N. 154 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 novembre 2011

Ricorso per questione di legittimita'  costituzionale  depositato  in
cancelleria il 23 novembre 2011 (della Regione Campania). 
 
Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali
  relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17  e
  26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo  in  materia
  di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica  del  Presidente
  della Giunta regionale - Previsione,  in  caso  di  grave  dissesto
  finanziario, dello scioglimento del  Consiglio  regionale  e  della
  rimozione del Presidente della Giunta  regionale  -  Ricorso  della
  Regione Campania - Lamentata violazione dei  limiti  costituzionali
  allo scioglimento dei consigli regionali, per l'introduzione di una
  fattispecie autonoma di responsabilita' politica diversa da  quella
  verso il corpo elettorale prevista dalla Costituzione -  Denunciata
  illegittima  attribuzione  alla  Corte  dei  conti  di  poteri   di
  accertamento  nei  confronti  delle  Regioni  non  previsti   dalla
  Costituzione - Denunciata violazione dei principi di sussidiarieta'
  e  di  leale  collaborazione  per  la  mancanza   di   qualsivoglia
  meccanismo di preavviso che consenta alle regioni di non  incorrere
  nella gravissima sanzione  -  Denunciata  irragionevolezza  per  la
  mancata precisazione della natura giurisdizionale  o  di  controllo
  del potere di accertamento attribuito alla Corte dei conti. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 2. 
- Costituzione, artt. 120, 122 e 126. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali
  relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17  e
  26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo  in  materia
  di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica  del  Presidente
  della Giunta regionale - Previsione della  non  candidabilita'  del
  Presidente  della  Giunta  regionale  rimosso  per  grave  dissesto
  finanziario alle cariche elettive a livello  locale,  nazionale  ed
  europeo per un  periodo  di  tempo  di  dieci  anni  -  Previsione,
  altresi', che lo stesso non possa essere nominato quale  componente
  di alcun organo o  carica  di  governo  degli  enti  locali,  delle
  regioni, dello Stato e dell'unione europea per un periodo di  dieci
  anni - Ricorso della Regione Campania - Denunciata irragionevolezza
  e     mancanza     di     proporzionalita'      della      sanzione
  dell'incandidabilita',   in   comparazione   con   altre    ipotesi
  legislativamente previste, tutte connesse a gravissimi  episodi  di
  criminalita'. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 3. 
- Costituzione, artt. 120, 122 e 126. 
Bilancio e contabilita' pubblica - Meccanismi sanzionatori e premiali
  relativi a regioni, comuni e province, a norma degli artt. 2, 17  e
  26 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo  in  materia
  di federalismo fiscale) - Responsabilita' politica  del  Presidente
  della Giunta regionale - Previsione, nelle  more  dell'insediamento
  del nuovo Presidente della giunta regionale,  in  luogo  di  quello
  rimosso,  della  nomina,  con  deliberazione  del   consiglio   dei
  ministri, su proposta del Ministro dell'economia e  delle  finanze,
  di concerto con il Ministro della salute e sentito il Ministro  per
  i rapporti con le regioni e per la  coesione  territoriale,  di  un
  nuovo commissario ad acta  per  l'esercizio  delle  competenze  del
  Presidente   della   giunta   regionale   concernenti   l'ordinaria
  amministrazione e gli atti improrogabili -  Ricorso  della  Regione
  Campania  -  Denunciata  violazione  dell'autonomia  costituzionale
  regionale per la mancanza di forme procedimentali di coinvolgimento
  della Regione e il parere della Commissione bicamerale - Denunciata
  lesione dell'autonomia regionale per la mancata  limitazione  della
  nomina del commissario ad acta a singole  attivita'  specificamente
  individuate e per la mancata indicazione del termine in cui debbono
  essere celebrate le elezioni per il rinnovo del consiglio regionale
  - Denunciata  violazione  dell'autonomia  regionale  per  l'assenza
  delle garanzie dell'intervento del decreto motivato del  Presidente
  della Repubblica e del parere della Commissione bicamerale. 
- Decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, art. 2, comma 5. 
- Costituzione, artt. 120, 122 e 126. 
(GU n.4 del 25-1-2012 )
    Ricorso della Regione Campania (c.f. 80011990636), in persona del
Presidente della Giunta regionale  pro  tempore,  on.  dott.  Stefano
Caldoro, rappresentata e difesa, ai sensi delle delibere della Giunta
regionale n. 616 dell'11 novembre 2011, giusta procura a margine  del
presente atto, unitamente e disgiuntamente,  dall'avv.  Maria  D'Elia
(c.f. DLEMRA53H42F839H), dell'Avvocatura regionale, e dal prof.  avv.
Beniamino Caravita di Toritto  (c.f.  CRVBMN54D19H501A),  del  libero
foro, ed elettivamente domiciliata presso l'Ufficio di rappresentanza
della Regione Campania sito  in  Roma  alla  via  Poli  n.  29  (fax:
06/42001646; pec abilitata: cdta@legalmail.it); 
    Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro  tempore  per
la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 2,  commi
2, 3 e 5, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149, avente ad
oggetto «Meccanismi  sanzionatori  e  premiali  relativi  a  regioni,
province e comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26  della  legge  5
maggio 2009, n. 42», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 settembre
2011, n. 219, per violazione  degli  articoli  122,  126,  120  della
Costituzione, nonche' del principio di ragionevolezza. 
 
                                Fatto 
 
    Con decreto legislativo del 6 settembre 2011, n. 149, il Governo,
nell'esercizio della delega di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42 in
materia di federalismo fiscale, in  attuazione  dell'art.  119  della
Costituzione,  ha  emanato  un  complesso  di  disposizioni   recanti
«Meccanismi sanzionatori e premiali relativi a  regioni,  province  e
comuni, a norma degli articoli 2, 17 e 26 della legge 5 maggio  2009,
n. 42». 
    L'intervento normativo, articolato in 17  articoli  ripartiti  in
tre capi,  costituisce  attuazione  delle  innovazioni  istituzionali
introdotte con l'attuazione del federalismo fiscale. Esso si prefigge
lo  scopo  di  responsabilizzare  gli  enti   territoriali   mediante
l'individuazione di  fattispecie  di  «responsabilita'»  e  favorendo
altresi' la trasparenza delle decisioni di spesa e  la  loro  precisa
imputabilita'. 
