N. 71 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 gennaio 2012

Ordinanza del 28 gennaio 2012 emessa dal Tribunale di Catania -  Sez.
distaccata di Acireale nel procedimento civile promosso da Coniglione
Giorgio c/Credito Siciliano spa. 
 
Procedimento  civile  -  Astensione  e  ricusazione  del  giudice   -
  Dichiarazione di astensione obbligatoria o  istanza  di  astensione
  facoltativa - Mancato accoglimento da parte del  Capo  dell'Ufficio
  giudiziario - Possibilita' per il giudice di ricorrere avverso tale
  provvedimento ad Organo sovraordinato dalla stessa  Amministrazione
  giudiziaria - Omessa previsione - Contrasto con i principi posti  a
  tutela della imparzialita' e della apparenza di  imparzialita'  del
  giudice - Lesione dell'interesse morale del magistrato alla propria
  immagine di giudice imparziale e al proprio onore. 
- Codice di procedura civile, artt. 51 e seguenti. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 111 e 113. 
(GU n.18 del 2-5-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Sciogliendo  la  riserva  nella  causa  civile  n.  991/011  r.g.
promossa  da  Coniglione  Giorgio   e   Pulvirenti   Rosario   difesi
dall'avv.to Patane' Rosario del foro di Acireale (CT) contro  Credito
Siciliano S.p.a.,difesa  dall'avv.to  Giuseppe  Testa  e  dell'avv.to
Isabella Testa del foro di Acireale (CT), osserva quanto segue. 
    Il sottoscritto, giudice  istruttore  della  causa,  in  data  23
gennaio 2012 ha proposto  al  Presidente  del  Tribunale  di  Catania
contemporaneamente  dichiarazione  di  astensione   obbligatoria   ed
istanza di astensione facoltativa per i seguenti motivi: 
    «Astensione obbligatoria (art. 51, n. 3 cpc)  -  Il  sottoscritto
pochi giorni fa ha acquistato obbligazioni,  per  rilevante  importo,
emesse dal Credito Siciliano. 
    In  conseguenza  il  sottoscritto  e'   creditore   del   Credito
Siciliano. 
    Il che integra la fattispecie di astensione obbligatoria  di  cui
all'art. 51 n. 3 cpc., che non consente alcuna  discrezionalita'  ne'
al sottoscritto ne' al Capo dell'Ufficio. 
    Siamo al di fuori dei rapporti di c. c., per i quali la  S.V.  ha
rigettato analoga dichiarazione di astensione. 
    Astensione facoltativa (art. 51 ultimo comma cpc) - I  figli  del
sottoscritto sono soci azionisti del Credito Siciliano. 
    E' di tutta evidenza, infatti, che i soci di una  societa'  hanno
interessi che coincidono con quelli della societa': nel caso in esame
interesse al recupero  del  credito  di  euro  99.624  (recupero  che
avvantaggia la societa' ed indirettamente anche i soci  che  ne  sono
membri). 
    Ragion per cui il sottoscritto  verrebbe  a  trattare  una  causa
nella quale i propri figli sono interessati (anche se non come  parti
in  causa)  all'accoglimento  della  domanda  proposta  dal   Credito
Siciliano. 
    Il che integra le «gravi ragioni di convenienza» di cui  all'art.
51 ultimo comma cpc. Continuare a  trattare  la  causa  potrebbe  dar
adito alla ricusazione del sottoscritto. 
    Il sottoscritto fa presente che in situazione analoga a quella di
cui trattasi (figlio del giudice che era condomino di un  condominio,
parte in causa) la S.V. ha autorizzato il sottoscritto ad astenersi». 
