N. 137 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 2011

Ordinanza del 12 dicembre 2011 emessa dal Giudice dell'esecuzione del
Tribunale di Napoli - Sez. distaccata di Pozzuoli - nel  procedimento
di esecuzione proposto da Buonanno Roberto contro ASL  NA  2  Nord  e
Banco di Napoli spa. 
 
Bilancio e contabilita' pubblica -  Regioni  sottoposte  a  piani  di
  rientro del  disavanzo  sanitario  e  commissariate  alla  data  di
  entrata in vigore della legge censurata - Previsione del divieto di
  intraprendere  e  proseguire  azioni  esecutive  nei  confronti  di
  aziende sanitarie locali ed ospedaliere delle regioni stesse,  fino
  al  31  dicembre  2012  -  Previsione  che  i  pignoramenti  e   le
  prenotazioni a debito sulle rimesse  finanziarie  trasferite  dalle
  regioni  stesse  alle  aziende  sanitarie  locali  ed   ospedaliere
  effettuati prima della data  di  entrata  in  vigore  del  d.l.  n.
  78/2010, convertito in legge n.  122/2010,  non  producono  effetti
  dalla data suddetta fino al 31 dicembre 2012 e  non  vincolano  gli
  enti del servizio sanitario  regionale  ed  i  tesorieri,  i  quali
  possono disporre, per le finalita' istituzionali dei predetti enti,
  delle somme agli stessi trasferite durante il  suddetto  periodo  -
  Ingiustificato  trattamento  di  privilegio  degli  enti  regionali
  rispetto ai comuni debitori - Incidenza sul diritto di azione e  di
  difesa  in  giudizio  -  Lesione  del  principio  di  liberta'   di
  iniziativa  economica  privata  -  Violazione  del   principio   di
  ragionevole  durata  del  processo   -   Violazione   di   obblighi
  internazionali derivanti dalla CEDU. 
- Legge 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 51,  come  modificato
  dall'art. 17, comma 4, lett e), del decreto-legge 6 luglio 2011, n.
  98, convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio  2011,  n.
  111. 
- Costituzione, artt. 2, 3, 24,  primo  comma,  111,  commi  primo  e
  secondo,  e  117,  primo  comma,  in  relazione  all'art.  6  della
  Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
  liberta' fondamentali. 
(GU n.28 del 11-7-2012 )
 
                            IL TRIBUNALE 
 
    Ha pronunziato la seguente ordinanza: 
 
                              F a t t o 
 
    In forza di titolo esecutivo del 6/20  settembre  2007  e  previa
notifica dell'atto di precetto, con pignoramento  eseguito  il  10/15
luglio 2008, l'avv. Roberto  Buonanno  procedeva  ad  espropriare  le
somme in possesso del terzo, s.p.a. Banco di Napoli, quale  Tesoriere
dell'ASL NA 2 Nord, debitrice esecutata. 
    Il terzo rendeva una dichiarazione di quantita' positiva. 
    Nelle more, entrava in vigore l'art. 2, comma 89, della legge  n.
191/2009, con il quale veniva introdotto il divieto di  intraprendere
e di proseguire le  azioni  esecutive  nei  confronti  delle  aziende
sanitarie locali e ospedaliere delle regioni gia' sottoposte ai piani
di rientro dai disavanzi sanitari «per  un  periodo  di  dodici  mesi
dalla data di entrata  in  vigore  della  ...  legge»,  termine  che,
dall'art. 1, comma 23-vicies del decreto-legge 30 dicembre  2009,  n.
194, veniva ridotto a mesi due. Successivamente, con  l'art.  11  del
d.l. n. 78/2010 (convertito in legge n. 122 del 2010) il  divieto  di
intraprendere e di proseguire le azioni esecutive veniva reintrodotto
con efficacia temporale sino al 31 dicembre 2010. 
    Detta norma, per quanto  qui  interessa,  veniva  sostanzialmente
riprodotta dall'art. 1, comma 51, della legge 13  dicembre  2010,  n.
220, con il quale la preclusione alle azioni esecutive veniva fissata
fino al 31 dicembre 2011, termine attualmente prorogato  sino  al  31
dicembre 2012 in forza dell'art. 17 del d.l. 6 luglio  2011,  n.  98,
convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111. 
    Il creditore procedente eccepiva: 
        il contrasto della norma con gli artt. 2,  24  e  111  Cost.,
anche secondo il diritto vivente, alla luce di Cass.  S.U.  n.  23726
del 2007; 
        il contrasto della stessa norma con l'art. 6, par.  1,  della
CEDU alla luce dei parametri di cui agli artt. 24 e 117, primo comma,
Cost.; 
        l'ulteriore contrasto della norma con gli artt.  3,  24,  97,
111, 113 e 117, secondo comma, Cost., sotto piu' profili; 
        il contrasto della norma con la direttiva  europea  n.  35  -
00/35/CE del 29 giugno 2000  (in  G.  UE  8  agosto  2000,  n.  200),
recepita con d.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231. 
