N. 73 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 febbraio 2012

Ordinanza del Tribunale amministrativo regionale di Calabria  -  sez.
staccata di Reggio  Calabria  -  sul  ricorso  proposto  da  Cappello
Gabriella contro Ministero della Giustizia e Ministero  dell'Economia
e delle Finanze. 
 
Ordinamento  giudiziario  -  Magistratura  -  Lavoratrici   madri   -
  Corresponsione   dell'indennita'   giudiziaria   nel   periodo   di
  astensione dal lavoro per maternita' e puerperio -  Esclusione  per
  il periodo anteriore all'entrata in vigore della legge n.  331/2004
  - Violazione del principio di  uguaglianza  per  la  disparita'  di
  trattamento  rispetto  al  personale  delle  cancellerie  e   delle
  segreterie giudiziarie -  Lesione  di  diritto  fondamentale  della
  persona - Violazione dei principi di tutela della  famiglia  e  dei
  minori - Violazione del principio di tutela delle lavoratrici madri
  - Richiamo all'ordinanza  della  Corte  n.  347/2008  di  manifesta
  infondatezza di questione analoga, ritenuta superabile dal  giudice
  rimettente in considerazione degli ulteriori parametri evocati. 
- Legge 19 febbraio 1981, n. 27, art. 3, comma 1; legge  30  novembre
  2004, n. 311, art. 1, comma 325. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 30, 31 e 37. 
(GU n.18 del 2-5-2012 )
 
                IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale 637 del  2007,  proposto  da:  Cappello  Gabriella,
rappresentata e difesa dagli avv. Guido Barbaro,  Raffaela  Pugliano,
con domicilio eletto presso Attilio Bandiera Avv. in Reggio Calabria,
via De Nava, 134; 
    Contro  Ministero  della  Giustizia,   rappresentato   e   difeso
dall'Avvocatura  Distrettuale,  domiciliata  per  legge   in   Reggio
Calabria, via del Plebiscito, 15; Direzione Generale dei  Magistrati,
Direzione  Provinciale  del  Tesoro  di  Reggio  Calabria;  Ministero
dell'Economia e delle Finanze, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Distr.le dello Stato, domiciliata per legge in Reggio  Calabria,  via
del  Plebiscito,  15,  per  il  riconoscimento  del   diritto   della
ricorrente  alla  restituzione  dell'indennita'  giudiziaria  di  cui
all'art. 3, comma 1,  della  l.  n.  27  del  19.2.1981,  cosi'  come
modificato dall'art. 1, comma 325, della legge  30.12.2004,  n.  311,
relativa al periodo di assenza obbligatoria di cui all'art.  4  della
1. 1204/1971, oggi disciplinata  dagli  artt.  16  e  17  del  d.lgs.
151/2001, indebitamente trattenuta dalla  Direzione  provinciale  dei
Servizi vari del Tesoro di Reggio Calabria e per  la  condanna  delle
Amministrazioni  resistenti  alla  restituzione  dell'indennita'  non
corrisposta alla ricorrente durante  i  periodi  meglio  indicati  in
atti. 
    Visti il ricorso e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio  del  Ministero  della
Giustizia e del Ministero dell'Economia e delle Finanze; 
    Relatore nell'udienza pubblica del giorno  20  dicembre  2011  il
dott. Salvatore Gatto Costantino e uditi per  le  parti  i  difensori
come specificato nel verbale; 
    Ricorre la dott.ssa Gabriella Cappello,  magistrato  in  servizio
presso il Tribunale di Reggio Calabria, con funzione di giudice,  per
ottenere il riconoscimento  del  proprio  diritto  alla  restituzione
dell'indennita' giudiziaria di cui all'art. 3 comma 1 della l. n.  27
del 19/2/1981, cosi' come modificato dall'art.  1,  comma  325  della
legge 311/2004, relativa al periodo di assenza  obbligatoria  di  cui
all'art. 4 della l. 1204/71, oggi disciplinata dagli artt.  16  e  17
del d.lgs. 151/2001, e  conseguente  condanna  delle  Amministrazioni
resistenti  alla   restituzione   dell'indennita'   non   corrisposta
relativamente ai periodi meglio specificati in atti, oltre  accessori
come per legge (rivalutazione monetaria e degli interessi legali  dal
dovuto e fino al soddisfo). 
