N. 33 ORDINANZA (Atto di promovimento) 5 dicembre 2011

Ordinanza del 5 dicembre 2011 emessa dal Giudice di pace di Recco nel
procedimento civile  promosso  da  Garibaldi  Mario  contro  Morganti
Paolo. 
 
Procedimento civile - Disciplina della  mediazione  finalizzata  alla
  conciliazione   delle   controversie   civili   e   commerciali   -
  Procedimento  di  mediazione  per  le  controversie  nelle  materie
  elencate dall'art. 5 del decreto  legislativo  n.  28  del  2010  -
  Configurazione  dell'espletamento  di  esso  come   condizione   di
  procedibilita' della domanda giudiziale - Dilatazione dei tempi del
  processo oltre la soglia di tollerabilita' - Lesione del diritto di
  azione e di difesa - Compromissione della  ragionevole  durata  del
  processo (tanto piu' in quanto  la  mediazione  sia  condizione  di
  procedibilita' di ogni  singola  domanda  giudiziale  proposta  nel
  corso del processo). 
- Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 5. 
- Costituzione, artt. 24 e 111. 
Procedimento civile - Disciplina della  mediazione  finalizzata  alla
  conciliazione   delle   controversie   civili   e   commerciali   -
  Procedimento  di  mediazione  per  le  controversie  nelle  materie
  elencate dall'art. 5 del decreto  legislativo  n.  28  del  2010  -
  Obbligo per le parti di pagare una somma non irrisoria di denaro ad
  un organismo che potrebbe avere natura privata - Introduzione di un
  onere economico per l'accesso alla tutela  giurisdizionale  diverso
  da  quelli  consentiti  dalla   giurisprudenza   costituzionale   -
  Disparita' di trattamento fra soggetti abbienti e meno  abbienti  -
  Ingiustificato ostacolo all'esercizio del diritto di azione. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2010,  n.  28,  art.  5,  in  combinato
  disposto con l'art. 16 del decreto del Ministro della giustizia, di
  concerto con il Ministro dello sviluppo economico, 18 ottobre 2010,
  n. 180. 
- Costituzione, artt. 3 e 24. 
In via subordinata: Procedimento civile - Disciplina della mediazione
  finalizzata  alla  conciliazione  delle   controversie   civili   e
  commerciali - Procedimento di mediazione per le controversie  nelle
  materie elencate dall'art. 5 del decreto legislativo n. 28 del 2010
  - Obbligatorieta' anche rispetto al procedimento davanti al giudice
  di pace - Irragionevole trattamento identico di situazioni diverse,
  ostacolo   all'esercizio   dell'azione,   dilatazione   dei   tempi
  processuali ed aumento esponenziale dei costi. 
- Decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, art. 5. 
- Costituzione, artt. 3, 24 e 111. 
(GU n.11 del 14-3-2012 )
 
                          IL GIUDICE DI PACE 
 
     Sulla questione di improcedibilita'  della  domanda  ex  art.  5
d.lgs. 4 marzo 2010 n. 28 eccepita dal convenuto, per non esser stata
proposta istanza di mediazione, osserva quanto segue: 
    In merito alla rilevanza della questione. 
    La questione appare di assoluta rilevanza ai fini della decisione
in quanto, a fronte  della  tempestiva  eccezione  del  convenuto  ed
avendo accertato che il procedimento di mediazione non e'  stato  non
solo esperito ma neppure avviato, il giudice  non  potrebbe  esimersi
dal pronunciare sentenza  di  improcedibilita'  della  domanda  salvo
poter disapplicare la norma prevista  dall'art.  5  comma  1  decreto
legislativo n. 28/2010 a seguito di  declaratoria  di  illegittimita'
costituzionale per cui il ricorso al giudice  delle  leggi  si  rende
indispensabile. 
In merito alla sola possibile interpretazione della norma. 
    E' da taluni sostenuto che la normativa dell'art. 5  citato,  per
come e' scritta, potrebbe essere agevolmente elusa  almeno  in  parte
limitandosi  l'attore  ad  avviare  il  procedimento  di   mediazione
presentando la sola domanda senza poi proseguire l'iter o addirittura
annunciando nella domanda stessa la volonta' di non coltivarla. 