    All'udienza del 9 dicembre 2011, questo giudice si  riservava  di
provvedere. 
 
                            D i r i t t o 
 
    L'art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, recita:
«Al fine di assicurare il  regolare  svolgimento  dei  pagamenti  dei
debiti oggetto della ricognizione di cui all'art. 11,  comma  2,  del
d.l. 31 maggio 2010, n.  78,  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 30 luglio 2010, n. 122, per le regioni gia' sottoposte ai piani
di rientro dai disavanzi sanitari, sottoscritti ai sensi dell'art. 1,
comma 180, della  legge  30  dicembre  2004,  n.  311,  e  successive
modificazioni, e gia' commissariate alla data di  entrata  in  vigore
della presente legge, non  possono  essere  intraprese  o  proseguite
azioni esecutive nei confronti  delle  aziende  sanitarie  locali  ed
ospedaliere delle regioni  medesime  fino  al  31  dicembre  2011.  I
pignoramenti e le prenotazioni a  debito  sulle  rimesse  finanziarie
trasferite dalle regioni  di  cui  al  presente  comma  alle  aziende
sanitarie locali e ospedaliere  delle  regioni  medesime,  effettuati
prima della data di entrata in vigore del decreto legge  n.  78/2010,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, non producono
effetti dalla suddetta data sino al 31 dicembre 2011 e non  vincolano
gli enti del servizio sanitario regionale  e  i  tesorieri,  i  quali
possono disporre, per le finalita' istituzionali dei  predetti  enti,
delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo». 
    Il comma quarto dell'art. 17 del  d.l.  6  luglio  2011,  n.  98,
convertito in legge 15 luglio 2011, n. 111, ha, poi, previsto: «(...)
Al fine di assicurare, per gli anni 2011 e 2012, l'effettivo rispetto
dei piani di rientro  dai  disavanzi  sanitari,  nonche'  dell'intesa
Stato-Regioni del  3  dicembre  2009,  sono  introdotte  le  seguenti
disposizioni: (...) e) al comma 51 dell'articolo  1  della  legge  13
dicembre 2010, n. 220, sono apportate le seguenti  modificazioni:  1)
dopo le parole: «dalla legge 30 luglio 2010, n. 122,»  sono  inserite
le seguenti: «nonche' al  fine  di  consentire  l'espletamento  delle
funzioni  istituzionali  in  situazioni  di  ripristinato  equilibrio
finanziario»; 2) nel primo e secondo periodo, le parole: «fino al  31
dicembre 2011» sono sostituite dalle seguenti: «fino al  31  dicembre
2012» (...). 
    La questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 51, legge n.
220/2010, cosi' come modificato ed integrato dall'art.  17,  d.l.  n.
98/2011 convertito nella legge n. 111/2011, e' senza dubbio rilevante
ai fini del presente giudizio in quanto dalla pronunzia  della  Corte
costituzionale  dipende  l'alternativa   tra   la   declaratoria   di
improcedibilita' dell'azione esecutiva e l'accoglimento  dell'istanza
di assegnazione  delle  somme  (ex  art.  553  c.p.c.)  avanzata  dal
creditore pignorante -  prima  dell'entrata  in  vigore  dei  divieti
introdotti dall'art. 2, comma 89, legge n. 191/2009, come  modificato
dall'art. 1, comma 23-vicies, del d.l. n. 194/2009, dall'art. 11  del
d.l. n. 78/2010 convertito in legge n. 122/2010 nonche' dall'art.  1,
comma  51,  della  legge  n.  220/2010,  cosi'  come  successivamente
modificato ed integrato dall'art. 17 del d.l. 6 luglio 2011,  n.  98,
convertito nella  legge  n.  111/2011  -  sulla  base  di  un  titolo
esecutivo di condanna munito dell'autorita' di giudicato e alla  luce
della dichiarazione di quantita' positiva resa dal terzo pignorato. 
    In  altri  termini,  mentre  l'accoglimento  delle  questioni  di
costituzionalita' comporterebbe l'assegnazione delle somme  pignorate
al creditore  procedente  e,  per  l'effetto,  la  soddisfazione  del
diritto dallo stesso fatto valere in executivis, ricorrendone tutti i
presupposti, viceversa l'applicazione tout  court  della  norma  alla
fattispecie in esame non potrebbe che condurre ad  una  pronuncia  di
improseguibilita' dell'azione esecutiva. 
