N. 64 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 novembre 2011

Ordinanza del 18  novembre  2011  emessa  dalla  Corte  d'appello  di
Firenze nel procedimento civile promosso da  Tosco  Edil  Costruzioni
Srl contro Comune di Monsummano Terme. 
 
Espropriazione per pubblica utilita' - Indennita'  di  espropriazione
  delle aree fabbricabili -  Riduzione  entro  i  limiti  dei  valori
  dichiarati  o  denunciati  dall'espropriato  ai  fini  dell'imposta
  comunale sugli immobili (ICI) -  Applicazione  ai  casi  di  omessa
  dichiarazione o denuncia, ovvero di  dichiarazione  o  denuncia  di
  valori assolutamente irrisori - Mancata  previsione  di  un  limite
  alla riduzione, idoneo ad impedire la totale elisione di  qualsiasi
  ragionevole rapporto tra il valore venale del suolo  espropriato  e
  l'ammontare dell'indennita' - Lesione del diritto  dell'espropriato
  ad un serio ristoro e del "ragionevole  legame"  tra  indennita'  e
  valore venale del bene - Violazione degli  obblighi  internazionali
  derivanti  dalla  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei   diritti
  dell'uomo (CEDU), come interpretata dalla Corte europea. 
- Decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504,  art.  16,  comma  1,
  "oggi" art. 37, comma 7, del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327. 
- Costituzione, artt. 42, comma terzo, e 117, primo comma, "anche  in
  considerazione del disposto dell'art. 6 [della Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,
  sottoscritta dall'Italia il 4 novembre 1950 e  resa  esecutiva  con
  legge 4 agosto 1955, n. 848] e dell'art. 1,  del  primo  protocollo
  addizionale della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle
  liberta' fondamentali". 
(GU n.17 del 26-4-2012 )
  
                         LA CORTE D'APPELLO 
  
    Riunita in camera di consiglio per deliberare nella causa  civile
promossa da Tosco Edil Costruzioni  s.r.l.,  rappresentata  e  difesa
dall'avv. Marco Milani per delega in atti, con  domicilio  eletto  in
Firenze viale Lavagnini 45 presso lo studio del medesimo attore; 
    Contro  Comune  di  Monsummano  Terme,  rappresentato  e   difeso
dall'avv. Franco Arizzi per delega in atti, con domicilio  eletto  in
Firenze  Lungarno  Vespucci  20  presso  lo  studio   del   medesimo,
convenuto; 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza. 
    Con  atto  di  citazione  ritualmente  notificato,   Tosco   Edil
Costruzioni  s.r.l.  ha  convenuto  il  Comune  di  Monsummano  Terme
(Pistoia) davanti a questa  Corte  per  opporsi  alla  troppo  esigua
indennita' di € 41.367,30 riconosciuta  per  l'espropriazione  di  un
appezzamento di terreno  edificabile  sito  nel  territorio  comunale
destinato ad insediamenti produttivi (P.I.P.). 
    Costituendosi in giudizio, il Comune convenuto ha  contestato  la
fondatezza della domanda, per essere congruo l'indennizzo offerto, in
primo  luogo  in  considerazione  del  fatto  che  l'espropriato  "ha
presentato una dichiarazione ai fini ICI nel 1996 ... del  valore  di
€ 77.468,00 e dal 1996 al 2004 ha versato  ICI  sulla  base  di  tale
valore ... Solo in data 23 febbraio 2009 la Toscoedil ha  inviato  al
Comune una dichiarazione ICI  per  l'anno  2004  e  per  l'anno  2005
indicando il  valore  del  terreno  espropriato  in  €  495.320,00  e
provvedendo a pagare la differenza rispetto al valore precedentemente
dichiarato mediante ravvedimento operoso con  sanzioni  calcolate  al
30% ... il Comune ... ha  informato  la  societa'  attrice  che  tali
dichiarazioni  (delle  quali  e'  evidente  la  strumentalita')  sono
assolutamente irrilevanti in  quanto  presentate  fuori  dai  termini
consentiti e quindi si sarebbe provveduto ad un rimborso". 
    Nel  corso  dell'istruttoria  e'  stato  nominato  un  consulente
tecnico d'ufficio, che  ha  stimato  in  € 277.660,00  il  valore  di
mercato del terreno ablato. 
    Le difese dell'ente espropriante evocano una questione di diritto
determinante ai fini della decisione, rispetto alla quale la Corte di
Cassazione a Sezioni Unite ha  recentemente  ritenuto  (ordinanza  n.
8489 del  14/04/2011)  non  manifestamente  infondato  il  dubbio  di
legittimita' costituzionale della normativa di riferimento, tanto  da
disporre la rimessione  degli  atti  alla  Corte  Costituzionale  per
quanto di competenza. Nella motivazione dell'ordinanza di  rimessione
si osserva quanto segue: "ritiene  il  Collegio  che  la  definizione
della controversia in esame dipende  dalla  corretta  interpretazione
letterale  e  dalla  individuazione  dei  limiti  di  estensione  del
contenuto precettivo del D.Lgs. n. 504 del 1992, art.  16,  comma  1,
nella  parte  in  cui  impone  la  riduzione  della   indennita'   di
espropriazione delle aree fabbricabili, in relazione  all'obbligo  di
dichiarazione (iniziale) o denuncia (per le variazioni)  ICI  (D.Lgs.
n. 504 del 1992, art. 10, vigente catione temporis). Il diritto  (an)
alla indennita' di esproprio e  l'ammontare  della  stessa  (quantum)
dipendono, infatti, dalla  legittimita'  della  citata  disposizione.
Questa ne condiziona la quantificazione al ribasso, fino alla  totale
vanificazione, nella ipotesi di dichiarazione di  valori  irrisori  o
nella ipotesi, equivalente,  di  omessa  dichiarazione,  che  ricorre
nella specie. Si tratta in entrambi casi di comportamenti (totalmente
o  parzialmente)  omissivi,  che  il  contribuente  pone  in   essere
nell'intento di evitare l'emersione (totale o  parziale)  dei  propri
doveri fiscali. Vanno quindi assoggettati  alla  medesima  disciplina
giuridica, in  forza  della  quale  il  diritto  alla  indennita'  di
esproprio deve essere riconosciuto soltanto  nei  limiti  del  valore
dichiarato. In caso di omessa dichiarazione, l'omissione (piu' grave)
non puo' essere premiata  con  una  interpretazione  che  elimini  il
limite. Omettendo la dichiarazione, il  contribuente  ha  inteso  non
attribuire alcun valore fiscale alla sua proprieta' e, quindi,  nello
spirito di quanto dispone il D.Lgs. n. 504 del  1992,  art.  16,  non
merita alcuna indennita'. Per eludere questa conclusione,  che,  come
si dira', si pone in evidente  rotta  di  collisione  con  l'art.  42
Cost., comma 3, la giurisprudenza costituzionale  e  di  legittimita'
hanno  elaborato  una  soluzione,  che  pero'  comporta  i   problemi
evidenziati nella ordinanza in base alla quale la questione e'  stata
rimessa a queste SS.UU.. 
