N. 56 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 gennaio 2012
Ordinanza del 10 gennaio 2012 emessa dal Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna sul ricorso proposto da Meloni Doriana ed altri contro Ministero della Giustizia, Ministero dell'Economia e delle Finanze e Presidenza del Consiglio dei ministri. Bilancio e contabilita' pubblica - Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita' economica - Contenimento della spesa in materia di pubblico impiego - Personale di cui alla legge n. 27 del 1981 (magistrati e categorie equiparate) - Previsione che non siano erogati ne' recuperabili gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012; che per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 sia pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 ed il conguaglio per l'anno 2015 venga determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014 - Previsione, altresi', per detto personale, che l'indennita' speciale, di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981, spettante per gli anni 2011, 2012 e 2013 sia ridotta del 15 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013 - Irrazionalita' - Ingiustificato deteriore trattamento dei lavoratori dipendenti rispetto a quelli autonomi - Violazione dei principi di generalita' e progressivita' della tassazione e di capacita' contributiva, attesa la sostanziale natura tributaria della prestazione patrimoniale imposta - Natura regressiva del tributo con riferimento all'indennita' speciale, in quanto incidente in minore misura sui magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed in misura maggiore sui magistrati con retribuzione complessiva inferiore - Lesione del principio di proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione - Violazione dei principi di imparzialita' e buon andamento della pubblica amministrazione - Violazione del principio di indipendenza ed autonomia della magistratura - Violazione dei principi del giusto processo e di obblighi internazionali derivanti dalla CEDU. - Decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, nella legge 30 luglio 2010, n. 122, art. 9, comma 22. - Costituzione, artt. 3, 23, 36, 53, 97, 101, comma secondo, 104, primo comma, 108, 111, commi primo e secondo, e 117, primo comma.(GU n.15 del 11-4-2012 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza sul ricorso numero di registro generale 311 del 2011, proposto da Doriana Meloni, Stefania Selis, Elisabetta Tuveri, Monica Moi, Francesco Alterio, Mauro Pusceddu, Andrea Mereu, Maria Cristina Lampis, Giovanni Dessy, Giovanni Massidda, Lucia Perra, Maria Gabriella Muscas, Giampiero Sanna, Riccardo Ponticelli, Valeria Pirati, Mauro Grandesso Silvestri, Ornella Anedda, Giorgio Cannas, Alessandro Castello, Roberto Cau, Simone Nespoli, Giovanni La Rocca, Armando Mammone, Giovanna Osana, Angelo Leuzzi, Emanuela Muscas, Elisabetta Murru, Maria Luisa Scarpa, Giorgio Alfieri, Daniela Amato, Stefano Giovanni Fiori, Maura Nardin, Elena Maria Grazia Pitzorno, Claudio Lo Curto, Massimo Zaniboni, Mariano Giovanni Agostino Brianda, Nicoletta Leone, Giovanni Lavena, Tiziana Rosalba Marogna, Alfonso Nurcis, Roberta Malavasi, Gian Carlo Moi, Fiorentina Buttiglione, Valerio Cicalo', Claudio Gatti, Carlo Renoldi, Paolo Cossu, Silvia Bandas, Gilberto Ganassi, Donatella Satta, Maria Grazia Cabitza, Luisella Paola Fenu, Antonio Minisola, Ida Aurelia Soro, Maria Grazia Campus, Valentina Frongia, Elisabetta Atzori, Giorgio Latti, Emanuela Cugusi, Maria Mura, Liliana Ledda, Maria Virginia Boi, Maria Isabella Delitala, Donatella Aru, Grazia Maria Bagella, Vincenzo Amato, Francesco Sette, Guido Vecchione, Modestino Villani, Michele Incani, Domenico Fiordalisi, Francesco Mameli, Andrea Padalino Morichini, Anna Rita Murgia, Lucina Serra, Silvia Palmas, Anna Cau, Mauro Mura, Diana Lecca, Rossella Spano, Marco Ulzega, Mario Biddau, Elisa Marras, Riccardo Ariu, Guido Pani, Maria Cristina Elisabetta Ornano, Vincenzo Aquaro, Mariano Arca, Fiorella Pilato, Manuela Anzani, Sergio De Nicola, Maria Gabriella Pinna, Enzo Luchi; tutti rappresentati e difesi dagli avv. Vittorio Angiolini, Marco Cuniberti, Andrea Pubusa, con domicilio eletto presso Andrea Pubusa in Cagliari, via Tuveri n. 84, contro il Ministero della Giustizia; il Ministero dell'Economia e delle Finanze; Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato, presso