    Il richiesto vaglio di costituzionalita'  da  parte  della  Corte
della norma censurata appare imprescindibile a questo remittente, non
essendo  possibile  un'interpretazione  costituzionalmente  orientata
della  stessa  ovvero  un'interpretazione  alternativa  conforme   ai
parametri costituzionali. 
    Al riguardo, non ignora questo giudice la  soluzione  prospettata
da altra autorita' giurisdizionale  (cfr.  sentenza  11  luglio  2011
emessa dal  Tribunale  di  Napoli  Sezione  Distaccata  di  Pozzuoli)
secondo  cui  per  la  operativita'  della  sospensione   dell'azione
esecutiva e, quindi, per  l'applicabilita'  dell'art.  1,  comma  51,
legge n. 220/2010 e' necessaria la  conclusione  della  procedura  di
ricognizione dei debiti relativi ai piani  di  rientro  sanitari  con
contestuale predisposizione  di  un  piano  di  individuazione  delle
modalita' e tempi pagamento. 
    Tuttavia, tale conclusione non e' condivisa  da  questo  giudice,
che ritiene, invece, l'applicabilita' della ora richiamata norma alla
vicenda in esame nonostante  la  mancata  «ricognizione»  dei  debiti
prevista dal d.l. n. 78/2010 e  la  mancata  adozione  del  piano  di
riparto. 
    L'art. 11 comma 2 del d.l. 31  maggio  2010,  n.  78,  richiamato
dall'art. 1 comma 51, legge n.  220/2010,  infatti,  afferma  che  la
ricognizione dei debiti doveva avvenire entro 15 giorni dalla data di
entrata in vigore del decreto-legge ma aggiunge anche:  «Al  fine  di
agevolare quanto previsto  dal  presente  comma  (...),  fino  al  31
dicembre 2010 non  possono  essere  intraprese  o  proseguite  azioni
esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali e  ospedaliere
delle regioni medesime». 
    Il legislatore, pertanto, da un lato, ha voluto compulsare le ASL
a provvedere con celerita', ma dall'altro ha comunque temporaneamente
bloccato le esecuzioni proprio per «agevolare» detta ricognizione. 
    Secondo il remittente, quindi,  la  norma  in  questione  non  va
interpretata come condizione o presupposto per  l'operativita'  della
sospensione ma come semplice norma ordinatoria (foriera di  eventuali
conseguenze interne della P.A. in caso di sua inosservanza) e che  il
termine finale ultimo entro cui puo'  intervenire  tale  ricognizione
(ed i successivi piani di rientri) va fatto coincidere con il termine
ultimo di operativita' della sospensione stessa. 
    Cio' posto,  rispetto  alle  censure  sollevate  dal  ricorrente,
ritiene questo  giudice  che  la  questione  non  sia  manifestamente
infondata con riferimento agli artt. 2, 3, 24, primo comma, 111, 117,
primo comma, c.p.c. per le ragioni di seguito esplicitate. 
    1. - In primo luogo, la scelta  del  legislatore  di  vietare  le
azioni esecutive non puo' non compromettere il diritto sostanziale  e
come tale si pone in contrasto con gli artt. 2 e 111 Cost. secondo il
diritto vivente, alla luce della sentenza della Cass. S.U.  n.  23726
del 2007. 
    Con tale sentenza, rivestita dell'autorevolezza del  «precedente»
(e' sufficiente richiamare, al riguardo, gli artt. 360-bis  c.p.c.  e
118 disp. att. c.p.c., Cass. n. 3030 del 2011,  Cass.  n.  19051  del
2010), le Sezioni Unite della  Corte  di  Cassazione,  benche'  nella
diversa prospettiva di disciplinare l'azione cognitiva del creditore,
hanno  avuto  modo  di  affermare  e  riconoscere  le  piu'   moderne
caratteristiche della nozione di «giusto processo»  alla  luce  degli
artt. 2 e 111 Cost. 
    Ed in effetti, nel rimeditare intorno ad una ordinaria  questione
di  procedura  (attinente  alla  parcellizzazione   di   un   credito
unitario), il Supremo Collegio ha ritenuto  di  dovere  innovare  del
tutto il suo precedente orientamento (espresso  da  Cass.  108/2000),
alla luce del  «quadro  normativo  nel  frattempo  evolutosi»  ed  in
considerazione  «sia  di  una  sempre  piu'  accentuata  e  pervasiva
valorizzazione della regola di correttezza e  buona  fede  -  siccome
specificativa  (nel  contesto  del   rapporto   obbligatorio)   degli
"inderogabili  doveri  di  solidarieta'",  il  cui   adempimento   e'
richiesto dall'art. 2 Cost. - sia in relazione al canone del  "giusto
processo", di cui al novellato art. 111 Cost. in relazione  al  quale
si impone una lettura "adeguata" della normativa di riferimento,  nel
senso del suo allineamento al duplice obiettivo della "ragionevolezza
della durata" del procedimento e della  "giustezza"  del  "processo",
inteso come risultato finale (della risposta cioe' alla domanda della
parte), che  "giusto"  non  potrebbe  essere  ove  frutto  di  abuso,
appunto,  del  processo,  per  l'esercizio   dell'azione   in   forme
eccedenti,  o   devianti,   rispetto   alla   tutela   dell'interesse
sostanziale,   che   segna   il   limite,   oltreche'   la    ragione
dell'attribuzione, al suo titolare, della potestas agendi». 
