N. 90 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 giugno 2011

Ordinanza del 24 giugno 2011  emessa  dal  Tribunale  di  Napoli  nel
procedimento civile promosso da G.I.C.A. Snc di Pasquale  Moio  &  C.
contro Banca Monte dei Paschi di Siena Spa. 
 
Banca e istituti di credito - Operazioni bancarie regolate  in  conto
  corrente  -  Diritti   nascenti   dall'annotazione   in   conto   -
  Prescrizione - Decorrenza dal giorno dell'annotazione -  Previsione
  in via di  interpretazione  autentica  dell'art.  2935  del  codice
  civile - Contestuale esclusione della restituzione di importi  gia'
  versati alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011 -
  Violazione dei limiti all'ammissibilita' delle leggi interpretative
  - Violazione "soprattutto" del principio di giustiziabilita'  delle
  posizioni giuridiche soggettive e quindi del principio di azione  -
  Violazione dei  principi  di  uguaglianza  e  di  ragionevolezza  -
  Violazione del principio del giusto processo  -  Contrasto  con  il
  divieto di interferenza del legislatore nell'amministrazione  della
  giustizia (salvo che per ragioni imperative di interesse generale),
  sancito a garanzia dell'equo  processo  dalla  Convenzione  per  la
  salvaguardia dei diritti dell'uomo (CEDU), come interpretata  dalla
  Corte di Strasburgo - Violazione delle funzioni  costituzionalmente
  riservate al potere giudiziario. 
- Decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225, art. 2, comma 61,  aggiunto
  dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10. 
- Costituzione, artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117,  primo  comma,
  in relazione all'art. 6 della Convenzione per la  salvaguardia  dei
  diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, ratificata e  resa
  esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848. 
(GU n.21 del 23-5-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Letti gli atti della causa iscritta al n. 5594/2011 R.G., sciolta
la riserva formulata all'udienza del 21 giugno 2011; 
 
                               Osserva 
 
    Con istanza  depositata  in  data  16  giugno  2011  la  societa'
G.I.C.A. s.n. c.  di  Pasquale  Moio  &  C.  sollevava  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  61,  della  legge  n.
10/2011, di conversione di  decreto-legge  n.  225/2010.  Tale  norma
cosi' dispone: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in  conto
corrente l'art. 2935 del codice civile s'interpreta nel senso che  la
prescrizione relativa ai diritti nascenti dall'annotazione  in  conto
inizia a decorrere dal giorno dell'annotazione stessa. In  ogni  caso
non si fa luogo alla restituzione di importi gia' versati  alla  data
di  entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione  del  presente
decreto». 
    L'istante osservava quanto segue. 
A) La rilevanza della questione nel caso di specie. 
    In primis, sotto il profilo della rilevanza della norma  de  qua,
ai fini del  thema  decidendum,  non  vi  e'  dubbio  che  la  natura
assertivamente interpretativa della stessa ne imponga  l'applicazione
nel  caso  concreto.  Pertanto,  il  Giudice,  dovendosi  pronunciare
sull'eccezione di prescrizione, sollevata dalla convenuta  Monte  dei
Paschi di Siena, non puo' prescindere dall'esame della norma stessa. 
B) Non manifesta infondatezza della questione. 
    L'art. 2-quinquies, comma 9,  della  legge  n.  10  del  2011  e'
affetto da molteplici profili di incostituzionalita'. Invero,  da  un
lato, difettano le condizioni necessarie per l'esercizio  del  potere
di legislazione, con funzione interpretativa e, quindi, con efficacia
ex tunc; dall'altro, la norma impugnata e' idonea a  compromettere  i
principi cardine del nostro sistema di diritto. In  particolar  modo,
risultano violati i principi di ragionevolezza, di  effettivita'  del
diritto dei cittadini di agire in giudizio per la tutela  dei  propri
diritti  e  interessi  legittimi  (art.  24,  primo  comma,   Cost.);
d'integrita'   delle   attribuzioni   costituzionali   dell'autorita'
giudiziaria (art. 102  Cost.)  ed  ancora  il  principio  del  giusto
processo, cosi' come l'art. 117 Cost., in materia di  rispetto  degli
obblighi assunti sul piano internazionale con la sottoscrizione della
CEDU. Cio' premesso,  al  vaglio  della  Corte  Costituzionale  vanno
rimessi i seguenti motivi di incostituzionalita' della legge de qua. 