    1.1. I punti di criticita'  dell'interpretazione  accreditata  da
questa   Corte   ed   il   mutamento   del   quadro    normativo    e
giurisprudenziale, verificatosi  dopo  la  gia'  ricordata  pronuncia
della Corte Costituzionale, n. 351/2000, impongono una  rivisitazione
ermeneutica ed una rilettura del D.Lgs. n. 504  del  1992,  art.  16,
comma 1. Il dato letterale, deve essere  interpretato  tenendo  conto
del nuovo contesto ordinamentale,  della  esigenza  di  certezza  dei
rapporti giuridici e di celerita' delle procedure di accertamento (a)
quella intesa ad accertare il valore  venale  dell'area  espropriata,
per  la  determinazione  della  relativa  indennita',  e  b)   quella
finalizzata alla quantificazione dell'ICI). E' evidente, infatti, che
i tempi delle procedure vengono inevitabilmente dilatati se si avalla
la tesi del reciproco condizionamento (sospensione della procedura di
determinazione  ed  erogazione  dell'indennita',  in   attesa   della
liquidazione definitiva e del pagamento dell'ICI, benche' nei  limiti
in cui il potere di accertamento sia ancora esercitabile). 
    1.2. Il Collegio  ritiene  che  non  sia  condivisibile  la  tesi
interpretativa secondo la quale il D.Lgs. n. 504 del 1992,  art.  16,
comma 1, condizionerebbe il pagamento  dell'indennita'  di  esproprio
alla regolarizzazione della posizione  fiscale  dell'espropriato,  in
tutti i casi di violazione degli obblighi di  dichiarazione  relativa
all'In  Tale  tesi  e'  stata  avallata  dalla  Corte  Costituzionale
nell'intento di superare l'evidente  disparita'  di  trattamento  tra
contribuente  evasore   totale   (che   omette   di   presentare   la
dichiarazione), apparentemente ignorato dalla norma,  e  contribuente
infedele (che presenta una dichiarazione non veritiera), in danno del
quale e'  espressamente  prevista  la  riduzione  dell'indennita'  di
esproprio (che non puo' mai superare il  valore  dichiarato  ai  fini
ICI). Il giudice delle leggi, con sentenza interpretativa di  rigetto
(351/200), ha escluso che la apparente incompletezza della disciplina
dettata dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, (circoscritta alla  sola
ipotesi della dichiarazione infedele) sia in contrasto con  l'art.  3
Cost., ipotizzando che anche il contribuente evasore totale (al  pari
del contribuente infedele) debba regolarizzare la  propria  posizione
fiscale,  prima  di  ottenere  il  pagamento  della   indennita'   di
esproprio. La tesi interpretativa della  Consulta  e'  stata  seguita
anche da questa Corte. Si tratta, pero', di una tesi  che  non  trova
conforto nel tenore letterale della norma (per quanto  lo  si  voglia
ampliare con argomenti anche di carattere sistematico),  specialmente
dopo la costituzionalizzazione del principio del  giusto  processo  e
della sua ragionevole  durata.  Lo  sforzo  ermeneutico  della  Corte
Costituzionale, e di questo giudice di legittimita', ha avuto, pero',
il merito di evidenziare che la disciplina del comportamento  fiscale
dell'espropriato  non  puo'  essere  monca:  l'art.  16  citato,  che
letteralmente riguarda soltanto il contribuente infedele, regge  alle
verifica di legittimita', rispetto al parametro  di  cui  all'art.  3
Cost., soltanto se proietta i suoi effetti anche sull'evasore  totale
(simul stabunt aut simul cadent). L'interpretazione corrente, che  ha
equiparato l'evasore totale all'evasore parziale, nel  comune  dovere
di regolarizzare la  loro  posizione  fiscale,  come  condizione  per
ottenere il pagamento dell'indennita' di esproprio, e' frutto di  una
interpretazione additiva che appare difficilmente condivisibile: essa
elimina di fatto  la  riduzione  della  indennita'  parametrata  alla
dichiarazione ICI (che e' il  risultato  voluto  dal  legislatore)  e
introduce una inedita procedura di necessitata conciliazione fiscale,
che assurge a condizione di pagamento dell'indennita' di esproprio. 
    2. (Esegesi ed evoluzione del contenuto precettivo del D.Lgs.  n.
504 del 1992, art. 16)  -  Il  D.Lgs.  n.  504  del  1992,  art.  16,
(abrogato dal D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,  art.  58,  T.  U.  delle
disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione
per pubblica utilita', a decorrere dal 30 giugno 2003,  e  sostituito
dall'art. 37, comma 7, dello stesso D.P.R.), titolato  indennita'  di
espropriazione,    nell'ambito    delle    disposizioni    istitutive
dell'imposta comunale sugli immobili, dopo  le  norme  di  disciplina
dell'imposta, e di seguito alle disposizioni relative  alle  sanzioni
(art. 14) e al contenzioso (art. 15), ha  inserito  una  disposizione
del  seguente  tenore:  "1.  In  caso  di  espropriazione   di   area
fabbricabile l'indennita' e' ridotta ad un  importo  pari  al  valore
indicato   nell'ultima   dichiarazione    o    denuncia    presentata
dall'espropriato ai fini dell'applicazione  dell'imposta  qualora  il
valore dichiarato risulti inferiore all'indennita' di  espropriazione
determinata secondo i criteri stabiliti dalle  disposizioni  vigenti"
(comma 1). 
    2.1. La collocazione sistematica (a ridosso degli artt. 14  e  15
che disciplinano le sanzioni ed il  contenzioso  ICI)  ed  il  tenore
letterale della norma in esame ne evidenziano la chiara  connotazione
sanzionatoria,  collegata  al  comportamento  tenuto   dal   soggetto
espropriato nel  momento  in  cui,  dovendo  fare  fronte  ai  propri
obblighi fiscali, ha dichiarato (o non dichiarato)  il  valore  della
sua proprieta'. Si tratta di  una  sanzione  atipica,  accessoria,  a
carattere extratributario, che riguarda  soltanto  i  proprietari  di
aree edificabili assoggettate ad  esproprio,  intesa  ad  incentivare
l'obbligo della dichiarazione imposto dal medesimo D.P.R. n. 504  del
1992, art. 10, (abrogato a decorrere dal 2007, in forza del  D.L.  n.