    Il primo capo e' dedicato  ai  meccanismi  sanzionatori.  Al  suo
interno, l'art. 1 impone alle Regioni di redigere  un  inventario  di
fine  legislatura,  contenente  la  descrizione   dettagliata   delle
principali informazioni relative all'attivita' di governo finalizzate
al contenimento della spesa, alla convergenza verso i costi standard,
allo stato certificato della  spesa  sanitaria  e  dell'indebitamento
regionale. Un simile strumento viene  predisposto  (art.  4)  per  le
stesse finalita', anche con riguardo alle province e ai comuni. 
    Un meccanismo sanzionatorio particolarmente  incisivo  e'  quello
previsto ex art. 2, oggetto -  come  meglio  si  precisera'  -  della
presente questione di legittimita' costituzionale. La norma definisce
le condizioni in presenza delle  quali  si  verifica  grave  dissesto
finanziario,  con  riferimento  al  disavanzo  sanitario,   tale   da
determinare  grave  violazione  di  legge  e,  conseguentemente,   lo
scioglimento ex art. 126, comma 1, della Costituzione, del  Consiglio
regionale  e  la  rimozione   del   Presidente   della   Giunta   per
«responsabilita' politica» nel  proprio  mandato  di  amministrazione
della regione. 
    Sono inoltre previste, in caso  di  grave  dissesto  finanziario,
ipotesi  di  decadenza  automatica  e  interdizione  dei   funzionari
regionali e dei revisori dei conti (art. 3). Viene  poi  prevista  la
possibilita' per  il  Ministero  dell'economia  e  delle  finanze  di
attivare    verifiche    sulla     regolarita'     della     gestione
amministrativo-contabile  anche  in  riferimento  a   situazioni   di
squilibrio  finanziario  riferibili  a  nuovi  ulteriori   indicatori
precisati dalla norma. Vengono poi configurate all'art. 6 ipotesi  di
responsabilita'  politica  del  presidente  della  provincia  e   del
sindaco, mediante modifiche ad hoc dell'art. 248 del  d.lgs.  n.  267
del 2000, e vengono infine previsti (art. 7) gli  obblighi  ai  quali
sono assoggettate le regioni e gli enti locali che non rispettano  il
patto di stabilita' interno. 
    Il capo II del decreto legislativo  individua  alcuni  meccanismi
premiali che, sia consentito  sottolinearlo,  evidenziano  un  chiaro
disequilibrio  rispetto  all'incisivita'  e  alla   consistenza   dei
meccanismi sanzionatori previsti dal capo precedente.  Si  tratta  di
benefici da riconoscere alle regioni che hanno registrato un rapporto
uguale o inferiore alla media nazionale fra spesa per il personale  e
spesa  corrente.  Ulteriori  meccanismi  premiali  sono   diretti   a
razionalizzare la spesa sanitaria a favore delle Regioni che dal 2012
istituiscano   una   Centrale   regionale   per   gli   acquisti    e
l'aggiudicazione di procedure di  gara  per  l'approvvigionamento  di
beni e servizi, nonche'  altre  misure  in  relazione  ai  prezzi  di
riferimento delle prestazioni e dei servizi sanitari e  non  sanitari
(art. 9). E' poi previsto il  concorso  delle  province  nella  lotta
all'evasione fiscale e incentivi per l'impegno in tale attivita'. 
    Infine, al Capo III, trovano spazio  alcune  disposizioni  finali
relative alle province autonome di Trento e Bolzano, al coordinamento
informativo, statistico e informatico dei dati delle  amministrazioni
pubbliche, nonche' in materia di interventi del settore creditizio  a
favore  del   pagamento   delle   imprese   creditrici   degli   enti
territoriali. 
    Tra  queste  disposizioni,   gravemente   lesiva   dell'autonomia
regionale, per i motivi che subito si  preciseranno,  e'  sicuramente
l'art. 2 di cui si pone questione di legittimita' costituzionale. 
    Il comma 2, del richiamato art. 2, in particolare, dispone che il
«grave  dissesto  finanziario»,  cosi'  come  definito  dal   decreto
medesimo al precedente comma  1,  «costituisce  grave  violazione  di
legge» ai sensi dell'art. 126, comma 1, Cost. e  che,  in  tal  caso,
sono disposti lo scioglimento  del  Consiglio  regionale  nonche'  la
rimozione del Presidente della giunta regionale «per  responsabilita'
politica nel proprio mandato di amministrazione  della  regione»  ove
sia ccertata dalla Corte dei conti la sussistenza delle condizioni di
dissesto dettate al comma 1 e  «la  loro  riconduzione  alla  diretta
responsabilita' con dolo o colpa grave del  Presidente  della  Giunta
regionale». La  disposizione  precisa  inoltre  che  il  decreto  del
Presidente della Repubblica  e'  adottato  previa  deliberazione  del
Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio  dei
ministri, previo parere conforme della commissione  parlamentare  per
le questioni regionali espresso  a  maggioranza  dei  due  terzi  dei
componenti. Alla riunione del Consiglio  dei  ministri  partecipa  il
Presidente della Giunta regionale interessato. 
    Il  comma  3  prescrive  che  il  Presidente  cosi'  rimosso   e'
incandidabile alle cariche  elettive  a  livello  locale,  regionale,
nazionale ed europeo per un periodo di dieci anni e non  puo'  essere
nominato, per lo stesso periodo decennale, quale componente di  alcun
organo o carica di governo degli enti locali,  delle  Regioni,  dello
Stato e dell'Unione europea. 
    Al comma 5 viene precisato che nelle more  dell'insediamento  del
nuovo Presidente della Giunta regionale, il Consiglio  dei  ministri,
su proposta del Ministro dell'economia e delle finanze,  di  concerto
con il Ministro della salute e sentito il Ministro per i rapporti con
le  regioni  e  per  la  coesione  territoriale,  nomina   un   nuovo
commissario ad acta per l'esercizio delle competenze  del  Presidente
della Giunta regionale concernenti l'ordinaria amministrazione e  gli
atti improrogabili. 
    L'art. 2, commi 2, 3 e 5, del d.lgs. 6  settembre  2011,  n.  149
risulta gravemente lesivo delle prerogative della  Regione  Campania,
in quanto viziato da manifesta illegittimita'  costituzionale  per  i
seguenti motivi di 
 
                               Diritto 
 
1. Illegittimita' dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149  del  2011,
nella parte in cui prevede che il grave dissesto finanziario  -  come
definito dal  comma  1  -  determina  lo  scioglimento  degli  organi
regionali, per contrasto con il principio di ragionevolezza e con gli
artt. 122 e 126 della Costituzione. 