    Orbene,  e'  accaduto  che  il  Presidente  del   Tribunale   con
provvedimento del 23 gennaio 2012 ha rigettato sia  la  dichiarazione
di astensione obbligatoria che la istanza di  astensione  facoltativa
con   una   motivazione,   pero',   riguardante   esclusivamente   la
dichiarazione di astensione obbligatoria, escludendo dal  novero  dei
rapporti di credito cui  si  fa  cenno  nell'art.  51  n.  3  cpc  il
«rapporto di  credito»  del  giudice  con  la  Banca  in  conseguenza
dell'acquisto  di  Obbligazioni  emesse  dalla   Banca,   in   quanto
rientrante  nel  «normale  rapporto  cliente-istituto  di  credito»,e
quindi facendo ricorso ad una valutazione discrezionale che l'art. 51
n. 3 cpc esclude esigendo solo il riscontro obiettivo della esistenza
di un rapporto di credito (o di debito), senza alcuna valutazione  al
riguardo ne' da parte del giudice ne' da  parte  del  Presidente  del
Tribunale. 
    Il Presidente del Tribunale non si e' pronunziato, invece,  sulla
istanza di astensione facoltativa proposta dal sottoscritto  ex  art.
51 ultimo comma (figli soci azionisti del Credito Siciliano). 
La normativa. 
    L'art. 51 del c.p.c.  prevede  due  tipi  di  astensione,  quella
obbligatoria e quella facoltativa. Regolate in modo diverso. 
L'astensione obbligatoria. 
    La   norma   prevede   alcune    fattispecie    di    facilissima
individuazione, costituenti un "numerus clausus" dato  che  qualsiasi
altra fattispecie si puo' fare rientrare nella astensione facoltativa
(per "gravi ragioni di convenienza")  prevista  dall'art.  51  ultimo
comma (costituente norma di chiusura del sistema dell'astensione). 
    In caso di astensione  obbligatoria  il  giudice  deve  fare  una
"dichiarazione di astensione" per la cui accettazione non e' prevista
la autorizzazione  da  parte  del  Capo  dell'Ufficio  (l'istanza  di
astensione e la conseguente autorizzazione sono invece  previste  per
l'astensione facoltativa, per la quale occorre fare delle valutazioni
circa  l'esistenza  delle  "ragioni  di  convenienza"  e   circa   la
"gravita'" delle stesse). 
    La situazione dal sottoscritto segnalata, relativa  ai  contratti
di investimento finanziario  (acquisto  di  obbligazioni  emesse  dal
Credito Siciliano) da cui si  origina  il  rapporto  di  credito  del
sottoscritto nei  confronti  della  Banca,  rientra  tra  i  casi  di
astensione obbligatoria. 
    Per questi il c.p.c.  (art.  51  e  art.  78  att.)  non  prevede
(ripetesi)  alcuna  autorizzazione  da  parte  del   Presidente   del
Tribunale, ma solo una presa d'atto con la  conseguente  designazione
del nuovo giudice. 
    Cio' stante la tassativita' (nonche' la semplicita') dei casi  di
astensione  obbligatoria,  previsti  dalla  legge,  che,   come   non
consentono  interpretazioni  estensive  o   analogiche,   cosi'   non
consentono interpretazioni restrittive. 
    Secondo la volonta' del legislatore, chiaramente  espressa  nella
norma, basta che sussista tra il giudice e qualsiasi  altro  soggetto
(banche comprese) un rapporto obbligatorio di qualsiasi tipo  da  cui
si originano o possono originarsi indifferentemente crediti o  debiti
di qualsiasi entita', per  far  scattare  per  il  giudice  l'obbligo
dell'astensione e conseguentemente l'obbligo per il capo dell'ufficio
giudiziario di designare  altro  giudice  per  la  trattazione  della
causa. 
    La  legge  nei  casi  di  astensione  obbligatoria  non   prevede
l'autorizzazione  all'astensione  da  parte  del  capo   dell'ufficio
giudiziario proprio per evitare ogni discrezionalita'  da  parte  del
capo ufficio, che sarebbe fonte di disparita' di  decisioni  sia  tra
uffici diversi sia nell'ambito dello stesso ufficio tra capi  ufficio
diversi (ognuno si sentirebbe autorizzalo a pensarla a modo proprio),
con conseguente incertezza anche per il giudice che ha  l'obbligo  di
astenersi. 