    Questo, secondo gli interpreti,  consentirebbe  di  risolvere  la
questione in  un  lasso  di  tempo  se  non  brevissimo  certo  molto
inferiore ai quattro mesi e quindici giorni e soprattutto di  evitare
i costi della procedura che potrebbero limitarsi  all'iscrizione  che
in genere e' sull'ordine dei 40  curo  indipendentemente  dal  valore
della controversia. 
    L'assunto, invero  suggestivo  poiche'  potrebbe  forse  da  solo
risolvere quasi tutti  i  problemi  anche  di  costituzionalita',  e'
tuttavia privo di pregio e destituito di ogni fondamento. 
    In primis per ragioni di ragionevolezza, essendo impensabile  che
il legislatore, mosso evidentemente anche dall'intento di  creare  un
ingente giro di affari  per  gli  enti  di  mediazione  abbia  voluto
ritenere sufficiente per integrare la  condizione  di  procedibilita'
una iniziativa (l'iscrizione) che avrebbe portato  alle  casse  degli
enti la somma di € 40,00 per ogni procedura non andata  a  buon  fine
indipendentemente dal valore del conteso, certo  ben  inferiore  alle
aspettative. 
    Prova ne sia che il Ministero di Giustizia si  e'  affrettato  ad
emanare la circolare 4 aprile 2011 in cui  precisa  tra  l'altro  che
l'art. 5 postula che si compaia effettivamente davanti  al  mediatore
designato il quale solo puo' constatare la mancata comparizione della
parte invitata e  redigere  il  verbale  negativo  del  tentativo  di
conciliazione (il che comporta ipso facto, guarda  caso,  l'integrale
pagamento del costo della procedura). 
    In secondo luogo sulla base  della  interpretazione  della  norma
atteso che l'art. 5  gravato,  nel  caso  di  mediazione  non  ancora
avviata, impone al giudice l'obbligo di fissare  si'  il  termine  di
giorni quindici per la presentazione della domanda di  mediazione  ma
nel contempo anche quello di rinviare il  procedimento  di  ulteriori
quattro mesi. 
    E' quindi evidente che  si  richiede,  altrimenti  sarebbe  stato
preso in considerazione il solo termine per l'inizio della  procedura
e  non  anche  quello  per   l'effettivo   espletamento,   non   solo
l'iscrizione ma anche l'avvio  vero  e  proprio  della  procedura  di
mediazione con conseguente eventuale successiva  presa  d'atto  della
mancata partecipazione del convenuto, della di lui manifestazione  di
volonta' contraria o dello spirare del termine. 
In merito alla peculiarita' della presente vertenza. 
    Non  puo'  esimersi  il  giudice  remittente  dall'osservare   le
caratteristiche peculiari della vertenza in esame al fine  di  meglio
evidenziare gli effetti devastanti che  la  norma  gravata  viene  ad
avere in riferimento ad essa. 
    Non v'e' chi non veda come si tratti di controversia non priva di
interesse e nemmeno  di  agevole  soluzione,  che  tuttavia,  essendo
matura per la decisione in quanto basata esclusivamente su risultanze
documentali, sarebbe stata decisa in quindici giorni. 
    Infatti  all'udienza  del  6  luglio  2011  il  giudice,  se   la
mediazione non fosse stata in vigore, quand'anche non fosse  riuscito
a conciliare le  parti,  preso  atto  della  maturita'  della  causa,
avrebbe fissato per discussione. 
    Rispettando il termine massimo tuttora in vigore  nel  codice  di
rito, non essendo stato ancora abrogato l'art. 81 Disp. Att.  C.p.c.,
di giorni quindici per i rinvii  dell'udienza,  avrebbe  fissato  per
discussione un'udienza anteriore al 22  luglio  2011,  ancora  al  di
fuori del periodo di ferie dei magistrati  il  cui  inizio  e'  stato
fissato con decreto  ministeriale  9  febbraio  2011  appunto  al  22
luglio. 
    La decisione sarebbe arrivata al piu' tardi nel  termine  massimo
di legge di giorni quindici per il deposito. 
    Dal punto di vista economico le parti hanno affrontato  un  costo
di € 41,00 (€ 33,00 per contributo unificato ed € 8,00 per  marca  da
bollo) anticipate dall'attore. 
