meccanismi sanzionatori. Al suo interno, l'art. 1 impone alle Regioni di redigere un inventario di fine legislatura, contenente la descrizione dettagliata delle principali informazioni relative all'attivita' di governo finalizzate al contenimento della spesa, alla convergenza verso i costi standard, allo stato certificato della spesa sanitaria e dell'indebitamento regionale. Un simile strumento viene predisposto (art. 4) per le stesse finalita', anche con riguardo alle province e ai comuni. Un meccanismo sanzionatorio particolarmente incisivo e' quello previsto ex art. 2, oggetto - come meglio si precisera' - della presente questione di legittimita' costituzionale. La norma definisce le condizioni in presenza delle quali si verifica grave dissesto finanziario, con riferimento al disavanzo sanitario, tale da determinare grave violazione di legge e, conseguentemente, lo scioglimento ex art. 126, comma 1, della Costituzione, del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta per «responsabilita' politica» nel proprio mandato di amministrazione della regione. Sono inoltre previste, in caso di grave dissesto finanziario, ipotesi di decadenza automatica e interdizione dei funzionari regionali e dei revisori dei conti (art. 3). Viene poi prevista la possibilita' per il Ministero dell'economia e delle finanze di attivare verifiche sulla regolarita' della gestione amministrativo-contabile anche in riferimento a situazioni di squilibrio finanziario riferibili a nuovi ulteriori indicatori precisati dalla norma. Vengono poi configurate all'art. 6 ipotesi di responsabilita' politica del presidente della provincia e del sindaco, mediante modifiche ad hoc dell'art. 248 del d.lgs. n. 267 del 2000, e vengono infine previsti (art. 7) gli obblighi ai quali sono assoggettate le regioni e gli enti locali che non rispettano il patto di stabilita' interno. Il capo II del decreto legislativo individua alcuni meccanismi premiali che, sia consentito sottolinearlo, evidenziano un chiaro disequilibrio rispetto all'incisivita' e alla consistenza dei meccanismi sanzionatori previsti dal capo precedente. Si tratta di benefici da riconoscere alle regioni che hanno registrato un rapporto uguale o inferiore alla media nazionale fra spesa per il personale e spesa corrente. Ulteriori meccanismi premiali sono diretti a razionalizzare la spesa sanitaria a favore delle Regioni che dal 2012 istituiscano una Centrale regionale per gli acquisti e l'aggiudicazione di procedure di gara per l'approvvigionamento di beni e servizi, nonche' altre misure in relazione ai prezzi di riferimento delle prestazioni e dei servizi sanitari e non sanitari (art. 9). E' poi previsto il concorso delle province nella lotta all'evasione fiscale e incentivi per l'impegno in tale attivita'. Infine, al Capo III, trovano spazio alcune disposizioni finali relative alle province autonome di Trento e Bolzano, al coordinamento informativo, statistico e informatico dei dati delle amministrazioni pubbliche, nonche' in materia di interventi del settore creditizio a favore del pagamento delle imprese creditrici degli enti territoriali. Tra queste disposizioni, gravemente lesiva dell'autonomia regionale, per i motivi che subito si preciseranno, e' sicuramente l'art. 2 di cui si pone questione di legittimita' costituzionale. Il comma 2, del richiamato art. 2, in particolare, dispone che il «grave dissesto finanziario», cosi' come definito dal decreto medesimo al precedente comma 1, «costituisce grave violazione di legge» ai sensi dell'art. 126, comma 1, Cost. e che, in tal caso, sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della giunta regionale «per responsabilita' politica nel proprio mandato di amministrazione della regione» ove sia ccertata dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di dissesto dettate al comma 1 e «la loro riconduzione alla diretta responsabilita' con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale». La disposizione precisa inoltre che il decreto del Presidente della Repubblica e' adottato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere conforme della commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza dei due terzi dei componenti. Alla riunione del Consiglio dei ministri partecipa il Presidente della Giunta regionale interessato. Il comma 3 prescrive che il Presidente cosi' rimosso e' incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni e non puo' essere nominato, per lo stesso periodo decennale, quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle Regioni, dello Stato e dell'Unione europea. Al comma 5 viene precisato che nelle more dell'insediamento del nuovo Presidente della Giunta regionale, il Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, nomina un nuovo commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della Giunta regionale concernenti l'ordinaria amministrazione e gli atti improrogabili. L'art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149 risulta gravemente lesivo delle prerogative della Regione Campania, in quanto viziato da manifesta illegittimita' costituzionale per i seguenti motivi di Diritto 1. Illegittimita' dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, nella parte in cui prevede che il grave dissesto finanziario - come definito dal comma 1 - determina lo scioglimento degli organi regionali, per contrasto con il principio di ragionevolezza e con gli artt. 122 e 126 della Costituzione. 