    La ricorrente documenta che l'importo delle somme trattenute  nei
periodi di astensione obbligatoria dal  servizio  per  maternita'  (e
segnatamente  dal  24.11.2001  al  24.04.2002  e  dal  5.07.2003   al
5.12.2003)  per  un  importo  pari  ad  8.601,84  (comunicazione  del
Ministero dell'Economia e delle Finanze - Direzione  Territoriale  di
Reggio di Calabria del 2 settembre 2010 prot. n. 020003). 
    Si sono costituite le Amministrazioni intimate che  resistono  al
ricorso di cui chiedono il rigetto. 
    Alla pubblica udienza del 20 dicembre  2012  la  causa  e'  stata
trattenuta in decisione. 
    La risoluzione della controversia dipende da una unica  questione
di diritto, costituita dalla natura  retroattiva  o  non  retroattiva
della modifica che all'art. 3, primo  comma,  della  l.  27/1981,  ha
apportato l'art. 1 comma 325 della l. 311/2004. 
    Sul punto, il Tribunale ne aveva riconosciuto  la  retroattivita'
con numerose sentenze (v. per tutte, 25 marzo 2010 n.  310),  le  cui
argomentazioni, pero', non hanno trovato la condivisione del  giudice
di appello (Consiglio di Stato, sent. 16 settembre 2011, n. 5238), il
quale non ha neppure ravvisato nelle norme in esame quegli  specifici
dubbi di compatibilita' costituzionale che, pure, la parte ricorrente
aveva in quella sede prospettato. Piu' precisamente, il Consiglio  di
Stato, dopo aver richiamato le pronunzie della  Corte  Costituzionale
che hanno rigettato le questioni di legittimita' costituzionale della
norma  in  esame,  ha  concluso  affermando  che  non  vi   sarebbero
ragionevoli  margini  per  una  interpretazione   che   deponga   per
l'attribuzione dell'emolumento in relazione  ai  periodi  antecedenti
all'entrata in vigore della legge n. 311/04. Secondo il Consiglio  di
Stato, infatti, "la norma di cui all'art. 1, comma 325,  della  legge
n. 311/2004 non e' suscettibile di avere efficacia retroattiva  e  la
disposizione recata dall'art. 3 della  legge  n.  87  del  1981,  con
riguardo al periodo precedente l'entrata in vigore della  novella  in
questione  (1°  gennaio  2005)  non  consente  sotto  alcun  versante
interpretativo  la   corresponsione   dell'indennita'   di   cui   si
controverte."  A  fronte  della  richiesta  di  parte  ricorrente  di
rimettere la questione alla Corte Costituzionale perche' si  pronunci
"sia in relazione ai lavori parlamentari della legge ti.311 /2004 dai
quali emergerebbe il chiaro intento del legislatore di correggere  la
portata discriminatoria  dell'originaria  norma  recata  dall'art.  3
della legge n. 27181 sia con riferimento al profilo di disparita'  di
trattamento tra donne magistrato riguardo all'aspetto  temporale  del
periodo di astensione obbligatoria (anteriore o successivo al  2005)"
il Consiglio di Stato statuisce che "siffatta domanda va disattesa in
quanto muove da una impostazione  genetica  del  problema  del  tutto
errata , quella di ritenere che la novella del 2004 vada ad  incidere
su un substrato normativo ingiustificatamente  penalizzante,  con  lo
scopo  di  rimuovere  ab  initio  situazioni  ostative   alla   piena
applicazione di un principio per cosi' dire  paritario"  e  chiarisce
che "La scelta effettuata dal  legislatore  con  la  finanziaria  per
l'anno 2005 e' si' innovativa, nel senso che  immette  per  la  prima
volta nell'ordinamento una norma attributiva del  riconoscimento  del
diritto in questione, ma non va a porre rimedio ad alcunche', perche'
non esistono a monte situazioni omologhe a fronte di un diversificato
trattamento economico,  come  tali  abbisognevoli  di  un  intervento
correttivo e/o eliminativo; parimenti, la norma non va  a  modificare
disposizioni che, peraltro, sono state ritenute esenti da profili  di
incostituzionalita' e che quanto alla sua portata precettiva non puo'
avere una efficacia retroattiva e neppure dare luogo a disparita'  di
trattamento". 