    A tal riguardo, ha soggiunto: «Per il  primo  profilo,  viene  in
rilievo   l'ormai   acquisita   consapevolezza   della    intervenuta
costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva  e
correttezza, in ragione del suo  porsi  in  sinergia  con  il  dovere
inderogabile di solidarieta' di cui all'art. 2 Cost.,  che  a  quella
clausola  generale  attribuisce  all'un  tempo  forza   normativa   e
ricchezza di contenuti, inglobanti anche obblighi di protezione della
persona e delle cose della  controparte,  funzionalizzando  cosi'  il
rapporto obbligatorio alla tutela anche  dell'interesse  del  partner
negoziale (cfr., sull'emersione di questa linea di  indirizzo,  Cass.
3775/94, id., 1995, I, 1296; 10511/99, id., 2000, I, 1929;  sez.  un.
18128/05, id., 2005, I, 2985).  Se,  infatti,  si  e'  pervenuti,  in
questa prospettiva, ad affermare che il  criterio  della  buona  fede
costituisce strumento, per il giudice, atto a controllare,  anche  in
senso modificativo o integrativo, lo statuto negoziale,  in  funzione
di garanzia del giusto equilibrio degli opposti interessi  (cfr.,  in
particolare, Cass. 3775/94 e 10511/99, cit.), a maggior ragione  deve
ora riconoscersi che un siffatto originario equilibrio  del  rapporto
obbligatorio, in coerenza a quel principio,  debba  essere  mantenuto
fermo in ogni successiva fase, anche giudiziale, dello  stesso  (cfr.
Cass. 13345/06, id., Rep. 2006, voce Contratto in genere, n.  492)  e
non possa quindi essere alterato, ad  iniziativa  del  creditore,  in
danno del debitore ... Oltre a violare, per quanto sin qui detto,  il
generale dovere di correttezza e buona fede, la disarticolazione,  da
parte del creditore, dell'unita' sostanziale del  rapporto  (sia  pur
nella fase patologica  della  coazione  all'adempimento),  in  quanto
attuata  nel   processo   e   tramite   il   processo,   si   risolve
automaticamente   anche   in   abuso    dello    stesso»    da    cui
l'inammissibilita' delle domande di pagamento. 
    Tali    affermazioni    di    grande    portata     sul     piano
teorico-ricostruttivo,  ad  avviso  della  scrivente,  si  attagliano
perfettamente, benche' esaminate da una  visuale  opposta,  anche  al
caso del comma  51  dell'art.  1  in  questione  come  modificato  ed
integrato dall'art. 17 del d.l. n. 98/2011 (oltre che del  precedente
art. 11, legge n. 122/2010). 
    Ed invero, se abuso del processo equivale in  sostanza  ad  abuso
del diritto (e, dunque,  se  e'  vero  che  non  vi  puo'  essere  un
«processo giusto» se vi  e'  abuso  del  diritto),  e'  indubbiamente
destinato ad aver rilievo, specularmente, anche il principio  secondo
cui allorquando viene soppresso il processo non  puo'  non  ritenersi
che sia stato soppresso anzitutto il diritto. 
    E' vero che formalmente il divieto di intraprendere e  sospendere
azioni  esecutive  in  danno  delle  aziende   sanitarie   locali   e
ospedaliere e' solo una sospensione dell'azione esecutiva fino al  31
dicembre 2011 (ora 31 dicembre 2012) ma in realta' esso si traduce in
una soppressione del diritto, considerati la rilevante  durata  dello
stesso  e  la  dipendenza  economica  dei  creditori   dal   rapporto
contrattuale con le aziende sanitarie locali. 
    Orbene, alla luce degli artt. 2 e 111 Cost., i principi affermati
dai giudici di legittimita' pongono un argine  invalicabile  ad  ogni
ingiustificata eccezione alla generale  ammissibilita'  della  tutela
giurisdizionale delle situazioni giuridiche sostanziali (eccezione da
ritenersi ovviamente piu' grave laddove attenga,  come  nel  caso  di
specie, alla tutela giurisdizionale esecutiva). 