1.1 L'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 prevede lo scioglimento del Consiglio regionale nonche' la rimozione del Presidente della Giunta «per responsabilita' politica nel proprio mandato», quale conseguenza del grave dissesto finanziario con riferimento al disavanzo sanitario, come precisato e individuato dal comma 1. Si tratta di fattispecie che riguarda le regioni assoggettate a piano di rientro al verificarsi congiunto delle condizioni precisate dal comma 1, vale a dire: mancato adempimento, anche solo parziale («in tutto o in parte»), da parte del Presidente della Giunta regionale nominato Commissario ad acta (ex art. 2, commi 79 e 83, della legge n. 191 del 2009) all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi derivanti; non raggiungimento degli obiettivi del piano; incremento al livello massimo dell'aliquota Irpef per due esercizi consecutivi. In primo luogo, di dubbia legittimita' appare la autoqualificazione operata dal legislatore ordinario al comma 2, in relazione all'ipotesi di grave dissesto precisata dal precedente comma 1, quale fattispecie costituente «grave violazione di legge», con evidente richiamo al dettato dell'art. 126, comma 1, Cost . E' infatti ben noto il principio tradizionalmente affermato da Codesta Ecc.ma Corte, alla stregua del quale: «la qualificazione del legislatore non puo' [quindi], assumere valore precettivo, tale da attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza. Essa costituisce, piuttosto, un'esplicita indicazione dell'intenzione del legislatore ed acquista valore sintomatico delle caratteristiche delle disposizioni» (Corte cost., sent. n. 482 del 1995). Principio sempre confermato, anche in tempi piu' recenti, allorche' Codesta Ecc.ma Corte ha ribadito come sia «costante l'orientamento secondo cui, ai fini del giudizio di legittimita' costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza» (sent. n. 169 del 2007 e le ivi richiamate sentenze n. 447 del 2006 e n. 482 del 1995). Evidenziata quindi, anche sulla scorta dell'insegnamento di Codesta Ecc.ma Corte, l'irrilevanza, in termini di capacita' di autoqualificazione, delle asserzioni del legislatore in ordine alla configurazione dell'ipotesi di dissesto di cui all'art. 2, comma 2, come precisato dal precedente comma 1, come «grave violazione di legge», deve altresi' mettersi in luce il confuso accostamento di tale situazione di dissesto (autoqualificata in termini di «grave violazione di legge») quale condizione che determina l'avvio del procedimento di dissoluzione degli organi regionali, ad una ipotesi di non meglio precisata di «responsabilita' politica nel... mandato di amministrazione della regione» (ancora art. 2, comma 2, d.lgs. n. 149 del 2011). Se responsabilita' vi e', non e' certo «politica», giacche' la responsabilita' politica e' quella verso il corpo elettorale: la incertezza delle parole, quando si affronta una questione delicata quale quella dello scioglimento degli organi regionali, e' sintomo di una grave incertezza concettuale, che rischia di riverberarsi sulle prassi costituzionali, istituzionali e amministrative. In questi casi, non puo' valere un sorriso e la battuta secondo cui si tratta solo di intemperanze verbali.... Invero, la norma risulta afflitta da un elevato tasso di genericita' e di confusione, tale da ridondare nella sua illegittimita', sotto i seguenti due profili. 1.1.1. Del tutto errato appare il riferimento ad una ipotesi di «responsabilita' politica» che, invero la Costituzione, in riferimento all'organo di governo regionale, configura in maniera esclusiva nei riguardi del Corpo elettorale, per il tramite del Consiglio regionale. Appare incomprensibile (e, in definitiva, fuorviante) l'accostamento al sostantivo «responsabilita'» dell'aggettivo «politica» nel contesto della norma qui indubbiata. E' infatti fin troppo noto che la Costituzione, nel sistema derivante dalle modifiche apportate dalla legge cost. n. 1 del 1999, ha configurato una forma di governo regionale che, fatte salve diverse e autonome scelte degli statuti regionali, e' basato sulla elezione a suffragio universale e diretto del Presidente della Giunta (art. 122, comma 5, Cost.) il quale puo' essere colpito da mozione di sfiducia approvata dal Consiglio regionale (con conseguenti dimissioni obbligatorie della Giunta e scioglimento del Consiglio), in