N. 72 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 dicembre 2011
Ordinanza del 28 dicembre 2011 emessa dal Tribunale di Catania - Sez. distaccata di Acireale nel procedimento civile promosso da Di Stefano Alfio e Parisi Rosa c/Credito Siciliano spa. Procedimento civile - Astensione e ricusazione del giudice - Dichiarazione di astensione obbligatoria o istanza di astensione facoltativa - Mancato accoglimento da parte del Capo dell'Ufficio giudiziario - Possibilita' per il giudice di ricorrere avverso tale provvedimento ad Organo sovraordinato - Omessa previsione - Sussistenza dei presupposti per porre la stessa questione di costituzionalita' sollevata con precedente ordinanza in un diverso procedimento - Sospensione del giudizio in attesa che sulla questione si pronunci la Corte costituzionale. - Codice di procedura civile, artt. 51 e seguenti. - Costituzione, artt. 24, 111 e 113.(GU n.18 del 2-5-2012 )
IL TRIBUNALE Nella causa civile 1412/06 r.g. promossa da Di Stefano Alfio e Parisi Rosa (avv.to Giovanni Battiato) c-Credito Siciliano spa (avv.to Giuseppe Testa). Ritenuto che con ordinanza (che si allega alla presente), resa in data 7 novembre 2011 nella causa civile n. 331/010, e' stata sollevata e rimessa alla Corte costituzionale la questione di legittimita' costituzione degli artt. 51 e segg. del cod. proc. civ. nella parte in cui non prevedono che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere avverso il provvedimento ad organo sovraordinato. Ritenuto che nel procedimento di cui trattasi esistono i presupposti per porsi la stessa questione di legittimita' costituzionale, per cui e' opportuno sospendere il giudizio in attesa che la Corte costituzionale si pronunzi sulla questione.
P.Q.M. Sospende il giudizio in attesa che sulla questione si pronunzi la Corte costituzionale. Si comunichi alle parti questa ordinanza e quella allegata. Acireale, 27 dicembre 2011 Il Giudice: Sturiale Allegato IL TRIBUNALE Sciogliendo la riserva nella causa civile n. 331/010 r.g. promossa da S.A.S. ACIGAS difesa dall'avv.to Patane' Ausilio Abramo del foro di Acireale (CT), contro Credito Siciliano S.p.a., difesa dall'avv.to Franco Merlino del foro di Acireale (CT), osserva quanto segue. Il sottoscritto, giudice istruttore della causa, in data 27 settembre 2010 ha proposto al Presidente del Tribunale di Catania contemporaneamente: 1) Dichiarazione di astensione, motivata dalla esistenza di rapporti di credito e di debito con il Credito Siciliano spa, col quale intratteneva rapporti di credito e debito in relazione a conto corrente nonche' a rapporti di investimento finanziario, in osservanza dell'obbligo sancito dall'art. 51, n. 3 cpc. Questo stabilisce il detto obbligo sul solo presupposto della «esistenza» di «rapporti di credito o debito con una delle parti» senza riferimento al titolo e all'entita' del credito o del debito e senza prevedere in questo caso l'autorizzazione del Capo dell'Ufficio giudiziario, che avrebbe concesso a questo la possibilita' di effettuare un sindacato discrezionale sulla dichiarazione. Non per niente la legge (art. 78 disp. att. cpc) parla a proposito della astensione obbligatoria di «dichiarazione» di astensione, mentre l'«istanza» di astensione riguarda i casi di astensione facoltativa per «gravi ragioni di convenienza», per i quali e' prevista l'autorizzazione del Capo ufficio. 2) Istanza di astensione, motivata da «gravi ragioni di convenienza» (art. 51 ultimo comma cpc) in quanto i figli del sottoscritto erano soci azionisti del Credito Siciliano spa e pertanto i loro interessi coincidevano con quelli della banca parte in causa. Orbene, e' accaduto che il Presidente vicario del Tribunale con provvedimento del 4 ottobre 2010 ha rigettato la dichiarazione di astensione obbligatoria ex art. 51 n. 3 cpc, senza pronunziarsi sulla istanza di astensione facoltativa ex art. 51, ultimo comma (figli soci del Credito Siciliano). Tale omissione veniva fatta presente dal sottoscritto con nota del 5 ottobre 2010, il