    Mutata, pertanto, profondamente la concezione  del  rapporto  tra
diritto sostanziale e processo, la conseguenza non  puo'  che  essere
che la qualificazione della nuova situazione soggettiva del  «diritto
di adire i tribunali» debba necessariamente essere  intravista  anche
come diritto attinente alla liberta' del  singolo  (tutelato  proprio
dall'art. 2 Cost.). 
    Se cio' e' vero, neppure  puo'  dubitarsi  che  l'attrazione  del
citato diritto nella sfera dei diritti civili comporta per gli  Stati
non solo un dovere di mera non ingerenza ma, altresi', un obbligo  di
prestazione e di risultato che gli Stati sono impegnati a  rispettare
e che, ovviamente, non possono essi stessi reprimere. 
    In definitiva, avendo preso corpo una visione della  realta'  che
rifiuta di considerare diritto sostanziale e  processo  come  entita'
separate, non puo' che riconoscersi tradotta la regola secondo cui la
negazione del diritto di agire si identifica necessariamente  con  la
negazione del diritto sostanziale. 
    Alla luce di tali rilievi, non vi e'  dubbio,  pertanto,  che  il
comma 51 dell'art. 1 citato sia in palese contrasto con gli artt. 2 e
111 Cost. atteso  che,  nel  sopprimere  il  diritto  di  accesso  ai
Tribunali: 
        a)  reprime  il  diritto   sostanziale   del   creditore   al
soddisfacimento della sua pretesa, finendo in un certo qual modo  per
negarlo; 
        b) compromette  l'effettivita'  della  tutela  giuridica  che
l'ordinamento   statale,   invece,   e'    tenuto    ad    apprestare
(rappresentando, ovviamente, l'altra faccia dell'abuso del  processo,
proprio  secondo  le  affermazioni  di  Cass.  n.  23726/2007,  tutte
successivamente condivise). 
    2. - Evidente, poi, risulta il contrasto del medesimo art. 1  con
l'art. 6, par. 1, della Convenzione Europea per la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  alla  luce  del
parametro di cui all'art. 2 Cost. 
    Le regole enunciate hanno anche un fondamento «europeo». 
    2/a) La Convenzione per la salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali enuncia, sotto l'art. 6, la garanzia  del
«giusto processo» con tutte le sue articolazioni. 
    Veniva tradizionalmente riconosciuto che le  garanzie  assicurate
da detta norma fossero destinate ad operare  solo  nel  corso  di  un
processo in atto, nel rispetto di  fondamentali  principi,  quali  la
terzieta' del giudice, l'audiatur et altera pars, la pubblicita'  del
giudizio e la sua ragionevole durata. 
    La prospettiva peculiare in cui, cioe', si  era  tradizionalmente
collocato il precetto non era stata quella del «diritto al processo»,
bensi' quella delle «garanzie nel processo». 
    I profondi mutamenti sociali hanno, pero', indotto a piu' di  una
rivisitazione, sicche' anche gli organi di  giustizia  sovranazionali
hanno innovato. 
    La regola e' stata cosi' interpretata, via via, in maniera sempre
meno restrittiva, sino a coinvolgere il «diritto al processo»  e  con
questo il «diritto all'azione»; quest'ultima  intesa  come  categoria
essenziale del diritto e, cioe', come elemento  di  raccordo  tra  le
situazioni giuridiche sostanziali e, piu' specificamente,  i  diritti
soggettivi. 
    Anche gli organi di giustizia  sopranazionali,  infatti,  non  si
sono piu' limitati a consolidare l'originario  corredo  garantistico.
La loro opera ha iniziato  ad  arricchirsi  di  contenuti  che  hanno
ridisegnato il significato e la portata della norma, consentendo  che
entrasse in scena il tema dell'azione, anzitutto  come  garanzia  del
cittadino del tutto sottratta al volere dei legislatori nazionali (1)
.  E'  stato,  cosi',  ripetutamente  ritenuto   che   escludere   la
sussistenza  del  diritto   di   accesso   ai   tribunali   significa
compromettere l'operativita' e,  prima  ancora,  la  ragion  d'essere
delle garanzie enunciate dall'art. 6 della Convenzione,  finendo  per
incidere gravemente sul diritto sostanziale. 
    Stando cosi' le cose, anche secondo l'art. 6  della  Convenzione,
non e' piu' sufficiente che le garanzie del giusto  processo  operino
solo se ed in quanto gli ordinamenti  nazionali  prevedano  una  mera
potenzialita'  di  accesso  alla  giurisdizione  e  le  garanzie  nel
processo. 
    Anche l'art. 6 e' stato considerato  un  argine  invalicabile  ad
ogni ingiustificata  eccezione  alla  generale  ammissibilita'  della
tutela giurisdizionale delle situazioni giuridiche sostanziali. 
