N. 47 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 maggio 2011

Ordinanza del 31 maggio 2011 emessa  dal  Tribunale  di  Catania  nel
procedimento civile promosso da Sardo Vito  contro  Intesa  S.  Paolo
s.p.a.. 
 
Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate  in  conto
  corrente - Esclusione della restituzione di  importi  gia'  versati
  alla data di entrata in  vigore  della  legge  n.  10  del  2011  -
  Previsione  non  interpretativa  ma  ad   effetto   retroattivo   -
  Violazione   del   principio   di   eguaglianza   -   Irragionevole
  discriminazione fra correntisti nonche'  fra  istituti  di  credito
  (rispettivamente, a seconda che i versamenti indebiti da parte  dei
  primi e le restituzioni da parte  dei  secondi  siano  anteriori  o
  successivi all'entrata in vigore della legge  n.  10  del  2011)  -
  Ingiustificata   soppressione   del   diritto   alla    ripetizione
  dell'indebito - Lesione del diritto di agire  e  di  difendersi  in
  giudizio - Violazione  del  diritto  ad  un  processo  equo  e  del
  connesso  divieto  al  legislatore   di   interferire   con   norme
  retroattive su controversie pendenti, sanciti dalla Convenzione per
  la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  (CEDU)  come  interpretata
  dalla Corte di Strasburgo -  Conseguente  inosservanza  di  vincoli
  derivanti dagli obblighi internazionali. 
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61,  aggiunto
  dalla legge di conversione 26 febbraio 2011, n. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 24, commi primo  e  secondo,  e  117,  primo
  comma,  in  relazione  all'art.  6   della   Convenzione   per   la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo, ratificata e resa esecutiva con
  legge 4 agosto 1955, n. 848. 
(GU n.14 del 4-4-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Esaminati gli atti della causa n. 6746/10 R.G.; 
    sciogliendo la riserva assunta in data 16 maggio 2011; 
 
                               Osserva 
 
    L'attore, premesso di aver  intrattenuto  un  rapporto  di  conto
corrente con la banca convenuta e denunziata la  nullita'  di  alcune
clausole contrattuali contenute nel contratto, proponeva  domanda  di
ripetizione delle somme indebitamente pagate alla convenuta. 
    La banca convenuta eccepiva la prescrizione decennale dell'azione
di ripetizione dell'indebito. 
    Su tale questione sono  intervenute  in  rapida  successione  una
pronunzia della Suprema Corte (Cass. sez. un. n. 24418/10)  e  l'art.
2, comma 61, del d.l. n. 225/2010  (cd.  «decreto  mille  proroghe»),
convertito con modifiche dalla legge n.  10/2011.  La  norma  dettata
dall'art. 2, comma 61, del d.l. n. 225/2010 cosi' dispone «In  ordine
alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l'art.  2935  del
codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai
diritti nascenti dall'annotazione in conto  inizia  a  decorrere  dal
giorno dell'annotazione stessa. 
    In ogni caso non si fa luogo alla restituzione  di  importi  gia'
versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente decreto-legge»; 
    L'attore, all'udienza del 16 maggio 2011, ha dedotto la questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  61,  del  d.l.  n.
225/2010 sotto il profilo della violazione degli articoli 3, 24,  41,
47, 102 e 111 della Costituzione. 
    In ragione delle questioni che la norma  in  esame  pone,  appare
opportuno esaminare separatamente le due parti di cui si compone. 
    La prima parte della norma dispone  «In  ordine  alle  operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile  si
interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione stessa». 
    A giudizio del decidente e' solo a tale  parte  della  norma  che
puo' attribuirsi carattere interpretativo mentre tale  carattere  non
si rinviene nella seconda parte della norma. 
    La Suprema Corte con la recente  pronunzia  a  sezioni  unite  n.