1. Violazione  dei  limiti  individuati  dalla  Corte  costituzionale
all'ammissibilita' di una legge d'interpretazione. 
    Com'e'   noto,   il   legislatore   puo'   adottare   norme    di
interpretazione autentica non  soltanto  in  presenza  di  incertezze
sull'applicazione   di    una    disposizione    o    di    contrasti
giurisprudenziali, ma anche «quando la  scelta  imposta  dalla  legge
rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario,  con
cio' vincolando un  significato  ascrivibile  alla  norma  anteriore»
(sentenza n. 525 del 2000; in senso conforme, ex  plurimis,  sentenze
n. 374 del 2002, n. 26 del 2003, n. 274 del 2006, n. 234 del 2007, n.
170 del 2008, n. 24 del 2009). 
    Orbene, tale condizione non appare rispettata nel caso di specie. 
    1.1. Inesistenza di una norma (specifica) da interpretare,  quale
condizione  dell'esercizio  del  potere  di   legislazione   a   fini
interpretativi (e conseguente irragionevolezza della norma de qua). 
    L'art. 2935 c.c. prevede una regola di carattere generale, ovvero
quella secondo cui il dies a quo, ai fini della  prescrizione  di  un
diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare  e'  posto  nelle
condizioni   di   poterlo   esercitare.   Come    noto,    ai    fini
dell'applicazione della suddetta norma rileva  la  sola  possibilita'
giuridica di esercitare un diritto - secondo le regole previste,  per
le  varie  ipotesi  tipiche,  dall'ordinamento  -  e  non  anche  una
possibilita' di mero tatto. 
    La previsione de qua, che e' inidonea a  esaurire  la  disciplina
dei singoli diritti soggettivi e della  loro  (eventuale)  estinzione
per prescrizione, necessita dell'etero-integrazione della  disciplina
speciale prevista per i singoli tipi  contrattuali,  cosi'  come  dei
principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni  e  di
ripetizione d'indebito. 
    Nel caso di specie, le  norme  etero-integratrici  devono  essere
individuate nella disciplina: 
        a) delle operazioni bancarie. Tali  devono  considerarsi,  in
virtu' dell'univoco  disposto  dell'art.  1852  c.c.,  l'apertura  di
credito, il deposito  bancario,  definiti  implicitamente  come  tali
dall'art. 1852 c.c., cosi' come ogni  altra  relazione  tra  banca  e
cliente che sia ascrivibile agli schemi delineati dal Codice Civile o
affermatisi in sede interpretativa; 
        b) del conto corrente bancario. 
    In primis, non vi  e'  dubbio  che  una  legge  d'interpretazione
autentica avrebbe dovuto (e potuto) avere ad oggetto solo e  soltanto
una norma che disciplinasse di per  se',  in  maniera  specifica,  la
decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto  di  apertura
di credito, regolato in  conto  corrente,  selezionandone  una  delle
possibili opzioni esegetiche. 
    Per contro, tale norma non esisteva, provvedendo gli interpreti a
colmare la lacuna, derivante dall'assenza di una norma speciale,  con
l'applicazione di una norma generale, dei principi  desumibili  dalla
disciplina   specifica   delle   singole   fattispecie   contrattuali
qualificabili  come  «operazioni  bancarie»,  cosi'  come  dei   piu'
generali principi in materia di estinzione del rapporto  obbligatorio
e di condictio indebiti. 
    Dunque, il principio generale (desumibile  dall'art.  2935  c.c.)
veniva adattato allo schema e alla  funzione  del  singolo  contratto
bancario (ed, in primis, dell'apertura di credito),  avendo  cura  di
preservare la coerenza  sistematica  della  soluzione  interpretativa
prescelta. 
    1.2.   Non   includibilita'   della   soluzione    interpretativa
prospettata  tra  quelle  legittimamente  traibili  dalla  disciplina
complessiva dell'istituto (e conseguente irragionevolezza della norma
de qua). 