Presidente vicario con nota del 6 ottobre 2010, stesa in calce a quella del sottoscritto, cosi' disponeva: «V°, non luogo a provvedere, restando fermo il provvedimento del 4 ottobre 2010 con il quale si e' negata l'autorizzazione per l'astensione, con rif. all'art. 51 n. 3 cpc», senza motivare in alcun modo il rigetto della istanza di astensione facoltativa ex art. 51 ultimo comma cpc di cui al n. 2. La normativa. L'art. 51 del c.p.c. prevede due tipi di astensione, quella obbligatoria e quella facoltativa. Regolate in modo diverso. Per l'astensione obbligatoria: a) la norma prevede alcune fattispecie di facilissima individuazione, costituenti un "numerus clausus" dato che qualsiasi altra fattispecie si puo' fare rientrare nella astensione facoltativa (per "gravi ragioni di convenienza") prevista dall'art. 51 ultimo comma (costituente norma di chiusura del sistema dell'astensione); b) la norma prevede che in caso di astensione obbligatoria il giudice faccia una "dichiarazione di astensione" per la cui accettazione non e' prevista la autorizzazione da parte del Capo dell'Ufficio (l'istanza di astensione e la conseguente autorizzazione sono invece previste per l'astensione facoltativa, per la quale occorre fare delle valutazioni circa l'esistenza delle "ragioni di convenienza" e circa la "gravita'" delle stesse). La situazione dal sottoscritto segnalata, relativa ai contratti di conto corrente e di investimenti finanziari che lo legavano al Credito Siciliano (da cui si originavano crediti e debiti reciproci) rientrava tra i casi di astensione obbligatoria. Per questi il c.p.c. (art. 51 e art. 78 att.) non prevede (ripetesi) alcuna autorizzazione da parte del Presidente del Tribunale, ma solo una presa d'atto con la conseguente designazione del nuovo giudice. Cio' stante la tassativita' (nonche' la semplicita') dei casi di astensione obbligatoria, previsti dalla legge, che, come non consentono interpretazioni estensive o analogiche, cosi' non consentono interpretazioni restrittive. Secondo la volonta' del legislatore, chiaramente espressa nella norma, basta che sussista tra il giudice e qualsiasi altro soggetto (banche comprese) un rapporto obbligatorio di qualsiasi tipo da cui si originano o possono originarsi indifferentemente crediti o debiti di qualsiasi entita', per far scattare per il giudice l'obbligo dell'astensione e conseguentemente l'obbligo per il capo dell'ufficio giudiziario di designare altro giudice per la trattazione della causa. La legge nei casi di astensione obbligatoria non prevede l'autorizzazione all'astensione da parte del capo dell'ufficio giudiziario proprio per evitare ogni discrezionalita' da parte del capo ufficio, che sarebbe fonte di disparita' di decisioni sia tra uffici diversi sia nell'ambito dello stesso ufficio tra capi ufficio diversi (ognuno si sentirebbe autorizzato a pensarla a modo proprio), con conseguente incertezza anche per il giudice che ha l'obbligo di astenersi. Nella motivazione-tipo, con cui le dichiarazioni di astensione del sottoscritto sono state di recente rigettate, la pretesa inoffensivita' dei detti rapporti fra giudice e banca viene argomentata con la "normalita'" dei detti rapporti, rientranti nei servizi resi dalla banca "nei confronti di una indeterminata clientela". Senonche', il punto non e' che il giudice sia uno dei tanti clienti a cui la banca fornisce normalmente i propri servizi di conto corrente o finanziari, ma e' che il giudice costituisce un cliente "particolare", che, esercitando importanti e delicate funzioni, potrebbe (e basta solo la possibilita') esercitare pressioni sulla banca (ad es. per ottenere condizioni piu' favorevoli rispetto alla normale clientela, nell'ambito della discrezionalita' che la banca ha, agendo in regime di libera concorrenza) ovvero potrebbe ricevere pressioni dalla banca nei casi in cui egli sia debitore della banca. Con conseguente pregiudizio del valore dell'imparzialita' (nel caso del conseguimento dell'obiettivo delle pressioni) ovvero del