i cui uffici domiciliano per legge, in Cagliari, via Dante n. 23, per il riconoscimento, previa idonea cautela, e con riserva di motivi aggiunti, del diritto al trattamento retributivo spettante senza tener conto delle decurtazioni di cui al comma 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, come convertito con modifiche nella legge 30 luglio 2010, n. 122, nonche', per la condanna delle Amministrazioni resistenti al pagamento delle somme corrispondenti, con ogni accessorio di legge. Visti il ricorso e i relativi allegati; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti della causa; Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Giustizia; Relatore nell'udienza pubblica del giorno 2 novembre 2011 il dott. Giorgio Manca e uditi l'avv. Andrea Pubusa per i ricorrenti e l'avv. Giandomenico Tenaglia, avvocato dello Stato, per le amministrazioni statali; 1. Con il ricorso in epigrafe, i ricorrenti - nella loro comune qualita' di magistrati ordinari in servizio presso i vari Uffici giudiziari ricompresi nell'ambito di competenza territoriale di questo T.A.R., chiedono la declaratoria d'illegittimita' delle misure che hanno inciso sul loro rispettivo trattamento economico, derivanti dall'applicazione delle disposizioni contenute nel comma 22 dell'art. 9 del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122; e per il conseguente accertamento del diritto al trattamento retributivo asseritamente spettante senza tener conto delle contestate riduzioni. 2. A sostegno delle predette domande giudiziali i ricorrenti deducono violazione di legge, altresi' lamentando la sospetta illegittimita' costituzionale della sopra richiamata normativa primaria. 3. Le Amministrazioni convenute si sono costituite in giudizio, chiedendo il rigetto del ricorso. 4. All'udienza pubblica del 2 novembre 2011, la causa e' stata trattenuta in decisione. 5. Il Collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. 6. In punto di rilevanza della questione di legittimita' costituzionalita', deve osservarsi come l'applicazione delle norme in questione ha comportato, a partire dal 1° gennaio 2011 (come risulta dalla documentazione in atti), le lamentate trattenute sugli stipendi dei ricorrenti, sia sotto il profilo della mancata applicazione dell'adeguamento automatico degli stipendi, sia sotto il profilo della riduzione dell'indennita' giudiziaria speciale di cui all'art. 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27. L'art. 9, comma 22, del decreto.legge n. 78/2010, dispone, infatti, per il personale di cui alla legge n. 27 del 1981: a) che «non sono erogati, senza possibilita' di recupero, gli acconti degli anni 2011, 2012 e 2013 ed il conguaglio del triennio 2010-2012»; b) che (per il triennio 2013-2015 l'acconto spettante per l'anno 2014 e' pari alla misura gia' prevista per l'anno 2010 e il conguaglio per l'anno 2015 viene determinato con riferimento agli anni 2009, 2010 e 2014»; c) che «l'indennita' speciale di cui all'articolo 3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, spettante negli anni 2011, 2012 e 2013, e' ridotta del 15 per cento per l'anno 2011, del 25 per cento per l'anno 2012 e del 32 per cento per l'anno 2013», con riduzione non operante ai fini previdenziali. Appare evidente che l'eventuale pronunzia di incostituzionalita' delle dette disposizioni condurrebbe de plano all'accertamento dell'illegittimita' del mancato adeguamento degli stipendi e delle trattenute in parola e consequenzialmente all'accoglimento del ricorso: di qui la rilevanza delle questioni di costituzionalita' che dappresso si illustreranno. 7. Sempre sul piano della rilevanza, non puo' essere condivisa - con riferimento alle sole parti dispositive del comma 22 dell'art. 9 riguardanti l'adeguamento triennale degli stipendi - l'interpretazione costituzionalmente orientata ed adeguatrice, prospettata dai ricorrenti sul presupposto che il predetto comma 22 dell'art. 9 cit., non contenendo specificazioni in ordine a quali siano gli acconti e i conguagli oggetto di mancata erogazione, sia inapplicabile. E' noto, infatti, e comunque chiaramente indicato dall'art. 2 della legge n. 27/1981, che il meccanismo di dinamica retributiva del personale di magistratura prevede un adeguamento triennale sulla base degli incrementi conseguiti nel precedente triennio dalle altre categorie del pubblico impiego, che si realizza mediante due acconti di pari importo nel secondo e nel terzo anno del triennio ed un successivo conguaglio, con la conseguenza che l'ambito di applicazione del comma 22 cit. appare sufficientemente chiaro, tale comunque da escludere la plausibilita' di una interpretazione conforme che consenta o imponga di non sollevare la questione di legittimita' costituzionale. 