    Grazie all'istituzione  della  mediazione  questa  causa  sarebbe
invece durata,  in  caso  di  mediazione  infruttuosamente  esperita,
cinque mesi perche' all'udienza del 5 dicembre sarebbe stata discussa
e poi  decisa  ed  il  costo  sarebbe  stato  gravato  quantomeno  di
ulteriori  € 60,00  +  IVA   corrispondenti   all'indennita'   minima
possibile per il primo scaglione di valore ossia fino ad € 1.100,00. 
Illegittimita' dell'art. 5 d.lgs. 28/2010 in riferimento all'art.  24
Costituzione in relazione ai tempi del processo. 
    Gia' si e'  detto  che  la  mediazione  viene  a  comportare  una
dilatazione dei tempi del processo. 
    Non si nasconde il remittente che la Corte Costituzionale  si  e'
piu'  volte  pronunciata  sulla  infondatezza  della  questione   dei
tentativi obbligatori di  conciliazione  in  riferimento  alla  stasi
processuale  che  essi   comportano   che   sarebbe   interesse   ben
sacrificabile rispetto a quello della possibile deflazione. 
    Tuttavia non puo' negarsi che i  tempi  tecnici  previsti  per  i
tentativi esaminati dalla corte erano minimi (si  va  dai  30  giorni
previsti per le materie di subfornitura  e  telecomunicazioni  ai  60
giorni complessivi per il lavoro e i contratti agrari, mentre  quello
per tentativo di cui al diritto di autore che puo' spingersi  fino  a
toccare il novantesimo giorni appare decisamente  ai  limiti)  mentre
quello della mediazione, fissato in mesi 4, appare decisamente al  di
fuori della soglia di tollerabilita'. 
    Non puo' infatti non considerarsi  che  nella  causa  in  oggetto
davanti a questo  giudice,  grazie  alla  mediazione,  i  tempi  sono
aumentati di otto volte (giorni 15 sono diventati 4 mesi). 
    Anche per una causa di durata media davanti al  giudice  di  pace
(mesi 6) i tempi aumenterebbero dell' 80 per cento 
    In una causa di  durata  media  davanti  al  Tribunale  (1  anno)
l'aumento temporale sarebbe comunque di oltre il 30 per  cento,  dato
certamente non trascurabile. 
    Decisamente cio' crea un vulnus che  non  puo'  esser  sopportato
dall' art. 24 della carta costituzionale. 
Illegittimita' dell'art. 5 d.lgs. 28/10  in  combinato  disposto  con
l'art. 16 DM 180/10 in riferimento all'art.24 della  Costituzione  in
relazione ai costi della mediazione. 
    L' introduzione di un onere economico gravante sulle parti non e'
compatibile con l'art. 24 della Carta Costituzionale. 
    Non v'e' chi non veda come in una ipotetica scala di valori,  tra
l'esigenza di non rendere economicamente troppo gravoso ai  cittadini
l'accesso   alla   tutela   giurisdizionale   e    l'esigenza,    pur
particolarmente  avvertita,  di  individuare   strumenti   idonei   a
decongestionare gli uffici giudiziari attraverso lo  sfoltimento  del
carico di lavoro, prevalenza debba avere la prima. 
    E' stato osservato in dottrina che il legislatore puo' pretendere
denari per la funzione giurisdizionale civile solo  se  questi  siano
riconducibili a tributi giudiziari o a  cauzioni  volte  a  garantire
l'adempimento dell'obbligazione dedotta in giudizio. 