    Se si dovesse  ammettere  che  i  rapporti  di  obbligazione  tra
giudice e banca debbano essere esclusi  dall'obbligo  di  astensione,
perche' si tratta di servigi normalmente resi  a  una  "indeterminata
clientela" (come motivato  nel  provvedimento  di  rigetto),  a  tale
conclusione dovrebbe poi giungersi anche per la miriade  di  rapporti
obbligatori che il  giudice  intrattiene  con  esercizi  commerciali,
enti, uffici, professioni, arti  e  mestieri  che  offrono  i  propri
normali servizi ad un pubblico di utenti e  di  consumatori;  con  la
conseguenza che la previsione di astensione di cui all'art. 51  n.  3
(rapporti obbligatori da cui nasce credito o debito) diventerebbe per
i giudici del tutto marginale ed eccezionale. 
    Il contrario di  cio'  che  il  legislatore  ha  voluto  con  una
espressione appositamente generica ed onnicomprensiva  ("rapporti  di
credito  o  di  debito  con  una  delle  parti  o  alcuno  dei   suoi
difensori".) 
    Al riguardo giova precisare che la congiunzione "o" e'  adoperata
dal legislatore con valore di alternanza equivalente, di equipollenza
(e non  di  contrapposizione,  di  incompatibilita',  di  alternativa
escludente). 
    Dico questo, perche' in altra causa la prima sezione  civile  del
Tribunale di Catania (quella presieduta dal Presidente del Tribunale,
che pero' nel caso specifico non presiedeva) decidendo sulla  istanza
di  ricusazione  proposta  da  una  delle  parti  nei  confronti  del
sottoscritto,   ha   rigettato   l'istanza    motivando    (singolare
motivazione!) che i rapporti di c.c. e di  investimenti  del  giudice
con una banca originavano rapporti di credito  e  di  debito  (e  non
rapporti di credito o di debito, come  previsto  nell'art.  51  n.  3
cpc). 
    L'astensione facoltativa nel caso in cui  in  cui  familiari  del
giudice siano soci della banca parte in causa. 
    Alle dichiarazioni di astensione obbligatoria  (per  rapporto  di
credito con il Credito Siciliano) il sottoscritto ha  (doverosamente)
aggiunto istanza di astensione facoltativa ex art.  51  ultimo  comma
cpc, facendo presente che i propri figli sono azionisti e del Credito
Siciliano. La detta istanza e' state rigettata senza motivazione. 
    Forse per la difficolta' di motivare il rigetto dell'istanza. 
    Eppure non si puo' non essere d'accordo  sul  fatto  che  sarebbe
gravemente sconveniente che un giudice trattasse cause  in  cui  sono
parte i figli. 
    Ma lo stesso deve-ritenersi quando i  figli  sono,  cointeressati
nella causa,come nel caso in esame - in cui  sono  soci  della  banca
parte in causa. 
    Cio' che conta al fine  dell'astensione  (per  gravi  ragioni  di
convenienza) non e' la forma (cioe' che i figli non sono  formalmente
parti in causa), ma la sostanza, cioe' che i figli sono legati ad una
parte da una comunanza di  interessi,  per  cui,  quando  il  giudice
giudica sugli interessi della parte, giudica  anche  sugli  interessi
dei  propri  figli,  coincidenti   cogli   interessi   della   parte.
Inutilmente il sottoscritto ha fatto presente che nel caso analogo in
cui un figlio era condomino di condominio parte in causa,  lo  stesso
Presidente del Tribunale aveva  prima  rigettato  e  poi  (melius  re
perpensa)  accolto  la  istanza  di  astensione   del   sottoscritto,
designando altro giudice di questa Sezione per la  trattazione  della
causa. 