forza del vincolo di responsabilita' politica nei confronti dell'elettorato, unico vincolo di responsabilita' politica previsto dalla Costituzione a carico del Presidente della Giunta regionale (art. 126, comma 3, Cost.). Come precisato da codesta Ecc.ma Corte: «Il principio funzionale largamente noto con l'espressione aut simul stabunt aut simul cadent esclude che possano essere introdotti circuiti fiduciari collaterali ed accessori rispetto alla presuntiva unita' di indirizzo politico derivante dalla contemporanea investitura popolare di Presidente e Consiglio» (Corte cost., sent. n. 12 del 2006). E' del tutto evidente, pertanto, come l'unica ipotesi di «responsabilita' politica» del Presidente della Regione, prevista dalla Costituzione, in riferimento al sistema di elezione a suffragio universale e diretto - connessa con il rapporto fiduciario sottostante - sia quella che lega, in via esclusiva, l'organo di governo al Consiglio regionale, e quindi agli elettori. L'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011 si pone quindi in aperto contrasto con l'art. 126 Cost. nella parte in cui sembra fare riferimento ad ipotesi di «responsabilita' politica» in esso non contemplate. 1.1.2. Accertata l'erroneita' della categoria «responsabilita' politica» di cui all'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149, va rilevato come essa appare anche utilizzata in modo assolutamente contraddittorio rispetto al richiamato sistema previsto dall'art. 126 Cost. La norma costituzionale infatti, lo si ricorda, definisce o un'ipotesi di scioglimento ab esterno (al comma 1) oppure, in via alternativa, un'ipotesi di scioglimento originato all'interno delle istituzioni regionali, in ragione della responsabilita' politica fatta valere mediante mozione di sfiducia e con il conseguente scioglimento degli organi regionali. L'impugnato art. 2, comma 2, del d.lgs. 149 del 2011, invece, ingenerando confusione e incertezza, accosta e sovrappone in un'unica figura di incerta portata una ipotesi ex art. 126, comma 1, Cost. di «grave violazione di legge» (autoqualificata tale) ad una vaga, imprecisata e costituzionalmente inedita ipotesi di «responsabilita' politica» diversa da quella prevista dal comma 3, cosi' creando un tertium genus tra le cause di scioglimento degli organi regionali non previsto e dunque in contrasto con l'art. 126 Cost. 1.2. In aggiunta ai due profili di ambiguita' ed incertezza sopra ricordati, che ridondano in evidente violazione dell'art. 126, deve rilevarsi come rappresenti evidente violazione del principio di ragionevolezza la mancata previsione dello scorporo del disavanzo accumulato nel corso delle gestioni precedenti, ai fini della determinazione della «responsabilita'» imputabile al Presidente della Giunta regionale pro tempore. Lesiva del medesimo principio appare l'assoggettamento allo scioglimento degli organi regionali nel caso in cui il Presidente - Commissario ad acta che non abbia adempiuto «in tutto o in parte» all'obbligo di redazione del piano di rientro o agli obblighi operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso. Del tutto abnorme e dalle conseguenze incontrollabili appare la previsione alla stregua della quale anche un parziale inadempimento, benche' minimo, possa configurare la grave violazione di legge, in palese contraddizione con il principio di proporzionalita'. Sembra, infine, irragionevole che la responsabilita' del grave dissesto finanziario sia riferita in capo al solo Presidente della Giunta regionale, a prescindere - peraltro - dalla forma di governo determinata dagli statuti e dalle leggi statutarie delle singole regioni. E' noto come la Regione ricorrente abbia stipulato Piano di rientro (ai sensi della legge n. 311 del 2004), approvato con DGR n. 460 del 20 marzo 2007. Nonostante gli sforzi compiuti, sulla base delle risultanze delle verifiche annuali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con propria deliberazione del 28 luglio 2009, ha nominato il Presidente pro tempore della Regione Campania Antonio Bassolino quale Commissario ad acta per l'attuazione del vigente Piano di Rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione. A seguito delle Elezioni Regionali del marzo 2010, con la delibera della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2010, e' stato nominato Commissario ad acta per la prosecuzione del Piano di Rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione, il neo Presidente della Regione Campania Stefano Caldoro. Orbene, all'esito della verifica annuale per l'anno 2009, e' stato rilevato che, pur permanendo gravi criticita' in ordine alla riorganizzazione della rete ospedaliera e dei laboratori, sussiste un miglioramento della gestione e del governo dei rapporti con gli erogatori privati delle prestazioni sanitarie (c.d. tenuta dei tetti). (cfr. sintesi dei dati ufficiali pubblicati sul sito del Ministero