8. La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, non e' manifestamente infondata con riferimento, in primo luogo, alle misure incidenti sul meccanismo di adeguamento automatico della retribuzione dei magistrati, per la violazione degli artt. 101, comma 2, 104, comma 1, 111, commi 1 e 2 e 117, comma 1 della Costituzione in relazione all'art. 6 della C.E.D.U. Le disposizioni appaiono, infatti, in contraddizione con il principio (desumibile dall'art. 104, 1° comma Cost.) per cui il trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella libera disponibilita' del potere legislativo o del potere esecutivo, trattandosi di un aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza. Come piu' volte ribadito dal Giudice delle leggi, il meccanismo del c.d. adeguamento automatico (essenzialmente fondato sulla garanzia di un aumento delle retribuzioni, che, sulla base di indici appositamente ed obiettivamente elaborati dall'Istituto centrale di statistica, viene assicurato "di diritto", ogni triennio, nella misura percentuale pari alla media degli incrementi realizzati nel triennio precedente dalle altre categorie del pubblico impiego) rappresenta un elemento intrinseco della struttura delle retribuzioni in discorso„ inteso alla "attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il profilo economico" (Corte cost. 16 gennaio 1978, n. 1), "evitando tra l'altro che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri" (Corte cost. 10 febbraio 1993, n. 42), concretizzando "una guarentigia idonea a tale scopo" (Corte cost. sentenza 8 maggio 1990, n. 238). La tradizione costituzionale italiana risulta, sul punto, confermata e rafforzata dalla c.d. Magna carta dei Giudici, approvata a Strasburgo il 17 novembre 2010 dal Consiglio d'Europa - Comitato consultivo dei Giudici europei (CCJE) (la quale, seppur beninteso priva ex se di valore cogente sotto il profilo giuridico, costituisce una decisione fondamentale alla cui luce devono essere interpretate le disposizioni interne, per la sua autorevole fonte di provenienza, esprimendo il CCJE le "tradizioni costituzionali" dei quarantasette Stati europei che ne sono membri): secondo l'espresso disposto degli artt. 2 e 4 della Carta, in particolare, l'indipendenza dell'ordine giudiziario rispetto ai poteri legislativo ed esecutivo va garantita anche sotto il profilo della tutela finanziaria della retribuzione dei Magistrati; e l'art. 7 prevede espressamente che "il giudice deve beneficiare di una remunerazione e di un sistema previdenziale adeguati e garantiti dalla legge, che lo mettano al riparo da ogni indebita influenza". I valori dell'autonomia e della indipendenza della Magistratura da ogni altro Potere dello Stato sono sanciti in via generale dagli artt. 101, comma 2 ("I giudici sono soggetti soltanto alla legge") e 104, comma 1, cost. ("La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere"). Proprio per la delicatezza dei compiti anzidetti e' essenziale che sia assicurata l'indipendenza della Magistratura. L'art. 9, comma 22, del decreto-legge n. 78 del 2010, ha come fine, o quantomeno come effetto, quello di ledere non solo il dato testuale, ma altresi' i principi e valori sottesi alle disposizioni richiamate. 9. I valori anzidetti sono a loro volta funzionali all'esercizio imparziale ed obiettivo della funzione giudicante, come esigono molteplici norme costituzionali anche in vista della celebrazione di un "giusto" processo (cfr. artt. 24, 103 e 111 Cost.; Corte cost., cent. n. 381/1999). Il legislatore, mediante uno strumento che formalmente incide (solo) sulla retribuzione del magistrato, viene in realta' ad operare un indebito condizionamento sull'esercizio della funzione giurisdizionale, poiche' costringe l'Ordine di appartenenza, quando non addirittura il magistrato come singolo, ad un confronto con il pubblico potere al fine di ripristinare le condizioni economiche originarie, o quantomeno di elidere o attenuare le conseguenze negative della misura