223 del 2006, art. 37, comma 53, conv. con modificaz. dalla L. n. 248
del 2006, a seguito del collegamento telematico  dei  comuni  con  il
catasto). L'effetto ,sanzionatorio atipico ed  indiretto,  costituito
dalla  misura  extratributaria  della  riduzione  dell'indennita'  di
esproprio, si aggiunge alle sanzioni tributarie dirette previste  dal
precedente  art.  14,  nel  caso  in  cui  l'area  edificabile  venga
interessata da  una  procedura  di  esproprio  (sanzione  eventuale).
All'apparato sanzionatolo tipico del sistema tributario  si  aggiunge
la sanzione accessoria, atipica, della "confisca" parziale  o  totale
della indennita' o del suolo (che viene acquisito  alla  destinazione
pubblica senza alcun pagamento). La procedura espropriativa funziona,
rispetto   all'illecito   gia'   consumato   (omessa    o    infedele
dichiarazione)  come  una   condizione   obiettiva   di   punibilita'
accessoria, che trova applicazione in aggiunta alle sanzioni  tipiche
tributarie (che sono previste sia per la omessa dichiarazione che per
la dichiarazione infedele). Pertanto, non ha pregio  l'eccezione  che
tende ad escludere dal campo di applicazione del D.Lgs.  n.  504  del
1992, art. 16, comma 1, l'ipotesi  della  omessa  dichiarazione,  sul
rilievo che il  sistema  sanzionatorio  tributario  gia'  provvede  a
reprimere entrambe le fattispecie. Infatti, a  seguire  la  tesi  del
trattamento differenziato, la fattispecie piu'  grave,  dell'evasione
totale, sarebbe gravata da un minor carico sanzionatorio  (in  quanto
non sconterebbe la riduzione dell'indennita'). 
    2.2. La norma  in  esame  appare  caratterizzata  da  una  doppia
valenza: produce i suoi effetti sul piano della (n)determinazione  (o
della vanificazione) dell'indennita' di espropriazione  e  sul  piano
degli  incentivi  al  rispetto  degli  obblighi  fiscali  (formali  e
sostanziali). I destinatari della norma sono coloro che rivestono  la
doppia qualifica: a) di soggetti passivi di imposta  (IC1)  tenuti  a
dichiarare gli immobili posseduti nello Stato (nella specie, i  suoli
edificabili)  e   a   denunciare   le   modificazioni   eventualmente
intervenute; b) di proprietario di aree fabbricabili espropriate, per
le quali sussista l'obbligo della dichiarazione o della denuncia.  La
valenza bifronte della norma, pero', si ferma qui, in quanto incrocia
i diritti sostanziali dell'espropriato con  i  suoi  doveri/oneri  di
contribuente  e  non  coinvolge  in  alcun  modo  le   procedure   di
accertamento e riscossione correlate. L'effetto del D.Lgs. n. 504 del
1992, art. 16, comma 1,  opera  come  sanzione  che  non  incide  sui
criteri primari di determinazione dell'indennita'  di  esproprio,  ma
interviene soltanto dopo che  il  valore  dell'area  espropriata  sia
stato determinato (la  norma  parla  di  riduzione  dell'indennita'),
proprio come accade, in genere,  per  l'applicazione  delle  norme  a
carattere sanzionatorio. Parimenti, il contenzioso tributario che  si
sviluppa a seguito della  rettifica,  da  parte  dell'ufficio,  della
dichiarazione  o  della  denuncia  presentata  dal  contribuente,   o
dell'accertamento in caso di omessa  dichiarazione  o  denuncia,  non
rileva ai fini dell'ammontare della eventuale riduzione da  praticare
sulla indennita'. Questa deve essere praticata  esclusivamente  sulla
base di quanto dichiarato  o  non  dichiarato  dal  contribuente.  E'
pacifico  che  la  ratio  della  norma  in   esame   e'   quella   di
disincentivare le violazioni  relative  alla  dichiarazione  ICI.  Il
"fatto illecito" sanzionato dalla norma in esame e' costituito  dalla
presentazione   della   dichiarazione   infedele   o   dalla   omessa
presentazione della stessa. Tutto quanto  segue  e'  un  post  factum
irrilevante,  che  non  puo'  vanificare  o  sanare  l'illecito  gia'
consumato e perfezionato, pena  il  totale  svuotamento  della  forza
cogente della norma.  Nemmeno  rilevano,  come  si  dira',  eventuali
comportamenti di apparente ravvedimento, posti in essere dopo l'avvio
della procedura di esproprio, che, nella specie,  opera  invece  come
condizione obiettiva di punibilita'. Il tenore letterale della norma,
pur  investendo  il  suo  destinatario  nella  doppia  qualifica   di
contribuente e di espropriato, non coinvolge in  alcun  modo  le  due
procedure correlate, di accertamento del tributo e di  determinazione
dell'indennita' di esproprio, ne' i reciproci rapporti. Se si  sposta
il baricentro dell'art.  16  dal  momento  formale  dell'assolvimento
degli  obblighi  fiscali  (dichiarazione  denuncia)  a  quello  delle
procedure di verifica dell'ammontare della obbligazione tributaria  e
del relativo assolvimento, la  norma  viene  ad  essere  svuotata  di
contenuto.  Si  vanifica  la  funzione,   evidenziata   dalla   Corte
Costituzionale,   che    e'    quella    di    "incentivare    fedeli
autodichiarazioni di valore delle  aree  fabbricabili  ai  fini  ICI"
(sent. n. 351/2000). Se si ha la consapevolezza di poter  eludere  la
sanzione  aggiuntiva  con  un  tardivo  pagamento,  tanto  vale   non
dichiarare (e non pagare) nulla, tanto poi si potra' sempre rimediare
con un pagamento  tardivo  (beneficiando  della  "franchigia"  per  i
periodi  di  imposta  non  piu'  controllabili,  per  la  intervenuta
decadenza).  Il  legislatore  ha  indicato  come  parametro   massimo
dell'indennita'  di  esproprio   il   valore   espresso   nell'ultima
dichiarazione o denuncia presentata. Dal testo della legge si  evince
che:  a)  tutto  quanto  accade  dopo  la  presentazione  dell'ultima
dichiarazione o denuncia non ha alcun rilievo; b) la  riduzione  deve
essere operata sulla indennita' di  esproprio,  determinata  in  base
alla  procedura  prevista  a  tal  fine.  L'eventuale  procedura   di
accertamento  fiscale,   che   scaturisca   dalla   rettifica   della
dichiarazione o dalla constatata omissione, non puo'  assumere  alcun
rilievo. Quello che interessa, ai fini dell'applicazione della  norma
in esame, e' soltanto il valore  dichiarato  dal  contribuente  o  la
circostanza della omessa dichiarazione.  Stando  alla  lettera  della
legge, giova ribadirlo, non puo' ipotizzarsi alcuna interferenza  tra
le due procedure. Seppure le procedure di controllo  ed  accertamento
fiscale   (con   l'eventuale   appendice   contenziosa)    portassero
all'accertamento di un valore fiscale pari a  quello  determinato  ai
fini della indennita' di esproprio, ma superiore a quello  dichiarato
ai fini ICI, non si puo' ipotizzare che la riduzione sulla indennita'
di esproprio (in base alla dichiarazione infedele o omessa) non debba
piu'  essere  praticata,   a   causa   del   comportamento   virtuoso
dell'ufficio fiscale che ha scoperto la violazione del  contribuente.