    Cio'  posto,  il  Collegio   non   puo'   che   disattendere   le
argomentazioni odierne della parte ricorrente,  tese  a  reintrodurre
ulteriori argomenti di valutazione della  portata  retroattiva  della
norma in esame, dal momento che, pur se condivisibili in questa sede,
l'orientamento consolidato del giudice di appello ne decreterebbe  la
sicura riforma. 
    Tuttavia, l'orientamento del giudice di appello non  puo'  essere
condiviso quanto al  giudizio  implicito  di  manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale  che  era  stata  gia'
proposta nel giudizio conclusosi con la sentenza prima richiamata,  e
che, nella odierna sede, non puo'  che  essere  sollevata  d'ufficio,
essendo rilevante e non manifestamente infondato. 
    A tale proposito, si osserva quanto segue. 
Sulla rilevanza della questione. 
    Il  Tribunale,  prendendo  atto  dell'orientamento  del   proprio
esclusivo giudice di appello,  che  assume  come  "diritto  vivente",
osserva che la questione di costituzionalita' di cui trattasi riveste
necessariamente  carattere  di  rilevanza  al  fine  della  decisione
definitiva sulle domande introdotte con i gravami in esame. 
    Come reiteratamente affermato dalla  Corte  Costituzionale,  deve
ritenersi  rilevante   e   quindi   ammissibile   la   questione   di
costituzionalita'  di  una  norma  di  legge  allorche'  il   giudice
remittente,  pur  mostrando  di  non  condividere   l'interpretazione
consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul
piano ermeneutico, bensi', assumendo proprio  quella  interpretazione
come "diritto vivente",  ne  chiede  una  verifica  sul  piano  della
costituzionalita' (che  pacificamente  rientra  nel  sindacato  della
Corte: cfr. Sent. n. 188 del 23 maggio 1995, n. 58  del  24  febbraio
1995, n. 110 del 6 aprile 1995, n. 345 del 21 luglio 1995). 
    La stessa Corte ha, del resto, significativamente  precisato  che
la questione di  legittimita'  costituzionale  e'  validamente  posta
anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente  di  dubitare
dell'orientamento giurisprudenziale prevalente o  dominante,  ritiene
di dovere applicare la  disposizione  contestata  in  un  diverso  od
opposto significato normativo, sempreche'  l'interpretazione  offerta
non risulti del tutto implausibile  ovvero  arbitraria  (Corte  Cost.
sent. n. 58/1995, punto 2 della  motivazione  che  richiama  numerosi
precedenti giurisprudenziali della medesima Corte; ord. TAR  Sicilia,
III, 35/1996). 
    Pur  avendo  il  Tribunale  piu'  volte   espresso   il   proprio
convincimento circa  la  natura  retroattiva  della  disposizione  in
esame, il Collegio non  puo'  non  muovere  dalla  constatazione  del
suesposto orientamento ermeneutico del  giudice  di  appello  che  fa
propria la diversa lettura della norma come non retroattiva,  con  le
logiche  ed  inevitabili  conclusioni  affermative  in  ordine   alla
sussistenza del primo requisito prescritto dalla legge (la  rilevanza
della questione) affinche' il giudice a quo possa sollevare questioni
di costituzionalita'. 