    2/b) Fabbricato il «diritto di adire i tribunali» («droit d'acces
aux tribunaux») come parte essenziale ed  integrante  delle  garanzie
consacrate  nell'art.  6,  gli  interpreti  sopranazionali  ne  hanno
determinato ulteriormente la fisionomia, esplicitandone i contenuti. 
    In quest'opera di interpretazione, ha assunto un  ruolo  centrale
anche il «principio dell'effettivita'». 
    Esso sta a significare  che,  fra  le  garanzie  che  un  sistema
giurisdizionale  di  tutela  deve  offrire,   deve   sempre   esserci
«l'esistenza di una certa effettivita'». 
    Non v'e' dubbio, allora, che proprio la doverosa  attenzione  per
il canone dell'effettivita' sia anch'essa destinata a  ridimensionare
ulteriormente la rilevanza  del  tradizionale  distinguo  tra  «norme
sostanziali»  e  «norme  processuali»,  tra  «tutela  sostanziale»  e
«tutela processuale». 
    Si ricava, dunque, che l'art. 6 e' suscettibile di violazione non
soltanto  laddove  siano  irragionevoli  le  modalita'  tecniche   di
esercizio dei poteri processuali, ma soprattutto nei casi in  cui  la
configurazione stessa delle posizioni giuridiche sostanziali sia tale
da pregiudicarne la tutela. Ed e' ovvio, per stare al caso di specie,
che la posizione del creditore, nei confronti di un'ASL, non puo', in
ragione del soggetto debitore, essere (o restare) senza tutela. 
    2/c) Il canone dell'effettivita' guida oramai stabilmente l'opera
dell'interprete anche su un altro fronte: quello della individuazione
degli obblighi di prestazione a carico degli Stati. 
    Ed invero, quello di garantire l'accesso ai tribunali e'  (anche)
un obbligo di prestazione e di risultato che gli Stati sono impegnati
a rispettare (2) . 
    In tale prospettiva, il diritto di accesso al giudice, concesso a
tutela del diritto sostanziale, e' il solo strumento  per  la  stessa
affermazione di quest'ultimo che, per dirla ancor piu' efficacemente,
senza il processo non esiste. 
    Alla luce di tali rilievi, non puo' dubitarsi  che  il  comma  51
dell'art. 1  sia  in  palese  contrasto  anche  con  l'art.  6  della
Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, atteso
che nel precludere l'accesso ai  Tribunali:  a)  reprime  il  diritto
sostanziale del creditore al soddisfacimento della  sua  pretesa;  b)
compromette l'effettivita' della tutela giuridica  che  l'ordinamento
statale, invece, e' tenuto certamente ad apprestare. 
    Orbene, considerato che l'adesione dell'Unione Europea alla  CEDU
stabilita con l'art. 6  del  Trattato  di  Lisbona  ha,  allo  stato,
valenza meramente programmatica, in ragione del mancato completamento
del procedimento - complesso ed articolato - previsto dal  protocollo
n. 8 del  medesimo  Trattato:  chiaro,  in  tal  senso,  il  costante
insegnamento della Consulta, la quale ha piu' volte - ed  anche  dopo
la vigenza del Trattato di Lisbona - chiarito che le norme della CEDU
integrano, quali  «norme  interposte»,  il  parametro  costituzionale
espresso dall'art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone
la conformazione della  legislazione  interna  ai  vincoli  derivanti
dagli obblighi internazionali: da cio' deriva che in ipotesi di norma
interna contrastante con la CEDU, e' evidente  il  giudice  nazionale
non puo'  certo  disapplicare  la  norma  interna  ma,  ove  non  sia
possibile una interpretazione della  stessa  in  modo  conforme  alla
disposizione  internazionale,  deve  sollevare   una   questione   di
legittimita' costituzionale rispetto al  parametro  di  cui  all'art.
117, comma 1, Cost. (si leggano, in specie, le pronunce  della  Corte
costituzionale nn. 80/2011;  1/2011;  196/2010;  187/2010;  138/2010;
93/2010; 317/2009; 348-349/2007). 
    Ritenuto che non sia possibile, nel caso in  esame,  interpretare
l'art.  1,  comma  51,  legge  n.  220/2010  in  modo  conforme  alla
disposizione dell'art. 6 CEDU, non  essendo  cio'  sia  permesso  dal
testo  della  norma,  va,   dunque,   sollevata   la   questione   di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 51, legge n.  220/2010  rispetto
all'art. 117, comma 1, Cost. 
    3.  - Ulteriori  dubbi  investono  poi   la   conformita'   della
disposizione in esame con l'art. 3 Cost. 