disposta. La costante giurisprudenza della Corte costituzionale induce il Collegio a ritenere la non manifesta infondatezza della censura dedotta, sussistendo la necessita' di "attuazione del precetto costituzionale dell'indipendenza dei magistrati, che va salvaguardato anche sotto il profilo economico", onde evitare "tra l'altro che essi siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri" (Sentenze nn. 1/1978, 42/1993, 238/1990). Tale stato di cose, generando un sotterraneo conflitto tra Istituzioni che mina alla radice la serenita' del Giudice, appare particolarmente grave per la specifica funzione del magistrato. Un Magistrato «condizionato», quand'anche solo apparentemente (e potenzialmente) e non nella sostanza (e nella realta'), da una misura legislativa fortemente penalizzante per i suoi interessi economici rischia di vedersi sottratto quel credito e quel prestigio di cui il singolo magistrato e l'Ordine giudiziario nel suo insieme devono sempre ed indefettibilmente godere presso la comunita' dei cittadini. Sul punto la Corte costituzionale nella sentenza n. 100 del 1981, ha chiarito che "I magistrati, per dettato costituzionale (artt. 101, comma secondo, e 104, comma primo, Cost.), debbono essere imparziali e indipendenti e tali valori vanno tutelati non solo con specifico riferimento al concreto esercizio delle funzioni giurisdizionali ma anche come regola deontologica da osservarsi in ogni comportamento al fine di evitare che possa fondatamente dubitarsi della loro indipendenza ed imparzialita': nell'adempimento del loro compito. I principi anzidetti sono quindi volti a tutelare anche la considerazione di cui il magistrato deve godere presso la pubblica opinione, assicurano, nel contempo, quella dignita' dell'intero ordine giudiziario, che la norma denunziata qualifica prestigio e che si concreta nella fiducia dei cittadini verso la funzione giudiziaria e nella credibilita' di essa". 10. In senso analogo si e' espresso, come sopra rilevato, il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa nella gia' richiamata Raccomandazione del 17 novembre 2010. Il prestigio e l'onorabilita' dell'Ordine giudiziario resterebbero esposti a critiche e perplessita' che il sistema costituzionale impone di evitare nel modo piu' assoluto. In tale ottica, la misura legislativa potrebbe apparire come una sorta di punizione o di monito per il Potere giudiziario, rendendo manifesta ai cittadini una condizione di evidente supremazia gerarchica di un Potere sull'altro, in contrasto - anche sotto tale profilo - con i dettami costituzionali che improntano i rapporti tra Poteri alla separazione, all'equilibrio ed al bilanciamento. L'idea di un magistrato punito, ammonito o anche solo "influenzabile" dalla consapevolezza che il taglio stipendiale disposto oggi puo' ben essere ripetuto o addirittura inasprito (oltre il 2013), ripugna al nostro sistema costituzionale ed ordinamentale, godendo della piu' elevata tutela, in esso, anche la mera apparenza della imparzialita' della funzione giurisdizionale, in quanto valore fondante per l'affidabilita' e la credibilita' istituzionale della figura del Magistrato. Alla luce degli evocati principi e direttive costituzionali, deve ritenersi che il trattamento economico dei magistrati debba essere (oltreche' "adeguato" alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, come imposto, in termini generali, dall'art. 36 della Costituzione) certo e costante, e in generale non soggetto a decurtazioni concretanti, come tali, una surrettizia menomazione delle garanzie della sua indipendenza ed autonomia. 11. Avuto distinto riguardo alla (diversa ed autonoma misura della) contestata riduzione percentuale della indennita' speciale (o indennita' giudiziaria), oltre ai rilievi sopra formulati, va ulteriormente considerato quanto segue in termini di non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita'. Trattandosi obiettivamente, come non e' dato di dubitare anche alla luce del contesto normativo in cui e' stata codificata, di prestazione patrimoniale imposta di natura sostanzialmente tributaria, come tale assoggettata ai vincoli di cui agli artt. 23 e 53 della Carta costituzionale, la sua previsione (esclusivamente rimessa, al di la' del nomen iuris utilizzato, alla normativa primaria, in forza dei principi di legalita' e sostanzialita' dei tributi) avrebbe dovuto gravare, a