N. 93 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 febbraio 2012
Ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Roma nel procedimento civile promosso da De Marchis Pierfilippo contro Fondazione Enasarco del 29 febbraio 2012.. Procedimento civile - Controversie disciplinate dal rito del lavoro (nella specie, controversie in materia di locazione, comodato e affitto) - Impugnazione in appello della sentenza del tribunale - Notificazione all'appellato del ricorso e del decreto presidenziale di nomina del relatore e di fissazione dell'udienza di discussione - Inosservanza del termine legale di dieci giorni stabilito per l'appellante - Improcedibilita' dell'appello - Esclusione, in base all'interpretazione affermata dalla Cassazione, ove risulti comunque rispettato il termine c.d. a comparire - Lesione della condizione di parita' tra le parti nello svolgimento del contraddittorio - Violazione del diritto al giusto processo. - Codice di procedura civile, art. 435, comma secondo. - Costituzione, art. 111, comma secondo, primo periodo.(GU n.21 del 23-5-2012 )
LA CORTE DI APPELLO Ha emesso, dandone lettura, la seguente ordinanza nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 2010/2011 r.g. vertente tra De Marchis avv. Pierfilippo, difeso in proprio, elett.te dom.to in Roma, via Toscana 1, appellante e Fondazione Enasarco, rappresentata e difesa dall'avv. Marco Acciavatti, elett.te dom.ta in Roma, viale dell'Astronomia 18, appellata. Va premesso in fatto quanto segue. Con sentenza del tribunale di Roma n. 18447/2010 era dichiarato cessato alla data del 15 gennaio 2009 il contratto di locazione tra le parti relativo all'unita' immobiliare in Roma, via Gregorio XI 121 sc. A int. 16 e, quindi, era confermata l'ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell'art. 665 c.p.c.; erano dichiarate inammissibili le altre domande svolte dalla Fondazione Enasarco in via principale e dal conduttore Pierfilippo De Marchi in via riconvenzionale. Avverso la predetta sentenza proponeva appello De Marchis concludendo per il rigetto, sotto diversi profili, della domanda proposta dalla Fondazione Enasarco e per la condanna della Fondazione stessa alla restituzione degli oneri accessori indebitamente riscossi ed al risarcimento dei danni in ragione delle spese sostenute per riparazioni e dei pregiudizi alla reputazione professionale. Si costituiva ritualmente Fondazione Enasarco eccependo, in via pregiudiziale l'improcedibilita' dell'appello per violazione del termine di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c. e contestando nel merito la fondatezza dei motivi del gravame. E' da osservare, riguardo all'eccezione pregiudiziale, che De Marchis non ha in effetti provveduto a notificare il ricorso introduttivo del presente gravame ed il decreto di fissazione di udienza entro il termine legale di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c.: dopo aver ricevuto via fax, in data 2 maggio 2011, comunicazione del decreto presidenziale, ha, infatti, avviato il procedimento di notificazione solo in data 27 ottobre 2011. In diritto e' da osservare che, con riguardo specifico all'art. 435, comma 2, Cass. Sez. un. 30 luglio 2008 n. 20604 ha argomentato che «Una volta .... scaduto il termine ordinatorio senza che si sia avuta una proroga ...... si determinano, per il venir meno del potere di compiere l'atto, conseguenze analoghe a quelle ricollegabili al decorso del termine perentorio». Di qui se ne e' tratta la conclusione, nella giurisprudenza di merito, che non solo in caso di omessa notificazione, verificata all'udienza di discussione, del ricorso introduttivo e del relativo decreto presidenziale ma anche in caso di notificazione tardiva, oltre il previsto termine di dieci giorni, l'appello sarebbe da dichiararsi improcedibile. Tale conclusione e' stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, per contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., ma la questione e' stata dichiarata manifestamente infondata (ordinanza n. 60/2010) sulla base della considerazione che nella fattispecie esaminata da Cass. sez. un. n. 20604/08 l'improcedibilita' era stata affermata «non gia' per la sola violazione dell'art. 435, secondo comma, ma per l'inosservanza dell'art. 435, terzo comma, per non essere mai intervenuta la notifica ivi prevista», sicche' il principio di diritto non poteva essere esteso ai casi in cui la notificazione era stata effettuata, pur in violazione del termine di dieci giorni, ma nel rispetto del