    La rilevanza della questione ai fini del decidere  e'  dunque  di
palese  evidenza:  la  norma  in  esame  va  interpretata  come   non
retroattiva   alla   luce   del   "diritto   vivente"   rappresentato
dall'orientamento del giudice  di  appello,  per  la  tassativita'  e
perentorieta' delle motivazioni cui  la  decisione  richiamata  e  le
altre consimili e' affidata. 
    Dunque, rappresenta una regola  introdotta  nell'Ordinamento  con
effetto innovativo e, come  tale,  che  dispone  per  l'avvenire.  Ne
dovrebbe conseguire il rigetto del  gravame,  se  non  fosse  che  il
Collegio  dubita  della  sua  compatibilita'  costituzionale  per  le
ragioni che si esporranno immediatamente a seguire. 
Sulla non manifesta infondatezza. 
    Il  Collegio  non  ignora  che  la  giurisprudenza  della   Corte
Costituzionale   e'    ferma    nel    ritenere    non    illegittima
costituzionalmente  la  previsione  antevigente,  secondo  la   quale
l'astensione obbligatoria  per  maternita'  sospende  il  trattamento
economico relativo all'indennita' giudiziaria e che, in proposito, ha
affermato  che  "e'  manifestamente   infondata   la   questione   di
legittimita' costituzionale dell'art. 3, comma 1, l. 19 febbraio 1981
n. 27, nel testo anteriore  alla  modifica  introdotta  dall'art.  1,
comma 325, l. 30 dicembre 2004  n.  311,  censurato,  in  riferimento
all'art. 3, comma 1, Cost., nella parte  in  cui,  per  il  personale
della  magistratura,  esclude   la   corresponsione   dell'indennita'
giudiziaria nel periodo di astensione  obbligatoria  per  maternita'.
Non  e'  infatti  configurabile   una   irrazionale   disparita'   di
trattamento tra i magistrati  e  il  personale  delle  cancellerie  e
segreterie giudiziarie, trattandosi di posizioni e funzioni  diverse,
ne' una irrazionale disparita' di trattamento per il solo  fatto  che
da  tale  raffronto  discende  una  quantificazione   diversa   delle
rispettive  prestazioni,  non  essendo  neanche   possibile   dedurre
dall'intervento dell'art. 1, comma 325, l. n. 311 del 2004  a  favore
dei magistrati assenti per maternita', l'intento del  legislatore  di
rimuovere una situazione di illegittima disparita' di trattamento, in
quanto  la  novella  citata  costituisce  la   manifestazione   della
discrezionalita' del potere legislativo nel collocare  nel  tempo  le
innovazioni normative (Corte Cost. Corte  costituzionale,  14  maggio
2008 , n. 137).  Tuttavia,  ad  avviso  del  Collegio,  sussistono  i
presupposti  per  investire  nuovamente   la   Corte   Costituzionale
dell'esame della questione, nell'auspicio di un ripensamento e  della
elaborazione di una soluzione piu' aderente alle specifiche  esigenze
di tutela dei valori costituzionali che si espongono a seguire. 
    Nella fattispecie esaminata dalla Corte nel  corso  del  giudizio
conclusosi con  la  sentenza  n.  137/2008  era  stata  sollevata  la
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  primo  comma,
della l. 19 febbraio 1981, n. 27 nel testo  risultante  anteriormente
alla modifica operata con l'art. 1,  comma  325  della  l.  311/2004,
esclusivamente per violazione dell'art. 3 della  Costituzione,  sotto
il profilo specifico della disparita' di trattamento tra il personale
di magistratura ed il personale  addetto  alle  cancellerie  ed  agli
uffici giudiziari. 
    Ad avviso del Collegio la fattispecie normativa  e'  sospetta  di
incostituzionalita'  per  molteplici  profili  ulteriori  e   diversi
rispetto  a  quelli  gia'  a  suo   tempo   denunciati   e   ritenuti
manifestamente infondati dalla Corte. 
1) Disparita' di trattamento  ed  ingiustizia  manifesta.  Violazione
artt. 2 e 3 della Costituzione. 