Di tale comportamento virtuoso il contribuente non  ha  alcun  merito
(potrebbe  anche  aver  contrastato  la  pretesa  erariale  in   sede
contenziosa). La norma conserva la sua carica dissuasiva soltanto  se
alla dichiarazione  infedele  o  omessa  segue  l'applicazione  della
sanzione  minacciata,  costituita  dal  corrispondente  taglio  della
indennita'  e  non  da  una  tardiva  e  non  prevista  procedura  di
regolarizzazione ,fiscale. 
    3.  (Postfactum  irrilevante.  Il  ravvedimento  operoso)   Dalle
considerazioni gia' svolte, risulta evidente che  non  puo'  assumere
alcun    rilievo    l'eventuale    tardiva    presentazione     della
dichiarazione/denuncia  o  la  sua   autoreti   fata,   quando   tale
comportamento sia ispirato al  solo  fine  di  eludere  la  riduzione
dell'indennita'. L'eventuale autorettifica (una sorta di ravvedimento
operoso) della dichiarazione/denuncia  ICI  che  intervenga  dopo  la
determinazione  dell'indennita',  se  non   e'   giustificata   dalla
constatazione  di  un  errore  o  dalla  necessita'   di   denunciare
tempestivamente una variazione, non puo' essere assunta come  termine
di riferimento per l'applicazione del D.Lgs. n. 04 del 1994, art. 16,
comma  1.  Nel  caso  in  cui  si  consentisse   all'espropriato   di
rettificare la dichiarazione o la denuncia ICI, o di presentarle dopo
che la procedura di esproprio sia gia' stata avviata, senza subire le
conseguenze  dell'originario  comportamento  ,fiscale  scorretto,  si
priverebbe di tutta la sua forza dissuasiva la norma in esame. Ne' si
puo'  osservare  che,  comunque,  la  violazione  .fiscale  e'   gia'
sanzionata direttamente all'interno del sistema tributario. Come gia'
e' stato osservato, la  decurtazione  dell'indennita'  ha  natura  di
sanzione  aggiuntiva,   extratributaria   ed   eventuale,   che   non
interferisce'  con  il  sistema  delle  sanzioni  tributarie.  Questa
caratteristica, pero', non autorizza  l'interprete  ad  adottare  una
interpretazione abrogativa della norma, ritenendo, in  contrasto  con
la voluntas legis, che il sistema sanzionatorio principale  sia  gia'
sufficiente a dissuadere i contribuenti. Quindi, come si dira' meglio
in seguito, va riconsiderato l'argomento utilizzato da  questa  Corte
(sent. cass. nn. 434/2002, 9808/2003 ex plurimis)  secondo  il  quale
non vi sarebbe disparita' di trattamento tra l'evasore  totale  e  il
contribuente  infedele,  sul  rilievo  che  comunque  entrambi   sono
destinatari di sanzioni fiscali all'interno del  sistema  tributario:
comunque l'evasore totale si sottrarrebbe  alla  sanzione  aggiuntiva
della   "confisca"   totale   o   parziale   della   indennita'    di
espropriazione,  in  caso  di  espropriazione.  Peraltro,  anche  sul
versante   esclusivamente   tributario,   il   ravvedimento   esclude
l'applicazione della sanzione o ne determina la  riduzione,  soltanto
se si tratti di ravvedimento spontaneo, che avvenga entro un  termine
certo. Infatti il D.Lgs.  n.  472  del  1997,  art.  13,  recante  le
Disposizioni generali  in  materia  di  sanzioni  amministrative  per
violazioni di norme tributarie, intitolato Ravvedimento, prevede  una
sostanziosa riduzione delle sanzioni (e non la totale  eliminazione),
pari ad un quinto  del  minimo,  se  il  contribuente  provvede  alla
regolarizzazione degli errori e delle omissioni "entro il termine per
la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso  del
quale e' stata commessa la violazione ovvero, quando non e'  prevista
dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore",
ovvero addirittura pari  ad  un  ottavo  del  minimo  della  sanzione
prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, "se
questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta  giorni".
In entrambi i casi, pero', occorre che "la violazione non  sia  stata
gia' constatata e comunque non  siano  iniziati  accessi,  ispezioni,
verifiche o altre  attivita'  amministrative  di  accertamento  delle
quali l'autore o i soggetti  solidalmente  obbligati,  abbiano  avuto
formale  conoscenza".  L'istituto   del   ravvedimento   non   sembra
applicabile nella specie, quando il "pentimento" avvenga  a  distanza
di anni e comunque  dopo  che  sia  stata  avviata  la  procedura  di
esproprio. Infatti, il D.P.R. n. 327 del 2001, art. 37, comma  7,  TU
in materia di espropriazione per p.u., che ha sostituito il D.Lgs. n.
504 del 1992, art. 16, ha previsto espressamente che la dichiarazione
ICI alla quale occorre  fare  riferimento  ai  fini  della  riduzione
dell'indennita' di esproprio  deve  essere  stata  presentata  "prima
della determinazione formale dell'indennita'". Il pentimento premiale
e' tale soltanto se disinteressato. 
    3.1. (Emendabilita' della dichiarazione/denuncia) - La  norma  in
esame assume come limite della indennita'  erogabile  all'espropriato
il valore indicato nella dichiarazione originaria, sulla  base  della
quale poi il contribuente effettua annualmente il versamento dell'ICI
dovuta, ovvero il valore indicato nella denuncia presentata  in  caso
di "modificazione dei dati ed elementi  dichiarati  cui  consegua  un
diverso ammontare dell'imposta dovuta" (D.Lgs. n. 504 del 1992,  art.
10). Con specifico riferimento alla dichiarazione ICI,  questa  Corte
ha chiarito che la dichiarazione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1992,
art. 10, al pari delle altre dichiarazioni fiscali, "avendo natura di
mera esternazione di scienza e di giudizio, puo' essere  emendata  (o
ritrattata)  dal  contribuente,  se  frutto  di  errore"  (Cass.   n.