c.d. termine a comparire di cui al terzo comma dell'art. 435 c.p.c.. La Corte di cassazione e', quindi, orientata nel senso che l'improcedibilita' dell'appello consegua solo alla radicale omissione della notificazione degli atti introduttivi, trovando la sanzione giustificazione nel principio costituzionale della ragionevole durata del processo, che sarebbe violato da una eventuale fissazione di una ulteriore udienza per consentire l'instaurazione del contraddittorio, mentre nel caso di notificazione eseguita tardivamente, in relazione al solo termine di dieci giorni di cui all'art. 435, comma 2, la violazione resti sanata dal rispetto del termine c.d. a comparire di cui all'art. 435, comma 3, non subendo il processo alcun allungamento dei tempi (in tal senso Cass. 15 ottobre 2010 n. 21358; Cass. 30 dicembre 2010 n. 26489; Cass. 12 aprile 2011 n. 8411; Cass. 22 aprile 2011 n. 9292; Cass. 13 luglio 2011 n. 15419; Cass. 14 luglio 2011 n. 15590). Questa Corte dubita che l'art. 435, comma 2, cosi' come interpretato dalla Corte suprema, sia in contrasto con l'art. 111, comma 2, primo periodo, Cost. laddove e' affermato il principio che il processo si svolge non solo «nel contraddittorio tra le parti» ma anche «in condizioni di parita'». E' da osservare, innanzitutto, che nel rito di cui all'art. 447-bis c.p.c. la parte ricorrente instaura il giudizio in forza di una iniziativa unilaterale (il deposito del ricorso) cui la controparte resta completamente estranea, determinando la litispendenza e facendo maturare gli altri effetti processuali del gravame (si pensi, ad esempio, alla mancata formazione, in tutto od in parte, del giudicato o all'appellabilita' in via incidentale); solo alla parte ricorrente e', poi, comunicata la data di fissazione dell'udienza. Appare, quindi, evidente l'iniziale squilibrio tra le parti che contrassegna l'introduzione del giudizio: a tale deficit informativo e' destinato a porre rimedio l'onere della tempestiva notificazione, a carico della parte ricorrente, non appena quest'ultima riceva notizia della fissazione dell'udienza. In tal senso la disposizione di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c., nel disciplinare la modalita' di instaurazione del contraddittorio, ritrova una ragione sua propria che, invece, resta del tutto negletta qualora si ritenga che la violazione del termine ivi espressamente previsto possa essere sanato dal rispetto del termine ulteriore di cui al comma 3 del medesimo art. 435 c.p.c. Appare, invero, conforme alla direttiva interpretativa secondo cui ogni disposizione normativa debba avere una ragione sua propria e non possa mai essere considerata tamquam non esset (arg. ex art. 1367 c.c.) ritenere che i termini di cui ai citati commi 2 e 3 dell'art. 435 non siano in relazione di sussidiarieta' - nel senso che l'osservanza dell'uno supplisca alla violazione dell'altro - ma siano entrambi da rispettare ai fini del compiuto adempimento dell'onere dell'instaurazione del contraddittorio. Mentre, infatti, il termine c.d. a comparire, individuato in relazione all'udienza di discussione, corrisponde allo spatium deliberandi minimo per l'esercizio del diritto di «difesa, valevole in assoluto per ogni processo, il termine per la notificazione specificamente posto a carico del ricorrente dall'art. 435, comma 2, e' destinato a sanare l'originario squilibrio tra le parti che contrassegna la fase introduttiva del giudizio, nella quale solo la parte ricorrente e' a conoscenza dell'instaurazione della lite e della data dell'udienza. L'esigenza del riequilibrio informativo e' stata avvertita dal legislatore nonostante, ai sensi del medesimo art. 435, comma 1, c.p.c, la fissazione dell'udienza sia da ricomprendere nell'arco temporale di soli giorni sessanta; appare, quindi, ancora piu' intensa allorche', come di prassi, tale limite di tempo sia apprezzabilmente superato, con conseguente possibile allungamento del periodo in cui solo una parte e' a conoscenza della pendenza del gravame e dell'udienza di discussione. Non ha pregio, poi, il rilievo secondo cui, non essendo sanzionata la violazione dei termini di cui al comma l dell'art. 435 c.p.c., relativi all'emissione del decreto presidenziale di fissazione dell'udienza, non potrebbe configurarsi alcuna improcedibilita' per la violazione del termine di cui al successivo comma 2: e' evidente, infatti, che mentre i primi attengono all'adempimento di obblighi a carico dell'ufficio - sanzionabili in linea di principio al livello amministrativo, disciplinare