    1.1 L'art. 2, comma 2, del d.lgs. n.  149  del  2011  prevede  lo
scioglimento  del  Consiglio  regionale  nonche'  la  rimozione   del
Presidente della Giunta «per  responsabilita'  politica  nel  proprio
mandato»,  quale  conseguenza  del  grave  dissesto  finanziario  con
riferimento al disavanzo sanitario, come precisato e individuato  dal
comma  1.  Si  tratta  di  fattispecie  che   riguarda   le   regioni
assoggettate a  piano  di  rientro  al  verificarsi  congiunto  delle
condizioni precisate dal comma 1, vale a dire:  mancato  adempimento,
anche solo parziale («in tutto o in parte»), da parte del  Presidente
della Giunta regionale nominato Commissario ad acta (ex art. 2, commi
79 e 83, della legge n. 191 del 2009) all'obbligo  di  redazione  del
piano  di  rientro  o  agli   obblighi   operativi   derivanti;   non
raggiungimento degli  obiettivi  del  piano;  incremento  al  livello
massimo dell'aliquota Irpef per due esercizi consecutivi. 
    In   primo   luogo,   di   dubbia    legittimita'    appare    la
autoqualificazione operata dal legislatore ordinario al comma  2,  in
relazione all'ipotesi di  grave  dissesto  precisata  dal  precedente
comma 1, quale fattispecie costituente «grave violazione  di  legge»,
con evidente richiamo al dettato dell'art. 126, comma 1,  Cost  .  E'
infatti ben noto il principio tradizionalmente affermato  da  Codesta
Ecc.ma  Corte,  alla  stregua  del  quale:  «la  qualificazione   del
legislatore non puo' [quindi], assumere valore  precettivo,  tale  da
attribuire alle norme una natura diversa da quella ad  esse  propria,
quale  risulta  dalla  loro  oggettiva  sostanza.  Essa  costituisce,
piuttosto, un'esplicita indicazione dell'intenzione  del  legislatore
ed  acquista   valore   sintomatico   delle   caratteristiche   delle
disposizioni» (Corte cost., sent. n. 482 del 1995). Principio  sempre
confermato, anche in tempi piu'  recenti,  allorche'  Codesta  Ecc.ma
Corte ha ribadito come sia «costante l'orientamento secondo  cui,  ai
fini del giudizio di legittimita' costituzionale,  la  qualificazione
legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura  diversa  da
quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva  sostanza»
(sent. n. 169 del 2007 e le ivi richiamate sentenze n. 447 del 2006 e
n. 482 del 1995). 
    Evidenziata  quindi,  anche  sulla  scorta  dell'insegnamento  di
Codesta Ecc.ma Corte,  l'irrilevanza,  in  termini  di  capacita'  di
autoqualificazione, delle asserzioni del legislatore in  ordine  alla
configurazione dell'ipotesi di dissesto di cui all'art. 2,  comma  2,
come precisato dal precedente comma  1,  come  «grave  violazione  di
legge», deve altresi' mettersi in luce  il  confuso  accostamento  di
tale situazione di dissesto (autoqualificata  in  termini  di  «grave
violazione di legge») quale  condizione  che  determina  l'avvio  del
procedimento di dissoluzione degli organi regionali, ad  una  ipotesi
di non meglio precisata di «responsabilita' politica  nel...  mandato
di amministrazione della regione» (ancora art. 2, comma 2, d.lgs.  n.
149 del 2011). Se responsabilita' vi e',  non  e'  certo  «politica»,
giacche'  la  responsabilita'  politica  e'  quella  verso  il  corpo
elettorale: la  incertezza  delle  parole,  quando  si  affronta  una
questione delicata  quale  quella  dello  scioglimento  degli  organi
regionali, e'  sintomo  di  una  grave  incertezza  concettuale,  che
rischia di riverberarsi sulle prassi costituzionali, istituzionali  e
amministrative. In questi casi, non  puo'  valere  un  sorriso  e  la
battuta secondo  cui  si  tratta  solo  di  intemperanze  verbali....
Invero, la norma risulta afflitta da un elevato tasso di  genericita'
e di confusione, tale da ridondare nella sua illegittimita', sotto  i
seguenti due profili. 
    1.1.1. Del tutto errato appare il riferimento ad una  ipotesi  di
«responsabilita'  politica»   che,   invero   la   Costituzione,   in
riferimento all'organo di governo  regionale,  configura  in  maniera
esclusiva nei riguardi del  Corpo  elettorale,  per  il  tramite  del
Consiglio regionale. 
    Appare   incomprensibile   (e,   in    definitiva,    fuorviante)
l'accostamento   al   sostantivo   «responsabilita'»   dell'aggettivo
«politica» nel contesto della norma qui indubbiata.  E'  infatti  fin
troppo  noto  che  la  Costituzione,  nel  sistema  derivante   dalle
modifiche apportate dalla legge cost. n. 1 del 1999,  ha  configurato
una forma di governo regionale che, fatte salve  diverse  e  autonome
scelte degli statuti regionali, e' basato sulla elezione a  suffragio
universale e diretto del Presidente della Giunta (art. 122, comma  5,
Cost.) il quale puo' essere colpito da mozione di sfiducia  approvata
dal Consiglio  regionale  (con  conseguenti  dimissioni  obbligatorie
della Giunta e scioglimento del Consiglio), in forza del  vincolo  di
responsabilita' politica nei confronti dell'elettorato, unico vincolo
di responsabilita' politica previsto dalla Costituzione a carico  del
Presidente della Giunta regionale (art. 126, comma 3, Cost.). 
    Come precisato da codesta Ecc.ma Corte: «Il principio  funzionale
largamente noto con l'espressione aut simul stabunt aut simul  cadent
esclude che possano essere introdotti circuiti fiduciari  collaterali
ed accessori rispetto alla presuntiva unita'  di  indirizzo  politico
derivante dalla contemporanea investitura popolare  di  Presidente  e
Consiglio» (Corte  cost.,  sent.  n.  12  del  2006).  E'  del  tutto
evidente,  pertanto,  come  l'unica   ipotesi   di   «responsabilita'
politica» del Presidente della Regione, prevista dalla  Costituzione,
in riferimento al  sistema  di  elezione  a  suffragio  universale  e
diretto - connessa con  il  rapporto  fiduciario  sottostante  -  sia
quella che lega, in via esclusiva, l'organo di governo  al  Consiglio
regionale, e quindi agli elettori. L'art. 2, comma 2, del  d.lgs.  n.
149 del 2011 si pone quindi in aperto contrasto con l'art. 126  Cost.
nella  parte  in  cui  sembra  fare   riferimento   ad   ipotesi   di
«responsabilita' politica» in esso non contemplate. 