della salute (1) ). Certamente il percorso del risanamento e' ancora lungi dall'essere compiuto, tuttavia, gli elementi di fatto appena accennati, non fanno altro che rendere evidente un grave aspetto di contraddittorieta' della disposizione di cui si pone questione di legittimita' costituzionale: essa e' programmaticamente tesa alla assunzione di responsabilita' in ordine alle gravi carenze strutturali del sistema sanitario regionale e alle misure di risanamento definite nell'ambito dei Piani di rientro, ma non tiene in alcun conto dei miglioramenti, ancorche' parziali, nella riduzione dei disavanzi, colpendoli anzi quali inadempimenti parziali, ingiustamente addebitati al Presidente pro tempore che, invero, con tutta evidenza, eredita dalle precedenti gestioni le situazioni di gravissimo dissesto. Manca, nella previsione normativa, ogni considerazione dei miglioramenti nella gestione commissariale. Anche sotto tali aspetti, dunque, la norma appare illegittima, per violazione, oltre che dell'art. 126 Cost., anche del principio di ragionevolezza. 1.3. L'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, nel delineare il procedimento di dissoluzione degli organi regionali, prevede che il decreto del Presidente della Repubblica di scioglimento del Consiglio o di rimozione del Presidente della Giunta regionale sia adottato «ove sia accertata dalla Corte dei conti, la sussistenza delle condizioni di cui al comma 1» e la riconducibilita' di tale situazione alla «diretta responsabilita' con dolo o colpa grave del Presidente della Giunta regionale». La procedura delineata dalla disposizione prevede altresi' una successiva deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, previo parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due terzi dei componenti. Viene infine prevista la partecipazione del Presidente della Giunta regionale interessato alla riunione del Consiglio dei Ministri. Colpisce in primo luogo la mancanza di qualsivoglia meccanismo di preavviso che consenta alle regioni potenzialmente interessate di non incorrere nella gravissima, per certi irreparabile, sanzione della dissoluzione dei propri organi politici. La carenza e' tanto piu' notevole ove si abbia riguardo al chiaro dettato dell'art. 120 Cost. e della relativa norma di attuazione di cui all'art. 8 della legge 131 del 2003, che, come ricordato di recente da Codesta Ecc.ma Corte in una pronuncia che ha dichiarato illegittimo un meccanismo di potere sostitutivo non rispettoso dei principi di sussidiarieta' e leale collaborazione, «prevede che il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, assegni all'ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari e che, solo decorso inutilmente detto termine, il Consiglio dei ministri, sentito l'organo interessato, assuma i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomini un apposito commissario» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011). Inoltre, mentre l'iter procedurale correttamente assegna al Presidente della Repubblica, in virtu' del suo ruolo di rappresentante dell'unita' nazionale, al di sopra delle parti, il ruolo di ultimo supremo decisore e di unico soggetto in grado di valutare al meglio se ricorra la necessita' dello scioglimento del Consiglio (o della rimozione del Presidente della Regione, desta perplessita' il fatto che il presupposto dal quale prende avvio il procedimento che potrebbe sfociare nell'atto presidenziale di scioglimento consista, secondo la sciatta formula usata dal legislatore delegato, in un «accertamento» della Corte dei conti non altrimenti definito e precisato. Si vuoi dire che, mentre appare importante e garantista l'inserimento nel procedimento di scioglimento di un accertamento «tecnico» affidato alla magistratura contabile, non appare accettabile che il legislatore abbia lasciato del tutto indefinita la natura, le modalita' e i limiti di questo accertamento, che e' invero cruciale per l'applicazione del potere di scioglimento previsto dalla norma e, in definitiva, per la realizzazione delle finalita' stesse dell'intervento legislativo. Nulla e' precisato invero in ordine alla natura del controllo effettuato dalla Corte dei conti, di talche' non e' chiaro se si tratta di attivita' posta in essere dalla sezione di controllo o se, invece, si tratta di attivita' che prevede l'esercizio dei poteri giurisdizionali propri della magistratura contabile, se basta una prima valutazione o se occorra invece l'accertamento definitivo di un secondo grado (che in sede di controllo andrebbe peraltro individuato!). La portata astrattamente garantistica del procedimento delineato dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, derivante dalla sua somiglianza al modello costituito dall'art 126, comma 1, Cost., viene cosi' ad essere svuotata di ogni reale significato alla luce della mancata disciplina dell'attivita' (di nuovo, di controllo o giurisdizionale?) assegnata alla Corte dei conti nell'ambito dello scioglimento sanzionatorio. Si tratta di lacuna talmente grave e profonda da minare alle fondamenta la funzionalita' dell'intero sistema delineato dalla norma. 