2926/2010), ma tale principio non puo' valere quando l'emenda  (o  la
presentazione tardiva della dichiarazione o della denuncia)  non  sia
giustificata  da  un  errore  originario  o  da   una   modificazione
intervenuta  dopo  la  denuncia,  ma  soltanto  dalla  convenienza  a
dichiarare il maggior valore del suolo edificabile, al solo ,fine  di
eludere la riduzione dell'indennita'. Quindi,  tornando  alla  nostra
.fattispecie, una dichiarazione tardiva, che non sia giustificata  da
un errore originario o da una successiva modificazione,  ma  che  sia
dettata soltanto dalla esigenza di evitare le conseguenze di  cui  al
D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, non potrebbe  salvare  l'espropriato
dalla riduzione o dalla vanificazione dell'indennita'  di  esproprio,
connessa alla infedelta' o alla omissione della dichiarazione ICI. In
conclusione, la tesi interpretativa che  condiziona  la  liquidazione
dell'indennita'  di  esproprio  alla  regolarizzazione  del  rapporto
tributario, nel caso di dichiarazione/denuncia infedele o nel caso di
omessa dichiarazione/denuncia, appare in contrasto: a) con la lettera
del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1, che  non  prevede  tale
regolarizzazione, nemmeno per implicito; b) con il  sistema  premiale
connesso alla disciplina del ravvedimento, che deve intervenire entro
tempi predeterminati e  ravvicinati,  oltre  che  sulla  base  di  un
effettivo ravvedimento e non per eludere gli effetti  gia'  certi  di
una dichiarazione/denuncia omessa o infedele; c) con  le  regole  che
disciplinano l'emendabilita' delle dichiarazioni, ammessa soltanto in
caso di errore pregresso. 
    3.2. (Sopravvenuto accertamento che la dichiarazione ICI infedele
o  omessa  sia  frutto  di  errore  incolpevole)  L'impostazione  del
problema interpretativo del D.Lgs. n.  504  del  1992,  art.  16,  in
termini di illecito consumato, cui deve seguire comunque la  sanzione
della riduzione dell'indennita',  pone  il  seguente  problema:  quid
iuris se dopo la liquidazione dell'indennita' di  esproprio,  ridotta
in applicazione dell'art. 16, si accerta che il fatto illecito  manca
dell'elemento soggettivo e/o sia frutto di un errore incolpevole?  Se
la   riduzione   dell'indennita',   a   causa   dell'infedelta'   del
comportamento  del  contribuente,  e'  una  sanzione  accessoria,  la
esclusione dell'illecito comporta la inapplicabilita' della sanzione.
Sul piano pratico nulla impedisce  che  il  contribuente  espropriato
possa chiedere ex post una integrazione dell'indennita' di esproprio,
elidendo   cosi'   gli   effetti   pregiudizievoli   della   indebita
applicazione dell'art. 16. In punto di diritto, comunque, a parte  la
considerazione  che  l'ipotesi  dell'errore   scusabile   costituisce
l'eccezione e non la regola, resta il fatto che la norma  cosi'  come
e' stata formulata espone il contribuente infedele  espropriato  (che
abbia consapevolmente omesso la dichiarazione o abbia presentato  una
dichiarazione infedele) al rischio di non ottenere alcuna  indennita'
di esproprio o di ottenere una  indennita'  che  non  costituisca  un
serio ristoro. Quindi, se in particolari ipotesi la norma  non  debba
essere applicata, non  significa  che  la  norma,  in  generale,  non
produca i suoi effetti. Nella specie, poi, trattasi di una ipotesi di
omessa dichiarazione ICI, in relazione alla quale non risulta che  il
contribuente espropriato abbia eccepito l'errore  scusabile  o  abbia
addotto altre circostanze esimenti o cause di non punibilita'. 
    4.  (I  precedenti  di  questa  Corte)   -   Sulla   base   delle
considerazioni svolte,  le  SS.UU.  ritengono  che  vada  rivista  la
precedente  giurisprudenza  di  questo   giudice   di   legittimita',
sostanzialmente allineata sulla interpretazione fornita  dalla  Corte
Costituzionale nella citata sentenza interpretativa  di  rigetto,  n.
351/2000.  Con  specifico  riferimento   alla   ipotesi   di   omessa
dichiarazione,  prima  ancora  dell'intervento  della   sentenza   n.
351/2000, questa Corte ha affermato il principio di  diritto  secondo
il quale la disposizione del D.Lgs. n. 504  del  1992,  art.  16  che
risponde al fine di introdurre un elemento  dissuasivo  dell'elusione
fiscale,  non  e'  applicabile  (neppure   in   via   interpretativa)
all'ipotesi  di  omessa  presentazione   della   denuncia   o   della
dichiarazione ai fini dell'I.C.I."  (Cass.  n.  5283/2000).  La  tesi
secondo la quale l'art. 16 non si applicherebbe  in  caso  di  omessa
dichiarazione/denuncia   ha   trovato   conferma   nella   successiva
giurisprudenza di questa Corte, che pero', di  fatto,  ha  totalmente
vanificato la funzione di dissuasione  della  norma.  Secondo  questa
giurisprudenza  "il  diritto  all'indennita'  di  esproprio  non   va
penalizzato in caso  di  omessa  od  infedele  dichiarazione  I.C.I..
Pertanto, la disciplina che regola il rapporto tra i due istituti, va
interpretata nel senso che l'evasore totale non perde il suo  diritto
all'indennizzo espropriativo, ma e' unicamente destinato a subire  le
sanzioni per l'omessa dichiarazione e l'imposizione per l'I.C.I.  che
aveva tentato di evadere,  potendo  l'erogazione  dell'indennita'  di
espropriazione intervenire solo dopo la verifica che essa non  superi
il tetto massimo ragguagliato al valore accertato per I.C.I.  stessa,
ed a seguito della regolarizzazione della  posizione  tributaria  con
concreto  avvio  del  recupero   dell'imposta   e   delle   sanzioni.
Analogamente  l'evasore   parziale   resta   soggetto   alle   stesse
conseguenze per il minor valore  dichiarato  e,  salva  rettifica  da
parte  dello  stesso  proprietario,  il  comune  puo'  procedere   ad
accertamento del maggior valore del fondo agli effetti  tributar  per
poi commisurare, in via definitiva, l'indennita'  espropriativa  che,
quindi, non va liquidata con riferimento alla dichiarazione infedele"
(Cass. n. 19/2008; conf ex multis  cass.  n.  14459/2008).  Va  pero'
ribadito che se si collega la riduzione dell'indennita' non  piu'  al
comportamento  del  contribuente/espropriato,  ma   all'esito   delle
procedure di controllo fiscale (di accertamento, in  caso  di  omessa
dichiarazione, e di rettifica, in caso di dichiarazione infedele), il
comportamento  del  contribuente,  che  il  legislatore   ha   inteso
orientare,  diviene  del  tutto  irrilevante.  In  altre  parole,  il
comportamento antidoveroso del contribuente, al quale e' collegata la
sanzione dell'art. 16 in esame, secondo  questa  giurisprudenza,  non
avrebbe piu' alcun rilievo. Si tratta dunque di  una  interpretazione
che non puo' essere condivisa perche' svuota di contenuto la norma  e
non e' legittimata da alcun elemento letterale  o  sistematico,  come
gia' e' stato evidenziato. Con la considerazione  aggiuntiva  che  si
pone in termini  conflittuali  con  il  principio  della  ragionevole
durata del processo. 