    Per quanto il contratto di apertura di  credito,  cosi'  come  il
contratto di deposito, ecc., siano connotati dall'esecuzione ripetuta
di  piu'  prestazioni,  conservano  il   loro   carattere   unitario,
rappresentando la serie di  versamenti,  prelievi  ed  accreditamenti
mere variazioni quantitative dell'unico originario rapporto.  Invero,
l'unitarieta' del rapporto giuridico derivante dal contratto di conto
corrente  bancario  -  come,  condivisibilmente,  evidenziato   dalle
Sezioni Unite del 2 dicembre 2010 - non e'  circostanza  di  per  se'
sufficiente, al fine d'individuare, nella chiusura del conto, il dies
a  quo  da  cui  far  decorrere  la  prescrizione  del  diritto  alla
ripetizione d'indebito che spetti, eventualmente, al correntista  nei
confronti della banca. 
    Esistono, infatti, ipotesi tipiche nelle quali, pur  in  presenza
di un rapporto di durata connotato da prestazioni in denaro  ripetute
e scaglionate nel tempo (es. corresponsione dei canoni di locazione o
d'affitto, oppure del  prezzo  nella  somministrazione  periodica  di
cose), il singolo pagamento puo' qualificarsi come indebito  sin  dal
momento  in  cui  il  pagamento  medesimo  abbia  avuto  luogo;   con
conseguente  immediato  sorgere  del   diritto   del   solvens   alla
ripetizione. 
    Nondimeno, esistono ragioni, non solo sistematiche ma  desumibili
dall'intima struttura e funzione dei contratti bancari, che depongono
per la decorrenza del dies a quo  dalla  chiusura  del  contratto  di
conto corrente. 
    Innanzitutto, -  come  sottolineato  dalla  Suprema  Corte  nella
pronuncia  richiamata  -  l'insorgere  dell'azione   di   ripetizione
d'indebito   presuppone   logicamente,   quale   suo    indefettibile
presupposto, che sia stato effettuato un pagamento d'indebito. 
    E,  solo  da  tale  momento  temporale,  essa   e'   soggetta   a
prescrizione, non potendosi  prescrivere  cio'  che  ancora  non  sia
sorto. 
    Da cio', la necessita' di individuare, alla stregua dei  principi
generali, nonche' della disciplina di settore, quando  il  versamento
del correntista costituisca un pagamento. 
    Per quanto riguarda,  in  special  modo,  l'apertura  di  credito
(quale tipologia contrattuale di peculiare diffusione), essa, come si
evince dal combinato disposto degli artt. 1842 e 1843 c.c., si  attua
mediante la messa a disposizione, da parte della banca, di una  somma
di denaro.  Il  cliente,  per  l'intera  durata  del  rapporto,  puo'
utilizzare tale somma anche in piu' riprese, ripristinandone in tutto
o in parte, la disponibilita',  eseguendo  versamenti  e  conseguenti
ulteriori prelevamenti,  entro  il  limite  complessivo  del  credito
accordatogli. 
    E' ovvio che,  se,  in  pendenza  dell'apertura  di  credito,  il
correntista non abbia operato alcun versamento, non e'  configurabile
alcun pagamento da parte sua, se non quando, chiuso il rapporto, egli
provveda a restituire alla banca il denaro in concreto utilizzato. 
    In tal  caso,  qualora  la  restituzione  abbia  ecceduto  quanto
giuridicamente dovuto a causa dell'addebito di somme non dovute (come
interessi anatocistici o  superiori  al  tasso  legale),  l'eventuale
azione di ripetizione d'indebito non potra' che essere esercitata  in
un momento successivo alla chiusura del conto. Pertanto, solo da quel
momento potra' decorrere il relativo termine di prescrizione. 
    Qualora, invece, nel corso  dello  svolgimento  del  rapporto  il
correntista  abbia  effettuato  non  solo   prelevamenti   ma   anche
versamenti, questi ultimi potranno essere considerati come pagamenti,
idonei  a  fondare  il  diritto  alla  ripetizione   (ove   risultino
indebiti), in quanto abbiano  avuto  lo  scopo  e  l'effetto  di  uno
spostamento patrimoniale in favore della banca.  Cio'  accadra'  solo
quando si tratti di versamenti eseguiti su un conto in  passivo,  cui
non accede alcuna apertura  di  credito  a  favore  del  correntista,
oppure siano stati superati i limiti dell'accreditamento. 