2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 149 del 2011 per contrasto con gli artt. 120, comma 2, e 126, comma 1, Cost. 2.1 Spia fortemente sintomatica di un grave atteggiamento lesivo dell'autonomia che la Costituzione assegna alle Regioni e' la norma recata dall'art. 2, comma 5, del d.lgs. 149 che vale, invero, a mettere a nudo anche la portata in realta' gravemente limitativa delle prerogative regionali del precedente comma 2. Il menzionato comma 5 risulta costituzionalmente illegittimo laddove prevede che, a seguito della rimozione del Presidente della Giunta regionale ex art. 126, comma 1, Cost., e nelle more dell'insediamento del nuovo Presidente, le competenze ad esso spettanti relative all'ordinaria amministrazione e agli atti improrogabili siano esercitate da un commissario ad acta. In particolare, la violazione delle prerogative costituzionalmente garantite alla Regione risulta palese nella parte in cui tale disposizione affida la nomina di detto commissario al Consiglio dei Ministri, senza che sia prevista alcuna forma procedimentale idonea a garantire un coinvolgimento dell'ente territoriale interessato e, conseguentemente, il rispetto dell'autonomia costituzionale dello stesso. Non sfugge alla scrivente difesa come Codesta Ecc.ma Corte abbia riconosciuto la competenza del legislatore statale in ordine alla disciplina delle - sole - conseguenze dello scioglimento o della rimozione cd. «sanzionatori», anche in ordine all'esercizio delle funzioni fino all'elezione dei nuovi organi (in tal senso, Corte cost., sent. n. 196 del 2003). Tuttavia, non puo' al contempo essere posta in discussione la necessita' che, per essere compatibile con il dettato costituzionale, la disciplina statale rechi delle previsioni rispettose delle garanzie procedurali immediatamente desumibili dallo stesso art. 126, comma 1, Cost. In tal senso, il menzionato articolo dispone espressamente che lo scioglimento del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta regionale per le ipotesi ivi richiamate siano decisi con decreto motivato del Presidente della Repubblica, previo parere obbligatorio della Commissione parlamentare bicamerale per le questioni regionali. E' evidente come la particolare procedura delineata dalla disposizione costituzionale risponda alla precipua finalita' di approntare una serie di stringenti garanzie a salvaguardia dell'autonomia regionale a fronte di ipotesi di intervento statale altamente limitative di tale autonomia. Lo stesso comma 2 dell'impugnato art. 2 - pur con gli evidenti profili di illegittimita' supra richiamati - ha circondato la dichiarazione di grave dissesto finanziario regionale da una serie di adempimenti procedimentali astrattamente volti ad assicurare la tutela delle prerogative regionali. Si fa riferimento, in particolare, alla necessita' che il provvedimento «sanzionatorio» statale, deliberato dal Consiglio dei Ministri con la partecipazione dello stesso Presidente della Giunta regionale, assuma la veste di D.P.R. e sia preceduto dal parere conforme della Commissione parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due terzi dei componenti. Di contro, il comma 5, nel rimettere all'esclusiva decisione del Consiglio dei Ministri la nomina di un commissario ad acta per l'esercizio delle competenze del Presidente della Giunta rimosso, omette del tutto di prevedere la benche' minima forma di salvaguardia in favore dell'Ente-Regione. E', allora, evidente come anche tale comma 5, qui impugnato al pari delle altre disposizioni, tradisca, in maniera manifesta, l'impostazione apertamente garantistica prescritta dall'art. 126, comma 1, Cost., con riferimento alle ipotesi di destituzione degli organi di governo regionali per grave violazione di legge - nozione nella quale, come si e' gia' avuto modo di osservare, l'impugnato art. 2 pretende di ricondurre il grave dissesto finanziario della Regione. Se, dunque, per lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta, la Carta costituzionale impone la necessaria consultazione della Commissione bicamerale per le questioni regionali, l'acquisizione del parere da parte del suddetto organo parlamentare risulta tanto piu' indispensabile laddove debba provvedersi all'individuazione del soggetto chiamato a sostituire gli organi regionali rimossi e quindi ad esercitare le competenze loro attribuite direttamente a livello costituzionale. Del resto, non puo' certamente ritenersi compatibile con la rinnovata autonomia regionale, riconosciuta dall'art. 114 Cost., una previsione statale che, pur nel perseguimento di interessi nazionali unitari, pretermetta del tutto di qualsivoglia garanzia a tutela di