    1.1) Ad essere sospetta di incostituzionalita'  non  e'  solo  la
norma di cui all'art. 3, primo comma, della l. 19 febbraio  1981,  n.
27 nel testo  risultante  anteriormente  alla  modifica  operata  con
l'art. 1, comma 325 della l. 311/2004, ma quest'ultima  norma,  nella
parte in cui, secondo "diritto vivente", e'  interpretata  nel  senso
che  non  ha  reso  retroattivo  il  riconoscimento  della  spettanza
dell'indennita' giudiziaria al personale in congedo per maternita' in
periodi anteriori alla sua entrata in vigore. Cosi' facendo, e' stato
violato il precetto di cui all'art. 3 della Costituzione, perche'  e'
stata introdotta una manifesta disparita' di trattamento  all'interno
del personale di magistratura, arbitrariamente suddiviso  in  ragione
del periodo temporale della  astensione  per  maternita',  nonostante
l'identita'  di  situazioni  di  tutela  e  l'identita'  di  funzioni
giurisdizionali svolte. 
    1.2) La disparita' di trattamento operata dal combinato  disposto
dell'art. 3, primo comma, l. 27/1981 e dall'art.  1,  comma  325,  l.
311/2004,  e'  particolarmente  grave  ed  inaccettabile  laddove  si
consideri  che  l'indennita'  giudiziaria   nel   periodo   anteriore
all'entrata in vigore del predetto art. 1,  non  e'  riconosciuta  al
personale in astensione per maternita', ma, nel medesimo  periodo  di
tempo, e'  riconosciuta  ai  magistrati  collocati  fuori  ruolo  per
incarichi  extra-giudiziari  (si  rinvia,  relativamente  al  periodo
temporale di riferimento, alla circolare del C.S.M., n. 7365  del  27
aprile 1994, successivamente modificata, ed al quadro  normativo  ivi
richiamato con particolare riferimento agli  artt.  196  e  210  ord.
giud. R.D. 30 gennaio 1941 n. 12), i quali non  prestano  la  propria
attivita' nell'ambito di quelle specifiche  funzioni  giurisdizionali
al sollievo delle quali l'indennita' e' istituita. Il collocamento in
fuori ruolo per incarichi  extra  giudiziari  o  incarichi  speciali,
invero non e' espressamente elencato nell'art.  3,  primo  comma,  l.
27/1981 tra le condizioni -  tassativamente  elencate  e  di  stretta
interpretazione avendo  natura  di  eccezione  rispetto  alla  regola
generale  -  di  aspettativa,  astensione  facoltativa,   congedo   o
sospensione  dal  servizio,  da  escludersi  ai  fini   del   computo
dell'indennita' (a mente della disposizione citata l'indennita' e' da
"corrispondersi in  ratei  mensili  con  esclusione  dei  periodi  di
congedo  straordinario,  di  aspettativa  per  qualsiasi  causa,   di
astensione facoltativa previsti dagli articoli 32 e 47, commi 1 e  2,
del testo unico di cui al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e
di sospensione dal servizio per qualsiasi causa"). 
    1.3) La disparita' di trattamento e l'ingiustizia manifesta della
diversa condizione dei medesimi magistrati si apprezzano maggiormente
se si considera che, nella prassi concreta degli  uffici  giudiziari,
il periodo in astensione non diminuisce la quantita' di lavoro che il
magistrato  interessato  e'  chiamato  ad  assicurare:   in   assenza
nell'ordinamento   giudiziario   ordinario   di   un    sistema    di
commisurazione oggettiva individuale della quantita'  di  affari  che
possono  essere  trattati  da  ciascun   magistrato   e   sussistendo
l'automatica iscrizione a ruolo di  tutte  le  cause  radicatesi  nel
periodo  di  astensione  per  maternita',  l'assenza  del  magistrato
dall'ufficio giudiziario  -  nella  nota  situazione  di  carenza  di
organico in cui versano  numerosi  uffici  giudiziari,  tra  i  quali
quello di appartenenza della ricorrente - si traduce  solitamente  in
un mero differimento delle  cause  a  ruolo,  che  dovranno  comunque
essere trattate al rientro dall'aspettativa. 