    1.1.2. Accertata l'erroneita'  della  categoria  «responsabilita'
politica» di cui all'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149, va  rilevato
come   essa   appare   anche   utilizzata   in   modo   assolutamente
contraddittorio rispetto al richiamato sistema previsto dall'art. 126
Cost. La norma costituzionale infatti, lo  si  ricorda,  definisce  o
un'ipotesi di scioglimento ab esterno (al comma  1)  oppure,  in  via
alternativa, un'ipotesi di scioglimento originato  all'interno  delle
istituzioni regionali,  in  ragione  della  responsabilita'  politica
fatta valere mediante  mozione  di  sfiducia  e  con  il  conseguente
scioglimento degli organi regionali. L'impugnato art. 2, comma 2, del
d.lgs. 149 del 2011, invece,  ingenerando  confusione  e  incertezza,
accosta e sovrappone  in  un'unica  figura  di  incerta  portata  una
ipotesi ex art. 126, comma 1, Cost. di «grave  violazione  di  legge»
(autoqualificata tale) ad una vaga, imprecisata e  costituzionalmente
inedita ipotesi  di  «responsabilita'  politica»  diversa  da  quella
prevista dal comma 3, cosi' creando un tertium genus tra le cause  di
scioglimento  degli  organi  regionali  non  previsto  e  dunque   in
contrasto con l'art. 126 Cost. 
    1.2. In aggiunta ai due profili di ambiguita' ed incertezza sopra
ricordati, che ridondano in evidente violazione dell'art.  126,  deve
rilevarsi come  rappresenti  evidente  violazione  del  principio  di
ragionevolezza la mancata previsione  dello  scorporo  del  disavanzo
accumulato  nel  corso  delle  gestioni  precedenti,  ai  fini  della
determinazione della «responsabilita'» imputabile al Presidente della
Giunta regionale pro tempore. 
    Lesiva  del  medesimo  principio  appare  l'assoggettamento  allo
scioglimento degli organi regionali nel caso in cui il  Presidente  -
Commissario ad acta che non abbia adempiuto «in  tutto  o  in  parte»
all'obbligo di  redazione  del  piano  di  rientro  o  agli  obblighi
operativi, anche temporali, derivanti dal piano stesso. 
    Del tutto abnorme e dalle conseguenze incontrollabili  appare  la
previsione alla stregua della quale anche un parziale  inadempimento,
benche' minimo, possa configurare la grave violazione  di  legge,  in
palese contraddizione con il principio di  proporzionalita'.  Sembra,
infine, irragionevole  che  la  responsabilita'  del  grave  dissesto
finanziario sia riferita in capo  al  solo  Presidente  della  Giunta
regionale,  a  prescindere  -  peraltro  -  dalla  forma  di  governo
determinata dagli statuti e  dalle  leggi  statutarie  delle  singole
regioni. 
    E' noto come la  Regione  ricorrente  abbia  stipulato  Piano  di
rientro (ai sensi della legge n. 311 del 2004), approvato con DGR  n.
460 del 20 marzo 2007. Nonostante gli  sforzi  compiuti,  sulla  base
delle risultanze delle verifiche annuali, la Presidenza del Consiglio
dei Ministri, con  propria  deliberazione  del  28  luglio  2009,  ha
nominato il Presidente pro tempore  della  Regione  Campania  Antonio
Bassolino quale Commissario ad  acta  per  l'attuazione  del  vigente
Piano di Rientro dai disavanzi del settore sanitario della Regione. A
seguito delle Elezioni Regionali del  marzo  2010,  con  la  delibera
della Presidenza del Consiglio dei Ministri del 23  aprile  2010,  e'
stato nominato Commissario ad acta per la prosecuzione del  Piano  di
Rientro dai disavanzi del settore sanitario  della  Regione,  il  neo
Presidente della Regione Campania Stefano Caldoro. 
    Orbene, all'esito della verifica  annuale  per  l'anno  2009,  e'
stato rilevato che, pur permanendo gravi criticita'  in  ordine  alla
riorganizzazione della rete ospedaliera e dei laboratori, sussiste un
miglioramento della gestione e  del  governo  dei  rapporti  con  gli
erogatori  privati  delle  prestazioni  sanitarie  (c.d.  tenuta  dei
tetti). (cfr. sintesi dei dati  ufficiali  pubblicati  sul  sito  del
Ministero della salute (1) ). Certamente il percorso del  risanamento
e' ancora lungi dall'essere compiuto, tuttavia, gli elementi di fatto
appena accennati, non fanno  altro  che  rendere  evidente  un  grave
aspetto di contraddittorieta'  della  disposizione  di  cui  si  pone
questione di legittimita' costituzionale: essa e'  programmaticamente
tesa alla assunzione di responsabilita' in ordine alle gravi  carenze
strutturali  del  sistema  sanitario  regionale  e  alle  misure   di
risanamento definite nell'ambito dei Piani di rientro, ma  non  tiene
in alcun conto dei miglioramenti, ancorche' parziali, nella riduzione
dei  disavanzi,  colpendoli  anzi   quali   inadempimenti   parziali,
ingiustamente addebitati al Presidente pro tempore che,  invero,  con
tutta evidenza, eredita dalle precedenti gestioni  le  situazioni  di
gravissimo  dissesto.  Manca,  nella   previsione   normativa,   ogni
considerazione dei miglioramenti nella gestione commissariale.  Anche
sotto  tali  aspetti,  dunque,  la  norma  appare  illegittima,   per
violazione, oltre che dell'art. 126 Cost.,  anche  del  principio  di
ragionevolezza. 
    1.3. L'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, nel delineare
il procedimento di dissoluzione degli organi regionali,  prevede  che
il decreto  del  Presidente  della  Repubblica  di  scioglimento  del
Consiglio o di rimozione del Presidente della  Giunta  regionale  sia
adottato «ove sia accertata dalla Corte  dei  conti,  la  sussistenza
delle condizioni di cui al comma 1» e  la  riconducibilita'  di  tale
situazione alla «diretta responsabilita' con dolo o colpa  grave  del
Presidente della Giunta  regionale».  La  procedura  delineata  dalla
disposizione  prevede  altresi'  una  successiva  deliberazione   del
Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio  dei
ministri, previo parere conforme della Commissione  parlamentare  per
le questioni regionali  espresso  a  maggioranza  di  due  terzi  dei
componenti. Viene infine prevista la  partecipazione  del  Presidente
della Giunta regionale interessato alla riunione  del  Consiglio  dei
Ministri. 
