N. 132 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 aprile 2012

Ordinanza del 27 aprile 2012 emessa dal Magistrato di sorveglianza di
Firenze nel procedimento di sorveglianza nei confronti di T. D.. 
 
Ordinamento penitenziario - Colloqui dei detenuti - Previsione che  i
  colloqui si svolgano sotto il controllo a vista  del  personale  di
  custodia - Denunciato impedimento di un  pieno  rapporto  affettivo
  tra il detenuto e il partner legato da rapporto di  coniugio  o  di
  stabile convivenza - Lesione dei diritti  inviolabili  dell'uomo  -
  Violazione del principio di uguaglianza  formale  e  sostanziale  -
  Violazione del principio secondo cui la pena non puo' consistere in
  trattamenti contrari al senso  di  umanita'  e  deve  tendere  alla
  rieducazione   del   condannato   -   Violazione    dei    principi
  costituzionali a tutela della famiglia - Lesione della tutela della
  salute - Violazione dei limiti imposti dal rispetto  della  persona
  umana. 
- Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 18, comma secondo. 
- Costituzione, artt. 2, 3, commi primo e secondo, 27,  comma  terzo,
  29, primo comma, 31, commi primo e secondo, e  32,  commi  primo  e
  secondo. 
(GU n.27 del 4-7-2012 )
 
                    IL MAGISTRATO DI SORVEGLIANZA 
 
     A scioglimento della riserva 
    Visti ed esaminati gli atti; 
    Visto il reclamo avanzato da T.D. nato a Firenze il 22 marzo 1952
detenuto nella Casa Circondariale di Firenze; 
    Ritenuto di dovere procedere giurisdizionalmente  e,  quindi,  di
essere legittimato a sollevare eccezione  di  incostituzionalita'  di
una disposizione di legge, e, cioe', del comma 2 dell'art.  18  della
legge 26 luglio 1975 n. 354; e cio' in relazione all'art.  35,  comma
1, n. 2, come interpretato dalla sentenza costituzionale 11  febbraio
1999 n. 26; 
    Ritenuto  che l'art. 35  dell'Ordinamento  penitenziario  prevede
che "i detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o  reclami,
orali o scritti", a varie autorita',  fra  le  quali,  al  n.  2,  e'
previsto   anche   il   magistrato   di   sorveglianza.   La    Corte
costituzionale,  con  sentenza   n.   26/1999,   ha   dichiarato   la
illegittimita' costituzionale di questo articolo nella parte  in  cui
non prevede una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della
amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti di coloro  che  sono
sottoposti  a  restrizione  della  liberta'  personale.  La  sentenza
costituzionale  ha  lasciato  impregiudicate  le  modalita'  di  tale
tutela, di competenza comunque del magistrato di sorveglianza, che la
Corte di Cassazione, con sentenza Sezioni Unite 26 febbraio  2003  n.
25079, ha individuato nel reclamo di cui all'art. 14-ter, Ordinamento
penitenziario, che e' richiamato anche dall'art.  69,  stessa  legge,
nelle materie dei  reclami  al  magistrato  di  sorveglianza  (v.  le
conclusioni su tale punto al n. 17 di tale sentenza); 
    Ritenuto, conclusivamente, che si  possa  procedere  nelle  forme
indicate, che sono giurisdizionalizzate: 
 
                               Osserva 
 
    A. Premessa. 
    1. - Affettivita' e sessualita'. 
    Sono ammessi, anche nel  nostro  regime  penitenziario,  rapporti
affettivi stabili con altre persone, in particolare con i  familiari.
La corrispondenza epistolare e' prevista senza censura, salvo non sia
specificamente disposta e, anzi, tale corrispondenza non e'  limitata
neppure  nei  confronti  di  terzi.  E'  prevista  la  corrispondenza
telefonica, una  volta  alla  settimana,  anche  per  questa  con  la
possibile estensione a terzi, se ricorrano ragionevoli motivi. E sono
previsti i colloqui, sei al mese, con i familiari, e anche con terzi,
sempre se ricorrano ragionevoli  motivi.  Non  e'  utile  scendere  a
esaminare le eccezioni a queste regole. 
    In verita', la legge penitenziaria inserisce fra gli elementi del
trattamento l'agevolazione  dei  rapporti  con  la  famiglia  ed  uno
specifico articolo  dispone  che  "particolare  cura  e'  dedicata  a
mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei reclusi  con  le
famiglie" (art. 28 legge 26 luglio 1975, n. 354). 
    Questa "particolare  cura"  e'  specificata  nel  regolamento  di
esecuzione alla legge penitenziaria, nella concessione  di  colloqui,
oltre quelli  ordinari  e  nella  autorizzazione  alle  "visite"  che
consentono di trascorrere, insieme  a  coloro  che  sono  ammessi  ai
colloqui, parte della giornata in appositi locali o all'aperto  e  di
consumare un pasto insieme, fermo restando il  controllo  visivo  del
personale di sorveglianza: v. art. 61 del regolamento: "Rapporti  con
la famiglia e progressione nel trattamento". 
    Si potrebbe osservare che gia' la "visita" e'  un  colloquio  sui
generis in quanto, ferme le esigenze di controllo, che la  legano  al
colloquio, realizza un momento di  familiarita',  sempre  lontano  da
rapporti affettivi intimi con il proprio partner (coniuge  o  stabile
convivente), intimita' che sembra ed e' un passo ulteriore,  che  non
si vuole compiere. 
    Pertanto, le concessioni ai rapporti affettivi  con  i  familiari
del nostro  regime  penitenziario  non  consentono  di  risolvere  il
problema della affettivita' e, all'interno di  questo,  quello  della
sessualita',  diversamente  da  quanto   accade   in   altri   regimi
penitenziari di altri paesi europei  e  non  europei.  Spesso,  nella
realta'  del  nostro  paese,  le  modalita'  dei  colloqui  in  spazi
ristretti ed affollati limitano fortemente anche la sola  espressione
di affetto fra le persone. Uno sforzo e'  stato  effettuato  in  vari
istituti, in aderenza alle indicazioni del regolamento di esecuzione,
con la realizzazione di aree all'aperto - le aree verdi - ma di  rado
tali spazi hanno l'ampiezza propria di alcuni  quali  Rebibbia  nuovo
complesso, il Giardino degli incontri a Firenze-Sollicciano,  in  cui
resta comunque, il  controllo  attraverso  telecamere  da  parte  del
personale. Si conferma quindi, sia negli spazi  chiusi  e  ristretti,
sia nelle aree verdi piccole o grandi che siano, il controllo  visivo
del  personale  di  sorveglianza   e   il   conseguente   impedimento
all'espressione naturale e completa dell'affettivita' e,  all'interno
di essa, dell'espressione completa della sessualita' con il partner. 