24418/10 ha ribadito che annotazioni in conto e pagamenti afferiscono
momenti e piani diversi del rapporto di conto corrente,  specificando
«... come difficilmente possa essere  condiviso  il  punto  di  vista
della ricorrente, che,  in  casi  del  genere  di  quello  in  esame,
vorrebbe individuare il dies a quo  del  decorso  della  prescrizione
nella data di annotazione in conto di ogni singola posta di interessi
illegittimamente addebitati dalla banca al correntista. L'annotazione
in conto di una siffatta posta comporta un incremento del debito  del
correntista, o una riduzione dei credito di cui egli ancora  dispone,
ma in nessun modo si risolve  in  un  pagamento,  nei  termini  sopra
indicati:  non  vi  corrisponde  alcuna   attivita'   solutoria   del
correntista  medesimo  in  favore  della  banca.  Sin   dal   momento
dell'annotazione,  avvedutosi  dell'illegittimita'  dell'addebito  in
conto, il correntista potra' naturalmente agire per far dichiarare la
nullita' del titolo su cui quell'addebito si basa e, di  conseguenza,
per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze  del  conto
stesso. E potra' farlo, se al conto  accede  un'apertura  di  credito
bancario, allo scopo di recuperare  una  maggiore  disponibilita'  di
credito entro i limiti del fido concessogli. Ma non puo' agire por la
ripetizione di un pagamento che, in quanto tale, da parte sua non  ha
ancora avuto luogo ...». 
    Prendendo spunto dalla riferita differenziazione puo'  affermarsi
che mentre le annotazioni in conto afferiscono al piano cartolare del
rapporto, i negozi (e tra questi i pagamenti dovuti o meno che siano)
che alle annotazioni  in  conto  danno  luogo  afferiscono  al  piano
causale del negozio. 
    Una volta  ritenuta  la  diversita',  proprio  sotto  il  profilo
tecnico- giuridico, dell'annotazione in conto e del  pagamento  delle
somme risultanti dalle annotazioni in conto, l'ambito operativo della
norma in esame si palesa alquanto ristretto. Essa  risulta,  infatti,
destinata - per espressa e testuale  volonta'  del  legislatore  -  a
disciplinare, interpretando la norma dettata dall'art. 2935 c.c.,  il
regime della prescrizione dei diritti nascenti dalle  annotazioni  in
conto (sia in favore della banca che del cliente), cioe' del  diritto
ad ottenere la rettifica  di  «...  errori  di  scritturazione  o  di
calcolo, per omissioni o per duplicazioni» (cosi' l'art. 1832,  comma
2, c.c., applicabile al  conto  corrente  bancario  per  effetto  del
richiamo operato dall'art. 1857 c.c.). 
    Tale interpretazione e' gia' stata sposata da autorevole dottrina
ed affermata da alcune pronunzie di  merito  (cfr.  Trib.  Milano,  4
aprile 2011 e 7 aprile 2011). 
    Cosi' interpretata la norma, la questione di costituzionalita' e'
manifestamente infondata per irrilevanza nella controversia in  esame
che nessuna questione relativa alle annotazioni in conto presenta. 
    La seconda parte dell'art. 2, comma  61,  del  d.l.  n.  225/2010
cosi' dispone: «In ogni caso non si fa  luogo  alla  restituzione  di
importi gia' versati alla data di entrata in vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto-legge»; 
    La  previsione  in   esame   non   appare   dotata   di   valenza
interpretativa  ma  innovativa  ed  e'  implicitamente   retroattiva;
preclude,  quindi,  sia  alla  banca  che  al  cliente,  razione   di
ripetizione di somme che siano gia' state (indebitamente) corrisposte
alla data di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del
decreto-legge n. 225/2010. 
    La norma assume indubbia rilevanza  nel  giudizio  in  esame  nel
quale  l'attore  ha  proposto  domanda  di  ripetizione  delle  somme
indebitamente corrisposte alla  banca,  domanda  che,  applicando  la
norma, non potrebbe che essere rigettata. 
    Il   precetto   normativo   appare   violare   i   parametri   di
costituzionalita' di seguito elencati. 
Articolo 3 Costituzione 
    La norma viola  il  principio  di  eguaglianza  tra  i  cittadini
discriminando in modo del tutto irragionevole - e senza che  sussista
plausibile giustificazione di  una  siffatta  differenziazione  -  la
posizione del correntista che abbia eseguito un versamento non dovuto
prima dell'entrata in vigore della  norma  censurata  (soggetto  alla
norma) da quella di chi abbia eseguito il versamento  non  dovuto  il
giorno successivo all'entrata in vigore della norma. 
    Il parametro di riferimento che dovrebbe fornire  giustificazione
alla macroscopica disparita' di trattamento tra soggetti che  vertono
in identiche situazioni giuridiche e' la data di  entrata  in  vigore
della  legge  di  conversione.   Non   sembra   necessario   spendere
argomentazioni per supportare la conclusione  che  si  tratta  di  un
elemento  casuale,   assolutamente   inidoneo   a   giustificare   il
diversificato  trattamento  di  identiche  posizione  soggettive  dei
cittadini. 
    Analoghe considerazioni valgono con riferimento  alla  disparita'
di trattamento, priva di ragionevolezza  e  giustificazione,  che  si
verrebbe a creare tra istituti di credito. 
    Si pensi al caso in cui due banche siano destinatarie di sentenze
di primo grado (ma non definitive) che condannino  alla  restituzione
di somme indebitamente percepite e che una  delle  due  banche  abbia
dato esecuzione alla  sentenza  mentre  l'altra  non  ancora.  Appare
evidente che la banca che ha eseguito la sentenza pagando  il  dovuto
prima dell'entrata in vigore della norma censurata  non  potra'  piu'
impugnare la sentenza per effetto della preclusione introdotta  dalla
norma  censurata  mentre  l'istituto  di  credito  che  non  ha  dato
esecuzione alla sentenza di primo grado non solo potra' appellarla ma
anzi sara' certo del buon esito del giudizio perche' in tal  caso  lo
sbarramento  legale  alla  ripetizione  dell'indebito   colpira'   il
correntista (anche se vittorioso in primo grado). 
Articolo 24, comma 1 e 2, Costituzione 
    La scelta del legislatore comporta  per  i  correntisti  che  una
condotta illecita tenuta dalla banca (l'indebita percezione di somme)
viene ex lege esonerata da responsabilita' e,  sotto  altro  profilo,
che un diritto soggettivo (azione di ripetizione dell'indebito) viene
privato di tutela e, di fatto, cancellato dall'ordinamento,  violando
sia il primo che il secondo comma dell'art. 24 Costituzione. 
    La norma viola l'art. 24  Costituzione  anche  se  riferita  agli
istituti di credito. 
    La banca che abbia spontaneamente pagato quanto  ritiene  che  il
correntista abbia indebitamente versato o che  abbia  pagato  perche'
destinataria di una sentenza di primo grado di condanna non  potrebbe
piu' agire per tutelare la propria posizione soggettiva, ne' proporre
impugnazione avverso la sentenza di primo grado. 
Articolo 117, primo comma, costituzione  in  relazione  all'  art.  6
della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo,
ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    L'articolo 6 della Convenzione Europea per  la  Salvaguardia  dei
Diritti dell'Uomo dispone che «ogni persona ha  diritto  che  la  sua
causa sia esaminata  imparzialmente,  pubblicamente  e  in  un  tempo
ragionevole, da parte di  un  tribunale  indipendente  ed  imparziale
...». 
    La norma in esame spiega  effetti  nell'ordinamento  interno  per
effetto del meccanismo detto di «rinvio mobile» del  diritto  interno
alle norme internazionali pattizie, rinvio operativo in  ottemperanza
all'art. 117, primo comma, Costituzione che impone al legislatore  il
rispetto «... dei vincoli derivanti  dall'ordinamento  comunitario  e
dagli obblighi internazionali». 
    L'art. 6, nell'interpretazione datane  dalla  Corte  Europea  dei
Diritti dell'Uomo (le cui pronunzie sono vincolanti  per  il  giudice
interno),  afferma  (limitandosi  a   quanto   di   interesse   nella
fattispecie in esame) che il diritto ad un giusto processo  in  linea
di principio preclude al legislatore dei singoli Stati contraenti  la
possibilita' di incidere su singole cause o su determinate  tipologie
di controversie gia'  pendenti,  attraverso  norme  interpretative  o
comunque retroattive volte determinare un  vantaggio  per  una  delle
parti del giudizio. 
    Tale limite, afferma la giurisprudenza della Corte di Strasburgo,
puo'  essere  travalicato  solo  in  caso  di   «ragioni   imperative
d'interesse generale», la cui  sussistenza  la  Corte  di  Strasburgo
valuta con riferimento al singolo caso concreto. 
    In proposito  appare  utile  riferire  il  pensiero  della  Corte
europea in un caso riguardante la violazione dell'art. 6 C.E.D.U.  ad
opera di una norma italiana in materia di espropriazioni. 
    «126. La Corte ribadisce  che  se,  in  linea  di  principio,  in
materia civile non e' vietato al potere legislativo disciplinare  con
nuove disposizioni, di natura retroattiva,  i  diritti  che  derivano
dalle leggi vigenti, il principio della preminenza del diritto  e  la
nozione di processo equo, sanciti dall'art. 6 della  Convenzione,  si
oppongono, fatte salve prevalenti necessita' di  interesse  generale,
all'ingerenza  del  potere  legislativo  nell'amministrazione   della
giustizia con lo scopo di  influire  sull'esito  giudiziario  di  una
controversia (v. la sentenza nel caso Zielinski e Pradal  &  Gonzales
c. Francia, GC, par.  57;  la  sentenza  9  dicembre  1994  nel  caso
Raffinerie greche Stran e Stratis Andreadis e. Grecia, serie A n. 301
B e la sentenza 22 ottobre 1997 nel caso Papageorgiou c. Grecia). 
    127. La Corte ricorda che prima dell'entrata in vigore  dell'art.
5-bis legge n. 359 del  1992,  considerate  le  sentenze  pronunciate
dalla Corte costituzionale italiana il 25 gennaio 1980 e il 15 luglio
1983, la legge applicabile alla fattispecie era la legge n. 2359  del
1865, che prevede all'art. 39 il diritto di  essere  indennizzato  in
misura pari  al  valore  venale  del  bene.  Come  conseguenza  della
disposizione contestata, i ricorrenti hanno  subito  una  consistente
diminuzione del loro indennizzo. 
    128.  Modificando  il   diritto   applicabile   agli   indennizzi
conseguenti alle espropriazioni in corso e ai  relativi  procedimenti
giudiziari pendenti, eccezion fatta per quelli in cui il principio di
indennizzo ha costituito oggetto di  decisione  irrevocabile,  l'art.
5-bis della legge. n. 359 del 1992 ha applicato un  nuovo  regime  di
indennizzo a situazioni pregiudizievoli antecedenti alla sua  entrata
in vigore e che avevano gia' dato luogo a  crediti  risarcitori  -  e
anche alle procedure pendenti a quella data  -  producendo  cosi'  un
effetto retroattivo. 
    129.  Per  effetto  dell'applicazione  di  tale  disposizione,  i
proprietari dei terreni espropriati sono stati privati di  una  parte
consistente  dell'indennizzo  che  avrebbero  potuto  precedentemente
pretendere in base alla legge n. 2359 del 1865. 
    130. Cosi', anche se il  procedimento  contestato  non  e'  stato
annullato a' sensi dell'art. 5 bis della legge n. 359  del  1992,  la
disposizione in questione, applicabile  al  procedimento  giudiziario
che i ricorrenti avevano introdotto e che  era  in  corso,  ha  avuto
l'effetto   di   modificarne   definitivamente   l'esito,   definendo
retroattivamente i termini della questione a loro svantaggio... 
    La disposizione  contestata  aveva  comunque  manifestamente  per
oggetto,  ed  ha  avuto  per  effetto,  di  modificare  il   criterio
indennitario applicabile, anche nel caso di  procedimenti  giudiziari
in corso, nei quali lo Stato era  parte  (v.  la  sentenza  nel  caso
Anagnostopoulos e altri c. Grecia, par. 20-21). 
    131. Senza dubbio l'applicabilita' alle indennita' non definite e
alle procedure pendenti non  potrebbe,  di  per  se',  costituire  un
problema sotto il profilo della Convenzione, non essendo impedito  al
legislatore, in linea di principio, di intervenire in materia  civile
per modificare lo stato del  diritto  con  una  legge  immediatamente
applicabile (v. la sentenza nel caso  OGIS-Institut  Stanislas,  OGEC
Saint-Pie X et Bianche de  Castille  e  altri  cit.,  par.  61  e  la
sentenza nel caso Zielinski et Pradal & Gonzalez e  altri  c.Francia,
cit., par. 57). 