parita' di redditi incisi, su tutti i cittadini (c.d. principio di generalita' delle imposte), in ragione della loro capacita' contributiva, in un sistema informato a criteri di progressivita' (c.d. principio di progressivita'). Avuto riguardo al comune e condiviso intendimento del requisito della capacita' contributiva previsto dall'art. 53 Cost. quale valore diretto ad orientare la discrezionalita' del legislatore in ordine alla prefigurazione e configurazione dei fenomeni tributari - deve ritenersi che limite espresso all'azione impositiva sia quello per cui "a situazioni uguali corrispondano tributi uguali": di tal che, anche alla luce del correlato principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. e del principio solidaristico di cui all'art. 2, il sacrificio patrimoniale che - per non implausibili e contingenti ragioni di contenimento della spesa pubblica - incida soltanto sulla condizione e sul patrimonio di una determinata categoria di pubblici impiegati, lasciando indenni, a parita' di capacita' reddituale, altre categorie di lavoratori (essenzialmente e segnatamente autonomi), risulterebbe arbitrario ed irragionevole (arg. ex Corte cost. [ord.] 14 luglio 1999, n. 299; e cfr. Id. 18 luglio 1997, n. 245). 12. Si tratta altresi' di prelievo sul trattamento economico in godimento sostanzialmente regressivo, poiche' (essendo, come e' noto, l'indennita' speciale di cui all'art. 3 della legge n. 27 del 1981, corrisposta in misura uguale ad ogni magistrato, indipendentemente dall'anzianita' di servizio) finisce per colpire (in violazione del canone di cui al 2° comma dell'art. 53 Cost.) in misura minore i magistrati con retribuzione complessiva piu' elevata ed in misura maggiore i magistrati con retribuzione complessiva inferiore. Inoltre, anche gli interventi normativi sull'indennita' giudiziaria appaiono, per le ragioni gia' esposte, in contraddizione con il principio per cui il trattamento economico dei magistrati non puo' ritenersi nella libera disponibilita' del Legislativo o dell'Esecutivo, trattandosi di aspetto essenziale per attuare il precetto costituzionale dell'indipendenza (art. 104, 1° comma Cost.; e cfr., proprio in relazione alla indennita' speciale in quanto assoggettata al meccanismo di adeguamento automatico, Corte cost. n. 238 del 1990). 13. L'art. 9, comma 22, cit., sembra al Collegio porsi, altresi', in contrasto con l'art. 36 della Costituzione, in quanto la prefigurata ed incisiva riduzione del trattamento economico finisce per alterare la "proporzione" tra la retribuzione complessiva del magistrato ed il lavoro giudiziario svolto, inteso complessivamente come l'insieme delle attivita' materiali, delle attivita' giuridiche, delle responsabilita' e degli oneri su di esso gravanti. Cio' in quanto - riconoscendo la legge come "adeguato" il complessivo trattamento economico solo in quanto integrato dalla indennita' speciale - una decurtazione di quest'ultima, a parita' dell'attivita' svolta e degli oneri incontrati (che l'indennita' in questione mira, come e' noto, a compensare in termini omnicomprensivi), costituisce in sostanza una palese alterazione dei principi di proporzione e adeguatezza degli stipendi. 14. L'ingiustificata ed indifferenziata riduzione dell'indennita' giudiziaria a tutti i magistrati, a prescindere dalla posizione giuridico economica e dal trattamento economico complessivo in godimento, costituisce, altresi', di per se', violazione del principio di uguaglianza e ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Cio' in quanto, essendo la misura dell'indennita' giudiziaria, uguale per tutti i magistrati proprio perche' sono uniformi gli "oneri" che essi incontrano nello svolgimento della loro attivita', il paradossale risultato della omogenea riduzione percentuale e' di compensare in modo minore i magistrati con minore anzianita' di servizio, che sono notoriamente impegnati principalmente in sedi disagiate con evidente esposizione a rischi ed oneri spesso di fatto maggiori dei magistrati piu' anziani. 