    In sostanza, nella maggior parte delle realta' del  nostro  paese
anche il semplice colloquio e' limitato e limitante (come  dimostrano
le lunghe code, lunghe per i tempi e per i  numeri)  e  determina  il
rischio dell'inaridimento dei rapporti con il resto della famiglia. 
    Le testimonianze su tale situazione  sono  numerose  e  frequenti
sono i casi nei quali i figli minori non vengono portati ai' colloqui
per le modalita' con cui gli stessi si svolgono. 
    E' opportuno affrontare la questione anche  attraverso  l'analisi
di due testi generali: 
        la   Convenzione   per   la    salvaguardia    dei    diritti
dell'uomo: legge 4 agosto 1955 n, 848; 
        le  nuove  regole  in  materia  penitenziaria  del  Consiglio
d'Europa. 
    Ovviamente tali disposizioni (n.  2)  o  raccomandazioni  (n.  3)
saranno sempre inserite nel quadro della  disciplina  costituzionale,
che sara' di volta in volta dichiarata. 
    2. La Convenzione per la salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  di
cui alla L. 4 agosto 1955, n. 848. 
    Di tale atto legislativo interessano, in  particolare,  le  norme
seguenti: 
        Art.  3  -  Divieto  della  tortura:  Nessuno   puo'   essere
sottoposto a torture, ne' a pene o trattamenti inumani e degradanti. 
        Art. 8, comma  1,  prima  proposizione  1:  Ogni  persona  ha
diritto al rispetto della sua  vita  privata  e  familiare,  del  suo
domicilio e della sua corrispondenza. 
    3.  Le  nuove  regole  in  materia  penitenziaria  del  Consiglio
d'Europa. 
    Ai fini di una analisi concreta di tali regole, appare  opportuno
procedere da quelle del Consiglio d'Europa,  approvate  dal  Comitato
dei Ministri dei 46 Stati europei (aderenti al Consiglio),  iniziando
ad  esaminare  le  prime,   quelle   che   fanno   riferimento   alla
Raccomandazione 1340/1997, per poi  passare  a  quelle  piu'  recenti
dell'11 gennaio 2006, entrambe preparate ed  approvate  dal  Comitato
dei Ministri del Consiglio d'Europa, organo decisivo in ragione della
presenza al suo interno di tutti gli stati  membri  al  livello  piu'
alto. 
    Raccomandazione n.1340/1997: art. 6: 
        a) "L'assemblea raccomanda  che  il  Consiglio  dei  Ministri
inviti gli  stati  membri:  (punto  VI°):  migliorare  le  condizioni
previste per le  visite  da  parte  delle  famiglie,  in  particolare
mettendo a disposizione luoghi in cui i detenuti  possano  incontrare
le famiglie da soli". 
    Raccomandazione 11 gennaio 2006:  regola  n.  24,  comma  4:  "Le
modalita' delle visite devono permettere ai detenuti di  mantenere  e
sviluppare relazioni familiari il piu' possibile normali". 
    Tale regola e' commentata in calce con queste parole: "La  regola
24.4 mette in rilievo l'importanza particolare  delle  visite  per  i
detenuti, ma anche per le loro famiglie. Ove possibile, devono essere
autorizzate visite familiari prolungate (fino a 72 ore,  ad  esempio,
come avviene in numerosi paesi dell'Europa  dell'Est).  Dette  visite
prolungate consentono ai detenuti di avere  rapporti  intimi  con  il
proprio partner. Le "visite  coniugali"  piu'  brevi   autorizzate  a
questo fine  possono  avere  un  effetto  umiliante  per  entrambi  i
partner." Questa regola, quindi, non solo  avverte  che  il  problema
sessuale del detenuto deve trovare soluzione, ma che la deve  trovare
proprio in un quadro affettivo familiare normale,  attraverso  visite
prolungate e non, invece, con visite intime brevi, controindicate per
l'effetto umiliante che possono produrre. 
    Si, puo' quindi affermare che la scelta della soluzione  soltanto
sessuale, per cosi' dire, viene valutata come umiliante. 
    Il  documento  contestuale  che  accompagna  le  "Regole"   2006,
riferisce la realta' di vari paesi europei nei quali si e'  affermato
un  vero  e  proprio  diritto  all'affettivita'  in   carcere   cosi'
affrontando e risolvendo anche il problema della sessualita'. 
    Esemplificando sempre sulla base del documento citato: 
        in Croazia sono previsti colloqui non controllati  di  4  ore
con il coniuge o il partner; cosi' anche in  Albania,  con  frequenza
settimanale; - in  alcuni  lander  della  Germania  sono  predisposti
piccoli appartamenti in cui  i  detenuti  condannati  a  lunghe  pene
possono incontrare i propri cari; 
        in  Olanda,  Norvegia,  Danimarca,  soluzioni  analoghe,  con
camera matrimoniale, servizi e cucina,  senza  limiti  relativi  alla
posizione giuridica; stessa soluzione anche in Finlandia, se  non  e'
possibile l'ammissione a permessi all'esterno; 
        in Francia e Belgio vi sono sperimentazioni  in  appartamenti
per periodi prolungati, fino a 48 ore, con la imputazione  dei  costi
ai parenti dei detenuti; 
        in Svizzera iniziative analoghe sono in atto in Canton Ticino
ed in altri cantoni della confederazione; 
        in Spagna sono previste  visite  familiari/intime  brevi  per
tutti i detenuti, quale che sia la posizione giuridica; 
        in alcuni paesi dell'Europa dell'Est sono  consentite  visite
in appositi appartamentini o strutture mobili, in  cui  puo'  trovare
accoglienza la famiglia in tutte le sue componenti. 
    Fuori Europa non  mancano  iniziative  analoghe.  In  Canada,  le
soluzioni  piu'  ampie,  con  incontri   fino   a   tre   giorni   in
prefabbricati, siti nel  perimetro  degli  istituti:  e'  assicurata,
ovviamente, la piu' completa intimita'. Anche negli USA, che  vantano
il primato mondiale per numero dei detenuti, sono previsti, in alcuni
Stati, programmi di visite coniugali o familiari: i detenuti  possono
incontrare, ogni due settimane, il coniuge e,  ogni  mese,  tutta  la
famiglia, in una casa mobile posta all'interno del carcere,  per  tre
giorni consecutivi. Vi sono esperienze anche in  Messico,  Brasile  e
Venezuela. 