valore della immagine di imparzialita', anche se non ci fosse alcuna pressione ne' alcun conseguimento dell'obiettivo della pressione, essendo sufficiente a pregiudicare (agli occhi delle parti in causa e dei cittadini in generale) l'immagine di imparzialita' del Giudice la semplice possibilita' (prospettazione) dell'esercizio di una pressione da parte della banca sul giudice o da parte del giudice sulla banca. In definitiva, ad avviso del sottoscritto non c'e' alcuna valida ragione per fare eccezione alla regola dell'obbligo di astensione nel caso dei normali rapporti obbligatori del giudice con poteri forti come sono le Banche, rapporti che potrebbero rivestire notevole importanza economica. Se si dovesse ammettere che i detti rapporti di obbligazione tra giudice e banca debbano essere esclusi dall'obbligo di astensione, perche' si tratta di servigi normalmente resi a una "indeterminata clientela" (come motivato nel provvedimento di rigetto), a tale conclusione dovrebbe poi giungersi anche per la miriade di rapporti obbligatori che il giudice intrattiene con esercizi commerciali, enti, uffici, professioni, arti e mestieri che offrono i propri normali servizi ad un pubblico di utenti e di consumatori; con la conseguenza che la previsione di astensione di cui all'art. 51 n. 3 (rapporti obbligatori da cui nasce credito o debito) diventerebbe per i giudici del tutto marginale ed eccezionale. Il contrario di cio' che il legislatore ha voluto con una espressione appositamente generica ed onnicomprensiva ("rapporti di credito o di debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori".) La giurisprudenza disciplinare del C.S.M. in materia di rapporti tra giudice e banche. Il CSM ha ritenuto la sussistenza dell'illecito disciplinare di un sostituto procuratore (in questo caso l'astensione e' addirittura facoltativa) il quale da oltre due anni si autoassegnava e gestiva (omettendo di astenersi) numerosi procedimenti penali nei confronti di istituti di credito di cui era debitore o di cui diveniva debitore nel corso del procedimento". Sentenza 15 aprile 1994; proc. nn. 3 e 29/93. Ugualmente: a) per un giudice civile che aveva rapporti di debito con una banca consistiti in uno scoperto eccedente quello consentito sulla base del conto corrente (Sentenza n. 86/2004); c) per un g.i.p. che aveva ottenuto fidi che avevano provocato una situazione debitoria nei confronti della banca (Sentenza n. 144/2005); d) per un sostituto procuratore che aveva "rilevanti scoperti bancari" (Ordinanza n. 1/1993); e) per un giudice che si era indebitato con una banca, con conseguente ingente esposizione finanziaria, per salvare il figlio dai debiti (Sentenza 103 del 1993); f) per un giudice che aveva rapporti economici con vari istituti bancari verso i quali era debitore (sentenza 114 del 1999); g) per un giudice che, pur essendo debitore di una banca per un mutuo chirografario di 20 milioni, non avvertiva il dovere di astenersi dal trattare procedimento penale a carico di dirigenti della banca - Sentenza n. 114 del 1999; h) per un sostituto procuratore che aveva ottenuto da una banca un finanziamento senza garanzie e la concessione di uno "scoperto di conto corrente" garantito da trattativa per l'acquisto di un immobile - Sentenza n. 24 del 1999. L'ampia casistica di cui sopra dimostra che anche un semplice rapporto di conto corrente ovvero un rapporto di tipo finanziario puo' nascondere situazioni di estrema gravita'. Il giudice, che dichiara di astenersi, non e' obbligato a fornire particolari della sua situazione creditoria o debitoria nei confronti di persona fisica o giuridica parte della causa, per due ragioni semplicissime: 1°) perche' la norma di cui all'art. 51 n. 3 cpc non lo richiede (gli richiede solo di dichiarare l'esistenza di rapporti di debito o credito, senza altra indicazione); 2°) per la tutela della privacy del magistrato (gia' avvertita dal legislatore del 1940 e che ora ha trovato piu' ampia tutela nella apposita legge sulla privacy); Il