    Di conseguenza, viene concretamente a mancare  la  corrispondenza
tra l'indennita'  giudiziaria  e  gli  oneri  connessi  all'attivita'
giudiziaria, perche' a parita' di affari trattati,  i  magistrati  in
aspettativa percepiscono una  indennita'  minore  di  quelli  non  in
aspettativa e dovranno anche, al loro rientro in servizio, "scontare"
la maggiore  difficolta'  di  recuperare  l'arretrato  nel  frattempo
accumulatosi. 
    1.4) Ulteriore profilo di  manifesta  disparita'  di  trattamento
"interna" alla norma e' ravvisabile nell'elencazione delle ipotesi di
esclusione:  esse  sono  tutte  accumunate  da  una  circostanza   di
riferibilita' della condizione di temporaneo mancato esercizio  delle
funzioni giudiziarie a scelta del magistrato (congedo straordinario o
aspettativa). 
    Anche l'astensione facoltativa ex artt. 32 e 47, commi 1 e 2, del
d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151 e' frutto di un libero apprezzamento del
genitore, finalizzato alla  cura  della  prole;  la  sospensione  per
qualsiasi causa  e',  infine,  ipotesi  residuale  che  raccoglie  le
circostanze relative,  ad  esempio,  a  misure  disciplinari  il  cui
mancato computo  ai  fini  dell'indennita'  giudiziaria  e'  comunque
sorretto da un criterio oggettivo. 
    Nella pur doverosa considerazione dei margini di discrezionalita'
politica  del   legislatore,   e'   dunque   certamente   irrazionale
l'inclusione  dell'aspettativa  obbligatoria  per  maternita'  tra  i
periodi di esclusione  del  servizio  dal  computo  della  indennita'
giudiziaria, perche' non sussiste una possibilita' di scelta  per  il
genitore magistrato tra l'astenersi  o  meno  dal  lavoro,  ne'  puo'
ravvisarsi in essa alcuna ipotesi  anche  latamente  sanzionatoria  o
disciplinare. 
2) Violazione dell'art. 2, 3, 30, 31 e 37 della Cost. 
    In un contesto  etico  e  sociale  caratterizzato  da  una  forte
tendenza alla dissociazione  tra  dimensione  personale-affettiva  ed
ambiente produttivo (gia' di per  se'  contrastante  con  il  modello
sociale  che  l'art.  2  della   Costituzione   presuppone,   essendo
quest'ultimo volto alla tutela della persona umana  nelle  formazioni
sociali ove si svolge la sua personalita', quindi in una accezione di
unitarieta' individuale  della  persona  umana),  il  disconoscimento
dell'indennita' giudiziaria per il periodo di astensione obbligatoria
per maternita' assume una forte e chiara connotazione simbolica,  che
e' lesiva dei diritti della persona  e  dell'individuo  e  di  quella
specifica tutela che va riservata alla donna lavoratrice. 
    Al di la' dell'entita' economica del diritto che  si  vuole  fare
valere, cio' che preme al Collegio di sottolineare e' che, nel quadro
normativo appena descritto, tale negazione ha valore di principio  ed
equivale ad affermare una  completa  separazione  tra  la  dimensione
umana piu' intima e personale del magistrato-genitore e l'adempimento
dei suoi  doveri  istituzionali,  ai  fini  dei  quali  la  prima  e'
prospettata - ex lege - come irrilevante. 
    Si tratta, in sostanza,  di  un  contesto  normativo  che  si  fa
vettore (significativo per la sua rilevanza) di  un  vero  e  proprio
disvalore,  e  cioe'  dell'irrilevanza  della  dimensione   personale
affettiva (che si esprime al massimo grado  nella  generazione  della
prole)  nel  contesto  dello  "status"  di   magistrato,   al   quale
l'indennita' e' collegata e del quale, in tale veste, essa assurge  a
simbolo dell'esercizio della funzione giurisdizionale  da  parte  del
magistrato-genitore. 