    In tutti gli altri casi e sin dalla sentenza Corte costituzionale
29 novembre 1960 n. 67, lo  stato  non  puo'  pretendere  denari  per
adempiere al suo primo e fondamentale dovere di rendere giustizia.  E
l'imposizione del pagamento di una somma di denaro per l'esercizio di
un diritto in sede giurisdizionale, quale oggi  si  realizza  con  la
media-conciliazione in  forza  del  combinato  disposto  dell'art.  5
d.lgs. 28/10  e  art.  16 decreto  ministeriale n.  180/10,  si  pone
pertanto in contrasto con tutti i parametri di costituzionalita'  per
come   gia'   definiti   in   precedenti   decisioni   dalla    Corte
Costituzionale, in quanto: a) si tratta di un esborso  che  non  puo'
essere ricondotto ne' al tributo giudiziario ne' alla cauzione; b) si
tratta di un esborso che non  puo'  considerarsi  di  modestissima  e
nemmeno  di  modesta  entita'  proprio  a  fronte  del  valore  della
controversia; e) si tratta di un esborso che non va allo Stato bensi'
ad un organismo che potrebbe addirittura avere natura privata; d)  si
tratta  infine  di  un  esborso   che   nemmeno   puo'   considerarsi
"razionalmente collegato alla pretesa dedotta in giudizio, allo scopo
di assicurare al processo uno svolgimento meglio  conforme  alla  sua
funzione", poiche' questi esborsi, di nuovo, sono da  rinvenire  solo
nelle cauzioni e nei  tributi  giudiziari,  non  in  altre  cause  di
pagamento, e perche' un esborso che  non  va  allo  Stato  ma  ad  un
organismo  anche  di  natura  privata,  non  puo'  mai  avere  queste
caratteristiche. 
Illegittimita' dell'art. 5 d.lgs. 28/10  in  combinato  disposto  con
l'art. 16 decreto ministeriale n. 180/10 in riferimento agli artt.  3
e 24 Costituzione ancora in relazione ai costi della mediazione. 
    Il problema dei costi della procedura di  mediazione  deve  esser
valutato, sempre in chiave  di  ostacolo  all'esercizio  dell'azione,
anche sotto il profilo  della  disparita'  di  trattamento  tra  meno
abbienti ed abbienti. 
    E' pur vero che e' stato previsto il beneficio del  patrocinio  a
spese dello stato, tuttavia il tessuto socio economico non si  divide
tra nullatenenti e benestanti, sussiste anche una ampia  zona  grigia
costituita da  famiglie  che,  pur  al  di  sopra  della  soglia  per
l'ammissione al  beneficio,  sono  tra  quelle  che,  per  usare  una
espressione persino abusata «faticano ad arrivare a fine mese» e  per
le quali, dopo aver  gia'  sostenuto  un  costo  per  una  causa,  un
ulteriore costo per  una  mediazione  dall'esito  incerto  diverrebbe
insostenibile e finirebbe per costituire un detergente in tal senso. 
    Per queste famiglie persino l'importo  minimo  di  mediazione  di
circa € 70,00 puo' esser problematico si' da  indurre  le  stesse  ad
affrontare piuttosto spese diverse quali  quelle  indispensabili  per
medicinali o magari quelle opportune, donando ad  esempio  al  figlio
dodicenne  un  telefono  cellulare  giusto  per   non   allevare   un
emarginato, anziche' locupletare gli enti di mediazione. 
    Non senza considerare poi gli effetti  economici  devastanti  per
una persona media ove la causa  sia  importante  ed  il  costo  della
mediazione aumenti in modo esponenziale. 
    Il risultato sara' quello di ostacolare in modo ingiustificato  e
quindi  dissuadere  dal  proporre  sia  cause  «bagatellari»,   degne
comunque i risposta in sede giurisdizionale, sia  cause  "importanti"
con buona pace dell'art. 24 della Carta Costituzionale. 
Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  5  d.lgs.  n.   28/10   in
riferimento all'art. 111 sotto il profilo  della  ragionevole  durata
del processo. 
    Analoghe  considerazioni  valgono  ove  si  ipotizzi  un  diverso
profilo  di   incostituzionalita'   riferito   all'art.   111   della
costituzione ed in particolare sotto  il  profilo  della  ragionevole
durata del processo. 
    Un prestigioso esponente dell'ufficio  studi  della  consulta  ha
giustamente spiegato nel corso di un convegno  che  la  brevita'  del
processo non e' affatto un valore, lo e' invece la ragionevole durata
che tuttavia e' concetto relativo. 