    Per contro, quando  il  passivo  non  abbia  superato  il  limite
dell'affidamento concesso al cliente, i versamenti da questi posti in
essere fungeranno unicamente da atti ripristinatori  della  provvista
di cui il correntista puo' ancora continuare a godere (cfr. in primis
Cass. Sez. Unite del 2 dicembre 2010, Cass. 18 ottobre 1982, n. 5413;
Cass. 6 novembre 2007, n. 23107; Cass. 23 novembre 2005, n. 24588). 
    In tale ipotesi, il versamento  non  ha  funzione  solutoria  del
mutuo, bensi' di  mera  riespansione  della  misura  dell'affidamento
utilizzabile nuovamente in futuro dal correntista. 
    Non e', dunque, un pagamento, perche' non soddisfa  il  creditore
ma amplia (o ripristina) la facolta' d'indebitamento del correntista.
In tal caso la fattispecie dell'adempimento, sub specie di pagamento,
sara' configurabile soltanto dopo  che,  conclusosi  il  rapporto  di
apertura di credito in conto  corrente,  la  banca  abbia  preteso  e
ottenuto dal  correntista  la  restituzione  del  saldo  finale,  nel
computo del quale risultino comprese somme e competenze non dovute. 
    Pertanto,   la   decorrenza   della    prescrizione    dev'essere
individuata: a) nel versamento  (nell'ipotesi  di  conto  in  passivo
senza affidamento, cosi' come di superamento del limite affidato); b)
nella chiusura del rapporto (quando non siano  effettuati  versamenti
in pendenza di  rapporto,  o  quando  il  versamento,  effettuato  in
pendenza  di  rapporto,  abbia  funzione  meramente   ripristinatoria
dell'affidamento). 
    D'altronde,  l'esclusione  dell'interpretazione   censurata   dal
novero  di   quelle   ammissibili   deriva   anche   dalle   seguenti
considerazioni. 
    Il legislatore ha deciso di far decorrere il dies a  quo  da  una
circostanza di fatto (l'annotazione in conto) che esula  dalla  sfera
conoscitiva del cliente, il quale e' reso edotto delle movimentazioni
del proprio conto, solo con la ricezione dell'estratto  conto  (primo
atto con cui si attua il valore della conoscibilita' delle competenze
annotate in proprio favore dalla Banca). 
    Pertanto,  chi  non  ha  avuto  conoscenza  (ne'  avrebbe  potuto
conoscere) dell'esistenza di addebiti  in  proprio  sfavore,  perche'
semplicemente annotati in conto e non anche comunicati, non e'  nelle
condizioni giuridiche di esercitare qualunque pretesa restitutoria  o
di altra natura. 
2. Violazione del principio di azione ex art. 24 Cost. 
    E' evidente il contrasto con il principio di azione  ex  art.  24
Cost. nella parte in cui si dispone che: «In ordine  alle  operazioni
bancarie regolate in conto corrente l'art. 2935 del codice civile  si
interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti
dall'annotazione   in   conto   inizia   a   decorrere   dal   giorno
dell'annotazione stessa». 
    Il legislatore fa decorrere (peraltro, con efficacia retroattiva)
il dies a  quo  della  prescrizione  da  una  circostanza  di  fatto,
l'annotazione,   che   esula   dalla   sfera   conoscitiva   (e    di
conoscibilita') del cliente. Questi, infatti, e'  reso  edotto  delle
movimentazioni del proprio conto, solo con la ricezione dell'estratto
conto,  quale  primo  atto  con  cui  si  attua   il   valore   della
conoscibilita' delle competenze  annotate  in  proprio  favore  dalla
Banca. 
    Allo stesso modo censurabile e' anche la parte in cui si  afferma
che «in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di  importi  gia'
versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del
presente   decreto-legge».   Tale   previsione   e'   stata    letta,
nell'immediatezza dell'approvazione della norma, come una clausola di
salvaguardia della posizione giuridica dei clienti che  abbiano  gia'
ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non  potrebbe  piu'  essere
eccepita. 
    La norma de qua, nella  sua  genericita'  e  approssimazione,  si
presta, pero', anche ad un'ulteriore lettura,  resa  possibile  dalla
formulazione testuale della stessa. 