    La Corte costituzionale, con sentenza n. 285/1995,  ha  affermato
che le posizioni giuridiche delle unita'  sanitarie  locali  e  degli
enti locali sono  del  tutto  omogenee  e  che,  pertanto,  qualsiasi
diversita'  di  disciplina  (nel  caso  affrontato  dalla  richiamata
pronunzia, era controversa la legittimita' costituzionale dell'art. 1
della legge n. 67/1993)  e'  senza  dubbio  lesiva  dei  principi  di
uguaglianza e di ragionevolezza. 
    Analoga affermazione e' stata espressa dai medesimi giudici delle
leggi in occasione della  sentenza  n.  69/1998  allorquando  questi,
ribadita «l'omogeneita' delle due situazioni giuridiche (delle unita'
sanitarie   locali   e   degli   enti   locali)»,   hanno   affermato
l'illegittimita' di ogni  disciplina  discriminatrice,  sicche'  (con
riferimento all'art. 113 del d.lgs. n. 77 del 25 febbraio 1995) hanno
riconosciuto  l'illegittimita'  del  trattamento   differenziato   e,
pertanto, l'incostituzionalita' della nonna censurata,  in  relazione
all'art. 3 Cost. 
    Identico giudizio e' stato espresso  dalla  Corte  costituzionale
anche in occasione della sentenza n. 211 del 18 giugno 2003. 
    Anche in tale circostanza, infatti, la Corte  ha  avuto  modo  di
«osservare che, stante la  omogeneita'  delle  situazioni  giuridiche
riferibili, rispettivamente, alle unita'  sanitarie  locali  ed  agli
enti  locali,  del  tutto  irragionevole  risulta  la  disparita'  di
trattamento della disciplina censurata nella parte in cui dispone  la
impignorabilita' delle somme di danaro destinate  alla  realizzazione
degli scopi essenziali degli  enti  locali  senza  condizionarla,  in
conformita' a quanto previsto per le unita'  sanitarie  locali,  alla
inesistenza di pagamenti c.d. preferenziali  e  cioe'  effettuati  da
tali enti senza l'osservanza di un determinato ordine cronologico». 
    Le medesime considerazioni si ripropongono con  riferimento  alla
disciplina  ora  impugnata,   che   attiene   solo   al   regime   di
esecutabilita' delle AA.SS.LL. «Per  effetto  di  essa,  infatti,  si
determina,  in  violazione  della   garanzia   della   par   conditio
creditorum, la identica, irragionevole, disparita' di trattamento fra
ente locale ed azienda sanitaria, gia'  dichiarata  incostituzionale»
(Corte cost. n. 211 del 18 giugno 2003). 
    4. - Di palmare evidenza risulta, poi,  la  violazione  dell'art.
24, primo comma, Cost. nell'ipotesi - ricorrente nel caso in esame  -
di pignoramento eseguito in epoca  anteriore  all'entrata  in  vigore
della legge n. 220/2010,  cosi'  come  modificata  ed  integrata  nei
termini di cui sopra. 
    La norma non solo istituisce un divieto di azione esecutiva ma in
piu' prevede che, nei confronti delle aziende sanitarie  locali,  non
possano essere «proseguite azioni esecutive» gia' intraprese. 
    Il dato testuale normativo non lascia margini di dubbio sul fatto
che le azioni esecutive pendenti, vale a dire quelle gia'  intraprese
prima della legge, non possano proseguire  e  debbano,  pertanto,  in
ogni caso cessare. 
    La violazione del parametro di cui all'art.  24  appare,  allora,
oltre modo grave (anche secondo Cass. 15811/2010 e  Cass.  6514/2011,
infatti, «non e' consentito cambiare le regole del  gioco  a  partita
gia' iniziata»). 
    In effetti, oltre al pregiudizio e al discrimine della  posizione
del creditore  impedito  nell'azione,  quella  da  quest'ultimo  gia'
legittimamente intrapresa e' destinata a compiersi con un  traumatico
provvedimento  di  chiusura  del  processo  in  relazione  a   fatti,
attivita' e comportamenti niente affatto riconducibili al creditore. 
    5. - Nella  stessa  prospettiva  delineata  sotto  il  punto  che
precede, l'art. 1, comma  51,  legge  n.  220/2010,  inoltre,  sembra
integrare una violazione dell'art. 111, primo e secondo comma,  Cost.
alla luce dell'art. 6 CEDU. 
    In effetti, il comma 51 cit., nella parte in cui, come si e' gia'
osservato, dispone l'applicabilita' ai giudizi in corso  del  divieto
dell'azione esecutiva, impedendo che questa possa  proseguire,  viola
ulteriormente i principi del giusto processo: ed invero,  modificando
le regole del gioco in pendenza del giudizio, altera le condizioni di
parita' delle parti davanti al giudice (cfr. Corte cost. n. 311 del 2
dicembre 2009), producendo peraltro conseguenze del tutto  impreviste
ed  irragionevoli,  quali  quelle  relative  alle  spese  processuali
destinate a restare a carico del creditore procedente. 