    Ben comprende il remittente che exempli causa se un  giudizio  di
primo grado per  questioni  ereditarie  davanti  al  Tribunale  fosse
durato circa tre anni ma nel corso dello stesso, senza nessuna stasi,
fosse stata licenziata una consulenza  tecnica  estimativa  dell'asse
ereditario con relativo supplemento,  una  consulenza  tecnica  sulla
autenticita' del  testamento,  fosse  stata  istruita  la  causa  con
interrogatorio delle parti e  prove  testimoniali,  certo  la  durata
resterebbe ragionevole perche' funzionale e motivata  in  riferimento
alle esigenze del processo. 
    Premesso cio' la mediazione, attivita'  extraprocessuale  che  se
non  coronata  da  successo  nessun  vantaggio  arreca  se   non   il
discutibile ricorso all'art. 116  c.p.c.  -  e  sarebbe  interessante
sapere quante cause nella storia giudiziaria sono state risolte sulla
base di questo articolo -, altro non fa che ostacolare la ragionevole
durata del processo senza apprezzabile  vantaggio  e  fuori  da  ogni
ragionevolezza. 
    Si ribadisce, come precedentemente spiegato, che  la  durata  del
processo aumenta mediamente e come minimo del 30 per cento e  diviene
quindi in tutti i casi irragionevole. 
    Davanti al giudice di pace, i cui  tempi  processuali  medi  sono
sull'ordine di mesi,  la  dilatazione  temporale  appare  ancor  piu'
inaccettabile. 
    Ma vi e' di piu'. 
    E' stato acutamente osservato in dottrina che il legislatore  non
ha  specificato  che  la  fase  di  mediazione   obbligatoria   debba
riguardare elusivamente  la  domanda  principale,  il  che  induce  a
ritenere ragionevolmente che la  mediazione  non  sia  condizione  di
procedibilita' del processo bensi' di ogni singola distinta azione in
esso contenuta, ossia di ogni singola domanda giudiziale. 
    In altri termini alla luce della lettera della norma, in  ipotesi
di cumulo successivo di domande, non  sarebbe  sufficiente,  ai  fini
della  procedibilita'  delle  nuove  domande,  il   procedimento   di
mediazione gia' esperito  per  la  domanda  principale,  ma  dovrebbe
necessariamente  avviarsi  una  nuova  fase  di  mediazione,  il  che
potrebbe in concreto avverarsi: 1) in caso di domanda riconvenzionale
2) in caso di  reconventio  reconventionis  3)  in  caso  di  domanda
proposta da colui che spieghi un intervento volontario  principale  o
da colui che spieghi un intervento volontario litisconsortile 4)  nel
caso di intervento del litisconsorte  necessario  pretermesso  5)  in
caso di chiamata di terzo 6) in caso di ordine  di  integrazione  del
contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario. 
    Non puo' certo affermarsi che si tratti  di  ipotesi  accademiche
destinate a non verificarsi in concreto visto  che  non  e'  inusuale
nella pratica vedere cause con sei successive chiamate di terzo! 
Violazione dell'art. 3 cost. sotto il profilo della  irragionevolezza
della mediazione obbligatoria davanti al Giudice di pace. 
    Vorra' quindi in via di subordine  perche'  ben  altri  sono  gli
auspici del remittente -  esaminarsi  un  profilo  di  illegittimita'
sotto  il  profilo  della  irragionevolezza  e  quindi  dell'art.  3,
venendosi a trattare situazione del tutto diverse in  modo  identico,
in riferimento al procedimento davanti al solo giudice di pace che  a
breve vedra' la mediazione obbligatoria applicata anche alla  materia
condominiale e infortunistica. 
    Atteso che  nel  procedimento  davanti  al  giudice  di  pace  e'
previsto tentativo di  conciliazione  obbligatorio,  che  il  giudice
stesso ha natura conciliativa e ne  ha  esperienza  e  capacita',  e'
irragionevole sotto il profilo dell'art. 3,  24  e  111  assoggettare
anche il procedimento davanti al giudice di pace alla  mediazione  il
che comporta  ostacolo  all'esercizio  dell'azione,  dilatazione  dei
tempi ed aumento esponenziale dei costi, come gia' visto, senza alcun
apprezzabile vantaggio atteso che l'attivita' del mediatore ben viene
gia' svolta dal giudice di pace stesso. 
Considerazioni de jure condendo. 