    Si tratta di un elenco certamente incompleto. 
    Da quanto sopra  detto  deriva  che  la  soluzione  del  problema
sessuale, per le indicazioni del  Consiglio  d'Europa,  deve  passare
attraverso riconoscimento piu' ampio e naturale  della  affettivita':
la concessione  di  permessi  piu'  ampi  alla  intera  famiglia  per
trascorrere, all'interno del carcere e  senza  controllo  visivo  del
personale, uno o piu' giorni, evita le ammissioni al solo  sesso  fra
partner, che viene considerato invece umiliante. 
    A questo punto dobbiamo chiederci quale sia l'efficacia  di  tali
disposizioni: ebbene esse sono disposizioni emanate da un organo,  il
Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa, che, nel  quadro  della
convenzione internazionale che lo ha costituito, invita ogni membro a
tenere conto delle regole  decise  insieme.  L'invito  e'  valido  ed
efficace, anche se si possono consentire tempi di attuazione diversi.
L'indicazione di dove pero' deve tendere il regime  penitenziario  e'
chiara. 
    Occorre poi ricordare un ulteriore atto approvato dal  Parlamento
Europeo in data 9/3/2004, finalizzato  a  raccomandare  al  Consiglio
d'Europa un sistematico elenco dei diritti dei detenuti  (di  cui  le
regole del Comitato dei  ministri  del  Consiglio  d'Europa  in  data
11/1/2006 sembrano essere attuazione), fra le quali, alla lettera 1c,
appare diritto ad una vita affettiva e sessuale, prevedendo misure  e
luoghi appositi". 
    In conclusione, l'opzione  in  questa  materia  della  disciplina
europea e' evidente. 
    4. Il problema del sesso nella realta' del carcere. 
    Proviamo a ricostruire la realta' del nostro  carcere  nel  quale
vigono regole proibizioniste ed  alcuna  soluzione  e'  prevista  del
problema sessuale all'interno o meno di quello affettivo. 
    Si ha, da un iato, sesso immaginato, come provano le immagini che
ricoprono i muri degli spazi interni delle celie (che ove rimosse dai
responsabili dell'istituto vengono rapidamente sostituite): il  sesso
immaginato e negato ha come esito il sesso solitario . 
    Si ha dall'altro lato, un'omosessualita'  ricercata  -o  imposta,
sia che la coazione consegua alla violenza o alla  minaccia  sia  che
derivi da un consenso rassegnato alla situazione. 
    E' chiaro, comunque, che e' decisamente improbabile una scelta di
continenza da parte di un numero significativo di detenuti, cosi' che
residuano  le  due  scelte   sopra   indicate   -   masturbazione   o
omosessualita', indotte dalla situazione -  che  hanno  una  evidente
caratteristica di innaturalita' oltreche' di  degrado  e  avvilimento
personale,  pesantemente  avvertito  da  chi  vi  e'  costretto.  Una
dinamica, contraria, all'evidenza, a percorsi di riabilitazione. 
    Conclusione  di  questa  premessa.  L'inibizione  del  sesso  col
partner, sia nel quadro della affettivita', sia  come  consenso  alla
diretta consumazione dell'atto  sessuale  con  partner  medesimo,  e'
previsto come regola generale del Consiglio d'Europa (raccomandazioni
n. 1340/1997 e raccomandazione  11/1/2006  e,infine,  raccomandazione
Parlamento Europeo  al  Consiglio  d'Europa  del  9/3/2004)  e  viene
attuato in molti paesi europei con  una  preferenza  espressa,  nelle
regole  ricordate  per  la  attuazione,  del   riconoscimento   della
affettivita' nel senso  piu'  ampio  e  senza  controllo  visivo  del
personale. 
    5. Permessi. La opzione sicuramente migliore  per  rispondere  al
problema sessualita'/affettivita' e' quella dei  permessi  fuori  dal
carcere, perche' riporta la sessualita' in una situazione di liberta'
con il ritorno nei propri ambiti personali e socio-familiari. 
    Come e'  noto  tale  possibilita'  e'  prevista  dall'Ordinamento
penitenziario,  all'art.  30-ter,  con  i  permessi  premio  e   puo'
collegarsi anche ai permessi  per  gravi  motivi  familiari  previsti
dall'art.  30,  sia  pure  per  eventi  eccezionali.  Ma  la   stessa
possibilita' non puo' riguardare tutti i detenuti, perche' nel nostro
regime attuale sono inammissibili ai permessi-premio, oltre  tutti  i
detenuti giudicabili (oggi sono  il  41,8%  del  totale),  anche  una
percentuale molto elevata dei  detenuti  definitivi,  percentuale  in
deciso aumento per le limitazioni delle concessioni  da  parte  degli
stessi magistrati di sorveglianza, nonche' per  effetto  della  legge
5/12/2005, n. 251,  c.d.  ex-Cirielli,  che  riduce  sensibilmente  i
benefici penitenziari per i recidivi (per i  permessi  premio  l'art.
30-quater Ord. Penit. richiede periodi  di  pena,  presofferta  prima
della concessione, sempre piu' elevati man mano  che  la  pena  e  la
necessita' (per il protrarsi della astinenza forzata)  aumentano.  La
quota restante dei detenuti, astrattamente ammissibile, ne fruisce in
misura senz'altro minoritaria. 
    6 L'equiparazione rapporto di coniugio/rapporto di convivenza. 
    L'equiparazione vige per i colloqui:  la  complessita',  casomai,
riguarda la modalita' di accertamento della convivenza  stabile,  che
si ritiene provata dall'annotazione  anagrafica  della  convivenza  e
delle sue conseguenze: i figli e la famiglia che cosi' ne risulta. 
    In ogni caso, ulteriori specificazioni  sulla  formazione  di  un
nucleo familiare potrebbero  essere  desunte  da  informazioni  degli
uffici di servizio sociale penitenziario (UEPE). 
    Ed ancora: e' noto che con il termine famiglia di fatto  (  anche
definita convivenza more uxorio) si  indica  genericamente  "l'unione
stabile e la comunione di vita  tra  due  persone,  non  fondata  sul
matrimonio. La famiglia di fatto si contraddistingue per il carattere
di stabilita', che nasce come espressione  della  libera  scelta  del
singolo individuo di non costituire un vincolo formale, ma di fondare
il rapporto solo sul sentimento di affetto e di amore". 
    Pertanto, si possono individuare quali "elementi essenziali della
convivenza more uxorio: 
        la comunita' di vita; 
        la stabilita' temporale; 
        l'assenza del legame giuridico del matrimonio. 