(1) Gia' nel 1975, la Corte di Strasburgo, con la  storica  pronuncia
    Golder  (n.  18  del  21  febbraio  1975),  decreto'   l'ingresso
    nell'ordine costituzionale europeo del «diritto  di  accedere  al
    giudice». Affermo' che l'art.  6,  accanto  al  giusto  processo,
    garantiva altresi' «un  droit  d'acces  aux  tribunaux  a'  toute
    personne  desireuse  d'introduire  une  action  relative  a'  une
    contestation portant sur ses droits et obligations  de  caractere
    civil» e che «il  diritto  di  accesso  costituisce  un  elemento
    inerente al diritto enunciato dall'art. 6, § 1». A tal  riguardo,
    considero'  che  la  disposizione  esprimeva,  prima  ancora  del
    diritto «che il procedimento  giudiziale  sia  svolto  equamente,
    pubblicamente e entro un  termine  ragionevole»,  il  distinto  e
    preliminare diritto di ogni individuo «a' ce que  sa  cause  soit
    entendue» non gia' da  un'autorita'  qualsiasi,  bensi'  «par  un
    tribunal». A supporto di tale  disegno  ricostruttivo,  la  Corte
    fece  leva  sull'oggetto  e  sullo  scopo  della  Convenzione  ed
    invoco', a tal fine, il principio della «preeminence du droit» (o
    della «rule of law»), richiamato dal preambolo della Convenzione.
    Preciso' che il richiamo a tale principio non poteva considerarsi
    un «mero riferimento retorico, privo d'interesse per l'interprete
    della Convenzione», esprimendo, invece, persino  un  «obiettivo».
    Per conferire un fondamento ancor piu' solido  a  tale  soluzione
    ermeneutica, la Corte fece ricorso all'argomentazione ispirata al
    nuovo «principio dell'implicazione». Si legge  nella  motivazione
    della pronunzia citata che, qualora l'art. 6  §  1  fosse  inteso
    come riferibile soltanto ai  procedimenti  gia'  iniziati,  «ogni
    Stato contraente potrebbe, senza  violare  tale  disposizione,  o
    sopprimere i suoi organi giurisdizionali o  sottrarre  alla  loro
    competenza la cognizione di certe categorie  di  controversie  di
    carattere civile». Non  si  comprenderebbe  allora,  aggiunse  la
    Corte, «come l'art. 6, § 1, possa descrivere in  dettaglio  certe
    garanzie accordate alle parti di un'azione civile in corso, senza
    tutelare preliminarmente cio' che soltanto permette in realta' di
    beneficiarne: l'accesso al giudice». 

(2) Impedimenti   di   fatto   (ossia   impedimenti   di    carattere
    economico-sociale), sempre come ha avvertito la medesima Corte in
    un'altra delle sue grandi pronunce - la sentenza  «Airey»  n.  32
    del 1979 - possono implicare una  grave  violazione  dell'art.  6
    citato  alla  stessa  stregua  di   impedimenti   giuridici.   La
    Convenzione, infatti, mira a garantire  «diritti  che  non  siano
    meramente teorici ed illusori, bensi' pratici ed  effettivi»;  la
    necessaria  concretezza   ed   effettivita'   di   tali   diritti
    (garantiti)  percio'  «e'  destinata  ad   assumere   particolare
    rilevanza in relazione al diritto di accesso alla  giustizia  che
    occupa un posto preminente in una societa' democratica». 
 
                              P. Q. M. 
 
    Il  giudice  dichiara   rilevante   per   il   giudizio   e   non
manifestamente infondata, in relazione agli artt. 2, 3, 24, comma  1,
111, 117, comma 1 della Costituzione, la  questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 51, della legge 13  dicembre  2010,
n. 220, cosi' come modificato ed integrato dall'art. 17  del  d.l.  6
luglio 2011, n. 98, convertito in legge 15 luglio 2011, n.  111,  nei
sensi e per le ragioni illustrate nella parte motiva; 
    Ordina alla Cancelleria di notificare la  presente  ordinanza  al
Presidente del Consiglio dei ministri, nonche' di darne comunicazione
al Presidente del Senato della  Repubblica  ed  al  Presidente  della
Camera dei Deputati; 
    Dispone  l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
costituzionale. 
    Sospende il giudizio in corso. 
    Si comunichi a cura della Cancelleria. 
        Pozzuoli, addi' 12 dicembre 2011 
 
                             Il giudice