    La  mancata  tutela  dell'interesse  del   magistrato,   la   cui
dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal  capo
dell'ufficio giudiziario. La violazione degli artt.  24,  111  e  113
della Costituzione. 
    La  materia  della  astensione  del  giudice  e'  particolarmente
delicata e merita l'attenzione della Corte  costituzionale  non  solo
nel campo penale (ove piu' volte e' intervenuta) ma anche  nel  campo
civile, in quanto: 
        - comporta il coinvolgimento della immagine sia  del  Giudice
che dell'Amministrazione; 
        - comporta possibili conseguenze sul piano disciplinare per i
Giudici che non si astengano; 
        - comporta  per  i  giudici,  che  si  astengano  ma  la  cui
dichiarazione o istanza non venga accolta, di  restare  esposti  alla
eventuale ricusazione e, anche  in  caso  di  mancata  ricusazione  o
rigetto della ricusazione, al sospetto di mancanza di imparzialita'. 
    Il che vulnera la fiducia che parti  e  cittadini  tutti  debbono
poter nutrire nella imparzialita' dei giudici. 
    L'istituto dell'astensione non mira  (secondo  unanime  pensiero)
soltanto ad assicurare la effettiva imparzialita' del giudice,  cioe'
che il giudice sia imparziale, ma anche a garantire  che  il  giudice
appaia imparziale, ossia che non possa esserci in nessuna delle parti
ed in genere nei cittadini neppure il dubbio  sull'imparzialita'  del
giudice. 
    Sono  coinvolti,  come  detto,  l'interesse  dell'Amministrazione
Giudiziaria e l'interesse  delle  parti,  ma  anche  l'interesse  del
giudice (alla propria immagine di imparzialita' e al proprio onore). 
    I giudici  hanno  normalmente  doti  morali  tali  da  indurli  a
comportarsi in modo imparziale anche nel  caso  di  non  accoglimento
della dichiarazione o  istanza  di  astensione  o  di  rigetto  della
istanza di ricusazione. 
    Ma non e' questo il punto: il punto e' che e' in gioco l'immagine
dell'imparzialita'  del  giudice,  che  potrebbe  essere  compromessa
ugualmente nel caso di non accoglimento della dichiarazione o istanza
di astensione: infatti, chi potra' togliere dalla mente di una  delle
parti o dei cittadini, che i legami di interessi con la banca sia del
magistrato che dei suoi figli possano avere influito sulla decisione? 
    Il  Capo  dell'Ufficio  giudiziario  e'  preposto   alla   tutela
dell'interesse dell'Amministrazione, che rappresenta, ma dovrebbe (ad
avviso del sottoscritto) ad un tempo tutelare l'interesse del giudice
all'immagine  di  imparzialita',  costituente  una  delle  componenti
dell'onore e della dignita' professionale del magistrato. 
    Il legislatore del 1940 ha presunto che il Capo ufficio fosse  in
grado di tutelare anche l'interesse del giudice e  per  tale  ragione
non ha previsto per il giudice  alcun  rimedio  giuridico  contro  la
possibilita' che i suoi interessi morali  non  fossero  tutelati  dal
Capo ufficio,non potendosi immaginare che un Capo ufficio potesse non
accogliere una legittima dichiarazione di astensione obbligatori  nel
caso di esistenza di rapporti obbligatori (di credito e/o  di  debito
con una parte in causa) ovvero una istanza di astensione  facoltativa
di gravita' eccezionale (come nel caso che i figli del giudice  siano
soci azionisti della banca parte in causa). 
    Quando si verifica il caso  limite  in  esame,  in  cui  il  Capo
dell'Ufficio: 
        a) si e' attribuita la facolta' discrezionale (che l'art.  51
n. 3 cpc non  prevede)  di  escludere  dal  novero  dei  rapporti  di
credito,  comportanti  l'astensione  obbligatoria,  le   obbligazioni
emesse dalla banca parte in causa ed acquistate dal giudice; 
        b) ed addirittura  si  e'  permesso  di  non  motivare  sulla
istanza facoltativa di astensione (per essere  i  figli  del  giudice
azionisti della banca parte in causa), 
esponendo in tal modo il giudice all'onta della ricusazione di una  o
entrambe le parti, si realizza una situazione di  messa  in  pericolo
dell'onore e della dignita' professionale, del giudice. 