    Colpisce in primo luogo la mancanza di qualsivoglia meccanismo di
preavviso che consenta alle regioni potenzialmente interessate di non
incorrere nella gravissima, per certi  irreparabile,  sanzione  della
dissoluzione dei propri organi politici. La  carenza  e'  tanto  piu'
notevole ove si abbia riguardo al chiaro dettato dell'art. 120  Cost.
e della relativa norma di attuazione di cui all'art.  8  della  legge
131 del 2003, che, come ricordato di recente da Codesta Ecc.ma  Corte
in una pronuncia che  ha  dichiarato  illegittimo  un  meccanismo  di
potere sostitutivo non rispettoso dei principi  di  sussidiarieta'  e
leale collaborazione, «prevede che il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, su proposta del Ministro competente  per  materia,  assegni
all'ente interessato un congruo termine per adottare i  provvedimenti
dovuti o necessari e che, solo decorso inutilmente detto termine,  il
Consiglio  dei  ministri,  sentito  l'organo  interessato,  assuma  i
provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomini  un  apposito
commissario» (Corte cost., sent. n. 165 del 2011). 
    Inoltre,  mentre  l'iter  procedurale  correttamente  assegna  al
Presidente  della  Repubblica,   in   virtu'   del   suo   ruolo   di
rappresentante dell'unita' nazionale, al di  sopra  delle  parti,  il
ruolo di ultimo supremo decisore e di  unico  soggetto  in  grado  di
valutare al meglio se ricorra la necessita'  dello  scioglimento  del
Consiglio (o della rimozione  del  Presidente  della  Regione,  desta
perplessita' il fatto che il presupposto dal quale  prende  avvio  il
procedimento  che  potrebbe  sfociare  nell'atto   presidenziale   di
scioglimento  consista,  secondo  la  sciatta   formula   usata   dal
legislatore delegato, in un «accertamento» della Corte dei conti  non
altrimenti definito e precisato. 
    Si  vuoi  dire  che,  mentre  appare  importante   e   garantista
l'inserimento nel procedimento di  scioglimento  di  un  accertamento
«tecnico»  affidato   alla   magistratura   contabile,   non   appare
accettabile che il legislatore abbia lasciato del tutto indefinita la
natura, le modalita' e i limiti di questo accertamento, che e' invero
cruciale per l'applicazione del potere di scioglimento previsto dalla
norma e, in definitiva, per la realizzazione delle  finalita'  stesse
dell'intervento legislativo. Nulla e' precisato invero in ordine alla
natura del controllo effettuato dalla Corte dei conti, di talche' non
e' chiaro se si tratta di attivita' posta in essere dalla sezione  di
controllo  o  se,  invece,  si  tratta  di  attivita'   che   prevede
l'esercizio dei  poteri  giurisdizionali  propri  della  magistratura
contabile, se  basta  una  prima  valutazione  o  se  occorra  invece
l'accertamento definitivo  di  un  secondo  grado  (che  in  sede  di
controllo andrebbe peraltro individuato!). 
    La portata astrattamente garantistica del procedimento  delineato
dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 149 del 2011, derivante dalla sua
somiglianza al modello costituito dall'art 126, comma 1, Cost., viene
cosi' ad essere svuotata di ogni reale significato  alla  luce  della
mancata  disciplina  dell'attivita'  (di  nuovo,   di   controllo   o
giurisdizionale?) assegnata alla Corte dei  conti  nell'ambito  dello
scioglimento sanzionatorio. Si tratta  di  lacuna  talmente  grave  e
profonda da  minare  alle  fondamenta  la  funzionalita'  dell'intero
sistema delineato dalla norma. 
2. Illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 5, del d.lgs.  n.
149 del 2011 per contrasto con gli artt. 120, comma 2, e  126,  comma
1, Cost. 
    2.1 Spia fortemente sintomatica di un grave atteggiamento  lesivo
dell'autonomia che la Costituzione assegna alle Regioni e'  la  norma
recata dall'art. 2, comma 5, del  d.lgs.  149  che  vale,  invero,  a
mettere a nudo anche la  portata  in  realta'  gravemente  limitativa
delle prerogative regionali del precedente comma 2. 
    Il menzionato  comma  5  risulta  costituzionalmente  illegittimo
laddove prevede che, a seguito della rimozione del  Presidente  della
Giunta  regionale  ex  art.  126,  comma  1,  Cost.,  e  nelle   more
dell'insediamento  del  nuovo  Presidente,  le  competenze  ad   esso
spettanti  relative  all'ordinaria  amministrazione   e   agli   atti
improrogabili siano esercitate da un commissario ad acta. 
    In    particolare,    la     violazione     delle     prerogative
costituzionalmente garantite alla Regione risulta palese nella  parte
in cui tale disposizione affida la nomina  di  detto  commissario  al
Consiglio  dei  Ministri,  senza  che  sia  prevista   alcuna   forma
procedimentale  idonea  a  garantire  un   coinvolgimento   dell'ente
territoriale   interessato   e,   conseguentemente,    il    rispetto
dell'autonomia costituzionale dello stesso. 
    Non sfugge alla scrivente difesa come Codesta Ecc.ma Corte  abbia
riconosciuto la competenza del legislatore  statale  in  ordine  alla
disciplina delle - sole -  conseguenze  dello  scioglimento  o  della
rimozione cd. «sanzionatori», anche  in  ordine  all'esercizio  delle
funzioni fino all'elezione dei nuovi  organi  (in  tal  senso,  Corte
cost., sent. n. 196 del 2003). 
    Tuttavia, non puo' al contempo essere  posta  in  discussione  la
necessita' che, per essere compatibile con il dettato costituzionale,
la  disciplina  statale  rechi  delle  previsioni  rispettose   delle
garanzie procedurali immediatamente desumibili dallo stesso art. 126,
comma 1, Cost. 
    In tal senso, il menzionato articolo dispone espressamente che lo
scioglimento del Consiglio e la rimozione del Presidente della Giunta
regionale per le ipotesi ivi  richiamate  siano  decisi  con  decreto
motivato del Presidente della Repubblica, previo parere  obbligatorio
della Commissione parlamentare bicamerale per le questioni regionali. 
    E'  evidente  come  la  particolare  procedura  delineata   dalla
disposizione  costituzionale  risponda  alla  precipua  finalita'  di
approntare  una  serie  di   stringenti   garanzie   a   salvaguardia
dell'autonomia regionale a fronte di ipotesi  di  intervento  statale
altamente limitative di tale autonomia. 