    Parrebbe potersi desumere che, se il cliente ha gia' effettuato i
versamenti indebiti, pretesi dalla banca, non ne possa richiedere  la
restituzione. Orbene,  tale  opzione  interpretativa  (probabilmente,
escludibile sulla base  di  un'esegesi  costituzionalmente  orientata
della  norma)  contrasta  col  principio  di  giustiziabilita'  delle
posizioni giuridiche soggettive. 
3. Violazione del principio di uguaglianza ragionevolezza ex  art.  3
Cost. 
    3.1. Introduzione di un'inammissibile disparita'  di  trattamento
tra banche e utenti del sistema bancario. 
    La norma viola anche il principio di ragionevolezza e uguaglianza
(art. 3 Cost) perche', con  una  previsione  ad  hoc,  introduce  una
disciplina che,  menomando  i  poteri  di  reazione  processuale  dei
clienti del sistema bancario, assicura un  ingiustificato  privilegio
per  le   banche,   introducendo   un'inammissibile   disparita'   di
trattamento tra due categorie di soggetti. 
    Cio', senza che tale diversificazione dei  poteri  sostanziali  e
processuali trovi giustificazione, neppure, nell'esigenza di  colmare
un eventuale e preesistente divario tra le parti, che veda le  banche
in una posizione di minorata difesa, riallineando le loro posizioni. 
    D'altronde,  a  voler  individuare  un  contraente  debole  nella
relazione creditizia, questo non potrebbe essere individuato  se  non
nell'utente   del   sistema   bancario.   Cio'   in    considerazione
dell'abituale soggezione del destinatario del credito  nei  confronti
dell'ente erogante,  dal  quale  dipende,  spesso,  la  sopravvivenza
economica, personale o della propria famiglia. 
    3.2. Introduzione di un'inammissibile  disparita  di  trattamento
tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale. 
    La norma censurata viola il principio di uguaglianza anche  sotto
un  diverso  aspetto,  introducendo  un  dies  di  decorrenza   della
prescrizione diverso non solo dall'unico coerente con la causa  e  la
funzione sociale dei contratti bancari  regolati  in  conto  corrente
(ed, in particolare, del contratto di apertura di credito), ma  anche
dallo statuto normativo dei singoli  tipi  contrattuali,  che  recano
profili di affinita' con il rapporto de quo. 
    In  materia  prevale  l'opinione  secondo   cui,   accanto   alle
operazioni bancarie in conto corrente, di volta  in  volta  poste  in
essere tra banca e cliente, sarebbe configurabile un vero  e  proprio
contratto  di  conto  corrente  bancario.  L'espressione  codicistica
«conto corrente» indicherebbe, cioe', non solo una peculiare forma di
contabilizzazione dei rapporti derivanti  da  un'operazione  bancaria
(deposito o conto corrente), ma anche una  figura  negoziale  ad  hoc
ovvero il c.d. conto corrente di corrispondenza. 
    Controversa  e'  la  causa  del  negozio,  per  quanto   prevalga
l'opinione per cui verrebbe in rilievo un negozio complesso  atipico,
avente essenzialmente funzione di mandato,  il  cui  oggetto  sarebbe
l'espletamento, da parte della banca, di operazioni di pagamento e di
riscossione o, piu', in generale di un servizio di cassa. 
    Anche chi riconduce la fattispecie de qua alla diversa  categoria
del collegamento negoziale, risultante dalla combinazione di  diversi
e autonomi negozi,  individua  uno  di  questi  proprio  nel  mandato
(l'altro sarebbe, a secondo  delle  diverse  tesi  ricostruttive,  il
deposito  o  un  negozio  atipico  volto  alla   costituzione   della
disponibilita' di fondi). 
    Orbene, nell'ipotesi  del  mandato,  al  quale  il  contratto  di
apertura  di  credito  e'  abitualmente  ricondotto,   al   fine   di
individuarne il profilo causale essenziale (anche se non  esclusivo),
la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del  rapporto,  e
cio' anche per quanto concerne i  singoli  atti  giuridici  posti  in
essere in esecuzione del mandato. 