tale autonomia. E' evidente, in tal senso, come non possa tollerarsi che ad una compressione cosi' stringente dell'ordinamento regionale - come quella prevista nel caso di specie - non si accompagni la contestuale predisposizione di strumenti idonei ad assicurare, neanche in via indiretta, la salvaguardia degli interessi territoriali. Del resto, emblematica e' la considerazione del fatto che, ogniqualvolta la Costituzione ha inteso ammettere un intervento statale direttamente incidente in termini di coartazione delle attribuzioni regionali, ha in ogni caso previsto il necessario rispetto di una scansione procedimentale che assicuri il minor sacrificio possibile di dette attribuzioni. Al riguardo, soccorre la chiara giurisprudenza espressa da Codesta Ecc.ma Corte in tema di nomina di commissario ad acta da parte del Governo nell'esercizio del potere sostitutivo nei confronti delle Regioni. Gia' prima della riforma dell'art. 120, comma 2, Cost. ad opera della L.cost. n. 3/2001 - disposizione poi attuata dall'art. 8 L. n. 131/2001 - il giudice costituzionale aveva pacificamente riconosciuto che la disciplina delle ipotesi di surrogazione statale nei confronti degli enti territoriali dovesse assicurare a questi ultimi idonee garanzie partecipative, in coerenza con il fondamentale principio di leale collaborazione che deve sempre informare i rapporti tra due distinti enti costituzionalmente autonomi (in tal senso, ex multis, Corte cost., sentenze n. 2 del 2010, n. 383 del 2005 e n. 240 del 2004). Di contro, con riferimento alla disposizione oggetto del presente giudizio di costituzionalita', nessuna garanzia e' stata prevista a tutela dell'autonomia regionale costituzionalmente prevista. Difatti, la nomina del commissario ad acta avviene da parte del Consiglio dei Ministri, senza che sia garantito alcun coinvolgimento della Regione. Emerge, pertanto, in maniera netta la grave compromissione della sfera di autonomia costituzionale riconosciuta alle Regioni, in aperto contrasto con l'art. 126, comma 1, Cost. 2.2. Sotto diverso profilo, la disposizione censurata risulta altresi' lesiva delle prerogative costituzionalmente garantite alla Regione laddove affida, sia pure temporaneamente, ad un organo meramente amministrativo, lo svolgimento di competenze genericamente limitate «all'ordinaria amministrazione» e agli «atti improrogabili». Tale conclusione, del resto, trova immediato conforto nella recentissima sentenza n. 165 del 2011, mediante la quale Codesta Ecc.ma Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale di una disposizione statale che attribuiva la potesta' di sostituzione delle Regioni direttamente ad un commissario ad acta. Di contro, come chiaramente affermato dal giudice costituzionale, l'art. 120, comma 2, Cost., pur ammettendo che il Governo eserciti l'intervento sostitutivo per mezzo di un commissario, pretende tuttavia che la nomina di quest'ultimo debba essere in ogni caso strettamente limitata a singole attivita' specificamente individuate, non gia' estendersi a competenze di rilievo generale ed omnicomprensivo, immediatamente inerenti a valutazioni che, in una situazione normale, sarebbero invece riservate all'organo politico. Ebbene, non v'e' chi non veda come, anche sotto tale ulteriore profilo, il comma 5 del menzionato art. 2 d.lgs. n. 149/2011 si pone in stridente contrasto con i principi affermati dalla richiamata giurisprudenza costituzionale, nella misura in cui affida lo svolgimento della totalita' delle competenze che sono naturalmente attribuite al Presidente della Giunta regionale, quale organo rappresentativo e di governo della Regione. Ne deriva, con ogni evidenza, un grave vulnus a danno delle prerogative costituzionalmente garantite alle Regioni. 2.3. In ultimo, le previsioni di cui al menzionato comma 5 risultano, altresi', costituzionalmente illegittime laddove, in palese contraddizione con l'art. 126, comma 1, Cost., non dispongono alcunche' in ordine al termine entro il quale devono essere celebrate le elezioni per il rinnovo degli organi regionali sciolti o rimossi. Se e' facile desumere che il termine finale per il regime commissariale coincide con l'insediamento del nuovo Presidente regionale, del tutto oscura resta invece l'individuazione di una data certa per l'elezione di quest'ultimo. Ne', per giunta, e' dato comprendere quale sia l'organo investito del potere di indire le elezioni stesse, non essendo lo stesso disciplinato ne' in riferimento al D.P.R. di scioglimento del Consiglio regionale e rimozione del Presidente della Giunta (di cui al comma 2), ne' rispetto al commissario ad acta (comma 5). Pur con riferimento al diverso caso di annullamento delle elezioni regionali - ipotesi comunque relativa ad un'interruzione anomala della legislatura regionale al pari di quella che qui ci occupa - Codesta Ecc.ma Corte ha sottolineato la necessita' di una disciplina legislativa