    Il regolamento anagrafico di  cui  al  D.P.R.  30/5/1989  prevede
d'altronde, all'art.5, la convivenza anagrafica. 
    Al momento in cui si va oltre il colloquio e la sua  ottica,  per
le ragioni che dovrebbero determinarne il superamento (che sono tutte
quelle che si spiegheranno successivamente), si deve  inevitabilmente
mantenere  quella  equiparazione  del  trattamento  che   informa   i
colloqui. Altrimenti si finirebbe per dare rilievo al  solo  rapporto
di coniugio, stabilendo una disuguaglianza rispetto ad una condizione
carceraria identica. 
    Naturalmente, come  gia'  detto,  potrebbe  essere  previsto  che
questa stabilita' del rapporto possa trovare adeguati accertamenti da
parte del Servizio sociale penitenziario, come ante evidenziato. 
    7. La limitazione delle varie eccezioni ai soli gruppi familiari. 
    Una riflessione, in proposito appare necessaria  perche',  a  ben
guardare,  molti  dei  motivi   di   incostituzionalita'   potrebbero
riguardare tutti i detenuti. La violazione dei  diritti  dell'uomo  e
delle sue protezioni e promozioni negli artt.  2  e  3  della  Cost.,
l'art. 3 - tutto il testo - della Convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell'Uomo, lo stesso art. 27 Cost.,  prima  proposizione  che
afferma che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanita' ed e' evidentemente, la premessa dell'art. 3  della
Convenzione per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo),  nonche'
l'art. 29 Cost., che prevede il diritto alle attivita' necessarie per
la promozione della famiglia e il  parallelo  art.  8,  primo  comma,
della convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo,  che  ne
impone il rispetto, possono essere prese  in  considerazione  per  la
affermazione  della  incostituzionalita'  della  scelta  negazionista
sull'ammissibilita'  della  soluzione  del  problema   affettivo   in
carcere, nei confronti di tutti i detenuti. 
    La questione puo' essere superata agevolmente. La  soluzione  che
viene qui sostenuta del riconoscimento  della  affettivita'  riguarda
rapporto detenuto/famiglia e la soluzione dentro  l'affettivita'  del
problema sessuale fra detenuto e coniuge o convivente stabile (specie
se tale convivenza e' sfociata nella creazione di una famiglia)  vale
soltanto quando quel rapporto sussista. E' chiaro che, quando  invece
il legame familiare non esiste, non e' possibile la  soluzione  della
affettivita' e  all'interno  di  quella  la  soluzione  del  problema
sessuale del detenuto col proprio partner. Va solo chiarito  che,  in
assenza del rapporto del detenuto col partner, resta a consentire  la
affettivita' il rapporto con la famiglia di  provenienza,  attraverso
il  quale,  pur   senza   la   soluzione   del   problema   sessuale,
l'ammissibilita' alla affettivita' pura e semplice si puo'  allargare
ad altri detenuti. 
    B. La scelta negazionista del nostro carcere 
    La  scelta  negazionista  del  nostro  sistema  penitenziario  e'
desumibile dal comma 2 dell'art.18: E', infatti, il comma 2 dell'art.
18 della L. 26/7/1975, n.354, che esige "il  controllo  a  vista  del
personale di custodia" sui colloqui e che quindi  impone  l'astinenza
sessuale. 
    L'ottica del colloquio e'  vincolata  dalla  legge:  in  sostanza
l'unico contatto fra familiari e detenuti e' il colloquio e questo e'
anche il massimo accettabile. Ed e'  un'ottica  fortemente  riduttiva
rispetto allo stesso art. 28 della legge, perche' il solo  colloquio,
riportato alle condizioni in cui si svolge, in ambienti affollati  da
una umanita' in condizioni critiche, che fa lunghe code per  arrivare
a quel momento, rende precari e  difficili  i  rapporti  familiari  e
certamente non utili per  "mantenere,  migliorare  o  ristabilire  le
relazioni dei detenuti o degli internati con le famiglie". 
    Si tratta ovviamente di una inibizione indiretta, ma  chiaramente
sufficiente ed efficace. C'e' anche da  osservare  che  nello  stesso
colloquio  e,  piu'  ancora,  nell'istituto   della   "visita"   (con
corsumazione del pasto allo stesso tavolo fra i familiari),  previsto
dal nostro art. 61, comma 2, lettera b), Reg. esecuzione  Ordinamento
Penitenziario, che sempre richiama, pero', l'art. 18, comma 2,  della
legge, si conferma l'ottica negazionista. Nel caso della "visita"  e'
possibile che i gesti affettuosi siano maggiori ed  il  controllo  di
queste  affettuosita'  piu'  intense  e'  lasciato  al  personale  di
custodia con tensioni notevoli fra detenuti e familiari, da un  lato,
e personale  di  sorveglianza,  dall'altro.  Potrebbe  essere  questa
un'altra  ragione  che  consiglia  piu'  spazio  alla  soluzione  del
problema  nella  sua   portata   generale   (conseguente   ovviamente
all'accoglimento, se possibile, delle  presenti  eccezioni)  per  non
doverlo affrontare anche in  questi  aspetti  di  minor  rilievo,  ma
comunque gestiti in  modo  inevitabilmente  discutibile  e  possibili
fonte di tensione all'interno di ciascun istituto. 
    Le motivazioni della scelta negazionista che e' quella del nostro
diritto vigente, possono essere criticate sotto due aspetti: 
        quello della inibizione del diritto; 
        quello della insostenibilita' del divieto. 