    Le stesse considerazioni possono essere  fatte  con  riguardo  al
contratto di deposito cui l'apertura  di  credito  e'  ricondotta  da
alcuni sostenitori della teoria del c.d. collegamento negoziale.  E',
infatti, pacifico che la prescrizione  del  diritto  ad  ottenere  la
restituzione  della  cosa  depositata  inizia  a   decorrere   dalla.
cessazione del  contratto,  ad  esempio,  per  scadenza  del  termine
previsto per la custodia, e non dalla  data  di  deposito  del  bene.
Dunque, si introduce un regime per le operazioni  bancarie  in  conto
corrente irragionevolmente differenziato rispetto a  quello  previsto
per situazioni giuridicamente omogenee. 
    3.3. Introduzione di un'inammissibile disparita'  di  trattamento
tra  somme  versate  indebitamente,  rispettivamente,  prima  e  dopo
l'entrata  in  vigore  della  legge  di  conversione   del   presente
decreto-legge. 
    La norma censurata prevede che «in ogni caso non si fa luogo alla
restituzione di importi gia' versati alla data di entrata  in  vigore
della legge di conversione del presente decreto-legge». 
    Si e' detto della  possibile  lettura  alternativa  della  norma,
peraltro, coerente con la sua portata retroattiva, ovvero  precludere
al  cliente  l'azione  di  ripetizione  («non  si   fa   luogo   alla
restituzione») delle somme gia' indebitamente corrisposte alla banca.
Orbene, la censurata paralisi dei poteri sostanziali e processuali di
tutela degli utenti del sistema bancario e' destinata a  operare  per
le sole somme gia' versate alla data di entrata in vigore della legge
di conversione del presente decreto, con conseguente introduzione  di
una ingiustificata compressione del diritto  di  ripetere  l'indebito
per chi abbia posto in essere pagamenti  fino  alla  suddetta  soglia
temporale, e non anche  per  chi  non  versi  ancora  nella  predetta
situazione giuridica. 
    Anche in tale caso,  si  differenzia  il  regime  riservato  alla
medesima situazione giuridica  (ovvero  il  pagamento  di  somme  non
dovute) sulla base di un mero dato temporale, senza che  tale  scelta
trovi  fondamento  in  un  equilibrato  contemperamento  dei   valori
costituzionali in gioco. 
4. Violazione del principio del giusto processo ex art. 111 Cost. 
    La norma viola anche l'art. 111 Cost., che  costituzionalizza  il
principio del giusto processo, sub specie della parita' delle «armi».
Infatti, limitatamente ai processi gia' pendenti, la  norma  de  qua,
supportata da  un'espressa  previsione  di  retroattivita',  viene  a
sancire  -  se  non  altro  nelle  ipotesi  in  cui,  dalle  indebite
annotazioni della banca, sia gia' decorso un decennio -  la  paralisi
processuale di chi abbia agito in giudizio,  esperendo  un'azione  di
ripetizione  d'indebito,  realizzando  cosi'  un  vulnus   ben   piu'
pregnante di un mero sbilanciamento tra i diritti contrapposti  delle
parti. 
5.  Violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione
all'art. 6 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei  Diritti
dell'Uomo e delle Liberta' Fondamentali, ratificata e resa  esecutiva
con la legge 4 agosto 1955, n. 848. 
    Tale norma internazionale, che sancisce il diritto ad  un  giusto
processo dinanzi ad un tribunale indipendente ed  imparziale,  impone
al legislatore di uno Stato  contraente,  nell'interpretazione  della
Corte Europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, di non interferire
nell'amministrazione della  giustizia  allo  scopo  d'influire  sulla
singola causa o su di  una  determinata  categoria  di  controversie,
attraverso  norme  interpretative  che  assegnino  alla  disposizione
interpretata  un  significato   vantaggioso   per   una   parte   del
procedimento,  salvo  il  caso  di  «ragioni  imperative  d'interesse
generale». 
    Il legislatore nazionale ha emanato una norma interpretativa,  in
presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della  Corte
di cassazione sfavorevole alle banche, cosi' violando il principio di
«parita' delle armi», non essendo prefigurabili  "ragioni  imperative
d'interesse generale"» che permettano di escludere la violazione  del
divieto d'ingerenza. 
5. Violazione delle funzioni costituzionalmente riservate  al  potere
giudiziario ex artt. 101, 102, 104 Cost. 