che consenta il tempestivo rinnovo degli organi regionali, cosi' da evitare di «prolungare irragionevolmente una situazione patologica e di carenza costituzionale» (sent. n. 196 del 2003, citata). E' evidente come una siffatta esigenza si renda tanto piu' pressante in nell'ipotesi disciplinata dalla disposizione statale impugnata, inerente non gia' alla prorogatio di organi regionali scaduti, bensi' alla sostituzione di questi ad opera dello Stato per mezzo di commissario ad acta all'uopo nominato. Appare chiaro, pertanto, come la legittimita' dell'esercizio da parte di un organo statale - per di piu' amministrativo - di funzioni spettanti agli organi regionali, naturalmente preposti al governo dell'ente, sia necessariamente subordinata alla previsione di un limite temporale certo ed espresso rispetto alla durata di tale sostituzione. L'omissione di siffatta disciplina si traduce inevitabilmente nell'illegittimo protrarsi sine die della compressione dell'autonomia regionale, in contraddizione insanabile con le previsioni dell'art. 126, comma 1, Cost. Anche sotto tale profilo, ne deriva la grave violazione delle prerogative regionali. In definitiva, la nomina di chi gestira' la fase transitoria fino alle elezioni deve essere contestuale, e con le medesime garanzie, all'atto con cui si procede alla rimozione del Presidente ed allo scioglimento del Consiglio regionale: voto della Commissione bicamerale e intervento del Presidente della Repubblica sono irrinunciabili presidi di garanzia della autonomia regionale. 3. Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2011, per contrasto con l'art. 122, comma 1, Cost. (violazione della competenza regionale, nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, in materia di ineleggibilita' e incompatibilita' del Presidente della Giunta regionale) A norma dell'art. 122, comma 1, Cost., «i casi di ineleggibilita' e di incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi». L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2011 prevede che il Presidente rimosso per grave dissesto finanziario «e' incandidabile alle cariche elettive a livello locale, regionale, nazionale ed europeo per un periodo di tempo di dieci anni». La disposizione prevede altresi' che il Presidente rimosso non possa essere nominato quale componente di alcun organo o carica di governo degli enti locali, delle regioni, dello Stato e dell'Unione europea per un periodo di tempo di dieci anni. In primo luogo sembrerebbe del tutto improprio tentare di ricondurre la c.d. incandidabilita', di cui alla disposizione qui indubbiata, ad un'ipotesi di indegnita' morale - di cui l'art. 48 Cost. rimette l'indicazione alla legge (v. art. 2 d.P.R. n. 223 del 1967) - in ragione del fatto che essa limita il diritto di elettorato passivo e non anche quello attivo (e, per di piu', dei soli presidenti delle giunte regionali). Dall'art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004, di attuazione dell'art. 122, comma 1, della Costituzione («Fatte salve le disposizioni legislative statali in materia di incandidabilita' per coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione, le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilita', specificamente individuati, di cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti dei seguenti principi fondamentali...») si desume come lo Stato mantenga la competenza in materia di incandidabilita' relativamente a «coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei cui confronti sono state applicate misure di prevenzione»: si tratta di situazioni normate dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, recante «Nuove disposizioni per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi forme di manifestazione di pericolosita' sociale»). Proprio con riguardo all'incandidabilita', Codesta Ecc.ma Corte ha avuto modo di riferirsi ad essa in termini di «particolarissima causa di ineleggibilita' (sentenza n. 407 del 1992) che il legislatore ha configurato in relazione a vicende processuali ... L'elezione di coloro che versano nelle condizioni di non candidabilita' e' nulla... senza che sia in alcun modo possibile per l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione, come invece e' ammesso per le cause di ineleggibilita' derivanti da uffici ricoperti attraverso la presentazione delle dimissioni o il collocamento in aspettativa (cfr. ancora la sentenza n. 97 del 1991)» (Corte cost., sent. n. 141 del 1996). La ratio di tale riserva statale e' stata individuata, dalla giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte (sent. n. 407 del 1992) nella volonta' di «costituire una sorta di difesa avanzata dello Stato contro il crescente aggravarsi del fenomeno della criminalita' organizzata e dell'infiltrazione dei suoi esponenti negli enti locali; le finalita' che si sono intese perseguire sono la salvaguardia dell'ordine e della e sicurezza