15. Le disposizioni di cui al comma 22 dell'art. 9 cit., sia nella parte in cui incidono sull'adeguamento automatico delle retribuzioni dei magistrati, sia in ordine alla riduzione progressiva dell'indennita' giudiziaria, configurano, infine, anche la violazione del principio costituzionale di tutela dell'affidamento ingenerato dai comportamenti del legislatore, del principio costituzionale di leale cooperazione tra i poteri dello Stato, del principio di ragionevolezza e del principio di uguaglianza di fronte alla legge di cui all'art. 3 Cost. 15.1. Il discorso deve muovere dalla individuazione della fonte cui e' riservata la disciplina e la determinazione del trattamento economico dei magistrati. In assenza di una espressa disposizione costituzionale dedicata alla questione, il punto di riferimento e' solitamente costituito dalla ampia riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, prevista dall'art. 108, primo comma, Cost. E, d'altronde, la prassi si e' costantemente indirizzata in tal senso. Ma occorre stabilire se effettivamente questa sia una soluzione costituzionalmente imposta. 15.2. Intanto, va rammentato che nell'Assemblea costituente vi fu chi, in diverse fasi e occasioni, propose emendamenti che prevedevano esplicitamente la riserva alla legge della disciplina delle retribuzioni dei magistrati. Tali iniziative emendative non furono approvate, lasciando pertanto aperta la possibilita' per l'interprete di ricostruire la disciplina costituzionale in materia sulla scorta dei principi. 15.3. In questa prospettiva, si deve, innanzitutto, sottolineare come l'attribuzione tendenzialmente esclusiva al legislatore di tale materia determina, come e' pacifico, la sottrazione del trattamento economico dei magistrati alle procedure di contrattazione collettiva o di categoria; e cio' si giustifica con il principio (cui si e' accennato) per cui occorre evitare che i magistrati siano soggetti a periodiche rivendicazioni nei confronti di altri poteri (Corte cost., sentenza n. 1 del 1978). Tuttavia, il potere di iniziativa unilaterale del legislatore in tema di trattamento economico dei magistrati, dovra' essere svolto nel rispetto del principio di affidamento (ricavabile dall'art. 3 Cost ovvero dall'intero impianto costituzionale) e del principio di leale collaborazione tra poteri costituzionalmente rilevanti. 15.4. In ordine al primo dei principi richiamati, non pare revocabile in dubbio che a fronte del potere legislativo sussista una situazione giuridica di affidamento tutelabile dei magistrati, quantomeno nel senso della esistenza di aspettative generate dai precedenti comportamenti del legislatore, tradottisi nella previgente disciplina legislativa fondata su uno schema prefissato di passaggi di qualifica, progressione economica e adeguamento oggettivo e predeterminato delle retribuzioni (per il riconoscimento del principio di tutela dell'affidamento cfr. Corte cost. n. 416 del 1999; nonche', recentemente, Corte cost. n. 282 del 2005). Tutela dell'affidamento che, mentre sul piano della concreta disciplina legislativa dovra' svolgersi mediante il ragionevole bilanciamento tra opposte esigenze costituzionali (per un verso l'indipendenza ed autonomia dei giudici, come si e' sottolineato; per altro verso, la compatibilita' con gli equilibri della finanza pubblica), non puo' non riflettersi anche sul piano procedimentale attraverso la previsione di una idonea fase del procedimento legislativo volta ad acquisire (sotto lo specifico riguardo del trattamento retributivo, per quanto rileva nella presente controversia) gli interessi degli appartenenti all'ordine giudiziario. Il che si ricollega alle osservazioni svolte con riferimento alla disciplina costituzionale ricavabile dagli articoli 101, comma 2, 104, comma 1, e 111 della Costituzione, secondo cui il trattamento economico riconosciuto ai magistrati costituisce un aspetto della effettiva tutela della loro indipendenza. Il necessario intervento delle rappresentanze dei magistrati nell'ambito del procedimento legislativo destinato ad incidere sulle loro retribuzioni, replicando uno schema normativo ormai tipicizzato del procedimento amministrativo, corrisponde, d'altronde, alla effettiva natura di legge-provvedimento non solo, per quanto qui rileva, dell'art. 9, comma 22, ma in generale delle disposizioni legislative che abbiano come oggetto la concreta disciplina del trattamento economico di una circoscritta categoria di lavoratori quali i magistrati. 