    1. L'inibizione del diritto. 
    Torniamo alle regole approvate dal Comitato dei ministri  dei  46
Stati aderenti al Consiglio d'Europa e  in  particolare  alla  regola
della Raccomandazione 1340/1997, art.  6,  comma  VI°,  nonche'  alla
regola 24, comma 4, della deliberazione 11 gennaio 2006 dello  stesso
organo. La prima e' chiarissima: i  detenuti  devono  "incontrare  le
famiglie da soli"; la seconda e' altrettanto  chiara:  "La  modalita'
delle visite deve permettere ai detenuti di  mantenere  e  sviluppare
relazioni familiari il piu' possibile normali".  L'espressione  "piu'
possibile  normale"  e'  significativa  e  fa   riferimento   a   una
completezza che attiene alla  normalita'  maggiore  possibile  e  che
quindi non puo' ignorare gli aspetti intimi del rapporto che lega  il
detenuto al partner  nell'ambito  della  famiglia  legale  o  di  uno
stabile rapporto di convivenza.  E'  conseguente  il  commento  della
stessa fonte che ha prodotto la regola e  la  sottolinea  con  queste
parole: "La regola 24.4 mette  in  rilievo  l'importanza  particolare
delle visite per i detenuti, ma  anche  per  le  loro  famiglie.  Ove
possibile, devono  essere  autorizzate  visite  familiari  prolungate
(fino  a  72  ore,  ad  esempio,  come  avviene  in  numerosi   paesi
dell'Europa dell'Est). Dette visite prolungate consentono ai detenuti
di  avere  rapporti  intimi  con  il  proprio  partner.  Le   "visite
coniugali" piu' brevi autorizzate a  questo  fine  possono  avere  un
effetto umiliante per  entrambi  i  partner."  Queste  considerazioni
richiamano l'attenzione sul fatto  che  non  e'  solo  la  condizione
detentiva che preoccupa  il  Consiglio,  ma  e'  anche  quella  delle
famiglie, coinvolte a pieno titolo nel discorso complessivo. Come ben
si nota il richiamo alla naturalezza e alla completezza del  rapporto
e' il passo avanti  compiuto  rispetto  alla  regola  del  1997,  che
esigeva il semplice incontro dei detenuti con la  famiglia  da  soli.
Nella regola 2006 ci si preoccupa che tutto questo avvenga  nel  modo
piu' normale possibile. 
    Questa regola, quindi, non solo avverte che il problema  sessuale
del detenuto deve,trovare soluzione, ma che la deve  trovare  proprio
in  un  quadro  affettivo  familiare  normale,("il   piu'   possibile
normale"), attraverso visite prolungate e  non,  invece,  con  visite
intime brevi, controindicate  per  l'effetto  umiliante  che  possono
produrre. La scelta della  soluzione  soltanto  sessuale,  per  cosi'
dire, viene valutata umiliante. 
    Nel secondo comma dell'art. 18 citato, siamo  lontani  da  questa
ottica che contrasta varie norme  sulle  quali  torneremo  e  che  e'
l'ottica costituzionale. Si puo' convenire che  le  regole  approvate
dal Comitato dei ministri dei 46 stati europei 1'11/1/2006  e  quelle
precedenti del 1997, non sono immediatamente vincolanti nei confronti
dell'Italia, ma conviene riportare e sottolineare qui  cio'  che  era
stato detto in precedenza: che il Comitato dei Ministri del Consiglio
d'  Europa  e'  un  organo,  che,  nel   quadro   della   convenzione
internazionale che l'ha costituito definisce, nell'assemblea dei vari
stati, delle regole da osservare in carcere,  invitando  poi  i  vari
stati con un provvedimento che prende il nome  di  "raccomandazione",
ad osservare le regole stesse. Conclusione:  l'invito  e'  valido  ed
efficace, anche se si puo'  consentire  una  certa  flessibilita'  di
conformazione. La indicazione di dove tende il  regime  penitenziario
europeo e' in ogni caso chiara. 
    Vale la pena di richiamare a questo punto, ad ulteriore  conforto
della   posizione   costituzionalmente    legittima    la    sentenza
costituzionale n. 26/1999, nella parte in diritto, n. 5: "L'idea  che
la   restrizione   della   liberta'   personale   possa    comportare
conseguenzialmente  il  disconoscimento  delle  posizioni  soggettive
attraverso  un   generalizzato   assoggettamento   all'organizzazione
penitenziaria e' estraneo al vigente ordinamento  costituzionale,  il
quale si basa sul primato della persona umana e sui suoi diritti." 
    "I diritti inviolabili  dell'uomo,  -  prosegue  la  Corte  -  il
riconoscimento e la garanzia dei quali l'art.  2  Cost.  pone  tra  i
principi   fondamentali   dell'ordine   giuridico,   trovano,   nella
condizione di coloro che sono  sottoposti  a  una  restrizione  della
liberta' personale, i limiti ad essa inerenti,  che  sono  propri  di
tale restrizione, ma non sono affatto annullati da  tale  condizione.
La restrizione  della  liberta'  personale  secondo  la  Costituzione
vigente non comporta dunque affatto una capitis deminutio  di  fronte
alla discrezionalita' dell'autorita' preposta alla sua esecuzione." 
    Conclude, su questo punto, la Corte: "La dignita'  della  persona
(art. 3, comma 1 Cost.) anche in questo caso,  anzi,  soprattutto  in
questo  caso,  il  cui  dato  distintivo  e'  la  precarieta'   degli
individui,  derivante  dalla  mancanza  di  liberta',  in  condizioni
d'ambiente per  loro  natura  destinate  a  separare  dalla  societa'
civile, e' dalla Costituzione protetta e attraverso il bagaglio degli
inviolabili diritti dell'uomo, che anche il detenuto  porta  con  se'
lungo tutto il corso della esecuzione penale, conformemente del resto
all'art. 1, comma 1, che la legge  n.  354/75  ha  inteso  dare  alla
intera disciplina dell'Ordinamento Penitenziario". 
    Allora: per un verso, la citazione  costituzionale  rivendica  il
rispetto di un diritto naturale, decisivo sul tema  della  promozione
dell'uomo (v. art. 2 e art. 3, commi 1 e 2),  e,  per  l'altro,  tale
posizione e' rafforzata dal primato della persona umana  e  dei  suoi
diritti, nonche' dalla funzione  inclusiva  della  pena,  riaffermata
costantemente e nell'Ordinamento Penitenziario e nella  Costituzione.
Daltronde, il disconoscimento, attuato nel nostro sistema vigente, di
una  posizione  soggettiva  personale  e  naturale   contraddice   le
indicazioni provenienti dalla citazione dei vari passi della sentenza
costituzionale  (citiamo  l'art.  1,  comma  1.  Ord.   Penit.:   "Il
trattamento penitenziario deve essere  conforme  a  umanita'  e  deve
assicurare il rispetto della dignita' della persona"). 
    Anche questo e' un altro segnale, questo,  si,  vincolante  della
incostituzionalita' della  scelta  negazionista.  Il  che  significa:
prendere atto che non  e'  possibile  costituzionalmente  inibire  il
diritto al rapporto sessuale con partner in una relazione  legale  di
coniugio o di convivenza stabile e che la forma con cui  deve  essere
ammessa la fruizione di tale diritto e'  quella  della  affettivita',
che evita l'effetto umiliante (e per questo inumano e degradante) del
riconoscimento puro e semplice dell'ammissione  a  rapporti  sessuali
fra le parti. In sostanza, quindi, e' l'affettivita' che  reclama  la
sua parte fra gli stessi familiari e ii detenuto: e' nell'ambito  del
rapporto gia' riconosciuto (dall'art. 28  Ordinamento  penitenziario)
con la famiglia che, dando spazio alla normalita' maggiore  possibile
del  rapporto  stesso,  attraverso  relazioni  prolungate   e   senza
controllo visivo  del  personale,  si  realizza  l'attuazione  di  un
rapporto familiare, normale nella misura del possibile,  fra  i  vari
membri della famiglia, consentendo anche la  soluzione  del  problema
della completezza del rapporto fra il detenuto  ed  il  partner  (nel
senso gia' indicato). 