    5. (L'art. 16 riguarda anche l'evasore totale) -  L'art.  16,  la
cui ratio e' quella di rafforzare l'obbligo di dichiarare  fedelmente
il valore delle aree fabbricabili, contiene un  precetto  di  secondo
grado, nel senso che l'obbligo di  presentare  una  autodichiarazione
fedele      presuppone      l'obbligo       della       presentazione
dell'autodichiarazione.  Quindi  lo  sanzione  tende   a   rafforzare
entrambi   gli   obblighi.   Se   non   esistesse   l'obbligo   della
autodichiarazione, non avrebbe senso  sanzionare  l'autodichiarazione
infedele.  In  assenza  dell'obbligo  primario   di   presentare   la
dichiarazione  ICI,  nessun  contribuente   presenterebbe   mai   una
dichiarazione con il rischio di essere  poi  incolpato  di  eventuali
infedelta' anche involontarie. Dunque il contenuto  precettivo  della
norma in esame si estende  necessariamente  all'obbligo  presupposto,
anche  perche'  se  cosi'  non  fosse   sarebbe   difficile   eludere
l'eccezione di irrazionale  disparita'  di  trattamento  tra  evasore
parziale ed evasore totale (a tutto vantaggio di  quest'ultimo),  che
la Corte  Costituzionale  ha  superato  proprio  assimilando  le  due
ipotesi (di omissione ed infedelta') sulla base di una operazione  di
ricostruzione sistematica che va salvata nella premessa (il  disposto
legislativo tende a disincentivare  l'evasione,  totale  o  parziale,
dolosa o colposa) ma che non puo' essere condivisa nelle conclusioni.
Il  pagamento  tardivo  delle  imposte  non  puo'  dare  adito   alla
eliminazione della sanzione aggiuntiva. Comunque, una volta  che  sia
stato accertato dall'ente espropriante il maggior valore (rispetto al
dichiarato) dell'area espropriata, le  procedure  di  accertamento  e
riscossione  devono  essere  comunque  attivate,  senza  che   questo
implichi la rinuncia alla applicazione della sanzione aggiuntiva.  E'
onere  dei  Comuni  utilizzare   gli   esiti   delle   procedure   di
determinazione delle indennita' di esproprio ai  fini  del  controllo
delle dichiarazione ICI.  Il  sistema  sul  quale  e'  incentrato  il
meccanismo  sanzionatorio  dell'art.  16,  comma  1,  e'  basato  sul
rapporto sinallagmatico tra valore dichiarato  ai  fini  dell'ICI  ed
indennita' di esproprio erogabile al contribuente  espropriato.  Meno
dichiara il contribuente, minore e' la somma che  puo'  vantare  come
espropriato. I due valori, quello dichiarato e  quello  stimato,  non
possono non coincidere. Il contribuente, quindi, non puo'  pretendere
una indennita' di esproprio che sia superiore al valore dichiarato ai
fini  dell'ICI  Colui  che  si  nasconde  al  fisco   (omettendo   la
dichiarazione) per sottrarsi ai doveri di contribuente, non puo'  poi
palesarsi  per  vantare  diritti  connessi  ai   doveri   elusi.   La
dichiarazione omessa equivale (almeno) alla  dichiarazione  a  valore
irrisorio e le conseguenze non possono essere dissimili, il disvalore
dei due comportamenti e' analogo e quindi, non si  vede  perche'  non
debbano essere uguali anche le conseguenze extrafiscali.  Tanto  piu'
che il comportamento dell'evasore parziale e' certamente meno  grave,
perche'  almeno  si  espone  al  controllo  della  dichiarazione,   a
differenza dell'evasore totale che, nella logica del sistema  vigente
ratione temporis, prima  dell'informatizzazione  dell'intero  sistema
catastale, aveva elevate  possibilita'  di  sottrarsi  al  controllo.
Inoltre, l'evasore totale non paga nulla  fino  a  quando  non  viene
scoperto e, se poi  paghera',  paghera'  soltanto  nei  limiti  degli
ultimi cinque anni,  mentre  l'evasore  parziale  comunque  paga  una
imposta, seppure ridotta rispetto a quella dovuta, senza possibilita'
di evaderla per decadenza. Conseguentemente, si deve  concludere  che
il vincolo di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, comma 1,  opera
anche in caso di omessa dichiarazione, nel senso che se  l'indennita'
deve essere "ridotta al valore indicato  nell'ultima  dichiarazione",
ICI,  la  mancata  presentazione  di  tale  dichiarazione  merita  un
trattamento almeno simile a  quello  riservato  al  contribuente  che
dichiari un valore assolutamente  irrisorio  o  pari  allo  zero.  E'
questo il punto di partenza dal quale deve prendere le mosse  l'esame
della  compatibilita'  del  ripetuto  art.  16  con  altri  parametri
costituzionali. 
    6. Nuovi problemi di legittimita' costituzionale) -  Il  problema
che si pone in relazione alla ipotesi di omessa  dichiarazione  o  di
quella equivalente di dichiarazione di valore  irrisorio  e':  se  la
totale vanificazione  della  dell'indennita'  sia  incompatibile  con
altri parametri costituzionali. Non v'e'  dubbio  che  l'art.  16  in
esame (al pari del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art.  37,  comma  7,
T.U. in materia di esproprio) e' una norma di tipo sanzionatorio  che
reca la  previsione  di  una  sanzione  atipica.  Il  nostro  sistema
costituzionale, in linea di principio, non esclude la legittimita' di
sanzioni di tipo economico, che possono sacrificare anche in  maniera
totale la proprieta' di beni,  anche  quando  non  siano  di  diretta
provenienza  illecita  (come  il  sequestro   e   la   confisca   per
equivalente).  Nella  specie,  pero'.  si   pone   un   problema   di
proporzionalita'  della  sanzione   (equiparabile   alla   confisca),
rispetto ad un illecito che, per quanto grave (dichiarazione omessa o
con indicazione di un valore irrisorio), non giustifica una  sanzione
tanto radicale. In definitiva ritiene il Collegio: a) che  il  D.Lgs.
n.  504  del  1992,  art.  15,  oggi  art.  37  (TU  in  materia   di
espropriazione) per P.U., debba essere interpretato nel senso che  la
"sanzione" della riduzione dell'indennita' di esproprio, in  caso  di
dichiarazione infedele debba trovare  applicazione,  con  riferimento
all'ultima  dichiarazione  o   denuncia   presentata,   prima   della
determinazione   formale   dell'indennita',   restando    irrilevanti
eventuali successivi  atti  di  ravvedimento  (non  spontaneo)  o  di
autorettifiche (che non siano frutto di  un  originario  involontario
errore); b) la disciplina dell'art. 16 riguarda anche le  ipotesi  di
omessa  dichiarazione/denuncia  ICI,  pena  la   irrazionalita'   del
sistema, posto che non v'e' alcuna differenza tra  dichiarazione  che
espone un  valore  assolutamente  irrisorio  e  omessa  dichiarazione
(l'unica differenza e' che, prima della informatizzazione del sistema
catastale,  il   contribuente   che   ometteva   di   presentare   la
dichiarazione aveva maggiori probabilita' di non essere scoperto e di
non pagare alcunche');  c)  sulla  base  di  tali  premesse  si  deve
concludere che in caso di omessa dichiarazione ICI,  al  contribuente
fiscalmente inadempiente, espropriato, non spetti alcuna  indennita'.