    Non e' compito del  giudice  remittente  suggerire  soluzioni  al
legislatore, tuttavia, considerato che la Corte  Costituzionale  puo'
in  talune  ipotesi  attraverso  specifiche  pronunzie  indicare   al
parlamento possibili percorsi da seguire, si  ritiene  non  privo  di
utilita' esporre alcune considerazioni. 
    Non v'e' chi non veda come l'istituto della mediazione cosi' come
e' stato concepito sia del tutto irrealistico. 
    Chi si sente leso in  un  suo  diritto  ha  quale  sua  legittima
aspettativa  quella  di  rivolgersi,  non  certo  ad   un   organismo
conciliativo, bensi' ad un giudice essendo ancora, nonostante  tutto,
nell'immaginario  collettivo  e  non   solo,   la   magistratura   il
riconosciuto forse unico baluardo contro  le  altrui  prevaricazioni,
indipendentemente dalla loro provenienza. 
    Lo immaginiamo il mugnaio di Sans Souci che si rivolge a Federico
II di Prussia dicendo: «Maesta', ci sono dei mediatori a Berlino»? 
    Anziche'  proporre  quale  soluzione  legislativa  una  sorta  di
monstrum giuridico sarebbe stato forse piu' opportuno: 
        Escludere la mediazione dai procedimenti davanti  giudice  di
pace sia per la natura stessa del  giudizio  sia  per  evitare  anche
incompatibilita' ove la figura del mediatore venga poi  a  coincidere
con quella del giudicante. 
        Prevedere nello stesso atto di citazione una seconda  vocatio
in ius a fini conciliativi indicando in citazione anche l'udienza  di
comparizione davanti al giudice  di  pace  con  termine  gg.  15  per
comparire. 
        Prevedere entro  due  giorni  dalla  iscrizione  a  ruolo  in
tribunale il deposito di copia della citazione con i documenti  nella
cancelleria  del  giudice  di  pace  con  versamento  di   contributo
unificato simbolico sull'ordine dei 10 euro. 
        Imporre  al  giudice  di  pace  il  termine  di  1  mese  per
concludere la mediazione con possibilita' di proroga del termine  per
ulteriori 3 mesi solo se tutte le parti lo richiedano. 
        Prevedere in caso di successo della mediazione un  contributo
a  carico  solidale  delle  parti  sull'ordine  del   5   per   cento
dell'importo indicato in accordo conciliativo da destinare  in  parte
al giudice di pace. 
        Al fine di deflazionare ulteriormente il contenzioso che  ben
potrebbe essere limitato e risolto ove sia da accertare  il  solo (si
pensi  exempli  causa  a  vertenze  successorie  o  divisorie   senza
contestazioni sull'an) nonche' al fine di evitare di dover  ricorrere
anche  ad  esperti  nell'ambito  della  mediazione  con   conseguente
inopportuna  dilatazione  dei  tempi  e  dei  costi,   prevedere   la
possibilita'  di  accertamenti  peritali  ante  causam  ampliando  le
ipotesi gia' previste e circoscritte dall'art. 696 bis c.p.c. a tutte
quelle in cui la parte abbia comunque interesse senza  limite  alcuno
di materia. 
    Per le suesposte  ragioni  la  questione  di  incostituzionalita'
ravvisata appare non manifestamente infondata e la sua  soluzione  e'
imprescindibile per il presente processo 
 
                               P.Q.M. 
 
    Solleva la questione di incostituzionalita'  dell'art.  5  d.lgs.
28/10 e art. 16 decreto ministeriale n. 180/10, da soli ed  anche  in
combinato disposto, nelle parti e per il motivo che  creano  ostacoli
all'esercizio dell'azione, che eliminano la  tutela  giudiziaria  dei
meno abbienti, che ledono il  principio  di  ragionevole  durata  del
processo e che  creano  disparita'  di'  trattamento  per  situazioni
analoghe, in relazione agli artt. 3,  24  e  111  della  Costituzione
della Repubblica Italiana. 
    Vista la Legge Cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e  la  legge  11  marzo
1953 n. 87 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende il giudizio in corso 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei  ministri,  e
che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. 
 
        Recco, addi' 5 dicembre 2011 
 
                   Il Giudice di Pace: Fonticelli