    E' in tal caso che si avverte  la  necessita'  di  uno  strumento
giuridico che offrisse al giudice  la  possibilita'  di  tutelare  il
detto suo interesse,in fase prodromica. 
    Ma tale possibilita' non e' prevista dalla normativa vigente, che
tutela solo le parti in causa, con l'istituto della ricusazione (art.
53 cpc). 
    Come  se  il  giudice  fosse  semplice  «oggetto»  delle   altrui
decisioni e  non  un  «soggetto»  portatore  di  interessi  legittimi
meritevoli di autonoma  tutela,al  pari  di  quelli  delle  parti  in
causa(tutelati con l'istituto della ricusazione). 
      
    Cio' contrasta con le seguenti norme della Costituzione: 
        - L'art. 3, il quale stabilisce che «tutti i  cittadini  ....
sono eguali davanti alla legge». 
        - L'art. 24, il quale stabilisce che «tutti possono agire  in
giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». 
        - L'art. 111, il  quale  stabilisce  che  «ogni  processo  si
svolge .... davanti ad un giudice terzo ed imparziale». 
        - L'art. 113, il quale stabilisce che la  tutela  contro  gli
atti della  pubblica  amministrazione  «non  puo'  essere  esclusa  o
limitata .... per determinate categorie di atti». 
    Tra questi puo' rientrare (estensivamente o analogicamente) anche
il provvedimento del Presidente del Tribunale (che e'  oggettivamente
amministrativo) col quale sia  stata  rigettata  la  dichiarazione  o
l'istanza di astensione presentata dal giudice. 
    L'organo che potrebbe adire il giudice, la  cui  dichiarazione  o
istanza e' stata rigettata, dovrebbe essere un  Organo  della  stessa
Amministrazione Giudiziaria, sovraordinato (come il Presidente  della
C.A. rispetto al Presidente del Tribunale; e la Corte  di  cassazione
rispetto al Presidente della C.A). 
    Avverso il provvedimento definitivo sarebbe ammesso,  secondo  la
legge vigente, il ricorso al TAR. 
Conclusioni 
    Poiche' il giudizio non puo'  essere  definito  indipendentemente
dalla risoluzione  della  questione  di  legittimita'  costituzionale
degli artt. 51 e segg. c.p.c. 
    Poiche', inoltre, la detta questione di legittimita' nel caso  in
esame non e' manifestamente infondata; 
    Apparendo, al contrario, evidente che  la  normativa  vigente  in
tema di astensione violi  gli  artt.  3  e  24  e  111  e  113  della
Costituzione, nella parte in cui non prevede che il giudice,  la  cui
dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal  Capo
dell'ufficio    giudiziario,    possa     ricorrere     ad     Organo
dell'Amministrazione   giudiziaria,   sovraordinato,    avverso    il
provvedimento del Capo dell'Ufficio. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Ordina che a cura della cancelleria  la  presente  Ordinanza  sia
notificata 
        - alle parti  in  causa  e  per  esse  ai  difensori  che  le
rappresentano; 
        - al Presidente del Consiglio dei ministri,  presso  la  sede
della Presidenza del Consiglio in Roma; 
    Ordina altresi' che la  presente  Ordinanza  sia  comunicata  dal
cancelliere: 
        - al Presidente del Senato della Repubblica; 
        - al Presidente della Camera dei Deputati. 
    Dispone  che,  dopo  i  suddetti  adempimenti,  gli  atti   siano
immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale. 
    Sospende il giudizio in corso. 
        Acireale, 27 gennaio 2012 
 
                        Il Giudice: Sturiale