magistrato non e' tenuto ad esporre al Capo Ufficio ed alle parti (visto che la dichiarazione e la istanza di astensione e il relativo provvedimento del Capo Ufficio finiscono nel fascicolo d'ufficio: art. 79 disp. att. cpc) la propria situazione patrimoniale nei confronti della banca ne' ad autoaccusarsi di fatti che potrebbero penalmente o disciplinarmente rilevanti. Secondo un noto detto latino: «nemo detegere se tenetur». L'ipotesi in cui familiari del giudice siano soci della banca parte in causa. Alle dichiarazioni di astensione obbligatoria (per rapporti obbligatori con il Credito Siciliano) il sottoscritto ha aggiunto istanza di astensione facoltativa ex art. 51 ultimo comma cpc, facendo presente che i propri figli sono azionisti e quindi soci del Credito Siciliano. La detta istanza e' state rigettata senza motivazione. Forse per la difficolta' di motivare il rigetto dell'istanza. Non si puo' non essere d'accordo sul fatto che sarebbe gravemente sconveniente che un giudice tratti cause in cui sono parte i figli. Ma lo stesso deve ritenersi quando i figli sono cointeressati nella causa in quanto (ad esempio) soci della banca parte in causa ovvero condomini del condominio parte in causa. Cio' che conta al fine dell'astensione (per gravi ragioni di convenienza) non e' la forma (cioe' che i figli non sono formalmente parti in causa), ma la sostanza, cioe' che i figli sono legati ad una parte (nel caso in esame alla banca, ma lo stesso dicasi per un condominio) da una comunanza di interessi, per cui, quando il giudice giudica sugli interessi della parte, giudica anche sugli interessi dei propri figli, coincidenti cogli interessi della parte. La mancata tutela dell'interesse del magistrato, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal capo dell'ufficio giudiziario. La violazione degli artt. 24, 111 e 113 della Costituzione. La materia della astensione del giudice e' particolarmente delicata e merita l'attenzione della Corte costituzionale non solo nel campo penale (ove piu' volte e' intervenuta) ma anche nel campo civile, in quanto: - comporta il coinvolgimento della immagine sia del Giudice che dell'Amministrazione; - comporta possibili conseguenze sul piano disciplinare per i Giudici che non si astengano; - comporta per i giudici, che si astengano ma la cui dichiarazione o istanza non venga accolta, di restare esposti alla eventuale ricusazione e, anche in caso di mancata ricusazione o rigetto della ricusazione, al sospetto di mancanza di imparzialita'. Il che vulnera la fiducia che parti e cittadini tutti debbono poter nutrire nella imparzialita' dei giudici. L'istituto dell'astensione non mira (secondo unanime pensiero) soltanto ad assicurare la effettiva imparzialita' del giudice, cioe' che il giudice sia imparziale, ma anche a garantire che il giudice appaia imparziale, ossia che non possa esserci in nessuna delle parti ed in genere nei cittadini neppure il dubbio sull'imparzialita' del giudice. Sono coinvolti, come detto, l'interesse dell'Amministrazione Giudiziaria e l'interesse delle parti, ma anche l'interesse del giudice (alla propria immagine di imparzialita' e al proprio onore). I giudici hanno normalmente doti morali tali da indurli a comportarsi in modo imparziale anche nel caso di non accoglimento della dichiarazione o istanza di astensione o di rigetto della istanza di ricusazione. Ma non e' questo il punto: il punto e' che e' in gioco anche l'immagine dell'imparzialita' del giudice, che potrebbe essere compromessa ugualmente nel caso di non accoglimento della dichiarazione o istanza di astensione: infatti, chi potra' togliere dalla mente di una delle parti o dei cittadini, che i legami di interessi con la banca sia del magistrato che dei suoi figli possano avere influito sulla decisione? Il Capo dell'Ufficio giudiziario dovrebbe avere a cuore l'interesse dell'Amministrazione che rappresenta e ad un tempo l'interesse del giudice all'immagine di imparzialita', costituente una delle componenti dell'onore e della