Questa conclusione, pero' - esclusa la possibilita' di equiparare  la
misura in  esame  ad  una  confisca  in  senso  tecnico,  e  superata
l'eccezione di irrazionalita' del sistema, ex art. 3 Cost.  -  appare
in contrasto con altri parametri costituzionali, a seguito del mutato
quadro normativo (con riferimento all'art. 117 Cast., comma  1,  come
sostituito dalla L. Cost.  n.  3  del  2001,  art.  3,  in  relazione
all'art. 42 Cost., comma 3) e  dell'evoluzione  della  giurisprudenza
della Corte  Costituzionale,  secondo  la  quale  le  norme  che  non
prevedono un "serio ristoro"  del  danno  subito  per  effetto  della
occupazione o dell'esproprio di aree edificabili, sono  in  contrasto
con l'art. 42 Cost., comma  3,  e  con  gli  obblighi  internazionali
sanciti dall'art. 1 del Protocollo  addizionale  alla  Cedu,  che  il
legislatore deve rispettare in forza  del  "nuovo"  art.  117  Cost.,
comma 1 (sent. C. Cost. nn. 348 e 349/2007). La norma in  esame,  che
condiziona  al  ribasso  la  determinazione  del   valore   dell'area
espropriata, fino alla sua possibile totale vanificazione, sulla base
di elementi e circostanze che nulla hanno a che vedere con  il  danno
conseguente  all'esproprio  e  con  i  criteri  che  attengono   alla
congruita' della indennita' dovuta all'espropriato, appare dunque  in
contrasto con i parametri costituzionali indicati. La  lettera  della
legge,  che  stabilisce  una  relazione  diretta  tra  la   riduzione
dell'indennita' e l'entita' dell'evasione  (maggiore  e'  l'evasione,
maggiore  deve  essere  la  riduzione),  non   lascia   margini   per
interpretazioni costituzionalmente orientate. Qualsiasi tentativo  di
interpretare la norma in maniera che sia comunque garantito un  serio
ristoro all'espropriato (una sorta  di  "valore  minimo  garantito'),
anche in caso di omessa dichiarazione o di  dichiarazione  di  valore
irrisorio, altera il rapporto diretto tra l'entita' della sanzione  e
la  gravita'  della  violazione  (principio  di   graduazione   della
sanzione) e, quindi, viola il principio di uguaglianza di trattamento
per situazioni uguali. 
    7. (I precedenti della Corte  Costituzionale)  -  Non  ignora  il
Collegio che la Corte costituzionale, dopo la pronuncia n.  351/2000,
e'  stata  ancora   investita   della   questione   di   legittimita'
costituzionale  del  D.Lgs.  n.  504  del  1992,  art.  16.  A  parte
l'ordinanza n. c.cost. n. 539/2000, che si e' limitata  a  dichiarare
la manifesta infondatezza della questione, sul rilievo che il giudice
rimettente non ha prospettato  alcun  nuovo  elemento  rispetto  alla
analoga questione gia' dichiarata infondata con  la  citata  sentenza
351/2000, con la ordinanza n. 401/2002, il  giudice  delle  leggi  ha
confermato la non irrazionalita' del meccanismo  di  riduzione  della
indennita' di esproprio sul rilievo, evidenziato gia' nella  sentenza
351/2000,  che  il  disposto  legislativo  tende   principalmente   a
recuperare l'evasione e a disincentivarla. La Corte, pero', e'  stata
sempre investita della  questione  nell'ambito  di  giudizi  che  non
presentavano   la   peculiarita'   della   totale   omissione   della
dichiarazione ICI, per cui,  dopo  avere  escluso  la  irrazionalita'
della norma,  anche  attraverso  l'interpretazione  adeguatrice  gia'
ricordata, non e' mai pervenuta  ad  un  esame  di  legittimita'  del
meccanismo riduttivo allorquando, come nella  specie,  l'applicazione
del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16, porti alla totale  vanificazione
dell'indennita'  di  esproprio.  Successivamente,  pero',  la   Corte
costituzionale ha escluso la legittimita' del D.L. n. 333  del  1992,
art. 5-bis, conv. con modif. dalla L. n. 359 del  1992,  sul  rilievo
che tale disposizione, prevedendo una  oscillazione  eccessiva  della
indennita' di esproprio rispetto  al  valore  di  mercato,  risultava
priva di un "ragionevole legame" con il valore venale del  bene  (che
lo Stato e' obbligato a far  rispettare  in  forza  dell'art.  1  del
Protocollo addizionale n. 1 della CEDU), ed  inidonea  ad  assicurare
anche quel "serio ristoro" richiesto dalla giurisprudenza consolidata
della  Corte  costituzionale,   in   mancanza   del   quale   risulta
praticamente vanificato l'oggetto del diritto di proprieta' (sent. C.
Cost. 348/2007). Alla luce di questa giurisprudenza, appare  evidente
la  non  manifesta  infondatezza  della  questione  di   legittimita'
costituzionale della norma in esame, in forza della quale nel caso di
omessa  dichiarazione  ICI,  l'espropriato  e'  esposto  alla  totale
vanificazione dell'indennita' (...) 
    In altri termini, il contenuto precettivo dell'art. 16  cit.,  in
base al quale l'indennita' di esproprio puo' oscillare fino alla  sua
totale   vanificazione,   pone   un    problema    di    legittimita'
costituzionale, non manifestamente infondato, non tanto in  relazione
all'art. 3 Cost., (...) per contrasto con l'art. 42 Cost.,  comma  3.