    Lo stesso comma 2 dell'impugnato art. 2 - pur  con  gli  evidenti
profili  di  illegittimita'  supra  richiamati  -  ha  circondato  la
dichiarazione di grave dissesto finanziario regionale da una serie di
adempimenti  procedimentali  astrattamente  volti  ad  assicurare  la
tutela  delle  prerogative   regionali.   Si   fa   riferimento,   in
particolare, alla necessita'  che  il  provvedimento  «sanzionatorio»
statale, deliberato dal Consiglio dei Ministri con la  partecipazione
dello stesso Presidente della Giunta regionale, assuma  la  veste  di
D.P.R.  e  sia  preceduto  dal  parere  conforme  della   Commissione
parlamentare per le questioni regionali espresso a maggioranza di due
terzi dei componenti. 
    Di contro, il comma 5, nel rimettere all'esclusiva decisione  del
Consiglio dei Ministri la  nomina  di  un  commissario  ad  acta  per
l'esercizio delle competenze del  Presidente  della  Giunta  rimosso,
omette del tutto di prevedere la benche' minima forma di salvaguardia
in favore dell'Ente-Regione. 
    E', allora, evidente come anche tale comma 5,  qui  impugnato  al
pari  delle  altre  disposizioni,  tradisca,  in  maniera  manifesta,
l'impostazione apertamente  garantistica  prescritta  dall'art.  126,
comma 1, Cost., con riferimento alle ipotesi  di  destituzione  degli
organi di governo regionali per grave violazione di legge  -  nozione
nella quale, come si e' gia' avuto  modo  di  osservare,  l'impugnato
art. 2 pretende di ricondurre il  grave  dissesto  finanziario  della
Regione. 
    Se, dunque, per lo scioglimento  del  Consiglio  regionale  e  la
rimozione del Presidente della Giunta, la Carta costituzionale impone
la necessaria  consultazione  della  Commissione  bicamerale  per  le
questioni regionali, l'acquisizione del parere da parte del  suddetto
organo parlamentare risulta tanto piu' indispensabile  laddove  debba
provvedersi all'individuazione del soggetto chiamato a sostituire gli
organi regionali rimossi e quindi ad esercitare  le  competenze  loro
attribuite direttamente a livello costituzionale. 
    Del resto, non  puo'  certamente  ritenersi  compatibile  con  la
rinnovata autonomia regionale, riconosciuta dall'art. 114 Cost.,  una
previsione statale che, pur nel perseguimento di interessi  nazionali
unitari, pretermetta del tutto di qualsivoglia garanzia a  tutela  di
tale autonomia. E' evidente, in tal senso, come non possa  tollerarsi
che ad una compressione cosi' stringente dell'ordinamento regionale -
come quella prevista nel caso  di  specie  -  non  si  accompagni  la
contestuale  predisposizione  di  strumenti  idonei  ad   assicurare,
neanche  in  via   indiretta,   la   salvaguardia   degli   interessi
territoriali. 
    Del resto,  emblematica  e'  la  considerazione  del  fatto  che,
ogniqualvolta la  Costituzione  ha  inteso  ammettere  un  intervento
statale  direttamente  incidente  in  termini  di  coartazione  delle
attribuzioni regionali,  ha  in  ogni  caso  previsto  il  necessario
rispetto di  una  scansione  procedimentale  che  assicuri  il  minor
sacrificio possibile di dette attribuzioni. 
    Al  riguardo,  soccorre  la  chiara  giurisprudenza  espressa  da
Codesta Ecc.ma Corte in tema di nomina  di  commissario  ad  acta  da
parte del Governo nell'esercizio del potere sostitutivo nei confronti
delle Regioni. Gia' prima della riforma dell'art. 120, comma 2, Cost.
ad opera della L.cost. n. 3/2001 - disposizione poi attuata dall'art.
8 L. n. 131/2001 -  il  giudice  costituzionale  aveva  pacificamente
riconosciuto che la disciplina delle ipotesi di surrogazione  statale
nei confronti degli enti territoriali  dovesse  assicurare  a  questi
ultimi idonee garanzie partecipative, in coerenza con il fondamentale
principio  di  leale  collaborazione  che  deve  sempre  informare  i
rapporti tra due distinti enti costituzionalmente  autonomi  (in  tal
senso, ex multis, Corte cost., sentenze n. 2 del  2010,  n.  383  del
2005 e n. 240 del 2004). 
    Di contro, con riferimento alla disposizione oggetto del presente
giudizio di costituzionalita', nessuna garanzia e' stata  prevista  a
tutela dell'autonomia regionale costituzionalmente prevista. Difatti,
la nomina del commissario ad acta avviene da parte del Consiglio  dei
Ministri, senza che sia garantito alcun coinvolgimento della Regione.
Emerge, pertanto, in maniera  netta  la  grave  compromissione  della
sfera di  autonomia  costituzionale  riconosciuta  alle  Regioni,  in
aperto contrasto con l'art. 126, comma 1, Cost. 
    2.2. Sotto diverso profilo,  la  disposizione  censurata  risulta
altresi' lesiva delle prerogative costituzionalmente  garantite  alla
Regione laddove  affida,  sia  pure  temporaneamente,  ad  un  organo
meramente amministrativo, lo svolgimento di competenze  genericamente
limitate «all'ordinaria amministrazione» e agli «atti improrogabili». 
    Tale conclusione,  del  resto,  trova  immediato  conforto  nella
recentissima sentenza n. 165 del  2011,  mediante  la  quale  Codesta
Ecc.ma Corte ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  di  una
disposizione statale che attribuiva la potesta' di sostituzione delle
Regioni direttamente ad un  commissario  ad  acta.  Di  contro,  come
chiaramente affermato dal giudice costituzionale, l'art.  120,  comma
2,  Cost.,  pur  ammettendo  che  il  Governo  eserciti  l'intervento
sostitutivo per mezzo di un commissario,  pretende  tuttavia  che  la
nomina  di  quest'ultimo  debba  essere  in  ogni  caso  strettamente
limitata a singole attivita'  specificamente  individuate,  non  gia'
estendersi a  competenze  di  rilievo  generale  ed  omnicomprensivo,
immediatamente inerenti a valutazioni che, in una situazione normale,
sarebbero invece riservate all'organo politico. 
    Ebbene, non v'e' chi non veda come, anche  sotto  tale  ulteriore
profilo, il comma 5 del menzionato art. 2 d.lgs. n. 149/2011 si  pone
in stridente contrasto con  i  principi  affermati  dalla  richiamata
giurisprudenza  costituzionale,  nella  misura  in  cui   affida   lo
svolgimento della totalita' delle competenze  che  sono  naturalmente
attribuite  al  Presidente  della  Giunta  regionale,  quale   organo
rappresentativo e di governo della Regione. 