    La astinenza sessuale coatta  fa  parte  di  queste  dinamiche  e
colpisce il corpo in una delle sue funzioni fondamentali. 
    2. L'insostenibilita' del divieto 
    E' anche necessario affrontare i nodi della negazione di rapporti
sessuali con il  proprio  partner  nel  nostro  sistema.  Dopo  avere
riconosciuto  che  non  puo'  essere  inibito  il  diritto,   bisogna
insistere sulla insostenibilita' del divieto di  esercitarlo.  Questo
non riguarda le persone che si relazionano al  detenuto,  in  quanto,
nelle ipotesi avanzate e nelle esperienze straniere, sono  le  stesse
che sono ammesse ai colloqui. Non sono  le  vicinanze  dei  corpi  di
queste persone con il detenuto, in quanto l'abbandono del  bancone  e
l'incontro intorno ad un tavolo o, nella visita (che e' ammessa anche
da noi: art. 61, comma 2, lettera b), con la  esplicita  possibilita'
della  consumazione  insieme  dei  pasto),  che   lascia   spazio   a
manifestazioni  affettive  fra  familiari  e  ovviamente  anche   fra
partner, manifestazioni che sono  naturali:  non  owiamente  rapporti
sessuali, ma baci e carezze, la cui possibilita' e naturalezza creano
contrasti e tensioni fra i detenuti e i loro familiari, da un lato ed
il personale  di  sorveglianza  dall'altro,  chiamato  a  valutazioni
difficili e discrezionali,  molto  eterogenee  peraltro,  secondo  la
mentalita' di chi e' chiamato a gestirle. 
    Quindi: occorre comparare la pretesa di una costante sorveglianza
di  principio  (ripeto,  di  principio:  altra  e'  in   effetti   la
concretezza delle situazioni) sui detenuti con  il  rispetto  di  una
esigenza naturale degli stessi. E si deve anche riflettere sul  fatto
che l'affermazione del principio di  sorveglianza  interviene  in  un
luogo  che  e'  espressione  della  sorveglianza  nelle   sue   mura,
nell'organizzazione degli spazi, che e',  sostanza  e  simbolo  della
sorveglianza. 
    Perche' in questo quadro di sicurezza, aggiungere  la  inibizione
di relazioni  affettive  "il  piu'  naturali  possibili"?  E'  logico
pensare che il diritto e' sempre scelta fra situazioni  in  possibile
conflitto:  in  questo  caso,  principio  di  sorveglianza   prevale,
nell'attuale   regime,   sulla   soddisfazione   di   una    esigenza
incontestabilmente  naturale  del  detenuto,  quale  emergente  dagli
articoli costituzionali (art. 2 e art. 3, comma  1  e  2)  citati  in
precedenza e da tutte le  altre  considerazioni  che  consigliano  di
rimuovere la scelta negazionista attuale. 
    E arriviamo alla domanda finale, che era quella di  partenza:  e'
possibile sostenere,  nel  quadro  costituzionale  ora  indicato,  la
riduzione dei rapporti fra detenuto e  familiari  ai  soli  colloqui,
quando si sacrifica, cosi' facendo, la ricchezza del tema familiare e
il detenuto e' costretto, a rapporti inevitabilmente degradanti?  Non
e'  insostenibile  il  divieto?  La  risposta  non  puo'  che  essere
affermativa. 
    Tutto  cio'  premesso,  il  Magistrato  di  sorveglianza  solleva
d'ufficio eccezione di incostituzionalita'  dell'art.  18,  comma  2,
della legge 26 luglio 1975, n. 354, come in seguito articolata. 
    C.Le eccezioni di incostituzionalita' 
    1. Prima eccezione. 
    Primo rilievo di costituzionalita': violazione dell'art. 2 Cost.:
nella parte in cui afferma «La Repubblica riconosce  e  garantisce  i
diritti inviolabili dell'uomo», nonche' nell'art. 3 Cost.,  comma  1,
la' dove dichiara l'eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e,
nel comma 2, la'  dove  afferma  che  «e'  compito  della  Repubblica
rimuovere gli ostacoli....che...impediscono il pieno  sviluppo  della
persona umana", nonche', infine, nell'art. 27 Cost , comma  3,  prima
proposizione,  che  afferma:  "le  pene  non  possono  consistere  in
trattamenti contrari al senso di umanita'". 
    Di  conseguenza,  si   chiede   dichiararsi   la   illegittimita'
costituzionale del comma 2 dell'art. 18 della L. 354/75, che richiede
controllo a vista dei colloqui, in quanto impedisce la intimita'  dei
rapporti affettivi  fra  i  componenti  della  famiglia  fondata  sul
rapporto di coniugio o di convivenza stabile,  e  pertanto  viola  le
norme costituzionali ricordate all'inizio. 
    L'astinenza   sessuale,   imposta    dal    nostro    ordinamento
penitenziario, all'art. 18, comma 2 dell'Ord.  Penit.,  si  muove  in
senso contrario alle "raccomandazioni"  approvate  dal  Comitato  dei
Ministri del Consiglio d'Europa n. 1340/97 - art.  6,  comma  6  -  e
11/1/2006 - art. 24 comma 4, cosi' come anche chiarito nello scritto,
della stessa provenienza, che abbiamo piu' volte riportato. 
    Ulteriore conferma a questa  posizione  si  trova,  come  abbiamo
visto, nella  raccomandazione  9/3/2004  del  Parlamento  europeo  al
Consiglio d'Europa, che riconosce al detenuto "il diritto ad una vita
affettiva e sessuale, prevedendo misure e luoghi  appositi".  Non  si
deve poi dimenticare che  l'astinenza  ha  quel  prezzo  che  abbiamo
indicato  alla  lettera  A,  sub  4:  cioe'  il  ricorso  a  pratiche
masturbatorie o di omosessualita' ricercata  o  coatta  (sia  che  la
coazione consegua alla violenza o alla  minaccia  o  ad  un  consenso
rassegnato  alla  situazione),   pratiche   tutte   che   avviliscono
profondamente la persona del detenuto, nel momento  in  cui  dovrebbe
essere proposta  la  sua  promozione  umana.  Sotto  questo  profilo,
l'effetto che l'astinenza produce realizza, contro l'esplicito  testo
costituzionale, un trattamento  contrario  al  senso  di  umanita'  e
comprensibilmente degradante, che discende dalla applicazione di  una
specifica norma: il ripetuto comma  2  dell'art.  18  della legge  26
luglio 1975, n. 354. Ovviamente, come gia' chiarito, preso  atto  che
la sola soluzione del solo problema sessuale ha effetti umilianti per
i partner, il testo della norma ora citata, deve trovare la soluzione
complessiva  attraverso  la  soluzione   della   affettivita',   come
ripetutamente affermato. 