pubblica, la tutela della libera determinazione degli organi elettivi; il buon andamento e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche. L'intervento dello Stato appare pertanto essenzialmente diretto a fronteggiare una situazione di grave emergenza [...], emergenza che coinvolge interessi ed esigenze dell'intera collettivita' nazionale, connessi a valori costituzionali di primario rilievo, in quanto strettamente collegati alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica». Orbene, poiche' come e' evidente, l'impugnato art. 2, comma 3, del d.lgs. 149 del 2011, incide profondamente in materia di elettorato passivo, si puo' dubitare, in primo luogo, che la tutela dei valori costituzionali che si intende tutelare rispetti «la regola della necessarieta' e della ragionevole proporzionalita'» della limitazione imposta al diritto di elettorato passivo (v. in tal senso Corte cost. 141 del 1996 in riferimento agli articoli 2, 3 e 51 Cost.), in ragione del fatto che in questo caso il fine della norma qui impugnata non e' certo quello di garantire le libera determinazione degli organi elettivi minacciati dall'infiltrazione della criminalita' organizzata di stampo mafioso, ma al contrario quella di sanzionare i Presidenti delle regioni - con una profonda limitazione del diritto di partecipazione alla vita pubblica - in conseguenza di atti di natura politica il cui accertamento e' rimesso alla valutazione di un altro organo politico. A cio' deve inoltre aggiungersi che rimane evidente la violazione dell'art. 122, comma 1, Cost., il quale prevede che i casi di ineleggibilita' e incompatibilita' del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. Orbene la legge n. 165 del 2004, come precisato dal suo art. 1, stabilisce in via esclusiva, ai sensi dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione», i predetti principi fondamentali, ricomprendendo tra questi anche disposizioni attinenti alle cause di ineleggibilita' non rimovibili dall'interessato: sia quelle «particolarissime» di cui alla cit. legge 55 del 1990 (art. 2, comma 1, alinea) - sia pure per escluderle dal novero delle competenze regionali - sia quelle di cui alla previsione della non immediata rieleggibilita' del Presidente della Giunta regionale allo scadere del secondo mandato consecutivo, sulla base della normativa regionale vigente in materia (art. 2, comma 1, lett. f). Orbene, alla luce del richiamato quadro normativo, la previsione in questione appare di dubbia legittimita' costituzionale in quanto collocata fuori dall'apposita sedes materiae (la legge quadro n. 164) cui la disposizione costituzionale ne rimette la disciplina organica (e cio' vale anche se la previsione oggetto dei rilievi sia da intendersi come disposizione di esclusione assimilabile a quella di cui all'alinea dell'art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004). Com'e' noto, infatti, mentre e' dubbio che il legislatore ordinario possa vincolare il legislatore futuro al rispetto del principio di organicita' della disciplina legislativa di una determinata materia (v. ad es. art. 183, comma 6, del d.lgs. 42 del 2004) certamente non vale lo stesso nel caso in cui il vincolo nasca in virtu' di una norma gerarchicamente superiore, non mancando nell'ordinamento ipotesi del genere sia a livello statale (v. ad es. art. 1, comma 4, d.lgs. 267 del 2000, con riferimento al precedente testo costituzionale) che a livello regionale (v. ad es. art. 44, commi 3 e 5, dello Statuto della Toscana). Va anche considerato che se e' vero che, in base a quanto disposto dall'art. 1, comma 3 della legge 131 del 2003 («Nelle materie appartenenti alla legislazione concorrente, le Regioni esercitano la potesta' legislativa nell'ambito dei principi fondamentali espressamente determinati dallo Stato o, in difetto, quali desumibili dalle leggi statali vigenti»), la legislazione statale nelle materie appartenenti alle materie concorrenti e' certamente sottratta al vincolo di organicita', e' anche vero tuttavia che, secondo quanto si ricava dall'art. 1, comma 4, della medesima legge, le materie di legislazione concorrente sono da intendersi solo quelle previste dall'art. 117, comma 3, Cost. A fronte del prospettato quadro evidente risulta il contrasto con l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2011 con l'art. 122, comma 1, Cost. (1) http://www.salute.gov.it/pianiRientro/paginaInternaMenuPianiRient ro.jsp?id=1870 & menu=campania (ultima visualizzazione: 18/11/2011).
P.Q.M. Chiede che codesta ecc.ma Corte, in accoglimento del presente ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, commi, 2, 3 e 5, del decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 149 per violazione degli articoli 122, 126, 120 della Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza. Roma-Napoli, 19 novembre 2011 Prof. Avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia