N. 50 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 dicembre 2011

Ordinanza del 14 dicembre 2011 emessa  dal  Tribunale  amministrativo
regionale della Campania sul ricorso proposto  da  Schettini  Alfredo
contro ASL Napoli 1 Centro. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica -  Regioni  sottoposte  a  piani  di
  rientro del  disavanzo  sanitario  e  commissariate  alla  data  di
  entrata in vigore della legge censurata - Previsione del divieto di
  intraprendere  e  proseguire  azioni  esecutive  nei  confronti  di
  aziende sanitarie locali ed ospedaliere delle regioni stesse,  fino
  al  31  dicembre  2012  -  Previsione  che  i  pignoramenti  e   le
  prenotazioni a debito sulle rimesse  finanziarie  trasferite  dalle
  regioni  stesse  alle  aziende  sanitarie  locali  ed   ospedaliere
  effettuati prima della data  di  entrata  in  vigore  del  d.l.  n.
  78/2010, convertito in legge n.  122/2010,  non  producono  effetti
  dalla data suddetta fino al 31 dicembre 2012 e  non  vincolano  gli
  enti del servizio sanitario  regionale  ed  i  tesorieri,  i  quali
  possano disporre, per le finalita' istituzionali dei predetti enti,
  delle somme agli stessi trasferite durante il  suddetto  periodo  -
  Ingiustificato  trattamento  di  privilegio  degli  enti  regionali
  rispetto ai comuni debitori - Incidenza sul diritto di azione e  di
  difesa  in  giudizio  -  Lesione  del  principio  di  liberta'   di
  iniziativa  economica  privata  -  Violazione  del   principio   di
  ragionevole durata del processo. 
- Legge 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 51. 
- Costituzione, artt. 3, primo comma, 24, commi primo e secondo, 41 e
  111, comma secondo. 
(GU n.14 del 4-4-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  4868  del  2011,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: Alfredo  Schettini,  rappresentato  e  difeso  dall'avv.
Fulvio Merlino, con domicilio eletto presso il suo studio, in Napoli,
via Parco Margherita n. 49; 
    Contro A.S.L. Napoli 1 Centro, rappresentato e difeso dagli  avv.
Giuseppe Iervolino, Annamaria De Nicola, Ornella  Giaculli,  Annalisa
Intorcia, Franco  Lembo,  Rosa  Maiello,  Gianpiero  Mesco,  Isabella
Selvaggi, Maria Fusco, Anna Vingiani, con domicilio eletto in Napoli,
P. Nazionale 95 presso i Servizi Legali della Asl; 
    Ottemperanza al decreto ingiuntivo n. 7128  del  22  giugno  2009
emesso dal tribunale di Napoli; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visto l'atto di costituzione  in  giudizio  di  A.S.L.  Napoli  1
Centro; 
    Relatore nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011  il
dott. Fabrizio D'Alessandri e uditi per le  parti  i  difensori  come
specificato nel verbale; 
    Con il ricorso in esame, notificato il 5  settembre  2011,  parte
ricorrente  chiedeva  l'ottemperanza  del   decreto   ingiuntivo   n.
7128/2009, emesso dal Tribunale Civile di Napoli, in data  18  giugno
2009, notificato il 30 luglio 2009 e successivamente rinotificato  in
forma esecutiva il 18 dicembre 2009, con il quale era stato  ingiunto
al Comune in epigrafe di pagare al ricorrente per la  somma  di  euro
112.389,07, oltre interessi, nonche' spese e competenze di procedura; 
    In particolare, parte ricorrente, a fronte del mancato  pagamento
di tali importi,  chiedeva  al  presente  T.A.R.  di  voler  disporre
l'esecuzione del decreto ingiuntivo in epigrafe indicato, nominando a
tal fine un commissario ad acta che provvedesse  al  pagamento  delle
somme dovute, a cura e spese del Comune in epigrafe; 
    Si costituiva in giudizio il Comune intimato  formulando  memorie
difensive. 
    Il Collegio rileva, in fatto,  che,  stante  anche  l'assenza  di
contestazione sul punto  da  parte  del  Comune  costituito,  risulti
comprovato che il decreto ingiuntivo sia  divenuto  definitivo  prima
della instaurazione del  giudizio  e  che,  pertanto,  alla  luce  di
consolidata  giurisprudenza  anche  di  questa  Sezione   in   ordine
all'efficacia di cosa giudicata del decreto ingiuntivo  non  opposto,
parte ricorrente possa agire in sede di giudizio di  ottemperanza  ai
sensi dell'art. 112 e seguenti del codice di procedura amministrativa
(ex multis T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 4 maggio 2010, n. 2463). 
    Rileva, altresi', che non risulta che il  Comune  intimato  abbia
provveduto  al  pagamento,  sebbene  sia  anche  decorso  il  termine
dilatorio di 120 giorni dalla  notificazione  del  titolo  esecutivo,
concesso   alle   amministrazioni   pubbliche   dall'art.   14    del
decreto-legge n. 669 del 31 dicembre 1996 (convertito nella legge  n.
30/1997, modificato dall'art. 147 legge n. 388 del 23 dicembre  2000,
e successivamente dall'art. 44 n. 269 del decreto-legge 30  settembre
2003, convertito, dalla legge n.  326  del  24  novembre  2003),  per
completare le procedure ai  fini  dell'esecuzione  dei  provvedimenti
giurisdizionali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di
pagamento di somme di danaro, e, pertanto,  il  ricorso  si  presenta
come potenzialmente accoglibile. 
    Viene  pero'  in  rilievo  in   senso   ostativo   la   questione
dell'applicabilita', alla fattispecie in esame dell'art. 1, del comma
51, legge n. 220 del 12  dicembre  2010,  che  nel  testo  modificato
dall'art. 17, comma 4, lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98,
convertito, con modificazioni, dalla legge 15  luglio  2011,  n.  111
(che ha prorogato al 31  dicembre  2012  il  termine  originariamente
fissato nel 31 novembre 2012)  dispone  «Al  fine  di  assicurare  il
regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei   debiti   oggetto   della
ricognizione di cui all'art. 11, comma 2, del decreto-legge 31 maggio
2010, n. 78, convertito, con modificazioni,  dalla  legge  30  luglio
2010, n. 122, nonche' al  fine  di  consentire  l'espletamento  delle
funzioni  istituzionali  in  situazioni  di  ripristinato  equilibrio
finanziario per le regioni gia' sottoposte ai piani  di  rientro  dai
disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi  dell'art.  1,  comma  180,
della legge 30 dicembre 2004, n. 311, e successive  modificazioni,  e
gia' commissariate alla data di  entrata  in  vigore  della  presente
legge, non possono essere intraprese o  proseguite  azioni  esecutive
nei confronti delle aziende  sanitarie  locali  e  ospedaliere  delle
regioni medesime, fino al 31  dicembre  2012.  I  pignoramenti  e  le
prenotazioni a debito  sulle  rimesse  finanziarie  trasferite  dalle
regioni di cui al presente comma  alle  aziende  sanitarie  locali  e
ospedaliere delle regioni medesime ... non producono effetti fino  al
31 dicembre 2012...». 
    La Regione Campania infatti, con delibera della Giunta  regionale
n. 1843 del 9  dicembre  2005  (Bollettino  ufficiale  della  Regione
Campania - n. 1 del 2 gennaio 2006), ha adottato disposizioni per  il
triennio 2006 - 2008 al  fine  di  riportare  l'equilibrio  economico
delle Aziende sanitarie  locali,  delle  Aziende  ospedaliere,  delle
Aziende ospedaliere universitarie  e  della  Fondazione  Pascale,  in
conformita' all'art. 1, comma 173, legge n. 311 del 30 dicembre  2004
(Finanziaria 2005), il quale ha subordinato l'accesso  delle  singole
Regioni al finanziamento integrativo a carico dello  Stato  (previsto
dal comma 164) alla stipula ed al rispetto di una precisa intesa  tra
quest'ultimo e le Regioni, diretta a contenere la dinamica dei  costi
con il ricorso a misure specifiche. 
    In  seguito,  con  deliberazione  n.  460  del  20   marzo   2007
(Bollettino Ufficiale della Regione Campania - n.  17  del  26  marzo
2007), la Giunta regionale ha  approvato  il  Piano  di  Rientro  dal
disavanzo e di  riqualificazione  e  razionalizzazione  del  Servizio
Sanitario Regionale ai fini  della  sottoscrizione  dell'Accordo  tra
Stato e Regione Campania, ai sensi  dell'art.  1,  comma  180,  della
citata legge n. 311/2004. 
    Con delibera del Consiglio dei Ministri del 24  luglio  2009,  il
Governo ha nominato il Presidente pro tempore della giunta  regionale
Campania, quale Commissario ad acta per  l'attuazione  del  Piano  di
Rientro dal disavanzo sanitario, ai sensi dell'art. 4, commi 1  e  2,
del decreto-legge  n.  159  del  1o  ottobre  2007,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 222 del 29 novembre 2007, e  successive
modifiche. 
    La delibera e' stata poi confermata dalla delibera del  Consiglio
dei Ministri del 23 aprile 2010,  con  la  quale  il  Presidente  pro
tempore della Regione Campania, in qualita' di Commissario  ad  acta,
ha assunto il compito di  proseguire  nell'attuazione  del  Piano  di
Rientro secondo i programmi operativi di cui all'art.  1,  comma  88,
della legge n. 191 del 2009. 
    Ora l'accertato stato di dissesto  finanziario  riconducibile  al
disavanzo sanitario potrebbe potenzialmente comportare l'applicazione
dell'art. 1,  comma  51,  legge  n.  220  del  2010  con  conseguente
inammissibilita' del presente ricorso e  frustrazione  delle  pretese
creditorie della societa' ricorrente. 
    Parte ricorrente ha sostenuto al riguardo che tale norma  risulti
applicabile esclusivamente alle procedure di esecuzione  forzata  per
espropriazione dinanzi al giudice ordinario e non sia  riferibile  al
giudizio di ottemperanza. 
    Secondo parte ricorrente, difatti, la norma in esame  avrebbe  lo
scopo di garantire l'attuazione, attraverso i Piani  di  Rientro,  un
percorso virtuoso di riequilibrio economico finanziario, unitamente a
quello di consentire  la  riorganizzazione  del  Servizio  sanitario,
fermo restando il mantenimento dei livelli qualitativi e quantitativi
delle prestazioni, in coerenza con i livelli essenziali di assistenza
in materia sanitario. 
    Da cio' parte ricorrente dedurrebbe che  la  norma  postuli  solo
l'indispensabilita'  del  mantenimento   dei   beni   strumentali   e
funzionali  all'erogazione  delle  prestazioni  sanitarie,  che   non
potrebbero essere sottratti alla loro destinazione funzionale,  e  di
essa andrebbe data una interpretazione restrittiva, nel  senso  della
sua  applicabilita'  esclusivamente  alle  procedure  di   esecuzione
forzata in senso stretto, precludendo gli atti tipici del processo di
esecuzione, quali il pignoramento. 
    In particolare, non rientrerebbe nell'ambito di azione di  questa
norma  il  giudizio  di  ottemperanza  caratterizzato  dalla  mancata
aggressione di singoli beni strumentali al servizio e dalla nomina di
un commissario ad acta in grado di espletare il  suo  incarico  senza
intaccare beni strumentali al servizio sanitario e le somme destinate
all'erogazione del servizio, reperendo  in  altro  modo  gli  importi
necessari, magari mediante ricorso a finanziamenti. 
    A parere del Collegio la tesi di parte ricorrente non e'  fondata
e la norma in questione risulterebbe applicabile  anche  al  giudizio
per ottemperanza. 
    Cio' in primo luogo per l'ampiezza del termine «azioni esecutive»
utilizzato dalla norma. 
    Fuori di dubbio risulta, a parere del  Collegio,  la  valenza  di
azione  esecutiva  del  giudizio  di  ottemperanza  soprattutto   nei
riguardi dei provvedimenti del giudice ordinario. 
    In tal senso il giudizio di ottemperanza giunge all'esito  di  un
precedente provvedimento decisorio del giudice ordinario ed e'  volto
alla  mera  attuazione  di  quest'ultimo,   tendendo   al   materiale
conseguimento, in fase esecutiva, di quanto statuto  nella  decisione
attuata. 
    Per  la  giurisprudenza,  difatti,  l'oggetto  del  giudizio   di
ottemperanza e' rappresentato dalla puntuale verifica  da  parte  del
giudice  dell'esatto  adempimento   da   parte   dell'Amministrazione
dell'obbligo di conformarsi al giudicato (C.d.S., sez. V,  3  ottobre
1997, n. 1108; sez. IV, 15 aprile 1999, n. 626; 17 ottobre  2000,  n.
5512),  al  fine  di  far  conseguire  concretamente  all'interessato
l'utilita' o il bene della  vita  gia'  riconosciutogli  in  sede  di
cognizione. 
    In sede di giudizio di ottemperanza,  difatti,  non  puo'  essere
riconosciuto un diritto nuovo ed ulteriore rispetto  a  quello  fatto
valere ed affermato con la sentenza da eseguire, anche se sia ad essa
conseguente o collegato (C.d.S., sez. IV, 17 gennaio 2002,  n.  247),
non potendo essere neppure proposte domande che non  siano  contenute
nel «decisum» della sentenza da eseguire (C.d.S., sez. IV, 9  gennaio
2001 n. 49; 10 agosto 2000, n. 4459; Consiglio di stato, sez.  V,  18
agosto 2010, n. 5817). 
    A fronte di statuizioni giudiziali rese dal  giudice  civile,  il
giudice  dell'ottemperanza  svolge  una  mera  attivita'   esecutiva,
tant'e' che non ha possibilita' di integrare la decisione civile  ed,
anzi,  qualora  gli  si  riconoscesse  una  «cognitio»   piena,   con
possibilita' di modificare ed  integrare  la  decisione  del  giudice
ordinario, si ammetterebbe la sindacabilita' attraverso  il  giudizio
d'ottemperanza del rapporto sottostante ove difetta di giurisdizione. 
    La sfera di attinenza del giudizio di ottemperanza nei  confronti
delle sentenza del giudice ordinario puo'  quindi  senz'altro  essere
ascritta alle azioni esecutive. 
    A tale riguardo la giurisprudenza ha evidenziato come il giudizio
di ottemperanza possa assumere la prospettazione  di  giudizio  misto
(di cognizione ed esecuzione al contempo) nei soli  casi  in  cui  si
tratta dell'esecuzione di sentenze del giudice amministrativo, e  non
anche nel caso di sentenze del  giudice  ordinario  (T.A.R.  Calabria
Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011, n. 515). 
    La natura di giudizio misto e'  affermabile  solo  per  la  prima
delle ipotesi  richiamate  in  quanto  spesso  la  regola  posta  dal
giudicato  amministrativo  e'   una   regola   implicita,   elastica,
incompleta, che spetta al  giudice  dell'ottemperanza  completare  ed
esplicitare. Sia le Sezioni Unite della Corte  di  cassazione  (Cass.
sez. Un. , 30 giugno  1999,  n.  376)  che  l'Adunanza  Plenaria  del
Consiglio di Stato (Ad. Plen. 15 marzo  1989,  n.  7)  hanno  difatti
ritenuto che il giudice dell'ottemperanza, in caso  di  sentenze  del
giudice amministrativo - diversamente da quanto  accade  in  caso  di
sentenze rese dal giudice di un  altro  ordine  -  ha  il  potere  di
integrare il giudicato, nel quadro degli ampi  poteri,  tipici  della
giurisdizione  estesa  al  merito  (e  idonei  a  giustificare  anche
l'emanazione di provvedimenti discrezionali), che in  tal  caso  egli
puo' esercitare ai fini dell'adeguamento della situazione al  comando
rimasto inevaso (cfr. anche Consiglio di stato, sez. VI,  16  ottobre
2007, n. 5409). 
    Infine, per quanto  riguarda  il  giudizio  di  ottemperanza  per
l'esecuzione di un decreto ingiuntivo non opposto, la  giurisprudenza
ha  condivisibilmente  ritenuto  che  «il   giudice   amministrativo,
accertato il mancato pagamento delle  somme  ingiunte,  e'  investito
solo della  funzione  di  garantire  gli  adempimenti  materiali  per
soddisfare tale precetto,  senza  poter  valutare  le  ragioni  della
situazione debitoria e dell'imputabilita'  dell'inerzia  riscontrata»
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 13 aprile 2011,  n.  515;  T.A.R.
Lazio Roma, sez. III, 17 novembre 2008, n. 10251), assumendo  compiti
meramente esecutivi. 
    Ulteriore  prova  della  valenza  esecutiva   del   giudizio   di
ottemperanza e' la pacifica alternativita',  per  l'esecuzione  delle
sentenze  del  giudice  ordinario,  del  rimedio  del   ricorso   per
l'ottemperanza  agli  strumenti  esecutivi  previsti  dal  codice  di
procedura civile, potendo la parte liberamente scegliere se agire  in
sede di esecuzione civile ovvero in sede di giudizio di  ottemperanza
(T.A.R. Sicilia Catania sez. III Sent., 14 luglio 2009, n. 1268). 
    Per tali rilievi il Collegio ritiene  che  presente  giudizio  di
ottemperanza sia  qualificabile  come  «azione  esecutiva»  ai  sensi
dell'art. 1, comma 51, della legge n. 220/2010. 
    In secondo luogo, a parere del  Collegio,  anche  la  rado  della
disciplina in esame depone per l'applicabilita' di quest'ultima norma
anche al giudizio di ottemperanza. 
    Appare evidente,  difatti,  che  una  normativa  che  dispone  la
temporanea  sospensione  delle  azioni  esecutive   allo   scopo   di
consentire il ripristino dell'equilibrio economico finanziario  delle
aziende sanitarie ed ospedaliere delle regioni in dissesto, non possa
che riguardare tutte le azioni  esecutive  che  riguardino  i  debiti
dell'ente, ovverosia tutte quelle procedure che, in attuazione di  un
decisum  di  condanna,  consentano  procedure  giudiziarie  volte  al
materiale pagamento dello stesso. 
    La ratio di dare la possibilita' a tali  enti  di  provvedere  al
riequilibrio economico e finanziario e di riorganizzare il  servizio,
risulterebbe,   difatti,   frustrata   nel   caso   si    consentisse
l'azionabilita'  di  singoli  crediti   mediante   il   giudizio   di
ottemperanza. 
    La possibilita' da parte dei creditori di agire con lo  strumento
alternativo (all'esecuzione civile) del giudizio di ottemperanza  non
farebbe  che  frustrare  la  finalita'   della   norma,   consentendo
l'instaurazione di singole procedure di recupero dei crediti  dinanzi
al giudice amministrativo con l'effetto di agirare sostanzialmente la
previsione di sospensione delle azioni esecutive posta  per  l'azione
davanti al giudice civile. 
    A  tale  riguardo  non  pare  sufficiente,  ai  nostri  fini,   a
giustificare la possibilita' di agire in ottemperanza  la  differenza
strutturale che presenta quest'ultima rispetto  all'azione  esecutiva
in sede civile, costituita dalla nomina di un commissario ad acta. 
    Non si vede, difatti, come il commissario ad acta  investito  del
singolo incarico possa procedere  al  pagamento  del  singolo  debito
senza  interferire  con  la  finalita'  della  norma  di   consentire
l'organica  attuazione  di  programmi   di   riequilibrio   economico
finanziario  (e,  nello  specifico,  del  regolare  svolgimento   dei
pagamenti dei debiti oggetto dell'art. 11, comma 2,  della  legge  n.
122/2010, che prevedeva una procedura di ricognizione dei debiti e la
predisposizione  di  un  piano  con  le  modalita'  ed  i  tempi   di
pagamento). 
    La ratio della norma in esame non pare solo quella di sottrarre i
beni strumentali al servizio al riparo da  singole  azioni  esecutive
idonee a distrarle dalla loro destinazione, bensi'  anche  quella  di
consentire la realizzazione di un  organico  programma  di  riassetto
economico finanziario. 
    Per tali rilievi il Collegio ritiene che anche la  proponibilita'
del  giudizio  d'ottemperanza  sia   assoggettata   ai   termini   di
sospensione previsti dalla legge n. 220/2010. 
    Detto questo, pero', il Collegio ritiene possa  prospettarsi  una
questione di possibile incostituzionalita'  dell'art.  1,  comma  51,
legge n. 220 del 2010, con riferimento agli artt.  3,  comma  1,  24,
commi 1 e 2, 41 e 111, comma 2, della Costituzione. 
    In tal senso peraltro si e'  gia'  espresso  il  T.A.R.  Campania
Salerno,  sez.  I,  con  le  ordinanze  di  rimessione   alla   Corte
costituzionale n. 1479 ed n. 1481, entrambe del 7 settembre 2011,  di
cui verranno in gran parte riprese le motivazioni. 
    Il  Collegio,  pur  ravvisando  l'identita'  delle  questioni  di
costituzionalita' in  questione  ritiene  pero'  di  dover  sollevare
anch'esso questione di costituzionalita'  perche',  da  un  lato,  le
questioni  gia'  oggetto  di  rimessione  alla  Corte  costituzionale
riguardano ricorsi per l'ottemperanza che, al contrario di quello ora
in questione, sono stati instaurati prima  dell'intervenuta  modifica
dell'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010 ad  opera  cui  all'art.
17, comma 4, e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 e,  pertanto,  le
relative questioni erano formalmente  riconducibili  al  testo  della
norma antecedente alla modifica (anche se le ordinanze di  rimessione
davano debitamente conto dell'intervenuta sopravvenienza normativa). 
    Dall'altro il Collegio ha tenuto conto di quanto  indicato  dalla
giurisprudenza civile ed, in particolare, dalla Corte di  Cassazione,
sez. II, 24 novembre 2006, n. 4946, atteso altresi' che l'art. 79 del
codice del processo amministrativo rinvia,  per  quanto  riguarda  le
cause di sospensione del processo al codice di procedura. 
    La pronuncia in questione si determinata negativamente in  ordine
alla possibilita' di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c.  nel
caso di  pendenza  di  giudizio  di  costituzionalita'  sulla  stessa
questione sollevata  in  altro  giudizio,  ritenendo  che,  ai  sensi
dell'art. 23 della legge n. 87 del 1953, quando in un giudizio civile
si pone una questione di costituzionalita', anche qualora  penda,  in
quanto sollevata in altro giudizio, la medesima questione  avanti  la
Corte  costituzionale  il  giudice  e'  tenuto,  qualora  ritenga  la
questione rilevante, a investire a sua volta la Corte  costituzionale
e solo  per  questa  ipotesi  che  e'  prevista  la  sospensione  del
giudizio. 
    Per quanto riguarda  i  profili  di  incostituzionalita',  appare
opportuna in via preliminare una ricostruzione del  quadro  normativo
di riferimento. 
    Al riguardo, si rammenta che l'art. 2, comma 89, della  legge  n.
191 del 23 dicembre 2009 (Legge finanziaria 2010), per un periodo  di
dodici mesi decorrenti dalla  sua  data  di  entrata  in  vigore  (1°
gennaio 2010), impediva ai creditori di  intraprendere  o  proseguire
azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie od ospedaliere
delle regioni che avessero sottoscritto i piani di rientro  ai  sensi
dell'art. 1, comma 180, della menzionata legge n. 311 del 2004,  cio'
allo scopo di conseguire gli obiettivi  sottesi  ai  piani  medesimi,
volti ad aggredire i disavanzi verificatisi nel settore sanitario. La
norma stabiliva inoltre che i pignoramenti,  eventualmente  eseguiti,
non avrebbero vincolato gli enti debitori e  i'  tesorieri,  i  quali
avrebbero potuto ugualmente disporre delle  somme  per  i  loro  fini
istituzionali.  Quest'ultima  previsione  introduceva  un  meccanismo
retroattivo in grado di rendere del tutto inefficaci  i  pignoramenti
eseguiti in data antecedente l'entrata in vigore  della  legge  e  di
consentire agli enti debitori di rientrare nella piena disponibilita'
delle somme dovute, ancorche' pignorate (cd. «svincolo delle somme»). 
    Le perplessita' legate ai  probabili  profili  di  illegittimita'
costituzionale e  di  contrasto  con  la  normativa  comunitaria,  ha
indotto il legislatore a modificare la disposizione citata con l'art.
1, comma 23-vicies del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.  194  (c.d.
decreto Milleproroghe, convertito, con modificazioni, nella legge  n.
25 del 26 febbraio 2010), il quale ha ridotto da dodici  a  due  mesi
l'efficacia temporale del blocco delle azioni esecutive. 
    In virtu' di questa modifica, a partire dal 1° marzo 2010, veniva
ripristinato il diritto dei creditori di agire  in  giudizio  per  il
soddisfacimento delle pretese vantate  nei  confronti  delle  aziende
sanitarie ed ospedaliere debitrici. 
    Sennonche', la situazione  di  deficit  complessivo  del  sistema
sanitario e le difficolta',  da  parte  delle  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere,     di     raggiungere     l'auspicato      riequilibrio
economico-finanziario,  hanno  tuttavia   indotto   il   Governo   ad
intervenire nuovamente. L'art. 11,  comma  2,  del  decreto-legge  25
maggio 2010, n. 78 - convertito, con modificazioni,  nella  legge  30
luglio 2010, n. 122 - stabiliva infatti  che  «Per  le  regioni  gia'
sottoposte ai piani di rientro dai disavanzi  sanitari,  sottoscritti
ai sensi dell'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n.
311, e successive modificazioni, e gia' commissariale  alla  data  di
entrata in vigore del presente decreto-legge, al fine  di  assicurare
il conseguimento degli obiettivi dei medesimi piani di rientro  nella
loro  unitarieta',  anche  mediante  il  regolare   svolgimento   dei
pagamenti dei debiti accertati in attuazione dei  medesimi  piani,  i
Commissari ad acta procedono, entro 15 giorni dall'entrata in  vigore
del presente  decreto-legge,  alla  conclusione  della  procedura  di
ricognizione di tali debiti, predisponendo  un  piano  che  individui
modalita' e tempi di pagamento. Al fine di agevolare quanto  previsto
dal presente comma ed in attuazione di  quanto  disposto  nell'Intesa
sancita dalla Conferenza Stato-Regioni nella seduta  del  3  dicembre
2009, all'art. 13, comma 15, fino al 31  dicembre  2010  non  possono
essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei  confronti  delle
aziende sanitarie  locali  e  ospedaliere  delle  regioni  medesime».
Questa norma - rispetto all'art. 2, comma 89, legge n. 191 del 2009 -
presentava  la  novita'  sostanziale  di  non  contemplare  piu'   lo
«svincolo delle somme». 
    In seguito, il legislatore - con l'art. 1, comma 51, legge n. 220
del 2010  -  ha  riproposto  la  precedente  disposizione  nella  sua
interezza, posticipando pero' al 31 dicembre 2010 il termine sino  al
quale non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei
confronti delle aziende sanitarie locali e ospedaliere delle  regioni
medesime ed ha reinserito il principio secondo cui i  pignoramenti  e
le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie  trasferite  dalle
regioni alle aziende sanitarie locali e ospedaliere, effettuati prima
della data di entrata in vigore del decreto-legge n. 78 del 2010, non
producono effetti dalla suddetta data fino al 31 dicembre 2011 e  non
vincolano gli enti del servizio sanitario regionale e i  tesorieri  i
quali possono disporre, per le loro  finalita'  istituzionali,  delle
somme ad essi trasferite durante il suddetto periodo. 
    Infine l'art. 17, comma 4 e), decreto-legge 6 luglio 2011, n.  98
(entrato in vigore il 6 luglio 2011) convertito,  con  modificazioni,
dalla legge 15 luglio 2011,  n.  111,  ha  modificato  il  suindicato
articolo l'art. 1, comma 51, legge n. 220 del 2010,  portando  al  31
dicembre 2012 il termine sino al quale non possono essere  intraprese
o proseguite azioni esecutive e quello sino al quale i pignoramenti e
le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie  trasferite  dalle
regioni alle aziende sanitarie locali  e  ospedaliere  delle  regioni
medesime, effettuati prima  della  data  di  entrata  in  vigore  del
decreto-legge n. 78 del 2010, convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge n. 122 del 2010, non producono effetti e non vincolano gli enti
del servizio sanitario regionale e i tesorieri. 
    Illustrato il quadro normativo di  riferimento,  il  Collegio  e'
dell'avviso che, per quanto la  disposizione  contenuta  all'art.  1,
comma 51, legge n. 220 del 2010, cosi' come modificata dall'art.  17,
comma 4, lett. e), decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98,  sia  ispirata
dall'intento di contribuire al risanamento,  nel  settore  sanitario,
dei bilanci deficitari delle  amministrazioni  regionali,  la  stessa
presenti possibili molteplici violazioni di fondamentali principi  di
diritto espressamente  tutelati  dalla  Costituzione  e  dal  diritto
comunitario. 
    Pertanto, avuto riguardo alla concreta incidenza della richiamata
normativa sui diritti creditori  di  parte  ricorrente,  il  Collegio
ritiene - riprendendo  gli  assunti  motivazionali  delle  suindicate
ordinanze n. 1479 ed n. 1481 del T.A.R. Salerno - che i dubbi  stilla
legittimita'  costituzionale  del  citato  art.  1,  comma   51,   si
presentino non manifestamente infondati, sotto plurimi e  concorrenti
profili. 
    L'art. 1, comma 51, legge n. 220 del  2010  presenta  aspetti  di
contrasto con l'art.  24,  commi  1  e  2,  e  111,  comma  2,  della
Costituzione perche'  introduce  una  norma  speciale  che  elide  la
possibilita' della soddisfazione concreta ed  effettiva  dei  diritti
del creditore in applicazione delle norme di diritto comune. 
    L'entrata in vigore della citata disposizione ha in pratica  reso
inutile  la  possibilita'  riconosciuta  ai  creditori  di  agire  in
giudizio al fine di ottenere il  soddisfacimento  delle  obbligazioni
dagli  stessi  vantate  nei  confronti  delle  aziende  sanitarie  ed
ospedaliere delle Regioni soggette a  commissariamento  per  dissesto
finanziario. 
    Cio' appare ancora piu' evidente ove si consideri  che  la  norma
contestata ha reintrodotto la previsione secondo la  quale  divengono
del tutto inefficaci i  pignoramenti  eseguiti  in  data  antecedente
l'entrata in vigore della legge e  consente  agli  enti  debitori  di
rientrare nella piena disponibilita' delle  somme  dovute,  ancorche'
pignorate. 
    Una norma della specie, incidendo retroattivamente  su  posizioni
consolidate per effetto di una procedura esecutiva giurisdizionale si
pone in evidente contrasto  con  il  principio  di  effettivita'  del
diritto di difesa sancito dall'art. 24, commi 1 e 2. 
    Si palesa inoltre la violazione del principio del giusto processo
proclamato dall'art. 111, comma 2, perche' la norma censurata, da  un
lato,  altera  la  condizione  di  parita'  tra  le  parti,   ponendo
l'amministrazione in una posizione di  ingiustificato  privilegio  e,
dall'altra, incide sulla ragionevole durata del processo. 
    Non sembra deporre, in senso contrario, la considerazione secondo
la quale il legislatore, con  la  norma  contestata,  non  ha  inteso
privare in via definitiva  i  creditori  delle  aziende  sanitarie  o
ospedaliere di promuovere azioni a tutela del proprio diritto, ma  lo
ha soltanto sospeso per un tempo determinato, allo scopo di agevolare
in concreto le possibilita' delle regioni di rientrare  dal  dissesto
finanziario ed evitare, nel frattempo, che le stesse siano sottoposte
alla pressione derivante dalle esposizioni  debitorie  delle  aziende
sanitarie ed ospedaliere. 
    Per questa ragione e per  un  limitato  intervallo  di  tempo,  i
debiti delle predette aziende sono semplicemente  congelati,  cio'  a
tutela  dell'interesse  pubblico  al  corretto  andamento  dei  conti
pubblici e, pertanto, a beneficio della collettivita' . 
    E' facile sul  punto  ribattere  che  una  mera  sospensione  del
diritto di azione a tutela del proprio credito puo' produrre  effetti
considerevoli  sulla  situazione   economica   e   patrimoniale   del
creditore.  Peraltro,  l'efficacia  limitata  nel   tempo   di   tale
sospensione  e'  nei  fatti  smentita  dalla   prassi   seguita   dal
legislatore che, negli scorsi anni  e,  da  ultimo,  con  il  recente
decreto-legge n. 98/2011, ricorre allo strumento della  proroga  allo
scopo di mantenere in vita il regime speciale. 
    Sicche', la fissazione di un termine finale  di  efficacia  della
norma derogatoria di diritto speciale appare sempre  piu'  spesso  un
meccanismo elusivo al quale il legislatore  ricorre  per  rendere  in
apparenza piu' «digeribili» misure legislative volte  in  concreto  a
disattivare a  tempo  indeterminato  -  grazie  all'espediente  delle
proroghe - l'efficacia del diritto ordinario. 
    In senso contrario alla  censura  di  violazione  dell'art.  111,
comma 2,  Cost.  potrebbe  osservarsi  che  un'eventuale  azione  del
creditore  proposta  nei  confronti   delle   aziende   sanitarie   o
ospedaliere, in presenza di una normativa che sospende  il  pagamento
dei  relativi  crediti,  sarebbe   suscettibile   di   pronuncia   di
inammissibilita'  in  rito,  salvo  la   possibilita'   di   proporre
nuovamente l'azione  giurisdizionale,  una  volta  che  la  normativa
derogatoria esaurisca i suoi  effetti  per  lo  spirare  del  termine
finale fissato per legge. 
    In  questo  senso,  un'eventuale  lesione  del  principio   della
ragionevole durata del processo, potrebbe eventualmente porsi  per  i
ritardi registrati nel giudizio successivo  che  affronti  il  merito
della questione. 
    A  questa  osservazione  e'  facile  tuttavia  replicare  che  il
principio della ragionevole durata del processo va  sempre  collegato
alla pretesa sostanziale che si intende fare valere in giudizio. 
    In altri termini, per valutare se un processo  si  e'  svolto  in
tempi ragionevoli occorre considerare  la  durata  complessiva  della
vicenda giudiziaria in relazione alla pretesa di diritto  sostanziale
per la quale il soggetto ha  adito  il  giudice,  essendo  del  tutto
indifferente  che  per  quella  pretesa  siano  state   proposte   in
successione una pluralita' di azioni. 
    Utile  appare,  in  proposito,   uno   sguardo   sull'ordinamento
comunitario. 
    L'art.  47  della  Carta  dei  Diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea del 7 dicembre 2000, cd.  Carta  di  Nizza,  adottata  il  12
dicembre 2007 a Strasburgo, garantisce, quale diritto dell'Unione, il
diritto di ogni individuo ad  un  ricorso  effettivo  dinanzi  ad  un
giudice indipendente ed imparziale ed entro un termine ragionevole. 
    Sul punto, si rammenta che l'art. 6, 1°  par.,  del  Trattato  di
Lisbona sancisce che «L'Unione riconosce i diritti, le liberta'  e  i
principi sanciti nella Carta  dei  Diritti  fondamentali  dell'Unione
Europea del 7 dicembre 2000 (Carta di Nizza), adottata il 12 dicembre
2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei Trattati». 
    Il divieto di intraprendere o  proseguire  azioni  esecutive  nei
confronti delle amministrazioni sanitarie  pubbliche  di  Regioni  in
dissesto, divieto operante,  per  effetto  della  sovrapposizione  di
normative succedutesi nel tempo, da circa due anni  con  probabilita'
di  proroghe,  sembra  porsi  in  aperto  contrasto  con  il  diritto
dell'individuo ad un ricorso effettivo dinanzi ad un giudice terzo ed
imparziale, da concludersi peraltro entro un termine ragionevole. 
    La norma in discussione impedisce al creditore - persona fisica o
giuridica che sia - l'esercizio del diritto soggettivo  individuabile
in una posizione giuridica di vantaggio  consistente  nel  potere  di
agire  nei  confronti  di  altri  soggetti,  tra  cui  le   pubbliche
amministrazioni, per il soddisfacimento  di  interessi  espressamente
riconosciuti dall'ordinamento. 
    L'art. 1, comma 51,  legge  n.  220  del  2010  presenta  inoltre
aspetti di contrasto con l'art. 3, comma 1, della Costituzione. 
    A   fronte   dell'improcedibilita'   dell'azione   esecutiva    e
dell'odierno ricorso per ottemperanza, il diritto di credito  vantato
in virtu' di un titolo esecutivo e' subordinato all'adozione di  atti
amministrativi aventi natura  previsionale  e  programmatica  ed,  in
quanto tali, di contenuto del tutto generico. 
    Il creditore si trova quindi  nell'impossibilita'  di  realizzare
liberamente la propria attivita' economica, allo scopo  di  ricavarne
un legittimo profitto, in particolare laddove  operi  nel  territorio
della  Regione  Campania,  con  palese  discriminazione  rispetto  ai
creditori di aziende sanitarie ed  ospedaliere  ubicate,  invece,  in
altre regioni per le quali un simile impedimento non sussiste. 
    Ne deriva una evidente disparita' di trattamento, in contrasto al
principio  di  eguaglianza  sancito  dall'art.  3,  comma  1,   della
Costituzione, 
    Ne', in senso contrario,  la  previsione  contenuta  all'art.  1,
comma 51, legge n. 220 del 2010  appare  assistita  dai  principi  di
ragionevolezza e di adeguatezza. 
    Ed invero, il rinvio della data di adempimento delle obbligazioni
- le quali, per loro natura, non possono  che  riferirsi  ad  impegni
assunti per il passato - si pone come un mero artificio per tamponare
l'esposizione finanziaria della Regione in  dissesto  ma  non  sembra
francamente in grado di realizzare l'obiettivo del rientro. 
    Benche' i rapporti debitori abbiano contribuito  ad  incrementare
la situazione di dissesto, e' tuttavia evidente  che  il  risanamento
dei conti e' conseguibile con ben diversi strumenti; valga tra  tutte
l'Osservazione che, comunque, i debiti  pregressi,  sebbene  sospesi,
continuano a fare parte della massa passiva  del  bilancio  contabile
dell'ente e che, in ogni caso, andranno pagati con la sola incertezza
circa l'an. 
    Il risanamento infatti puo' realizzarsi grazie ad  una  complessa
attivita' programmatoria e  di  cooperazione  tra  Stato  e  Regione,
secondo modalita'  tra  costoro  concordate  volte  a  scadenzare  il
contenimento e la razionalizzazione della spesa per il futuro. 
    E' questa infatti la direzione indicata dall'art. 1,  comma  180,
della menzionata legge n. 311 del 2004. 
    In questo senso, una  previsione  legislativa,  quale  l'art.  1,
comma 51, legge n.  220  del  2010,  che  preclude  la  richiesta  di
adempimento sino ad una data determinata non appare ne' adeguata  ne'
ragionevole perche', nel bilanciamento tra i contrapposti  interessi,
quello del privato di ricevere soddisfazione della propria  legittima
pretesa pecuniaria, in virtu' della piana applicazione  delle  comuni
regole del diritto privato e del diritto processuale civile, e quello
pubblico, volto a ristabilire ordine nei conti  dell'ente,  sacrifica
pesantemente il primo senza che vi sia  una  reale  contropartita  in
favore del secondo. 
    La normativa censurata presenta  inoltre  elementi  di  contrasto
anche  con  il  principio  della  liberta'  di  iniziativa  economica
privata, sancito dall'art. 41 Cost. 
    Spesso, i soggetti che intrattengono rapporti  economici  con  le
amministrazioni pubbliche sanitarie sono in prevalenza  imprenditori,
i quali hanno stipulato con queste contratti per la fornitura di beni
o di servizi a seguito di procedure di evidenza pubblica. 
    Per un imprenditore, in misura forse piu' accentuata rispetto  ad
un ordinario creditore,  la  puntualita'  nel  ricevere  i  pagamenti
costituisce un fattore decisivo per il buon  andamento  dell'azienda.
L'affidabilita'  del  contraente  nell'adempiere  alle   obbligazioni
assunte nei tempi pattuiti, rende possibile una saggia e piu'  serena
programmazione dell'attivita' d'impresa, ridimensiona notevolmente la
necessita' del ricorso ad onerosi prestiti e  finanziamenti  bancari,
consente all'imprenditore di rispettare le scadenze di  pagamenti  ai
quali sia a sua volta tenuto. 
    Non a caso,  i  rilevanti  condizionamenti  che  la  materia  dei
pagamenti  produce  sul  libero  mercato  e  la   concorrenza   hanno
sollecitato l'interesse dell'ordinamento comunitario. 
    Sul punto, la direttiva 2000/35/CE - che  sara'  sostituita,  con
effetto dal 16 marzo 2013, dalla Direttiva UE del  Parlamento  e  del
Consiglio n. 7 del  16  febbraio  2011  -  ha  introdotto  a  livello
comunitario una normativa generale  contro  i  ritardi  di  pagamento
nelle transazioni commerciali. 
    Nel settimo considerando, la direttiva chiarisce  infatti  che  i
periodi di pagamento eccessivi ed i ritardi  di  pagamento  impongono
pesanti  oneri  amministrativi  e   finanziari   alle   imprese,   in
particolare a quelle di piccole e medie dimensioni, dando  origine  a
problemi che costituiscono una tra le principali cause d'insolvenza e
determinano la perdita di numerosi posti di lavoro. 
    Poiche', come chiarisce l'ottavo considerando,  in  alcuni  Stati
membri i termini contrattuali di pagamento differiscono  notevolmente
dalla media comunitaria, le  differenze  tra  le  norme  in  tema  di
pagamento e le prassi seguite negli  Stati  membri  costituiscono  un
ostacolo al buon funzionamento del mercato interno. 
    Questa situazione limita notevolmente le transazioni  commerciali
tra gli Stati membri, in contrasto all'articolo  1  4  del  Trattato,
secondo il quale gli operatori economici dovrebbero essere  in  grado
di svolgere le proprie attivita'  in  tutto  il  mercato  interno  in
condizioni tali da garantire che le operazioni  transfrontaliere  non
comportino rischi maggiori di quelle interne. 
    L'applicazione di norme sostanzialmente diverse  alle  operazioni
interne e a quelle transfrontaliere  comporterebbe  la  creazione  di
distorsioni della concorrenza. 
    Il  legislatore  italiano  ha  dato  attuazione  alla  richiamata
direttiva 2000/35/CE, con il decreto legislativo 9 ottobre  2002,  n.
231 che ha incluso nel suo ambito di applicazione anche le  pubbliche
amministrazioni, cio' allo scopo di contrastare  la  loro  cronica  e
deprecabile lentezza di quest'ultime nell'adempiere ai propri debiti. 
    L'art. 4, comma 1, decreto legislativo n. 231 del 2002 ha fissato
il  fondamentale  principio  secondo  cui  gli  interessi  (moratori)
decorrono, automaticamente, dal giorno successivo alla  scadenza  del
termine per il pagamento. 
    Non  puo'  passare  inosservato  lo  strabismo  del   legislatore
italiano che, da un  lato,  con  il  d.  lgs.  231/2002  traccia  una
disciplina generale, anche in attuazione della normativa comunitaria,
volta  a  pressare  le  amministrazioni  pubbliche,   tendenzialmente
recalcitranti,  ad  effettuare  con  regolarita'  e  tempestivita'  i
pagamenti dovuti e, dall'altro, con l'art. 1, comma 51, L. n. 220 del
2010, consente una deroga speciale per presunte superiori ragioni  di
finanza pubblica. 
    Tale deroga appare invero vessatoria solo ove si  rifletta  sulla
circostanza che, a  parti  invertite,  ossia  nei  casi  in  cui  sia
l'amministrazione ad essere creditrice, in particolare nel caso delle
obbligazioni  di  natura  fiscale  e  previdenziale,  il  legislatore
appronta un ben piu' efficace inventario di strumenti  esecutivi  per
forzare l'adempimento. 
    Tutto quanto premesso: 
    alla luce dei riassunti rilievi,  la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'1, comma 51, citato si appalesa prima facie: 
        a) rilevante, in quanto la disposizione costituisce unico  ed
immediato   paradigma   normativo   di   riferimento   che   comporta
l'inammissibilita' dell'odierno ricorso ed alla cui dichiarazione  di
illegittimita' costituzionale puo' seguire una pronuncia  nel  merito
satisfattiva delle pretese di parte ricorrente; 
        b) non manifestamente  infondata,  alla  luce  delle  esposte
considerazioni critiche. 
    Pertanto, in applicazione dell'art. 23 della legge costituzionale
n. 87 del 1953 e,  riservata,  ogni  altra  decisione  all'esito  del
giudizio innanzi alla Corte costituzionale, alla quale va rimessa  la
soluzione dell'incidente di costituzionalita', deve  essere  disposta
la sospensione del giudizio e la remissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale, affinche' si pronunci in proposito. 
 
                              P. Q. M. 
 
    a)  Dichiara  rilevanti  per  la  decisione   del   giudizio   di
ottemperanza proposto con il ricorso di cui al R.G.  n.  4868/2011  e
non   manifestamente   infondate   le   questioni   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 51, della Legge 13  dicembre  2010,
n. 222, nei termini e per le  ragioni  esposti  in  motivazione,  per
contrasto con gli articoli 3, comma 1, 24, commi  1  e  2,  41,  111,
comma 2, della Costituzione; 
    b) Sospende il giudizio in corso; 
    c) Ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura  della
Segreteria del Tribunale amministrativo, a tutte le parti in causa ed
al Presidente del Consiglio dei ministri  e  che  sia  comunicata  al
Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della  Camera
dei deputati; 
    d) Dispone la  trasmissione  degli  atti,  a  cura  della  stessa
Segreteria,  alla  Corte   costituzionale   insieme   a   tutti   del
procedimento (previa formazione dell'indice ex  art.  36  disp.  att.
c.p.c.) e con la prova delle predette notificazioni e  comunicazioni,
alla Corte Costituzionale. 
        Cosi' deciso in Napoli nella camera di consiglio del giorno 8
novembre 2011. 
 
                        Il Presidente: Nappi 
 
 
                                            L'estensore: D'Alessandri