    La Corte Costituzionale ha ripetutamente affermato  il  principio
secondo cui il legislatore vulnera le funzioni giurisdizionali quando
la  legge  sia  intenzionalmente  diretta  ad  incidere  su  concrete
fattispecie sub iudice (cfr. Corte Cost.  n.  397/1994).  Si  tratta,
allora,  di  stabilire  se  la  statuizione  contenuta  nella   norma
censurata integri effettivamente i requisiti del  precetto  di  fonte
legislativa,  come  tale  dotato  dei  caratteri  di  generalita'  ed
astrattezza, ovvero sia diretta ad incidere su  concrete  fattispecie
«sub iudice». 
    Per i motivi sovraesposti la societa' G.I.C.A.  snc  di  Pasquale
Moio & C. ha sollevato la questione  di  legittimita'  costituzionale
del menzionato art. 2, comma 61, della legge n.  10/2011  nell'ambito
del procedimento iscritto al n. 5594/2011 R.G. 
    Osserva il Tribunale che il giudizio suindicato non possa  essere
definito  indipendentemente  dalla  risoluzione  della  questione  di
legittimita' costituzionale della citata norma. 
    La questione si  appalesa,  pertanto,  rilevante  ai  fini  della
decisione della presente causa. 
    Ed invero, con l'atto introduttivo del procedimento  iscritto  al
n. 5594/2011 la G.I.C.A. s.n. c., premettendo di  avere  intrattenuto
diversi rapporti bancari  con  la  societa'  Monte  Paschi  di  Siena
S.p.A., ha evocato in giudizio quest'ultima, chiedendo  accertarsi  e
dichiararsi la nullita'  e/o  inefficacia  e/o  annullabilita'  delle
clausole di conto corrente e di conto anticipi, relative ai contratti
conclusi con la banca, per violazione della normativa in  materia  di
anatocismo,  commissioni  di  massimo  scoperto  e   usura,   nonche'
accertarsi e dichiararsi la sussistenza del diritto di parte  attrice
alla ripetizione delle somme ingiustificatamente corrisposte ex  art.
2033 cc in  relazione  a  tutti  i  rapporti  bancari  specificamente
indicati nell'atto di citazione. 
    La  banca  Monte  dei  Paschi  di  Siena  SpA,  costituendosi  in
giudizio,  ha  eccepito  tempestivamente  l'intervenuta  prescrizione
decennale dell'azione  di  ripetizione  dell'indebito  oggettivo  per
tutte le annotazioni anteriori al 2  marzo  2001,  essendo  stata  la
citazione notificata in data 2 marzo 2011. La convenuta ha  sollevato
l'eccezione proprio richiamandosi al decreto n. 225/2010 e alla norma
rispetto alla quale e' stata sollevata la questione  di  legittimita'
costituzionale. 
    E' di tutta evidenza, quindi, la  rilevanza  della  questione  in
esame ai fini della definizione  del  presente  giudizio,  dipendendo
dalla stessa ogni valutazione in merito all'intervenuta  prescrizione
o meno delle  annotazioni  antecedenti  al  decennio  anteriore  alla
notifica dell'atto di citazione. 
    La questione di legittimita' costituzionale non appare,  inoltre,
manifestamente infondata, e cio' soprattutto sotto il  profilo  della
violazione del principio di cui all'art. 24 Cost.,  ove  s'interpreti
la seconda parte della norma in commento («In ogni  caso  non  si  fa
luogo alla restituzione di importi gia' versati alla data di  entrata
in vigore della legge di conversione del presente decreto») nel senso
che se il cliente ha gia' effettuato i versamenti  indebiti,  pretesi
dalla banca, non  ne  possa  piu'  richiedere  la  restituzione.  Una
siffatta interpretazione della norma, che andrebbe esclusa sulla base
di  un'esegesi  costituzionalmente  orientata,   contrasta   con   il
principio di giustiziabilita' delle posizioni  giuridiche  soggettive
e, quindi, con il principio di cui all'art. 24 Cost. 
    Letto l'art. 23 legge n. 87/1953; 
 
                               P.Q.M. 
 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
Costituzionale e sospende il giudizio in corso. 
    Ordina che a cura della Cancelleria  la  presente  ordinanza  sia
notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
Parlamento. 
 
        Napoli, addi' 24 giugno 2011 
 
                        Il Giudice: Stravino