ed eventualmente penale - il termine imposto dal comma 2 dell'art. 435 c.p.c. attiene all'adempimento di un onere - l'instaurazione del contraddittorio a carico di parte ricorrente - sicche' e' del tutto conseguente che la sanzione sia costituita dalla perdita della posizione attiva (diritto alla decisione di merito) gravata dall'onere. Non ha pregio, parimenti, il confronto con la sanatoria ammessa per violazione del termine di cui al comma 3 dell'art. 435 c.p.c. (in tal senso Cass. 14 gennaio 2010 n. 488) in quanto tale violazione puo' avvenire per ragioni non imputabili alla parte ricorrente (fissazione di udienza troppo ravvicinata, durata del procedimento di notificazione fino al perfezionamento per il destinatario) mentre e' onere della stessa parte ricorrente almeno iniziare il procedimento di notificazione osservando il termine espressamente assegnato dal codice di procedura civile al comma 2. E' anzi da ritenere che la possibilita' di sanare la violazione del termine cd. a comparire - con il connesso prolungamento dei tempi del processo - trovi razionale giustificazione proprio in relazione all'assolvimento dell'onere del contraddittorio per le modalita' rientranti nella disponibilita' del ricorrente. La gravita' della sanzione costituita dalla improcedibilita' - salva la disciplina generale sulla c.d. rimessione in termini - e', poi, giustificata proprio dal rilievo costituzionale del valore (la condizione di parita' tra le parti) che la tempestiva notificazione e' destinata a garantire nella cornice del c.d. giusto processo, interferente anche sui requisiti di ammissibilita' dell'eventuale ricorso per cassazione (art. 360-bis n.2 c.p.c.). Non osta, poi, alla declaratoria dell'improcedibilita' il difetto di una esplicita specifica previsione normativa in quanto gia' la citata Cass. sez. un. n. 20604/08 - sia pure in relazione a diversa fattispecie concreta - ha ritenuto desumibile identica sanzione da una interpretazione costituzionalmente orientata, avuto riguardo alla ragionevole durata del processo, delle modalita' di instaurazione del contraddittorio. Appare, altresi', del tutto congrua sul piano sistematico, tenuto conto che nel rito ordinario l'art. 348, comma 1, c.p.c. sanziona analogamente l'appellante che non si sia costituito in giudizio nel termine di legge (parimenti di giorni dieci ex art. 347 c.p.c.). Anche, quindi, nel rito ordinario un appello, pur tempestivo in quanto notificato entro il termine perentorio previsto per il gravame, diviene, tuttavia, improcedibile se non e' assolta la modalita' temporale di un onere processuale successivo, attinente alla corretta instaurazione del contraddittorio. Nel rito di cui all'art. 447-bis c.p.c. e' del tutto naturale che l'improcedibilita' non possa che riguardare la mancata tempestiva notificazione, poiche' i due oneri processuali attinenti al contraddittorio - notificazione e costituzione in giudizio - sono invertiti, dovendo prima il ricorrente costituirsi e, poi, procedere alla notificazione. E', quindi, l'improcedibilita' sanzione affatto simmetrica a quella espressamente prevista nel rito ordinario, in quanto parimenti destinata ad assicurare il tempestivo adempimento dell'onere accessorio all'editio actionis (la costituzione in giudizio nel rito ordinario, la notificazione nel rito locatizio). In conclusione la questione relativa alla compatibilita' della disposizione di cui all'art. 435, comma 2, c.p.c., cosi' come ridimensionata dal diritto vivente, con l'art. 111, comma 2, primo periodo, Cost, laddove e' imposta la condizione di parita' tra le parti nello svolgimento del contraddittorio, deve ritenersi non manifestamente infondata. La rilevanza della questione e', poi, desumibile da quanto premesso in fatto in relazione all'eccezione di improcedibilita' tempestivamente sollevata dalla Fondazione Enasarco nella memoria di costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 legge 11 marzo 1953, n. 87; La Corte di Appello dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.435, comma 2, c.p.c. in relazione all'art. 111, comma 2, primo periodo, Cost. e, per l'effetto, sospende il giudizio di merito in corso; Manda alla cancelleria di notificare la presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri; comunicare la stessa ordinanza ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato; trasmettere gli atti - integrati dalla prova delle predette notificazioni e comunicazioni - alla Corte Costituzionale. Roma, 29 febbraio 2012 Il Presidente: Redivo