    La citazione di parte della sentenza n. 26/1999, coinvolge  anche
gli articoli 2 e 3 Cost.  nella  misura  che  viene  ripetuta  e  ora
indicata  come  premessa  alla  violazione  dei  diritti  inviolabili
dell'uomo e a politiche penitenziarie che  dovrebbero  consentire  la
rimozione degli ostacoli che  impediscono  il  pieno  sviluppo  della
persona umana e che, al contrario,  la  negano.  Da  tali  violazioni
discende, nel nostro sistema penitenziario, la soluzione negazionista
del nostro problema, che determina trattamenti contrari al  senso  di
umanita'  e  degradanti,  vietati  dall'art.  27,  comma   3,   prima
proposizione  (nonche'  dall'art.  3   della   Convenzione   per   la
salvaguardia dei diritti dell'uomo). 
    2. Seconda eccezione. 
    Secondo rilievo di incostituzionalita': violazione del  comma  3,
seconda proposizione, dell'art. 27 Costituzione:  «Le  pene....devono
tendere  alla  rieducazione  del  condannato.  Si  chiede,   pertanto
dichiararsi la illegittimita' costituzionale del comma 2 dell'art. 18
della L. 354/75, che richiede il controllo a  vista  dei  colloqui  e
cosi' impedendo la intimita' dei rapporti affettivi, viola l'art. 27,
comma 3, seconda proposizione, consentendo che la pena non  attui  le
sue finalita' rieducative/risocializzanti/socialmente inclusive. 
    La Corte costituzionale,  si  e'  ripetutamente  pronunciata  sul
diritto alla esecuzione di una pena  rieducativa  o  riabilitativa  o
risocializzante, tesa  al  reinserimento  (inclusiva)  delle  persone
nell'ambito sociale e familiare. Per  l'attuazione  di  tale  diritto
l'art. 13  O.P.  chiarisce  che  deve  essere  svolta  l'osservazione
scientifica e pluriprofessionale della personalita'  e  in  relazione
all'esito della stessa, disposto un  programma  di  trattamento  che,
utilizzando  gli  elementi  del  trattamento,   consenta   interventi
finalizzati  a  migliorare  le  risorse  personali  dell'interessato.
Chiarisce  l'art.  15,  comma  1,  che  "il  trattamento  e'   svolto
avvalendosi  principalmente  della  istruzione,  del  lavoro,   della
religione,  delle  attivita'  culturali,  ricreative,  e   agevolando
opportuni contatti  con  il  mondo  esterno  ed  i  rapporti  con  la
famiglia". 
    L'art. 28 poi,  sotto  la  rubrica  "rapporti  con  la  famiglia"
dispone: "Particolare cura e'  dedicata  a  mantenere,  migliorare  o
ristabilire  relazioni  dei  detenuti  e  degli  internati   con   le
famiglie". 
    La disposizione  che  si  riporta  ha  un  contenuto  dinamico  -
"mantenere, migliorare o ristabilire" - rafforzato dalla  espressione
iniziale  "particolare  cura".  Ora,  si  tratta  di   chiederci   se
l'operativita' di questa norma e il suo senso costituzionale  possano
corrispondere alle conseguenze che si traggono dall'art.18, comma  2,
ovvero l'astinenza sessuale con il partner e l'affettivita'  tra  gli
stessi e i rapporti detenuto/familiari, quando si  deve  ricavare  da
quella norma che la stessa ha un prezzo, che e' la caduta  nel  sesso
solitario o nella omosessualita'  ricercata  o  coatta,  sia  che  la
coazione segua  alla  violenza  o  alla  minaccia  o  a  un  consenso
rassegnato alla situazione,  condizioni  tutte  che  determinano  una
detenzione disumana e degradante (v. commento alla regola  24.  punto
4,  delle  ricordate  regole  2006  del  comitato  dei  ministri  del
Consiglio d'Europa. 
    Questa regola, quindi, non solo avverte che il problema  sessuale
del detenuto deve trovare soluzione, ma che la deve  trovare  proprio
in  un  quadro  affettivo  familiare   normale,   attraverso   visite
prolungate e non, invece, con visite intime brevi, controindicate per
l'effetto umiliante che possono produrre. La scelta  della  soluzione
soltanto sessuale, per cosi' dire, viene valutata umiliante. 
    Conclusione: la normativa vigente nel nostro regime penitenziario
non ha alcuna compatibilita' costituzionale. 
    3. Terza eccezione. 
    Terzo rilievo di incostituzionalita': si  chiede  dichiararsi  la
illegittimita' costituzionale  dell'art.  18,  comma  2  della  legge
354/75, che obbliga il controllo a vista dei colloqui  da  parte  del
personale e cosi impedendo la intimita' dei rapporti affettivi, viola
l'art. 29 Costituzione,  che  afferma:  "La  repubblica  riconosce  i
diritti  della  famiglia   come   societa'   naturale   fondata   sul
matrimonio", nonche' l'art. 31, nella  parte  in  cui,  nel  comma  2
"protegge la maternita'  favorendo  gli  istituti  necessari  a  tale
scopo". 
    Se  l'art.  29  Cost.  richiama  al  fondamento  naturale   della
famiglia, questo sottolinea che il matrimonio si pone  come  un  atto
convenzionale  sulla  naturalezza  del  fatto   in   se'.   Il   dato
convenzionale del matrimonio puo' assumere le forme piu' diverse, pur
se rispettose del riconoscimento dello Stato. 
    Il risultato della astinenza nel rapporto fra gli stessi  coniugi
determina i matrimoni  "bianchi"  in  carcere,  con  la  celebrazione
dell'atto, ma non la consumazione dello stesso e  sostanzialmente  la
non-consumazione e' essa stessa inadempimento degli obblighi relativi
nascenti dal dato convenzionale. 
    Inoltre, tale situazione "non  protegge  la  maternita'",  ma  la
impedisce. 