dignita' professionale del magistrato. Il legislatore del 1940 ha presunto che il Capo ufficio fosse in grado di tutelare anche l'interesse del giudice e per tale ragione non ha previsto per il giudice alcun rimedio giuridico contro la possibilita' che i suoi interessi morali non fossero tutelati dal Capo ufficio, neppure potendo immaginare che un Capo ufficio potesse non accogliere una legittima dichiarazione di astensione obbligatoria (come l'esistenza di complessi rapporti obbligatori con la banca parte in causa) ovvero una istanza di astensione facoltativa di gravita' eccezionale (quale il caso che i figli del giudice fossero soci azionisti della banca parte in causa). Quando cio' accade, come nel caso limite in esame, manifestandosi una divergenza tra l'interesse dell'Amministrazione giudiziaria espresso in concreto dal Capo dell'ufficio giudiziario e l'interesse morale del giudice, in tal caso si comprende perche' l'interesse del giudice a vedere accolta la sia dichiarazione o istanza sia meritevole di tutela giuridica, avvertendosi la necessita' di uno strumento giuridico che offra al giudice la possibilita' di tutelare il detto suo interesse. Tale esigenza non poteva essere sentita dal Legislatore che approvo' nel 1940 il codice di procedura civile, il quale, per note ragioni, privilegiava la autorita' del Capo dell'ufficio. Ma si sente oggi, per merito anche della Costituzione repubblicana, che contiene norme che ha consentito una evoluzione della societa' italiana secondo modelli piu' sensibili verso le esigenze dei cittadini (vedi, ad esempio, quel che e' avvenuto in tema di tutela della privacy). Costituzione che, nel caso di cui trattasi, contiene delle norme che consentono o (meglio) impongono l'ampliamento della tutela del valore della imparzialita'. Nel senso della tutela anche dell'interesse del magistrato che si astiene. L'art. 24 stabilisce che «tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». L'art. 111 stabilisce che «ogni processo si svolge .... davanti ad un giudice terzo ed imparziale». L'art. 113 stabilisce, infine, che tale tutela «non puo' essere esclusa o limitata ... per determinate categorie di atti». Principi, questi, che tutelano la imparzialita' del giudice non solo ex post, ma anche ex ante, in fase prodomica o prognostica, evitando cioe' che si concretizzi il pericolo di lesione del valore di cui trattasi, esigendo che sia assicurata anche l'apparenza di imparzialita' del giudice, che sia offerta alle parti ed ai cittadini l'immagine di un giudice imparziale. Che poi e' la volonta' del legislatore del 1940,come si ricava dai casi di astensione obbligatoria, previsti nell'art. 51 cpc, che sono casi di presunto pericolo che puo' far venir meno la terzieta' del giudice, anche se tale effetto non ne e' conseguenza necessaria, ma solo possibile o probabile. Conclusioni Poiche' il giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale degli artt. 51 e segg. c.p.c. Poiche', inoltre, la detta questione di legittimita' nel caso in esame non e' manifestamente infondata; apparendo, al contrario, evidente che la normativa vigente in tema di astensione violi gli artt. 24 e 111 e 113 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono che il giudice, la cui dichiarazione o istanza di astensione non sia stata accolta dal Capo dell'ufficio giudiziario, possa ricorrere ad Organo sovraordinato avverso il provvedimento del Capo dell'ufficio. P.Q.M. Ordina che a cura della cancelleria la presente Ordinanza sia notificata - alle parti in causa e per esse ai difensori che le rappresentano; - al Presidente del Consiglio dei Ministri, presso la sede della Presidenza del Consiglio in Roma; Ordina che la presente Ordinanza sia comunicata dal cancelliere - al Presidente del Senato della Repubblica; - al Presidente della Camera dei Deputati. Dispone che, dopo i suddetti adempimenti, gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale. Sospende il giudizio in corso. Acireale, 7 novembre 2011 Il Giudice: Sturiale