    Ne deriva, con ogni evidenza,  un  grave  vulnus  a  danno  delle
prerogative costituzionalmente garantite alle Regioni. 
    2.3. In ultimo, le  previsioni  di  cui  al  menzionato  comma  5
risultano,  altresi',  costituzionalmente  illegittime  laddove,   in
palese contraddizione con l'art. 126, comma 1, Cost., non  dispongono
alcunche' in ordine al termine entro il quale devono essere celebrate
le elezioni per il rinnovo degli organi regionali sciolti o  rimossi.
Se  e'  facile  desumere  che  il  termine  finale  per   il   regime
commissariale  coincide  con  l'insediamento  del  nuovo   Presidente
regionale, del tutto oscura resta invece l'individuazione di una data
certa per l'elezione  di  quest'ultimo.  Ne',  per  giunta,  e'  dato
comprendere quale sia l'organo investito  del  potere  di  indire  le
elezioni  stesse,  non  essendo  lo  stesso   disciplinato   ne'   in
riferimento al D.P.R.  di  scioglimento  del  Consiglio  regionale  e
rimozione del Presidente della  Giunta  (di  cui  al  comma  2),  ne'
rispetto al commissario ad acta (comma 5). 
    Pur  con  riferimento  al  diverso  caso  di  annullamento  delle
elezioni regionali - ipotesi  comunque  relativa  ad  un'interruzione
anomala della legislatura regionale al pari  di  quella  che  qui  ci
occupa - Codesta Ecc.ma Corte ha sottolineato la  necessita'  di  una
disciplina legislativa  che  consenta  il  tempestivo  rinnovo  degli
organi regionali, cosi' da evitare di  «prolungare  irragionevolmente
una situazione patologica e di carenza costituzionale» (sent. n.  196
del 2003, citata). E' evidente come una siffatta  esigenza  si  renda
tanto piu' pressante in nell'ipotesi disciplinata dalla  disposizione
statale impugnata,  inerente  non  gia'  alla  prorogatio  di  organi
regionali scaduti, bensi' alla sostituzione di questi ad opera  dello
Stato per mezzo di commissario ad acta all'uopo nominato. 
    Appare chiaro, pertanto, come la legittimita'  dell'esercizio  da
parte di un organo statale - per di piu' amministrativo - di funzioni
spettanti agli organi regionali,  naturalmente  preposti  al  governo
dell'ente, sia necessariamente  subordinata  alla  previsione  di  un
limite temporale certo ed  espresso  rispetto  alla  durata  di  tale
sostituzione. 
    L'omissione di siffatta  disciplina  si  traduce  inevitabilmente
nell'illegittimo protrarsi sine die della compressione dell'autonomia
regionale, in contraddizione insanabile con le  previsioni  dell'art.
126, comma 1, Cost. Anche sotto tale  profilo,  ne  deriva  la  grave
violazione delle prerogative regionali. 
    In definitiva, la nomina di chi gestira' la fase transitoria fino
alle elezioni deve essere contestuale, e con  le  medesime  garanzie,
all'atto con cui si procede alla rimozione  del  Presidente  ed  allo
scioglimento  del  Consiglio  regionale:   voto   della   Commissione
bicamerale  e  intervento  del  Presidente  della   Repubblica   sono
irrinunciabili presidi di garanzia della autonomia regionale. 
3. Illegittimita' dell'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149  del  2011,
per contrasto con  l'art.  122,  comma  1,  Cost.  (violazione  della
competenza regionale, nei limiti dei principi fondamentali  stabiliti
con  legge  della  Repubblica,  in  materia  di   ineleggibilita'   e
incompatibilita' del Presidente della Giunta regionale) 
    A norma dell'art. 122, comma 1, Cost., «i casi di ineleggibilita'
e di incompatibilita' del Presidente e degli altri  componenti  della
Giunta regionale nonche' dei consiglieri regionali sono  disciplinati
con  legge  della  Regione  nei  limiti  dei  principi   fondamentali
stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la  durata
degli organi elettivi». 
    L'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149  del  2011  prevede  che  il
Presidente rimosso per grave dissesto finanziario  «e'  incandidabile
alle cariche elettive  a  livello  locale,  regionale,  nazionale  ed
europeo per un periodo di  tempo  di  dieci  anni».  La  disposizione
prevede altresi' che il Presidente rimosso non possa essere  nominato
quale componente di alcun organo  o  carica  di  governo  degli  enti
locali, delle regioni, dello  Stato  e  dell'Unione  europea  per  un
periodo di tempo di dieci anni. 
    In  primo  luogo  sembrerebbe  del  tutto  improprio  tentare  di
ricondurre la c.d. incandidabilita', di  cui  alla  disposizione  qui
indubbiata, ad un'ipotesi di indegnita' morale -  di  cui  l'art.  48
Cost. rimette l'indicazione alla legge (v. art. 2 d.P.R. n.  223  del
1967) - in ragione del fatto che essa limita il diritto di elettorato
passivo e  non  anche  quello  attivo  (e,  per  di  piu',  dei  soli
presidenti delle giunte regionali). 
    Dall'art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004, di  attuazione
dell'art.  122,  comma  1,  della  Costituzione  («Fatte   salve   le
disposizioni legislative statali in materia di  incandidabilita'  per
coloro che hanno riportato sentenze di condanna o nei  cui  confronti
sono state applicate misure di prevenzione, le  regioni  disciplinano
con legge i casi di ineleggibilita', specificamente  individuati,  di
cui all'articolo 122, primo comma, della Costituzione, nei limiti dei
seguenti principi fondamentali...») si desume come lo Stato  mantenga
la competenza in materia di incandidabilita' relativamente a  «coloro
che hanno riportato sentenze di condanna o  nei  cui  confronti  sono
state applicate misure  di  prevenzione»:  si  tratta  di  situazioni
normate dalla legge 19 marzo 1990, n. 55, recante «Nuove disposizioni
per la prevenzione della delinquenza di tipo mafioso e di altre gravi
forme di manifestazione di pericolosita' sociale»). 
    Proprio con riguardo all'incandidabilita', Codesta  Ecc.ma  Corte
ha avuto modo di riferirsi ad essa in  termini  di  «particolarissima
causa  di  ineleggibilita'  (sentenza  n.  407  del  1992)   che   il
legislatore ha configurato in relazione  a  vicende  processuali  ...