    Sembra necessario aggiungere che, mai come sotto questo rispetto,
cio' che va riconosciuto costituzionalmente e' l'affettivita' come il
valore che e'  sostanza  della  famiglia  e  al  tempo  stesso  della
convivenza abituale e che puo' essere finalizzato al  matrimonio,  ma
che su questo deve costruire  legame,  che  tiene  unita  insieme  la
famiglia. Si ricorda, che, nella parte a cui  si  e'  prima  rinviato
(Lettera A, n. 6), si faceva presente che quell'affettivita', che  e'
valore che fonda e mantiene il legame familiare,  puo'  anche  essere
confermata  attraverso  accertamenti  operati  dai  Servizi   sociali
competenti. 
    4. Quarta eccezione. 
    Quarto rilievo di incostituzionalita': si chiede  dichiararsi  la
illegittimita' costituzionale  dell'art.  18,  comma  2  della  legge
354/75, che richiede il controllo a vista dei colloqui, in quanto non
consente la intimita' dei rapporti affettivi,e, quindi, viola  l'art.
31 comma 1, della Costituzione che afferma: "La Repubblica tutela  la
salute come fondamentale diritto  dell'individuo  e  interesse  della
collettivita'....", nonche' nella parte finale e seconda proposizione
del comma 2, che. afferma: "La legge non puo' in alcun caso violare i
limiti imposti dal rispetto della persona umana". 
    Si riparte sempre dagli  effetti  della  astinenza  sessuale  fra
partner legati da rapporto  di  coniugi°  o  di  convivenza  stabile,
effetti che conseguono al comma 2 dell'art. 18 0.P., effetti  che  si
connotano, come detto e ripetuto, con un 'ricorso alla  masturbazione
o alla omosessualita' ricercata o coatta, sia che la coazione segua a
minacce o violenze o a un consenso  rassegnato  alla  situazione.  In
carcere tutto questo significa la  intensificazione  dei  rapporto  a
rischio e la contestuale  riduzione  delle  difese  sul  piano  della
salute. Ma, di piu', la stessa astinenza in se considerata non aiuta,
in persone che hanno ormai superato  l'eta'  puberale,  uno  sviluppo
normale della sessualita'  con  nocive  ricadute  stressanti  sia  di
ordine fisico che psicologico. 
    Ma tutto cio' ha anche un ritorno diverso: e' quello cui consegue
la violazione dei limiti imposti al rispetto della persona umana, che
discende comunque dalle conseguenze della astinenza con  il  partner,
gia' descritte nel capoverso che precede. Si e'  parlato  piu'  volte
dell'effetto umiliante  che  viene  ricollegato  alla  soluzione  del
problema sessuale (ad es. nei "colloqui intimi" spagnoli), se non  si
ha cura di inserirlo nella soluzione del problema della affettivita',
come  qui  si  ritiene  costituzionalmente  doveroso.  E'  necessario
coinvolgere l'intero  nucleo  familiare,  titolare  a  sua  volta  di
diritti all'affettivita' nei confronti del detenuto, come  questi  ha
pari diritti nei confronti dei propri familiari. Le modalita' di tali
rapporti sono state piu' volte ripetute e sono quelle  su  cui  hanno
dato indicazioni il Consiglio d'Europa e il Parlamento Europeo. 
    Conclusivamente,  si   chiede   dichiararsi   la   illegittimita'
costituzionale del comma 2 dell'art. 18, che  richiede  il  controllo
visivo dei colloqui e cosi, in  quanto  impedisce  la  intimita'  dei
rapporti affettivi e imponendo l'astinenza sessuale  con  il  partner
legato da rapporto di  coniugio  o  di  stabile  convivenza  ed  anzi
favorendo il ricorso a pratiche masturbatorie o omosessuali, viola le
seguenti norme costituzionali: 
        art. 2: uguaglianza dinanzi alla legge per il  riconoscimento
dei diritti inviolabili dell'uomo; 
        art. 3, comma 1 e 2, che affermano la pari dignita' sociale e
la eguaglianza davanti alla legge  di  tutti  e  la  rimozione  degli
ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; 
        art. 27, comma 3, prima proposizione, consentendo che la pena
possa consistere in trattamenti contrari al senso di umanita'; 
        art. 27, comma 3, seconda proposizione,  consentendo  che  la
pena non tenda alla rieducazione del condannato; 
        artt. 29 e 31 Costituzione, nella parte in cui, nel  comma  1
dell'art. 29, dispone:  "La  Repubblica  riconosce  i  diritti  della
famiglia come societa'  naturale  fondata  sul  matrimonio",  nonche'
nell'art. 31, al comma 1  che  dispone:  "La  Repubblica  agevola  la
formazione della famiglia  e  l'adempimento  dei  compiti  relativi",
nonche', infine,  nel  comma  2,  nella  parte  in  cui  dispone  che
"protegge la maternita'  favorendo  gli  istituti  necessari  a  tale
scopo". 
        art. 32, commi 1 e 2, perche'  compromette  la  tutela  della
salute fisiopsichica  dell'individuo  (comma  1)  e  viola  i  limiti
imposti dal rispetto della persona umana (comma 2). 
    In  conclusione:  si  chiede  di  dichiarare  la   illegittimita'
costituzionale dell'art 18, comma 2 della  legge  26/7/1975,  n.  354
(Ordinamento penitenziario),  nella  parte  in  cui  prevede  che  il
controllo, a vista  dei  colloqui  impedisce  la  effettuazione,  nel
quadro  del  pieno  riconoscimento  di  rapporti  affettivi   con   i
familiari, di rapporti intimi con il  partner  (legato  con  rapporto
coniugale o con stabile rapporto  di  convivenza,  sul  quale  si  e'
innestata o meno una situazione familiare). 
 
                               P.Q.M. 
 
    Solleva d'ufficio eccezione di incostituzionalita' dell'art.  18,
comma 2, della legge 26 luglio 1975, n. 354 e pertanto 
    Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale. 
    Sospende giudizio in corso. 
    Ordina inoltre che, a  cura  della  cancelleria,  l'ordinanza  di
trasmissione degli atti alla Corte costituzionale sia notificata, non
essendone data lettura, alle parti in causa e al Pubblico  Ministero,
il cui intervento in udienza e' obbligatorio, nonche'  al  Presidente
del  Consiglio  dei  ministri.  L'ordinanza,  sempre  a  cura   della
Cancelleria, viene comunicata anche ai Presidenti  delle  due  camere
del Parlamento. 
 
        Firenze, addi' 23 aprile 2012 
 
               Il Magistrato di sorveglianza: Fiorillo