    Cio' contrasta con la tutela della dignita'  dell'individuo,  sia
di per se' che nelle due  formazioni  sociali  in  cui  si  realizza,
ovvero la famiglia ed il contesto lavorativo, che e'  invece  obbligo
della Repubblica ex art. 2 della Costituzione assicurare. 
    Altrettanto lesa e' la  dimensione  valoriale  della  famiglia  e
della genitorialita', rilevante ex art. 29 e 30  della  Costituzione,
nonche' lo sforzo delle Istituzioni della  Repubblica  di  assicurare
quella sostanziale tutela dei minori cui l'art. 31 della Costituzione
le impegna. 
3) Violazione dell'art. 2 e 3 della Costituzione sotto altro  profilo
-  Conflitto  con  la  "mens  legis"  come  risultante   dai   lavori
parlamentari di preparazione della legge n. 311/2004. 
    Le norme in esame regolano degli effetti di un  fatto  generatore
(status di magistrato), senza  incidere  su  di  esso,  bensi'  sulle
conseguenze che ne derivano (indennita' giudiziaria). 
    3.1) Come piu' volte evidenziato in altre pronuncie,  dai  lavori
parlamentari della legge n. 311/2004 emerge  il  chiaro  intento  del
legislatore di correggere la portata discriminatoria  dell'originaria
norma recata dall'art. 3 della legge  n.  27/1981  (cfr.  TAR  Reggio
Calabria, 24 marzo 2010, n. 302 ed altre). 
    Cio'  non  consente  di  aderire   alla   soluzione   ermeneutica
dell'irretroattivita' della norma ed il Collegio auspica che la Corte
rimediti criticamente quanto  ritenuto  nell'ordinanza  n.  137/2008,
sopra richiamata, ove si nega l'esistenza  di  quella  disparita'  di
trattamento che invece, come emerge dai lavori preparatori, e'  stata
espressamente contemplata dal  legislatore,  allorche'  ha  posto  in
essere la l. n. 311/2004, con intento correttivo di  una  distorsione
all'epoca in atto, esplicitamente riconosciuta. 
    In tal senso, i proponenti hanno espressamente avuto di  mira  lo
scopo di colmare le disparita' di trattamento non solo tra magistrati
e  personale  di  cancelleria,  ma  anche  all'interno  della  stessa
categoria  dei  magistrati,   laddove   si   verificano   situazioni,
inaccettabili, per cui un magistrato in  servizio  che  si  trova  in
astensione obbligatoria perde l'indennita' e lo stesso magistrato, se
lascia il servizio in quanto distaccato a funzioni amministrative, la
mantiene. 
    Invero,  cio'  che  appare  maggiormente   criticabile,   e'   la
affermazione secondo la quale la novella legislativa rappresenterebbe
solo  la  "la  manifestazione  della  discrezionalita'   del   potere
legislativo  nel  collocare  nel  tempo  le  innovazioni  normative".
Infatti, poiche' viene  modificata  una  norma  esistente,  solamente
quanto agli effetti di una situazione giuridica  che  resta  immutata
nel proprio fatto costitutivo (l'essere magistrato) e nello status di
cui viene diversamente regolata una specifica modalita' di tutela (la
cui fonte generatrice resta, immutata,  la  previsione  di  cui  alla
legge 27/1981), quest'ultimo novum  normativo  non  puo'  che  essere
riferito agli effetti di quello status, con conseguente  obbligatoria
applicazione  della  norma  a  tutte  le  situazioni  giuridiche  non
compiutamente definitesi sotto l'imperio della precedente normativa. 
    In altri termini, non potrebbe non essere riconosciuta natura  di
"jus superveniens" alle norme  che  disciplinano  fattispecie  i  cui
effetti non sono esauriti alla data di entrata in vigore, purche' non
sia  modificato  il  relativo  fatto  o  presupposto  generatore  del
diritto. 