Infatti, e' pur vero che secondo la giurisprudenza del giudice  delle
leggi, l'art. 42 Cost., comma 3, non impone al legislatore il  dovere
di commisurare  integralmente  I  'indennita'  di  espropriazione  al
valore di mercato del bene ablato, attesa la "finzione sociale" della
proprieta', nel quadro  dei  principi  di  solidarieta'  economica  e
sociale tra cittadini, di cui all'art. 2 Cost.  (sent.  n.  348/2007,
punto 5.7., secondo cpv, della motivazione in diritto). Tuttavia, una
norma come il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 16,  comma  1,  in  grado,
quindi, di comprimere i diritti dell'espropriato ben oltre  i  limiti
fissati dal D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 5-bis,  commi  1  e  2,
cono.  con  modific.  dalla  L.   n.   359   del   1992,   dichiarato
incostituzionale (sent. n. 348/2007),  a  maggior  ragione  non  puo'
superare  "il  controllo  di   costituzionalita'   in   rapporto   al
"ragionevole  legame"  con  il  valore   venale,   prescritto   dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo e coerente, del  resto,  con
il "serio ristoro" richiesto dalla giurisprudenza consolidata"  della
Corte Costituzionale (sent. 348/2007, punto 5.7. della motivazione in
diritto). Conseguentemente, - ritenuta la rilevanza nel  giudizio  in
corso e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita'
costituzionale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 16, comma 1,
oggi D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, art. 37, comma 7, nella  parte  in
cui,  in   caso   di   omessa   dichiarazione/denuncia   ICI   o   di
dichiarazione/denuncia  di   valori   assolutamente   irrisori,   non
stabilisce un limite alla  riduzione  dell'indennita'  di  esproprio,
idoneo ad  impedire  la  totale  elisione  di  qualsiasi  ragionevole
rapporto tra il valore venale del  suolo  espropriato  e  l'ammontare
della indennita', pregiudicando in tal modo anche il  diritto  ad  un
serio ristoro, spettante all'espropriato,  con  riferimento  all'art.
117 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, anche in considerazione
del  disposto  dell'art.  6  e  dell'art.  1,  del  primo  protocollo
addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali". 
    Tali riflessioni giuridiche non possono  che  essere  interamente
condivise  ed  appaiono  rilevanti   ai   fini   del   decidere,   in
considerazione  della  notevolissima  discrepanza  emersa  nel  corso
dell'istruttoria tra il valore dell'immobile dichiarato a fini ICI ed
il valore stimato dal c.t.u.. 
    Giova segnalare che un conflitto, per molti  versi  analogo,  fra
esigenze di tutela fiscale ed esigenze di tutela civilistica, tale da
implicare la difficile individuazione di un punto di  equilibrio  tra
valori  ugualmente  dotati  di  rilevanza  costituzionale,   ebbe   a
verificarsi  rispetto  all'art.  7  della  legge  n.   431/98   sulle
locazioni, laddove era previsto che il locatore non  potesse  mettere
in  esecuzione  il  provvedimento  di  rilascio  nei  confronti   del
conduttore, se non dando dimostrazione di aver provveduto a tutti gli
adempimenti fiscali relativi all'immobile (ivi compresa  la  denuncia
ai fini ICI). Investito ad  opera  del  Tribunale  di  Firenze  della
questione di legittimita' costituzionale  in  relazione  all'art.  24
cost., il giudice delle leggi, con sentenza n. 331/2001, dichiaro' la
illegittimita' costituzionale della norma, osservando che la funzione
di controllo fiscale  indiretto  da  essa  svolta  era  avulsa  dalle
esigenze di  regolarita'  del  procedimento  esecutivo  di  rilascio,
sicche', in mancanza di ogni razionale collegamento logico tra  l'uno
e l'altro aspetto, la disposizione finiva per  violare  senza  valida
giustificazione l'art. 24 cost..  Nel  caso  in  esame,  il  discorso
presenta  forti  similitudini,  in  quanto,  attraverso  la  sanzione
rappresentata dall'abbattimento dell'indennita' di espropriazione, il
legislatore tende ad esercitare un controllo  fiscale  ai  fini  ICI,
senza che emerga una stringente relazione logica fra il comportamento
fedele del contribuente al momento della dichiarazione e la  corretta
determinazione dell'indennita' di espropriazione secondo i  parametri
costituzionali e della CEDU. 
    Il dubbio di legittimita' costituzionale della  normativa  citata
va conseguentemente rimesso ai sensi  dell'art.  23  della  legge  11
marzo 1953 n. 87 alla Corte costituzionale, alla quale gli atti vanno
immediatamente trasmessi previa sospensione del  giudizio  in  corso,
non essendo piu' consentito disporre discrezionalmente la sospensione
in attesa dell'esito del giudizio di costituzionalita' gia' sollevato
altrove sulla medesima questione. In rito,  si  ritiene  infatti  che
"nel quadro della disciplina di cui all'art. 42  cod.  proc.  civ.  -
come novellato dalla legge 26 novembre 1990, n. 353 - non vi e'  piu'
spazio  per  una  discrezionale  e  non   sindacabile   facolta'   di
sospensione del processo esercitata dal giudice al di fuori dei  casi
tassativi di sospensione legale; ne deriva l'impugnabilita', ai sensi
del citato  art.  42  cod.  proc.  civ.,  di  ogni  provvedimento  di
sospensione del processo, quale che  ne  sia  la  motivazione,  e  la
conseguente fondatezza del ricorso  ogni  qualvolta  non  si  sia  in
presenza di un caso di sospensione espressamente prevista dalla legge
o rientrante nell'ipotesi prevista dall'art. 34. Pertanto e'  fondato
il ricorso proposto avverso l'ordinanza con la quale il giudice abbia
sospeso il giudizio  in  relazione  alla  pendenza  di  questione  di
costituzionalita' sollevata in altro processo, dovendo in tal caso il
giudice, qualora ritenga rilevante  la  questione,  investire  a  sua
volta  la  Corte  costituzionale  e  successivamente  procedere  alla
sospensione del giudizio" (massima tratta ex multis da Cass. ord.  24
novembre 2006 n. 24946). 
  
                               P.Q.M. 
  
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di
legittimita' costituzionale del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art.
16, comma 1, oggi D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327,  art.  37,  comma  7,
nella parte in cui, in caso di omessa dichiarazione/denuncia ICI o di
dichiarazione/denuncia  di   valori   assolutamente   irrisori,   non
stabilisce un limite alla  riduzione  dell'indennita'  di  esproprio,
idoneo ad  impedire  la  totale  elisione  di  qualsiasi  ragionevole
rapporto tra il valore venale del  suolo  espropriato  e  l'ammontare
della indennita', pregiudicando in tal modo anche il  diritto  ad  un
serio ristoro, spettante all'espropriato,  con  riferimento  all'art.
117 Cost., comma 1, e art. 42 Cost., comma 3, anche in considerazione
del  disposto  dell'art.  6  e  dell'art.  1,  del  primo  protocollo
addizionale della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali. 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale e la sospensione del giudizio in corso. 
    Ordina che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
        Firenze, 14 ottobre 2011 
  
                       Il Presidente: Grimaldi