15.5. Sempre sul piano procedimentale, il pregiudizio della buona fede e dell'affidamento rileva anche sotto altro punto di vista. L'attribuzione tendenzialmente esclusiva al legislatore di tale materia determina la sostituzione della fonte legislativa alla fonte contrattuale (tipico strumento del lavoro privato). Cio' finisce col far coincidere nella stessa parte (pubblica) la figura di chi detta le regole del rapporto e di chi tali regole deve applicare con effetti nella sfera giuridica di terzi. Appare costituzionalmente necessario, pertanto, che l'impiego dello strumento della legge, anche al fine di recuperare il carattere imparziale della soluzione del contrasto di interessi di cui si e' detto, debba essere accompagnato da un meccanismo correttivo idoneo a compensare la sua unilateralita' e autoritativita', attraverso una presenza adeguata e formalizzata dei magistrati nella fase della trattativa sulla disciplina economica del rapporto. 15.6. Una diversa soluzione, quale quella applicata in sede di approvazione della disciplina legislativa impugnata, produce altresi' (e per le stesse ragioni appena esposte) la violazione dell'art. 3 Cost. sotto i due profili della violazione del principio di ragionevolezza e della violazione della parita' di trattamento rispetto ad altre categorie di lavoratori (anche se si consideri il solo ambito dei rapporti di lavoro con le amministrazioni pubbliche), le quali sono protette dal contratto contro eventuali modificazioni in peius da parte dei datori di lavoro. 15.7. La traduzione della tutela dell'affidamento in norma di carattere procedimentale, nei termini che si sono detti, appare conforme, altresi', al principio di leale collaborazione tra i poteri costituzionali, secondo lo schema tipico che la Corte costituzionale ha piu' volte affermato per quanto concerne la relazione tra Stato e Regioni. Sia che lo si definisca come potere giudiziario ovvero come ordine giudiziario, o come funzione di controllo (da collocare, nel quadro della separazione dei poteri statuali, accanto alla funzione normativa e alla funzione attuativa delle norme) non sembra in discussione la circostanza che queste formule siano semplicemente riassuntive di una complessiva disciplina costituzionale (essenzialmente ricavabile dal Titolo IV della Costituzione), che delinea una organizzazione complessa, caratterizzata da un dato: che i provvedimenti giurisdizionali (in primis le sentenze) non possono essere posti nel nulla o modificati da altre autorita' (collocate al di fuori dell'organizzazione giudiziaria). Il che, in definitiva, esprime proprio la natura indipendente e autonoma del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato. Indipendenza che - come si e' piu' volte sottolineato - deve essere tutelata anche sotto il profilo del trattamento economico dei magistrati appartenenti all'ordine giudiziario. Si puo' concludere sul punto parafrasando quanto, recentemente, la Corte costituzionale ha avuto occasione di affermare con riferimento al principio di leale collaborazione «le cui potenzialita' precettive si manifestano compiutamente negli ambiti di intervento nei quali s'intrecciano interessi ed esigenze di diversa matrice (...) cui consegue l'applicazione di quel "canone della leale collaborazione, che impone alla legge statale di predisporre adeguati strumenti di coinvolgimento" degli esponenti o titolari delle figure organizzatorie costituzionalmente implicate "a salvaguardia delle loro competenze"» (sentenze n. 278 del 2010; n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005) (cosi' sentenza n. 33 del 2011). 16. In conclusione, ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale deve essere sospeso il giudizio e trasmessi gli atti alla Corte costituzionale.
P. Q. M. Il Tribunale amministrativo Regionale per la Sardegna, Sezione Prima, dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 9, comma 22, del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, per contrasto con gli articoli 3, 23, 36, 53, 97, 101, 104, 108 e 111 della Costituzione, nonche' per la violazione del principio costituzionale della tutela dell'affidamento e del principio costituzionale di leale collaborazione tra poteri dello Stato, nei termini e per le ragioni esposti in motivazione. Sospende il presente giudizio fino alla decisione della Corte costituzionale, con rinvio al definitivo per ogni ulteriore statuizione in rito, nel merito e sulle spese di lite. Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Cagliari nella camera di consiglio del giorno 2 novembre 2011. Il Presidente: Ravalli L'estensore: Manca