    Peraltro, come anticipato  sopra,  appare  fondamentale  ai  fini
della ricostruzione dell'istituto la "mens legis" che  e'  illuminata
dai lavori parlamentari, nei quali si legge chiaramente l'intento dei
proponenti di eliminare una irrazionale disparita' di trattamento tra
il personale di magistratura ed il personale addetto alle cancellerie
degli uffici  giudiziari,  al  quale  l'indennita'  e'  stata  estesa
proprio per "assimilazione" funzionale: nei  lavori  parlamentari  si
evidenzia come l'attribuzione della indennita' e' stata  "scollegata"
dall'ambito del rischio professionale  e  le  e'  stata  riconosciuta
natura retributiva (e si richiama la decisione del Consiglio di Stato
di  cui  alla  sent.  n.  27/1983),  per  poi   essere   riconosciuta
normativamente  ai  magistrati  ordinari  distaccati   per   funzioni
amministrative (cosi' come ai magistrati del Consiglio di Stato,  dei
TTAARR, Corte dei Conti, Tribunali militari, ex lege 425/1984), oltre
che delle cancellerie e segreterie giudiziarie e  delle  magistrature
speciali (legge 221/1988). 
    Nei limiti in cui e'  interpretabile  come  non  retroattiva,  la
norma diviene causa di una ingiustificata disparita'  di  trattamento
rispetto ad altre ipotesi normative di struttura analoga, nelle quali
si  e'  riconosciuto  l'applicabilita'  della  nuova  disposizione  a
fattispecie verificatesi anteriormente alla sua  entrata  in  vigore,
applicandola ai giudizi in corso:  si  pensi  alla  disciplina  delle
mansioni superiori di cui all'art. 56, comma  6,  del  d.lgs.  29/93,
come "innovata" dall'art. 15 del d.lgs.  387/1998  (Cass.  civ.  sez.
lav.  8  gennaio  2004,  n.  91),  o  alla  disciplina  dei  casi  di
scioglimento del matrimonio (1. 898/1970, Cass.  5  maggio  1999,  n.
4462). 
    Per le suesposte considerazioni, a norma  dell'art.  23,  secondo
comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, ritenuta la rilevanza  e  la
non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, primo comma, l. 27/1981  e  dall'art.  1,
comma 325, l. 311/2004, in combinato disposto tra loro, rispetto agli
artt. 2, 3, 30, 31 e 37 della Costituzione, va  disposta  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale per la  risoluzione
della questione incidentale di  costituzionalita'  di  cui  trattasi,
disponendosi  conseguentemente  le   sospensione   del   giudizio   e
riservando al definitivo ogni altra statuizione, nel merito  e  sulle
spese. 
 
                               P.Q.M. 
 
    Il Tribunale Amministrativo Regionale  per  la  Calabria  Sezione
Staccata di Reggio Calabria, visto l'art. 23 della l.  11.3.1953,  n.
87 dichiara la  rilevanza  e  la  non  manifesta  infondatezza  della
questione di legittimita' costituzionale dell' art. 3,  primo  comma,
l. 27/1981 e dall'art.  1,  comma  325,  1.  311/2004,  in  combinato
disposto tra loro, in relazione agli artt. 2, 3, 30, 31  e  37  della
Costituzione, sospende il giudizio in  corso  ed  ordina  l'immediata
trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale perche' si pronunci
sulla questione di legittimita' costituzionale della norma  di  legge
sopraindicata. 
    Riserva ogni definitiva statuizione nel merito e sulle  spese  di
lite all'esito del promosso giudizio incidentale davanti  alla  Corte
Costituzionale. 
    Ordina che a cura della  Segreteria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in  causa,  al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri e sia comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e
della Camera dei Deputati. 
    Cosi' deciso in Reggio Calabria nella  camera  di  consiglio  del
giorno 20 dicembre 2011 con l'intervento dei magistrati: 
 
                        Il Presidente: Leotta 
 
 
                       Il consigliere: Caruso 
 
 
         Il primo referendario, estensore: Gatto Costantino