L'elezione  di  coloro  che   versano   nelle   condizioni   di   non
candidabilita' e' nulla... senza che sia in alcun modo possibile  per
l'interessato rimuovere l'impedimento all'elezione,  come  invece  e'
ammesso per le cause di ineleggibilita' derivanti da uffici ricoperti
attraverso la presentazione delle dimissioni  o  il  collocamento  in
aspettativa (cfr. ancora la sentenza n. 97 del 1991)»  (Corte  cost.,
sent. n. 141 del 1996). 
    La ratio di tale riserva  statale  e'  stata  individuata,  dalla
giurisprudenza di Codesta Ecc.ma Corte (sent. n. 407 del 1992)  nella
volonta' di «costituire una sorta  di  difesa  avanzata  dello  Stato
contro  il  crescente  aggravarsi  del  fenomeno  della  criminalita'
organizzata  e  dell'infiltrazione  dei  suoi  esponenti  negli  enti
locali;  le  finalita'  che  si  sono  intese  perseguire   sono   la
salvaguardia dell'ordine e della  e  sicurezza  pubblica,  la  tutela
della libera determinazione degli organi elettivi; il buon  andamento
e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche. L'intervento  dello
Stato appare  pertanto  essenzialmente  diretto  a  fronteggiare  una
situazione  di  grave  emergenza  [...],  emergenza   che   coinvolge
interessi ed esigenze dell'intera collettivita' nazionale, connessi a
valori costituzionali di primario  rilievo,  in  quanto  strettamente
collegati alla difesa dell'ordine e della sicurezza pubblica». 
    Orbene, poiche' come e' evidente, l'impugnato art.  2,  comma  3,
del  d.lgs.  149  del  2011,  incide  profondamente  in  materia   di
elettorato passivo, si puo' dubitare, in primo luogo, che  la  tutela
dei valori costituzionali che si intende tutelare rispetti «la regola
della  necessarieta'  e  della  ragionevole  proporzionalita'»  della
limitazione imposta al diritto di elettorato passivo (v. in tal senso
Corte cost. 141 del 1996 in riferimento  agli  articoli  2,  3  e  51
Cost.), in ragione del fatto che in questo caso il fine  della  norma
qui  impugnata  non  e'  certo  quello   di   garantire   le   libera
determinazione degli organi  elettivi  minacciati  dall'infiltrazione
della criminalita' organizzata di stampo  mafioso,  ma  al  contrario
quella di sanzionare i Presidenti delle regioni -  con  una  profonda
limitazione del diritto di partecipazione alla  vita  pubblica  -  in
conseguenza di atti di natura politica il cui accertamento e' rimesso
alla valutazione di un altro organo politico. 
    A cio' deve inoltre aggiungersi che rimane evidente la violazione
dell'art. 122, comma 1,  Cost.,  il  quale  prevede  che  i  casi  di
ineleggibilita' e  incompatibilita'  del  Presidente  e  degli  altri
componenti della Giunta regionale nonche' dei  consiglieri  regionali
sono disciplinati con legge della Regione  nei  limiti  dei  principi
fondamentali stabiliti con legge della Repubblica. 
    Orbene la legge n. 165 del 2004, come precisato dal suo  art.  1,
stabilisce in via esclusiva, ai sensi dell'articolo 122, primo comma,
della Costituzione», i predetti principi fondamentali, ricomprendendo
tra questi anche disposizioni attinenti alle cause di ineleggibilita'
non rimovibili dall'interessato: sia quelle «particolarissime» di cui
alla cit. legge 55 del 1990 (art. 2, comma 1, alinea) - sia pure  per
escluderle dal novero delle competenze regionali - sia quelle di  cui
alla previsione della non immediata  rieleggibilita'  del  Presidente
della Giunta regionale allo scadere del secondo mandato  consecutivo,
sulla base della normativa regionale  vigente  in  materia  (art.  2,
comma 1, lett. f). 
    Orbene, alla luce del richiamato quadro normativo, la  previsione
in questione appare di dubbia legittimita' costituzionale  in  quanto
collocata fuori dall'apposita sedes materiae (la legge quadro n. 164)
cui la disposizione costituzionale ne rimette la disciplina  organica
(e cio' vale anche se  la  previsione  oggetto  dei  rilievi  sia  da
intendersi come disposizione di esclusione assimilabile a  quella  di
cui all'alinea dell'art. 2, comma 1, della legge n. 165 del 2004). 
    Com'e'  noto,  infatti,  mentre  e'  dubbio  che  il  legislatore
ordinario possa vincolare  il  legislatore  futuro  al  rispetto  del
principio  di  organicita'  della  disciplina  legislativa   di   una
determinata materia (v. ad es. art. 183, comma 6, del d.lgs.  42  del
2004) certamente non vale lo stesso nel caso in cui il vincolo  nasca
in virtu'  di  una  norma  gerarchicamente  superiore,  non  mancando
nell'ordinamento ipotesi del genere sia a livello statale (v. ad  es.
art. 1, comma 4, d.lgs. 267 del 2000, con riferimento  al  precedente
testo costituzionale) che a livello regionale (v.  ad  es.  art.  44,
commi 3 e 5, dello Statuto della Toscana). 
    Va anche considerato che  se  e'  vero  che,  in  base  a  quanto
disposto dall'art. 1, comma  3  della  legge  131  del  2003  («Nelle
materie  appartenenti  alla  legislazione  concorrente,  le   Regioni
esercitano  la  potesta'   legislativa   nell'ambito   dei   principi
fondamentali espressamente determinati dallo  Stato  o,  in  difetto,
quali desumibili  dalle  leggi  statali  vigenti»),  la  legislazione
statale  nelle  materie  appartenenti  alle  materie  concorrenti  e'
certamente  sottratta  al  vincolo  di  organicita',  e'  anche  vero
tuttavia che, secondo quanto si ricava dall'art. 1,  comma  4,  della
medesima legge,  le  materie  di  legislazione  concorrente  sono  da
intendersi solo quelle previste dall'art. 117, comma 3, Cost. 
    A fronte del prospettato quadro evidente risulta il contrasto con
l'art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 149 del 2011 con l'art.  122,  comma
1, Cost. 

(1) http://www.salute.gov.it/pianiRientro/paginaInternaMenuPianiRient
    ro.jsp?id=1870   &   menu=campania    (ultima    visualizzazione:
    18/11/2011). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Chiede che codesta ecc.ma Corte,  in  accoglimento  del  presente
ricorso, voglia dichiarare l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
2, commi, 2, 3 e 5, del decreto legislativo del 6 settembre 2011,  n.
149 per violazione degli articoli 122, 126, 120  della  Costituzione,
nonche' del principio di ragionevolezza. 
      Roma-Napoli, 19 novembre 2011 
 
            Prof. Avv. Caravita di Toritto - Avv. D'Elia