    Tuttavia, nella fattispecie, l'art. 5 bis della legge n. 359  del
1992  ha   semplicemente   soppresso   retroattivamente   una   parte
consistente dei crediti indennitari,  di  ammontare  elevato,  che  i
proprietari  espropriati,  come  i   ricorrenti,   avrebbero   potuto
richiedere agli esproprianti. Al riguardo, la Corte ricorda  di  aver
appena constatato che l'indennita' concessa  ai  ricorrenti  non  era
adeguata, considerato il suo modesto ammontare e l'assenza di  motivi
di  pubblica  utilita'  che  potessero  giustificare  un   indennizzo
inferiore al valore di mercato del bene (par. 103-104 supra). 
    132. A parere della Corte, il Governo non ha  dimostrato  che  le
considerazioni da esso evocate - cioe' le considerazioni  finanziarie
e la volonta' del legislatore di  attuare  un  programma  politico  -
consentivano  di  far  emergere  «l'interesse  generale  evidente   e
imperativo» richiesto per giustificare l'efficacia  retroattiva,  che
essa ha riconosciuto in alcuni casi (v. la sentenza 23  ottobre  1997
nel caso  National  &  Provincial  Building  Society,  LeedsPermanent
Building Society et Yorkshire Building Society  c.  Regno  Unito;  la
sentenza 27  maggio  2004  nel  caso  OG1S-Institut  Stanislas,  OGEC
Saint-Pie X et Bianche de Castille e altri c. Francia, cit., par. 61;
la sentenza 20 febbraio 2003 nel caso Forrer-Niedenthal c. Germania e
la sentenza nel caso Beick c. Finlandia). 
    133. Pertanto, vi e' stata violazione dell'art. 6, par.  1  della
Convenzione. «(cosi' Corte europea dir. Uomo,  sez.  grande  chambre,
sentenza 29 marzo 2006 n. 36813, Scordino c. Italia). 
    Parafrasando la Corte europea, puo'  affermarsi  che  non  esiste
ragione alcuna che giustifichi  -  sotto  il  profilo  dell'interesse
generale evidente e imperativo - la  soppressione  del  diritto  alla
ripetizione dell'indebito operata dall'art. 2, comma 61, del d.l.  n.
225/2010 che dispone: «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione
di importi gia' versati alla data di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto-legge. 
    Posta tale  conclusione,  l'univoco  dato  testuale  della  norma
censurata non ne  consente  una  interpretazione,  costituzionalmente
orientata, che permetta di  eliminarne  (in  via  interpretativa)  il
conflitto con l'art. 6 della C.E.D.U. 
    Escluso che  il  contrasto  della  norma  interna  con  l'art.  6
C.E.D.U.  sia  superabile  in  via  interpretativa  non   resta   che
denunziarne l'incostituzionalita' per violazione dell'art. 117, comma
primo, Costituzione e/o dell'art. 10, comma primo, Costituzione. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dichiara manifestamente infondata la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 2 comma 61, della legge n. 10 del  2011,  di
conversione del  d.l.  29  dicembre  2010  n.  225,  (pubblicato  sul
supplemento ordinario n. 53 della «Gazzetta Ufficiale» n. 47  del  26
febbraio 2011), nella parte in cui dispone «In ordine alle operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile  si
interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione stessa»; 
    Visti gli artt. 134 Costituzione e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87; 
    Dichiara  non  manifestamente  infondata  e  rilevante   per   la
decisione  del  presente  giudizio  la  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 2 comma 61, della legge n. 10 del  2011,  di
conversione del  d.l.  29  dicembre  2010  n.  225,  (pubblicato  sul
supplemento ordinario n. 53 della «Gazzetta Ufficiale» n. 47  del  26
febbraio 2011), nella parte in cui dispone «In ogni caso  non  si  fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge»  per
violazione degli articoli 3, 24, comma primo  e  secondo,  10,  comma
primo, e 117, comma primo, della Costituzione; 
    Dispone la sospensione del procedimento in corso; 
    Ordina la notificazione della presente  ordinanza  al  Presidente
del Consiglio  dei  Ministri  e  la  comunicazione  della  stessa  ai
Presidenti della Camera dei Deputati e del Senato; 
    Dispone la trasmissione dell'ordinanza alla Corte  costituzionale
insieme agli atti del giudizio ed alla prova  delle  notificazioni  e
delle comunicazioni prescritte. 
    Si comunichi alle parti. 
        Catania, 31 maggio 2011 
 
                         Il Giudice: Fichera